Thomas Bernhard/Goethe
Un racconto di Thomas Bernhard
Incipit:[1]
La mattina del ventidue Riemer mi suggerì di parlare, durante la mia visita a Goethe fissata per l’una e mezza, da un lato sottovoce, ma dall’altro non così sottovoce, a quell’uomo del quale ormai si diceva solo che fosse il più grande della nazione e al contempo il più grande fino a quel momento tra tutti i tedeschi; questi sentirebbe infatti determinate cose con una chiarezza addirittura spaventosa, mentre altre quasi per niente e non si saprebbe quali senta e quali non, e – benché la difficoltà maggiore consista nel trovare il volume di voce più adeguato, nella conversazione con il genio sdraiato sul suo letto di morte, più o meno immobile, con gli occhi fissi tutto il tempo in direzione della finestra – sarebbe pur sempre possibile, in quel conversare che ormai di fatto si faceva sempre più triste, cogliere, soprattutto con la massima all’erta dei sensi, proprio quel giusto equilibrio adatto alla grande mente giunta ormai, com’è chiaro a tutti, al punto di morte. Negli ultimi tre giorni Riemer avrebbe parlato più volte con Goethe, due volte in presenza di Kräuter, che Goethe deve aver supplicato continuamente e fino all’ultimo momento di restare da lui, ma una volta anche da solo, perché Kräuter, presumibilmente in seguito a un improvviso malessere dovuto alla comparsa dì Riemer nella stanza di Goethe, sarebbe uscito in tutta fretta, cosicché Goethe subito, come ai vecchi tempi, avrebbe parlato con Riemer di ciò di cui è da dubitare e ciò di cui non è da dubitare, proprio come i primi giorni di marzo, quando – così Riemer – Goethe sarebbe tornato su questo tema ripetutamente e ogni volta con la massima attenzione, dopo essersi occupato alla fine di febbraio quasi esclusivamente, quasi per quotidiano esercizio mattutino – così Riemer – del Tractatus logico-philosophicus, con Riemer – dunque senza Kräuter, e dunque in assenza di colui che veniva chiamato da Riemer ogni volta spirito maligno, spia del morire goethiano – e dopo aver indicato il pensiero di Wittgenstein nella sua totalità come d’un tratto il più vicino al suo, quasi dovesse subentrargli, al punto che ci si era risolti a pensare che quanto di più intimo Goethe per tutta la vita era stato costretto a ricercare e riconoscere come il Qui e come il Là, avrebbe dovuto essere alla fine ricoperto dal pensiero wittgensteiniano, se non del tutto occultato. Con il passare del tempo Goethe deve essersi così eccitato a tale pensiero da implorare Kräuter di far venire Wittgenstein a tutti i costi, di portarlo dall’Inghilterra a Weimar in tutti i casi e quanto prima possibile, e Kräuter sarebbe di fatto riuscito a indurre Wittgenstein a far visita a Goethe, stranamente proprio il ventidue; l’idea di invitare Wittgenstein a Weimar era venuta a Goethe già a fine febbraio – così Riemer – e non i primi di marzo – come affermò Kräuter – e Kräuter sarebbe stato quello che era venuto a sapere da Eckermann che lo stesso Eckermann avrebbe voluto impedire a tutti i costi un viaggio di Wittgenstein a Weimar, da Goethe; Eckermann avrebbe riferito a Goethe cose così insolenti su Wittgenstein – così Kräuter – che Goethe, allora ancora in pieno possesso delle sue forze, naturalmente anche di quelle fisiche e quindi ancora in grado di recarsi quotidianamente in città, dunque del tutto in grado di lasciare Frauenplan e muoversi oltre la casa di Schiller, fin dalle parti di Wieland – così Riemer – che Goethe avrebbe proibito a Eckermann ogni ulteriore parola su Wittgenstein, il più venerabile – come Goethe si sarebbe espresso letteralmente. Goethe avrebbe detto a Eckermann che i servizi che questi, Eckermann, aveva prestato a lui, Goethe, fino a quel momento, e dunque da sempre, sarebbero zero e nulla a partire da quel giorno e da quella che era la più triste di tutte le ore della storia della filosofia tedesca; questi, Eckermann, si sarebbe reso colpevole in modo imperdonabile, per Goethe, dell’infamia di screditare Wittgenstein ai suoi occhi, e avrebbe dovuto lasciare immediatamente la stanza. La stanza, deve aver detto Goethe, del tutto contro la sua abitudine, poiché aveva sempre chiamato la sua stanza da letto semplicemente La camera; d’un tratto avrebbe – così Riemer – sbattuto in faccia a Eckermann la parola stanza ed Eckermann sarebbe rimasto per un attimo completamente senza parole, non avrebbe spiccicato alcuna parola – così Riemer – e avrebbe abbandonato Goethe. Voleva prendermi la cosa più sacra – deve aver detto Goethe a Riemer – lui, Eckermann, che mi deve tutto, al quale ho dato tutto, e che non sarebbe nulla senza di me, Riemer. Dal momento in cui Eckermann aveva lasciato la camera, Goethe non sarebbe stato in grado di proferire una sola parola; si dice che abbia detto sempre soltanto la parola Eckermann, di fatto così spesso che a Riemer era sembrato quasi che Goethe stesse per impazzire. In seguito tuttavia Goethe si sarebbe subito controllato e sarebbe riuscito a parlare con Riemer: nessuna parola su Eckermann, ma su Wittgenstein. Sapere il suo più intimo confidente a Oxford, separato solo dalla Manica comportava per lui, Goethe, la gioia più grande – così Riemer, che mi sembrò proprio in questo racconto più credibile e non come al solito esaltato, inverosimile; d’un tratto il racconto di Riemer aveva un che di autentico, che di solito nei suoi resoconti mi mancava. Wittgenstein a Oxford – deve aver detto Goethe – Goethe a Weimar, un pensiero felice, caro Riemer. Chi può capire quanto conti questo pensiero se non io stesso che a questo pensiero sono il più felice. Riemer sottolineò ripetutamente che Goethe avrebbe detto più volte, in riferimento a Wittgenstein a Oxford, il più felice. Quando Riemer disse a Cambridge, Goethe deve aver risposto Oxford o Cambridge, si tratta del pensiero più felice della mia vita, e questa vita fu piena dei pensieri più felici. II pensiero che c’è Wittgenstein è il più felice di tutti questi felicissimi pensieri.[2] All’inizio Riemer non avrebbe saputo come mettere in contatto Goethe e Wittgenstein e ne avrebbe parlato con Kräuter, ma questi, proprio come Eckermann, non ne voleva sapere nulla di una comparsa di Wittgenstein a Weimar. Mentre Goethe – come io stesso so da dichiarazioni fattemi dallo stesso Goethe in merito – voleva vedere Wittgenstein il prima possibile, Kräuter non faceva che dire che Wittgenstein doveva arrivare non prima di aprile, marzo sarebbe stata la data più infelice – Goethe stesso non ne avrebbe saputo nulla, ma lui, Kräuter, sì; Eckermann per più versi non avrebbe avuto torto nello consigliare del tutto Wittgenstein a Goethe, cosa che naturalmente era un non senso – così Kräuter a me – perché Goethe non si era mai lasciato convincere in nulla da Eckermann, ma Eckermann aveva pur sempre un buon istinto – così Kräuter a me, mentre passavamo davanti alla casa di Wieland. Quel fatidico giorno, quel giorno in cui Goethe aveva senz’ombra di dubbio chiesto di Wittgenstein, della presenza del suo successore, per così dire, in persona, Eckermann avrebbe esagerato; questi, Eckermann, avrebbe quel giorno semplicemente sopravvalutato le forze fisiche e psichiche di Goethe, così come le proprie competenze, e Goethe si sarebbe allontanato da Eckermann a causa di Wittgenstein, non a causa di qualcos’altro. Era fallito un tentativo delle donne al piano di sotto (che stavano nella sala!), di distogliere Goethe dal proposito, ormai diventato decisione definitiva, di scacciare effettivamente Eckermann per sempre e di certo a causa di Wittgenstein, cosa che le donne naturalmente non potevano capire, per due giorni anzi Goethe si era proibito – come so – la visita delle donne in camera; proprio Goethe – dissi a Riemer – che, finché è vissuto, non è stato in grado di fare a meno delle donne neanche un giorno. Sembra che Eckermann sia sceso nella sala, dalle donne, sconcertato – come Kräuter disse più tardi – le donne devono averlo, per così dire, assillato dicendogli dì ricondurre il fatto al cattivo stato generale di Goethe e di non prenderlo sul serio nella sua intera estensione, comunque non così seriamente come Eckermann lo prese al momento, e una delle donne – non so più quale delle molte che erano nella sala – sarebbe salita da Goethe per prendere le parti di Eckermann, ma Goethe era stato irremovibile; deve aver detto che mai nessun storno al mondo lo aveva deluso e offeso come Eckermann, e che quindi non lo voleva vedere mai più. Questo Mai più di Goethe sarebbe stato udito spesso nella sala anche in seguito, dopo che Eckermann da tempo se ne era andato dalla casa di Goethe e da allora di fatto non è stato più visto. Nessuno sa dove Eckermann oggi sia. Kräuter ha fatto indagare, ma tutte queste ricerche si sono rivelate vane. A Halle e a Lipsia è stata fatta intervenire la gendarmeria stessa – così Riemer; Kräuter ha divulgato la notizia della scomparsa di Eckermann anche a Berlino e a Vienna – così Riemer. Kräuter avrebbe dì fatto tentato ancora più volte – così Riemer – di dissuadere Goethe dal proposito di far venire Wittgenstein a Weimar, e infatti – così Kräuter – non c’era neanche la garanzia che Wittgenstein sarebbe effettivamente venuto a Weimar, anche se invitato da Goethe, dal più grande tedesco, poiché il pensiero di Wittgenstein fa vacillare in ogni caso questa sicurezza – così Kräuter letteralmente. Questi, Kräuter – così Riemer – avrebbe tuttavia messo in guardia Goethe da una comparsa di Wittgenstein a Weimar in modo estremamente prudente e non in modo così sgarbato e di fatto invadente come Eckermann che avrebbe semplicemente esagerato in questa faccenda wittgensteiniana, poiché era stato sicuro del fatto suo, ignorando che, per quel che riguarda le idee e i pensieri goethiani, davvero mai e in nessun caso si poteva essere sicuri, cosa che proverebbe come Eckermann fino alla fine non abbia saputo abbandonare quella limitazione dello spirito che da Eckermann conosciamo – così Riemer – ma lo stesso Kräuter non era riuscito a dissuadere Goethe dall’idea di far venire Wittgenstein a Weimar. Non si può inviare a una tale mente un telegramma – deve aver detto Goethe – non si può invitare una tale mente semplicemente con un telegramma, ma si deve mandare in Inghilterra un messaggero in carne e ossa – deve aver detto Goethe a Kräuter a riguardo. Kräuter non deve aver detto nulla e, poiché Goethe era deciso a vedere Wittgenstein faccia a faccia – come Riemer a questo punto disse in modo patetico, poiché sembra che Kräuter lo abbia detto proprio in questo modo patetico – Kräuter dovette alla fine piegarsi, per quanto gli risultasse difficile, al desiderio di Goethe. Sembra che Goethe abbia detto che se avesse goduto di migliore salute, sarebbe partito lui stesso per Oxford o per Cambridge, per parlare con Wittgenstein di ciò di cui è da dubitare e ciò di cui non è da dubitare, non gli sarebbe affatto pesato andare incontro a Wittgenstein, anche se i tedeschi non comprendono un pensiero simile. Su questo lui, Goethe, si porrebbe del tutto al di sopra, come si era sempre posto al di sopra di tutti i pensieri dei tedeschi, proprio perché sarebbe il tedesco, cosa che gli verrebbe del tutto naturale pronunciare. Partirei volentieri per l’Inghilterra alla fine della mia vita – deve aver detto Goethe a Kräuter – ma le mie forze non sono più sufficienti per questo, così sono costretto a proporre a Wittgenstein di venire da me. Naturalmente – avrebbe detto Goethe a Kräuter – Wittgenstein, il mio figlio filosofico, per così dire – così Kräuter che sì fa garante della testualità di questa dichiarazione di Goethe – abita nella mia casa. E precisamente nella stanza più accogliente che abbiamo. Faccio arredare questa stanza, così come credo che piacerebbe a Wittgenstein. E se resta due giorni, che cosa posso desiderare di più bello! – deve aver esclamato Goethe. Sembra – così Riemer – che Kräuter si sia indignato per questi desideri del tutto concreti espressi da Goethe. Si sarebbe scusato e avrebbe abbandonato per pochi momenti la stanza di Goethe, per annunciare alle donne nella sala, e anche a quelle sotto nella cucina, il piano di Goethe di invitare Wittgenstein a casa sua – così Riemer. Naturalmente le donne non sapevano neanche chi fosse Wittgenstein – avrebbe detto Kräuter a Riemer, così Riemer. Pensarono che Kräuter fosse impazzito. Questo Wittgenstein è d’un tratto l’uomo più importante per Goethe – deve aver detto Kräuter alle donne della cucina, che, a tale annuncio, lo avrebbero preso per pazzo. Kräuter sarebbe andato avanti e indietro per la casa di Goethe, dicendo Wittgenstein è il più importante per Goethe e sembra che tutti coloro che lo hanno sentito, si siano presi la testa tra le mani. Un pensatore austriaco! – avrebbe esclamato Kräuter anche di fronte al dottore, che aveva in cura Goethe e che faceva visita due volte al giorno – al che sembra che questo medico (non faccio il suo nome in modo che non mi possa querelare!) abbia detto a Kräuter che questi, Kräuter, sarebbe impazzito, Kräuter deve aver detto al medico che lui, il medico, sarebbe pazzo, il medico deve aver replicato che Kräuter dovrebbe stare a Bethel,[3] al che Kräuter aveva detto al dottore che lui dovrebbe stare a Bethel e così via. Alla fine Kräuter, convinto che Goethe si fosse nel frattempo tranquillizzato all’idea di invitare Wittgenstein a Weimar e perfino a casa sua, sarebbe di nuovo, dopo qualche tempo, entrato nella camera di Goethe. In quel momento il genio – deve aver detto Kräuter, così Riemer – era davanti alla finestra ad ammirare una dalia ghiacciata in giardino.[4] La vede, Kräuter, questa dalia ghiacciata! – avrebbe detto Goethe e la sua voce deve essere stata forte come sempre – Questo è ciò di cui si deve dubitare e ciò di cui non si deve dubitare! Sembra che Goethe sia rimasto a lungo in piedi davanti alla finestra e che abbia incaricato Kräuter di andare a cercare Wittgenstein a Oxford o a Cambridge (sarebbe del tutto indifferente dove!) per invitarlo. Come credo il canale è ghiacciato – deve aver detto Goethe – e questo significa che Lei si deve avvolgere in una buona pelliccia! Si avvolga in una buona pelliccia e cerchi Wittgenstein e lo inviti a Weimar il ventidue marzo. Il desiderio della mia vita, Kräuter, è vedere Wittgenstein proprio il ventidue marzo. Non ho più alcun altro desiderio. Se Schopenhauer e Stifter fossero ancora vivi, inviterei entrambi con Wittgenstein, ma Schopenhauer e Stifter non sono più vivi, così invito solo Wittgenstein e, a pensarci bene – così Goethe alla finestra, con la mano destra posata sul bastone – Wittgenstein è il più grande tra tutti. Kräuter avrebbe fatto presente a Goethe – così Riemer – la difficoltà di un viaggio in Inghilterra in un periodo così freddo e inclemente dell’anno, attraverso metà Germania, attraverso il canale e fino a Londra e oltre. Orribile, Goethe! – deve aver gridato Kräuter, così Riemer – al che Goethe con lo stesso impeto parti, Kräuter, parti! A Kräuter perciò non restò altro da fare che sparire e intraprendere il viaggio – così Riemer nel suo noto piacere sadico. Le donne gli fecero incredibili cerimonie. Portarono un’intera serie dì pellicce di proprietà di Goethe, sulle due dozzine, tra le quali anche la pelliccia da viaggio di Cornelia Schellhorn, che Goethe conservava ancora e che per un sacro motivo non aveva mai indossato, una pelliccia di Katharine Elisabeth Schultheiss – così Riemer e alla fine ancora una che Ernst August aveva una volta dimenticato da Goethe, e proprio per questa Kräuter alla fine si decise, poiché – così Kräuter, così Riemer – era proprio adatta a venire indossata in questo viaggio in Inghilterra. Alla fine Kräuter era, nel giro di due ore alla stazione, e partì. Ora Riemer aveva tempo per Goethe – come disse – e Goethe confidò a lui, Riemer, molto su Kräuter, ma anche su Eckermann e sugli altri, cosa che non li mise in buona luce. Così Goethe si lamentò – raccontò Riemer – di Kräuter, che era appena partito per l’Inghilterra, dicendo che questi, Kräuter, avrebbe sempre trascurato Goethe. Goethe non si chiarì meglio, anche Riemer non disse nulla in mia presenza, ma Goethe avrebbe ripetuto a Riemer, in riferimento a Kräuter, la parola trascurato. Goethe deve aver detto spesso a Riemer persino che Kräuter era un uomo stupido. Eckermann sarebbe stato ancora più stupido. Ernst August non sarebbe stato il grande Ernst August, che ora si reputa. Era più stupido – deve aver detto Goethe – più cattivo di quanto si pensi. Sembra che abbia designato come stupido anche Ulrike. Anche la signora Von Stein e il suo circolo. Avrebbe annientato Kleist, cosa che non gli sarebbe affatto dispiaciuta. Riemer non sapeva che pensare, mentre io credo veramente di sapere che cosa Goethe intendesse. Avrebbe sempre stimato Wieland e Herder più di come li avrebbe trattati. Stridono i segnavento – deve aver detto Goethe – Da dove viene questa citazione? Riemer non ne aveva idea, io dissi da Hölderlin,[5] Riemer sì limitò a scuotere la testa. Goethe avrebbe rovinato il teatro nazionale – così Riemer – soprattutto avrebbe mandato in rovina il teatro tedesco, ma la gente se ne accorge solo non prima di duecento anni. Ciò che ho scritto è stato senza dubbio la cosa più grande, ma anche ciò con cui ho paralizzato la letteratura tedesca per un paio di decenni. Sono stato, mio caro, un paralizzatore della letteratura tedesca – avrebbe detto Goethe a Riemer. Tutti si sono fatti imbrogliare dal mio Faust. Alla fine tutto, per quanto grande, è stato solo uno sfogo delle mie sensazioni interne, una parte di tutto – così riferì Riemer – ma in nessuna di queste parti sono stato la cosa suprema. Riemer avrebbe creduto che Goethe parlasse di tutt’altra persona, non di se stesso, quando disse a Riemer: così ho imbrogliato i tedeschi, che sotto adatti per questo come nessun altro. Ma a quale livello! – avrebbe gridato lui, il genio. Sembra che Goethe, serio e con il capo chino, abbia contemplato il ritratto di Schiller che era sul comodino accanto a lui, e abbia detto: l’ho annientato, con tutta la forza, l’ho in tutta consapevolezza distrutto, dapprima l’ho fatto ammalare e poi l’ho annientato. Voleva fare una cosa simile. Il povero! Una casa sull’Esplanade, come io una sul Frauenplan. Che errore! Mi fa pena – deve aver detto Goethe e poi deve aver taciuto a lungo. È una fortuna – disse Riemer – che Schiller non lo abbia più ascoltato. Sembra che Goethe si sia portato davanti agli occhi il ritratto di Schiller e abbia detto: mi dispiace per tutti i deboli che non possono più far fronte alla grandezza, perché non ne hanno il respiro! Quindi deve aver di nuovo rimesso a posto sul comodino il ritratto di Schiller, che un’amica di Wieland deve aver fatto per Goethe. Ciò che viene dopo di me l’avrà difficile – avrebbe detto poi Goethe. In questi momenti Kräuter si era già allontanato. Non abbiamo più avuto notizie di lui, tranne che si sarebbe procurato a Magdeburg una reliquia di Bach, un riccio del cantore Thomas, che, al suo ritorno, avrebbe voluto portare a Goethe. È un bene che Kräuter sia sparito per un periodo dal giro di Goethe – disse Riemer. Così noi possiamo conversare del tutto indisturbati, e Goethe si trova per una volta senza questo uomo spietato e inumano. Come si è separato da Eckermann – così Riemer – si separerà anche da Kräuter. E le donne – così Riemer – non svolgono più alcun ruolo nella sua vita. Esiste la filosofia, non più l’arte della poesia. Ormai lo si vede più spesso al cimitero, è come se si cercasse un posto. Lo incontro sempre in quel posto che a mio parere è il migliore. Riparato dal vento, del tutto isolato dagli altri. Non avevo idea – così Riemer sull’Esplanade, dove era d’un tratto iniziata la confusione mattutina – che Goethe fosse giunto ai suoi ultimi giorni. Quando oggi pomeriggio sarò di nuovo da lui – così Riemer in riferimento a Goethe – continuerò a parlare con lui di ciò di cui è da dubitare e di ciò di cui non è da dubitare. Organizzeremo il tema – così sempre Goethe – lo affronteremo e lo sviscereremo. Tutto ciò che finora avrebbe letto e approfondito sarebbe niente o per lo meno quasi niente di fronte all’opera wittgensteiniana. Non saprebbe più che cosa o chi lo abbia iniziato o condotto a Wittgenstein. Un piccolo libriccino con la copertina rossa, della biblioteca Suhrkamp[6] – disse una volta Goethe a Riemer – forse, non posso più dirlo. Ma fu la mia salvezza. Speriamo – così Goethe a Riemer, così Riemer – che Kräuter si faccia valere a Oxford o a Cambridge e che Wittgenstein arrivi presto. Non ho più molto tempo. Sembra che Goethe sia rimasto seduto nella camera per giorni e – come pensa Riemer – non abbia fatto altro che aspettare Wittgenstein. E così, non fa altro che aspettare Wittgenstein che è per lui il e la cosa suprema – così Riemer. Ha il Tractatus sotto il cuscino. Lui Goethe, avrebbe detto molto spesso in questi giorni, citando Wittgenstein: La tautologia non ha alcuna condizione di verità, poiché è incondizionatamente vera; e la contraddizione è vera sotto nessuna condizione.[7] Devono essere arrivati auguri di buona guarigione da Karlsbad, da parte della direzione termale e da Marienbad, mentre dalla bella Elenbogen fu spedito a Goethe un bicchiere, sul quale era ritratto insieme a Wittgenstein. Non si capisce come gli abitanti dì Elenbogen sappiano che Goethe e Wittgenstein sono una cosa sola – così Riemer – sul bicchiere sono una cosa sola. Un bel bicchiere. Si presentò un professore siciliano, residente ad Agrigento, con un invito per Goethe, a visitare la sua raccolta di manoscritti goethiani. Goethe scrisse al professore di non essere più nella condizione di passare le Alpi, pur preferendo i tramonti in montagna al fruscio del mare. Goethe si era del tutto ritirato nella corrispondenza – così Riemer – in un tipo di filosofica corrispondenza d’addio. Scrisse a Parigi a una certa Edith Lafontaine, che gli aveva spedito delle poesie per una valutazione, dicendole di rivolgersi a Voltaire, che si era assunto l’onere di rispondere alle consulenze di tipo letterario. Il proprietario dell’hotel Pupp a Karlsbad chiese a Goethe se questi, Goethe, volesse comprare il suo albergo per ottocentomila talleri – come si dice – senza personale. Per il resto arrivò tutti i giorni dalla Frauenplan solo posta priva di gusto e grossolana, che veniva ordinata dalle segretarie e poi veniva buttata via da Goethe, non di propria mano, naturalmente, ma da Kräuter o da me – così Riemer – anzi la cosa più bella era che avevamo così tante stufe grandi da potervi gettare questa posta priva di valore, invadente, del tutto indelicata. Tutta la Germania, senza eccezione, credette d’un tratto di potersi rivolgere a Goethe per lettera. Eckermann portò ogni giorno giganteschi cesti pieni di posta ai diversi forni. Così Goethe si scaldò per la maggior parte del tempo con la posta che aveva ricevuto negli ultimi anni. Ma torniamo a Wittgenstein. Kräuter – come allora mi riferì Riemer – era di fatto arrivato fin da Wittgenstein, ma questi era morto di tumore il giorno precedente alla visita di Kräuter.[8] Lui, Kräuter – così Riemer – avrebbe visto Wittgenstein soltanto ormai composto nella bara: un uomo magro, dal volto scavato. Nell’ambiente di Wittgenstein nessuno avrebbe saputo niente di Goethe – così avrebbe raccontato Kräuter. Kräuter sarebbe quindi ripartito depresso. Veniva ora la "grossa questione" – così Riemer – se Goethe dovesse essere messo al corrente o meno della morte di Wittgenstein. Proprio in questi minuti – dissi a Riemer, mentre passammo davanti a casa di Schiller, diretti di nuovo alla casa di Goethe morente, che ora era di nuovo del tutto sotto la sorveglianza delle donne che lo curavano – proprio in questi minuti sarei andato a prendere Wittgenstein alla stazione. Riemer guardò l’ora mentre io volli dire quanto segue: "Davvero nessuno, tranne Goethe, desiderò così tanto quanto me la visita di Wittgenstein a Weimar. Sarebbe stato anche per me l’apice, della mia esistenza" – dissi esistenza, dove Goethe avrebbe detto vita.[9] Avevo sempre detto esistenza lì dove Goethe aveva detto vita, questo era stato a Karlsbad, a Rostock, a Francoforte, sul Rügen, a Elenbogen. Sarebbe stato l’istante più bello che si lasci da me immaginare, essere testimone di Wittgenstein e Goethe in piedi o seduti l’uno di fronte all’altro, anche se avessero per tutto il tempo taciuto e anche se solo per un attimo. Riemer disse che Goethe aveva messo il Tractatus al di sopra del suo Faust e al di sopra di tutto ciò che aveva scritto e pensato. Anche questo è Goethe – disse Riemer – anche un tale uomo. Riemer disse che quando l’ultima mattina, quindi il ventuno, sarebbe entrato nella stanza di Goethe dove, con suo stupore, trovò Kräuter, Goethe gli apparve composto nel suo letto con quattro cuscini ricamati da Ulrike già sotto la testa, come ormai soltanto in occasione della rappresentazione pubblica, precisamente con la mano destra alzata, un po’ storpiata e tre 125 dita fanaticamente allungate con una spaventosa spietatezza a significare che a lui, Goethe, restavano non più di tre giorni di vita, neanche uno in più (nella qual cosa lui, Kräuter, si era alla fine sbagliato!). Goethe aveva dapprima solo detto che il gallo sarebbe colpevole, deve aver detto più volte: È colpa del gallo! Sembra che Kräuter, ancora del tutto preso dal suo compito in Inghilterra – così Riemer – abbia immerso in acqua fredda una pezza, che sarebbe stata in un lavabo su una piccola sedia da cucina pitturata di bianco alla finestra e abbia strizzato la pezza sul lavabo per così tanto tempo da essere sembrato a Riemer un’eternità, un periodo di fatto mostruosamente tirato per le lunghe da Kräuter – così Riemer. Mentre Kräuter strizzava la pezza sul lavabo – così Riemer – Goethe, ormai del tutto debole, avrebbe guardato dalla finestra aperta fuori nel giardino, mentre lui, Riemer, sarebbe rimasto per tutto il tempo sotto la porta della camera di Goethe. Non avrebbe avuto la forza – così Riemer – di dire a Goethe che Wittgenstein non sarebbe venuto e anche Kräuter si guardò bene dal dare a Goethe questa terribile notizia; nessuno dei due avrebbe mai detto che Wittgenstein era morto da tempo. E, sebbene Goethe fosse sconosciuto alla gente intorno a Wittgenstein, Kräuter, per non ferire Goethe, aveva più volte risposto a Goethe, poiché gli era stato chiesto: tutti conoscono Goethe, tutti. Tale frase avrebbe ogni volta colpito favorevolmente Goethe. Goethe non si sarebbe dapprima accorto che Riemer era entrato nella camera e avrebbe detto a Kräuter, del tutto tranquillo, che se gli fosse possibile stabilire chi tra tutti quelli che lo hanno incontrato nella sua vita (non: nella sua esistenza!), veramente tra tutti, desidererebbe ora accanto al suo letto, poteva pronunciare solo il nome Eckermann, cosa che naturalmente ci stupì, Kräuter e me – così Riemer. Al nome Eckermann, che Goethe aveva pronunciato inaspettatamente in tutta calma, Kräuter si darebbe spaventato e avrebbe voltato la schiena a Goethe. Questa osservazione mi era sembrata quella di un ottenebrato – così Riemer allora. Goethe ha poi improvvisamente detto Kräuter, non è che c’è Riemer? dopo di che Goethe ha lanciato uno sguardo su di me – così Riemer – ma diversamente dal solito. Mi era chiaro che questo ventidue sarebbe stato l’ultimo giorno di Goethe. Otto giorni erano passati da quando Wittgenstein era morto. Ora anche lui, ho pensato. Kräuter mi confessò più tardi dì aver avuto lo stesso pensiero in quel momento. Dopo di che Kräuter ha subito nuovamente stretto sulla fronte di Goethe la pezza bagnata, in quella ripugnante arte teatrale che conosciamo da Kräuter – così Riemer. E anche da Eckermann. Al che Goethe avrebbe detto – così Riemer – che, nel farsi così grande come è, avrebbe distrutto perfettamente tutto il resto accanto e intorno a lui. In verità non avrebbe innalzato la Germania, ma l’avrebbe distrutta. Gli occhi del mondo sarebbero tuttavia ciechi a questa idea. Lui, Goethe, avrebbe portato a sé tutti, per distruggerli, nel senso più profondo di renderli infelici. Sistematicamente. I tedeschi mi ammirano, sebbene sia per secoli così nocivo per loro come nessun altro. Kräuter si rende garante che Goethe ha fatto questa osservazione in tutta calma. Ho avuto per tutto il tempo l’impressione – così Riemer – che Goethe, essendosi legato fino alla fine a Kräuter, avesse prenotato un attore del teatro nazionale come suo ultimo infermiere e pensavo – nel vedere lui, Kräuter, agire così attorno a Goethe – a come premeva la pezza sulla fronte di Goethe, a come Kräuter se ne stava lì, quando Goethe disse Sono colui the ha distrutto i tedeschi! – e subito dopo – ma non ho la coscienza sporca!, a come mise la mano di Goethe, poiché questi non aveva più la forza di farlo da sé, un po’ più in alto sulla coperta, in modo conforme al proprio ascetismo, di Kräuter – così Riemer – tuttavia entrambe le mani di Goethe non furono congiunte come in un morto, cosa che anche lo stesso Kräuter deve aver trovato priva dì gusto. Pensavo a come Kräuter alla fine tolse con un fazzoletto una goccia di sudore dal viso di Goethe e manifestò in generale una premura talmente ripugnante, che, se non doveva ferire a morte lui, Riemer, doveva come minimo colpirlo e che forse proprio a una mente come Goethe, che dobbiamo intendere come grande, alla fine probabilmente persino come la più grande, si addiceva a un tale corrotto Kräuter, che sarebbe stato anche capace di aumentare nel modo più categorico la bassezza e la ciarlataneria di se stesso proprio davanti a una mente così grande come Goethe, quando è giunta alla sua fine. Fino al sommo grado di tradimento – così Riemer. Wittgenstein non abita su un elefante – avrebbe ancora detto Goethe, anche quando era già disteso sul letto di morte – ma a casa mia, proprio accanto alla mia camera, non c’è nessun altro che sia adatto a questo! Voglio Wittgenstein al mio fianco – deve aver detto Goethe allo stesso Riemer. Quando in seguito Goethe morì, proprio il ventidue, pensai subito al volere del destino, dato che l’invito a Weimar di Goethe per Wittgenstein era stato fissato proprio per quel giorno. Che segno dei cielo. Sembra che Goethe abbia detto come penultima frase: ciò di cui è da dubitare e ciò di cui non è da dubitare, ossia una frase wittgensteiniana. E poco dopo quelle due parole che sono le sue più famose Più luce!, ma di fatto Goethe ha detto come ultime parole non Più luce!, ma Più niente!. Eravamo lì presenti solo Riemer e io – e Kräuter. Noi – Riemer, Kräuter e io – ci accordammo dopo di riferire al mondo che Goethe avrebbe detto come ultime parole Più luce e non Più niente! [10] Ancora oggi, dopo che Riemer e Kräuter ne sono morti da molto, soffro per questa menzogna come una falsificazione...
NOTE
[modifica | modifica sorgente]- Goethe schtirbt - Traduzione dal tedesco e note di Micaela Latini, 1999. Nell'originale la sonorità del verbo schtirbt in luogo di stirbt comporta un sovrappiù di irrisione.
La Suhrkamp Verlag Berlin nell'edizione del 2010 raccoglieva quattro racconti di Thomas Bernhard inizialmente pubblicati il 19 marzo 1982 su Die Zeit e successivamente pubblicati (2013) in un unico volume in lingua italiana dalla casa editrice Adelphi.
- ↑ La struttura originale del testo è stata rispettata.
- ↑ Nella frase di Goethe riecheggiano le parole che Wittgenstein, prima di morire, sussurrò a Mrs. Bevan, la moglie del dottore che lo aveva in cura. Il filosofo disse "Dite loro che ho avuto una vita meravigliosa". Cfr. Ray Monk, The duty of Genius, Jonathan Cape, 1990, trad. di Piero Arlorio: Ludwig Wittgenstein. Il dovere del genio, Bompiani, 1991, p. 566.
- ↑ Ospedale psichiatrico in Germania a Bielefeld, fondato dal teologo Bodelschwing (Vater B).
- ↑ L’immagine della dalia ghiacciata torna nel romanzo Korrektur (1975), trad. Correzione di G. Agabio, Einaudi, 1995, p. 182.
- ↑ In effetti si tratta degli ultimi versi della lirica di Hölderlin A metà del vivere. Cfr. F. Hölderlin, Le Liriche, Adelphi, 1993 (I ed. 1977), pp. 568-569.
- ↑ Si tratta, del Tractatus logico-philosophicus nell’edizione Suhrkamp del 1963.
- ↑ Qui Bernhard cita letteralmente parte della proposizione 4.461 del Tractatus (Cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 1961, trad. di Mario Trinchero, Einaudi, 1964, p. 68.
- ↑ L’episodio raccontato da Bernhard ricorda una vicenda effettivamente accaduta a Wittgenstein. Durante la prima guerra mondiale il filosofo austriaco, che si era arruolato al fronte come volontario e che si trovava con l’esercito austriaco nei pressi di Cracovia, ricevette un biglietto da parte di Georg Trakl, dove il famoso poeta, ricoverato presso il reparto psichiatrico dell’ospedale militare, esprimeva il desiderio di conoscerlo. Wittgenstein si dichiarò entusiasta di incontrare Trakl. L’esercito tuttavia arrivò a Cracovia solo in tarda giornata, e dal momento che ormai era troppo tardi per la visita, Wittgenstein fu costretto a rimandare l’incontro al giorno seguente. L’indomani, quando il giovane filosofo arrivò all’ospedale, trovò una spiacevole sorpresa: Trakl si era infatti suicidato con una overdose di cocaina due giorni prima dell’arrivo dell’esercito austriaco a Cracovia. Cfr. R. Monk, Ludwig Wittgenstein, cit., pp. 124-125.
- ↑ Bernhard insiste sulla contrapposizione tra vita ed esistenza nel romanzo Correzione, cit., p. 139.
- ↑ Gioco di parole tra Mehr Licht! e Mehr nicht! che non può essere reso in italiano.
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