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La terra per nutrire il pianeta/Parte quinta

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240px Pianta di Milano nel settecento

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La Martesana a Gorla nel 1925. Dietro le modeste case di un borgo rurale, si vedono i primi alti palazzi

Un tempo campi e canali

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Per completare la nostra ricerca siamo tornati nella zona 9 dove c’è la nostra scuola. Ormai è solo palazzi e asfalto ma fino a non molto tempo fa vi erano ancora tanti campi.

Addirittura i campi si estendevano persino dentro la cinta delle mura spagnole. I canali non solo la circondavano, ma entravano dentro il perimetro della città. È rimasto il nome di via Laghetto a due passi del Duomo per scaricare i marmi di Candoglia (nella valle del Toce) che via lago, poi fiume, naviglio, giungeva fino a Milano.

Per la zona della nostra scuola vi era il naviglio della Martesana, che proveniva dall'Adda

Prima di giungere in città, attraversava piccoli borghi rurali, come Gorla

La Martesana alla Conca dell'Incoronata


Il legname per i camini proveniva in buona parte dalla Valtellina e veniva trasportato da barconi che percorrevano il lago di Como fino a Lecco, poi il fiume e poi il naviglio.

Ma anche al sorgere della nuova fase industriale della città, molti trasporti avvenivano via acqua. I grandi rotoli di carta per stampare il Corriere della Sera venivano appunto portati dai barconi.

Nelle vicinanze Il celebre Tombon di San Marc segnava la fine della Martesana e uno degli approdi più frequentati. Le acque, poi confluivano nella fossa interna di cui ora resta solo il nome La cerchia dei Navigli

La Martesana contrassegnava quello che era, a quel tempo a buon diritto, chiamato Isola Garibaldi, perché tutto circondato da canali E rogge ed isolato anche dalle linee ferroviarie della Vecchia Stazione Centrale, a quei tempi passante e non di testa come ora.

Un'acqua taumaturgica

Nella nostra zona c'è anche attualmente il santuario di Santa Maria alla fontana, ormai inglobato nella città, ma quando fu eretta, considerata fuori le mura

Da una fonte sotterranea alla base del santuario e motivo stesso della fondazione di quest'ultimo, sgorgava un'acqua dalle proprietà taumaturgiche, indicata soprattutto per disturbi dell'apparato osteo-articolare (artrosi, artriti). Famosa è la guarigione di Carlo II d'Amboise, governatore di Luigi XII di Francia, che venne a bagnarsi nella già famosa fonte e fece in seguito costruire il santuario odierno.

Nell’Ottocento, a seguito dell’incendio di un'attigua fabbrica di bitume, la falda acquifera originaria si inquinò e venne chiusa, cosicché dagli 11 ugelli presso la chiesa oggigiorno fuoriesce comune acqua di rubinetto dell'acquedotto cittadino.

Le Cascine Abadesse

Sempre nella nostra zona sopravvive il fabbricato delle cascine Abbadesse che era appartenuto alle monache Agostiniane. Il primo disegno che ci è rimasto testimonia la sua presenza dal 1369. L'edificio ha il tipico aspetto del cascinale lombardo che si può ancora trovare nelle campagne. Oltre alle abitazioni civili vi erano tutta una serie di spazi per le attività produttive connesse all'agricoltura: stalle, fienili, il forno e il pozzo.

I campi erano coltivati ad orto, a vigna e c'era anche il prato per i bestiame. Nella carta della Guida del Touring del 1915 si vedono ancora chiaramente due fossi Il primo derivato dalla roggia del Fontanile vivo dei Pozzobonelli, mentre l'altro traeva l'acqua dalla Martesana

Ma ancora negli anni '50 la cascina conservava il suo aspetto rurale: ci hanno dato una foto, appunto di quell'epoca. Sono passati gli anni e la bambina al centro della fotografia è ora professoressa e ci ha seguito nella nostra ricerca.



Ora, invece si vedono solo case

Girando per il nostro quartiere, in una zona ormai lontanissima dal primo campo coltivato, abbiamo trovato in via Garigliano (dove, all'epoca passava una roggia proveniente dalle Cascine Abbadesse) una targa che ci ricorda la situazione di un tempo. È dedicata a Emilio Beretta, un poeta dialettale milanese che è diventato noto anche come paroliere di canzoni di grande successo, tra le quali, appunto Il ragazzo della via Gluck, la non lontana via dove è nato Adriano Celentano e che allora veniva considerata fuori della città:

Nella canzone il protagonista spiega all'amico che chi resta a giocare nei prati a piedi nudi è in una condizione migliore di chi si trasferisce nel centro urbano a respirare cemento.




La cementificazione selvaggia

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Il fenomeno della perdita dei campi coltivati per una cementificazione selvaggia non è solo milanese. Ecco quello che Antonio Saltini dice di una delle zone più fertili della Pianura Padana.

La progressione del cemento è stata, dal termine della seconda Guerra mondiale, incalzante, ha assunto, procedendo incontrollata, una violenza travolgente. Se le superfici abitative, l’insieme, cioè, delle aree delimitate dalle mura che anticamente circondavano città e borghi minori, sommavano, nel 1945, 6.048 ettari, si dilatavano di dieci volte nel corso del “miracolo economico”, toccando, nel 1976, 61.764 ettari, che salivano a 105.344 nel 1994. In cinque decenni la realizzazione di aree residenziali, industriali, di strade e parcheggi aveva moltiplicato le superfici “edificate” di circa venti volte. Al fenomeno si dovevano riconoscere ragioni profonde: una società contadina si era convertita in società industriale, centinaia di migliaia di famiglie si erano spostate dalla campagna alle città, in città avevano procreato figli, per i quali era stato necessario costruire asili, scuole, palestre, milioni di uomini e donne avevano abbandonato il lavoro dei campi per un’attività industriale, erano stati realizzati migliaia di edifici industriali, alcuni di dimensioni imponenti. La conversione dei suoli agricoli era stata esigenza ineludibile. (traiamo il brano da Wikisource La fame del Globo

Anche se non siamo riusciti a realizzare una intervista al prof. Antonio Saltini che insegna Storia dell'agricoltura nella facoltà di agraria, abbiamo seguito i suoi consigli e abbiamo letto alcune sue opere:

La fame del pianeta
Vita di inviato
I semi della civiltà
L'Agricoltura americana
2057 L'ultimo negoziato