Thomas Bernhard/Soccombente
IL SOCCOMBENTE
Incipit:[1]
Un suicidio lungamente premeditato, pensai, non un atto
repentino di disperazione. Anche Glenn Gould, il nostro amico
e il più importante virtuoso del pianoforte di questo secolo, è
arrivato soltanto a cinquantun anni, pensai mentre entravo nella
locanda.
Solo che non si è tolto la vita come Wertheimer, ma è
morto, come si suoI dire, di morte naturale.
Quattro mesi e mezzo a New York suonando e
risuonando le Variazioni Goldberg e l’Arte della fuga, quattro mesi e mezzo di Klavierexerzitien, come Glenn Gould ripeteva
di continuo e solo in tedesco, pensai.
Esattamente ventotto anni prima avevamo abitato insieme
a Leopoldskron per studiare con Horowitz e (ciò riguarda
Wertheimer e me, ma non, com'è ovvio, Glenn Gould) nel
corso di un'estate completamente guastata dalla pioggia
avevamo imparato da Horowitz più che negli otto anni
precedenti al Mozarteum e alla Wiener Akademie. Horowitz ha
veramente abolito tutti i nostri professori. Eppure quegli atroci
maestri ci erano stati utilissimi per capire Horowitz a fondo.
Per due mesi e mezzo piovve ininterrottamente e noi, chiusi a
chiave nelle nostre stanze a Leopoldskron, lavoravamo giorno
e notte, l'insonnia (di Glenn Gould!) era ormai diventata per
noi uno stato irrevocabile, di notte elaboravamo per conto
nostro ciò che Horowitz ci aveva insegnato durante il giorno.
Non mangiavamo quasi nulla e per tutto quel periodo non
patimmo dei dolori di schiena che ci avevano tormentato di
continuo fintanto che avevamo studiato coi nostri vecchi
professori; sotto Horowitz quei dolori di schiena non li
sentimmo affatto perché studiavamo con una tale intensità che
in ogni caso non avremmo potuto sentirli. Al termine del nostro
corso con Horowitz, fu chiaro che Glenn già suonava il
pianoforte meglio di Horowitz stesso, ad un tratto avevo avuto
l'impressione che Glenn suonasse meglio di Horowitz e, da
quel momento in poi, Glenn fu per me il più importante
virtuoso del pianoforte di tutto mondo, per quanti pianisti io
abbia sentito da quel momento in poi, nessuno suonava come
Glenn, lo stesso Rubinstein, che ho sempre amato, non suonava
meglio di lui.
Wertheimer ed io eravamo pari quanto a bravura, anche
Wertheimer ha detto molte volte che Glenn era il migliore, lo
ha detto perfino quando ancora non osavamo dichiarare che era
il migliore del secolo. Il ritorno di Glenn in Canada significò
veramente per noi la perdita del nostro amico canadese, non
pensavamo di rivederlo mai più, era invasato dalla sua arte in
una tale maniera da farci supporre che non potesse tirare avanti
in quello stato ancora per molto e che in breve tempo sarebbe
morto. Invece, passati due anni da quando avevamo frequentato
con lui il corso di Horowitz, Glenn suonò al Festival di
Salisburgo le Variazioni Goldberg su cui due anni prima si era
esercitato giorno e notte con noi al Mozarteum studiandole e
ristudiandole di continuo. Dopo il suo concerto, i giornali
scrissero che fino ad allora nessun pianista aveva mai suonato
le Variazioni Goldberg con tanta arte, dopo il suo concerto di
Salisburgo essi scrissero dunque ciò che noi già sapevamo e
avevamo detto due anni prima. Con Glenn ci eravamo dati
appuntamento, dopo il suo concerto, al Ganshof di Maxglan,
una vecchia osteria che io amavo. Bevemmo dell'acqua e non
parlammo di nulla. Non appena ci rivedemmo, io dissi subito a
Glenn che noi, Wertheimer (venuto apposta a Salisburgo da
Vienna) ed io, non avevamo mai pensato, nemmeno per un
attimo, di poterlo rincontrare, che l'unica cosa di cui eravamo
sempre stati convinti era che lui, Glenn, una volta tornato nel
Canada da Salisburgo, si sarebbe ben presto rovinato a causa
del suo invasamento per l’arte, a causa del suo radicalismo
pianistico. Sì, parlando con lui, usai proprio questo termine,
radicalismo pianistico. Il mio radicalismo pianistico è un
termine che Glenn ha poi usato di continuo, e io so che questa
espressione l'ha adoperata molto spesso anche in Canada e in
America. Già allora, dunque quasi trent'anni prima della sua
morte, Glenn non amava nessun altro compositore più di Bach,
subito dopo per lui veniva Händel, Beethoven lo disprezzava,
perfino Mozart, quando lui ne parlava, non era più lo stesso
Mozart da me amato come nessun altro, pensai entrando nella
locanda.
Glenn non ha mai suonato una nota senza accompagnarsi
con canto, pensai, non è mai esistito un altro pianista con
questa abitudine. Della sua malattia polmonare parlava come se
fosse la sua seconda arte. Nello stesso periodo abbiamo avuto
la stessa malattia che poi ci è rimasta, pensai, e ultimamente
anche Wertheimer si è ammalato della nostra malattia. Ma
Glenn non si è rovinato a causa di questa malattia polmonare,
pensai. Ciò che lo ha ucciso è l'assenza di vie d'uscita in cui lui
stesso si è cacciato suonando per quasi quarant'anni, pensai.
Lui naturalmente non ha smesso di suonare il pianoforte,
pensai, mentre io e Wertheimer abbiamo smesso di suonare il
pianoforte in quanto non lo abbiamo trasformato in una
mostruosità come Glenn, che da questa mostruosità non si è più
tirato fuori non avendo mai avuto la voglia, in effetti, di tirarsi
fuori da questa mostruosità. Wertheimer mise all'asta al
Dorotheum il suo pianoforte a coda Bösendorfer, mentre io un
giorno, per evitare che il mio Steinway seguitasse a
tormentarmi, lo regalai alla figlia di nove anni di un maestro
originario di Neukirchen presso Altmünster. La figlia del
maestro rovinò il mio Steinway in brevissimo tempo, il che non
mi dispiacque affatto, anzi osservai con piacere perverso questa
ottusa opera di distruzione.
Wertheimer si era addentrato, lo diceva di continuo lui
stesso, nella scienza dello spirito, io avevo dato inizio al mio
processo di intristimento.
Senza la musica, che da un giorno all'altro non ero più
riuscito a sopportare, io intristivo, intendo senza la musica
pratica, quella teorica aveva sempre avuto su di me, fin dal
primo momento, solo un effetto devastante. Da un momento
all'altro avevo odiato il pianoforte, il mio pianoforte, non ce
l'avevo più fatta a sentirmi suonare; non volevo più sbagliare
nota sul mio strumento. Così un giorno andai a cercare il
maestro per annunciargli il mio dono, ossia il mio Steinway, la
gente dice che sua figlia è dotata per il pianoforte, avevo detto
al maestro annunciandogli il trasporto dello Steinway in casa
sua. Ero giunto per tempo al convincimento di non essere
adatto alla carriera del virtuoso, avevo detto al maestro,
siccome in tutto quello che facevo miravo all’eccelso, ero
costretto a separarmi dal mio strumento poiché certo con esso,
come avevo capito all'improvviso, non avrei mai raggiunto
risultati eccelsi, e dunque non c'era da stupirsi che mettessi il
mio pianoforte a disposizione di sua figlia che era così dotata,
io non alzerò mai più, nemmeno una volta, il coperchio del mio
pianoforte, avevo detto allo strabiliato maestro, un uomo
alquanto primitivo che ha una moglie ancora più primitiva di
lui, originaria anch'essa di Neukirchen presso Altmünster. I
costi del trasporto me li assumo ovviamente io! avevo detto al
maestro che conoscevo benissimo fin dall'infanzia, come del
resto conoscevo la sua dabbenaggine, per non dire imbecillità.
Il maestro ha subito accettato il mio dono, pensai entrando
nella locanda. Nemmeno per un attimo avevo creduto al talento
di sua figlia; di tutti i bambini che vivono in campagna i
maestri dicono che hanno del talento, talento per la musica
soprattutto, e in realtà invece non hanno il minimo talento,
sono tutti bambini assolutamente privi di qualsiasi talento, e il
fatto che uno di loro soffi in un flauto o pizzichi una chitarra o
strimpelli su un pianoforte non dimostra ancora che egli abbia
del talento. Sapevo di consegnare il mio prezioso strumento a
una persona totalmente inetta, proprio a questo scopo lo avevo
fatto portare nella casa di quel maestro. In brevissimo tempo la
figlia del maestro ha mandato in rovina e reso inservibile il mio
prezioso strumento, uno dei migliori strumenti in assoluto, uno
dei più rari e dunque dei più ricercati e dunque anche dei più
costosi strumenti che ci siano. Ma la rovina del mio amato
Steinway era esattamente ciò che avevo voluto. Wertheimer si
è addentrato, come diceva di continuo lui stesso, nelle scienze
dello spirito, io ho dato inizio al mio processo di intristimento,
e mandando il mio strumento nella casa del maestro ho avviato
per mio conto questo processo di intristimento come meglio
non avrei potuto. Wertheimer, tuttavia, aveva seguitato a
suonare il pianoforte per vari anni ancora dopo che io avevo
regalato il mio Steinway alla figlia del maestro, in quanto per
vari anni ancora era stato convinto di poter diventare un
virtuoso del pianoforte. Del resto egli suonava mille volte
meglio della maggior parte dei nostri virtuosi del pianoforte
che si esibiscono in pubblico, ma alla fine la prospettiva di
diventare nel migliore dei casi un virtuoso del pianoforte come
ce ne sono molti altri in Europa non riuscì più a soddisfarlo, e
allora smise di suonare e si immerse nelle scienze dello spirito.
Io stesso, di questo son convinto, suonavo ancora meglio di
Wertheimer, eppure non sarei mai riuscito a suonare così bene
come Glenn, e per questo motivo (lo stesso motivo, dunque, di
Wertheimer!) ho abbandonato il pianoforte dall'oggi al domani.
Avrei dovuto suonare meglio di Glenn, ma questo non era
possibile, anzi era escluso, e dunque rinunciai a suonare il
pianoforte.
Mi svegliai in un giorno di aprile, non so più esattamente
quale, e mi dissi, col pianoforte ho chiuso. E in effetti non
sfiorai più lo strumento. Mi recai immediatamente dal maestro
e gli annunciai il trasporto del pianoforte.
D'ora innanzi mi dedicherò a ciò che è filosofico, pensavo
recandomi dal maestro, benché naturalmente non riuscissi
neanche a immaginare in che cosa consista questo filosofico.
Non sono assolutamente un virtuoso del pianoforte, mi dicevo,
non sono un interprete, non sono un artista della riproduzione.
Non ho niente dell'artista. Ero subito stato attratto dal
progressivo rattrappirsi del mio pensiero. Lungo tutta la strada
che mi portava dal maestro, non avevo fatto che ripetere queste
tre parole: Niente dell'artista! Niente dell'arrtista! Niente
dell'artista! Probabilmente, se non avessi conosciuto Glenn
Gould, non avrei abbandonato il pianoforte e sarei diventato un
virtuoso del pianoforte, forse addirittura uno dei migliori
virtuosi del mondo, pensai nella locanda. Se incontriamo il
primo di tutti, dobbiamo rinunciare, pensai. Stranamente ho
conosciuto Glenn sul Mönchsberg, il monte della mia infanzia.
Veramente lo avevo già visto al Mozarteum, ma con lui non ho
scambiato una sola parola prima di quell'incontro sul
Mönchsberg, chiamato altresì monte del suicidio perché si
presta al suicidio come null'altro al mondo, e infatti tutte le
settimane si scagliano da quel monte nell'abisso tre o quattro
persone. I suicidi salgono fino in cima con l'ascensore scavato
nel cuore della montagna, fanno un paio di passi e poi si
scagliano giù nella città. Quelli che giacciono sfracellati sulla
strada mi hanno sempre affascinato e io stesso (come anche
Wertheimer del resto!) sono salito molte volte sul Mönchsberg,
a piedi o in ascensore, con l'intento di scagliarmi giù, ma non
mi sono scagliato giù (e non lo ha fatto nemmeno
Wertheimer!). Più volte mi ero messo in posa (come pure
Wertheimer!) per buttarmi di sotto, ma come Wertheimer non
mi sono buttato. Ho fatto dietrofront. Naturalmente finora sono
più numerosi quelli che hanno fatto dietrofront di quelli che si
sono buttati di sotto, pensai. Glenn l'ho incontrato sulla
cosiddetta Altura Richter del Mänchsberg, dalla quale si gode
la vista più bella sulla Germania. Ero stato io a rivolgergli la
parola, gli avevo detto: Noi due studiamo con Horowitz. Sì, era
stata la sua risposta. Guardammo giù verso la pianura tedesca e
subito Glenn si mise a parlare dell’Arte della fuga. Mi sono
imbattuto, avevo pensato, in un intelligentissimo uomo di
scienza.
Aveva una borsa di studio della Fondazione Rockefeller,
disse. E comunque suo padre era un uomo ricco. Usava
espressioni come star nella pelle, o stare nei panni, insomma
parlava il tedesco meglio dei nostri compagni di studio
provenienti dalla provincia austriaca. è una fortuna che
Salisburgo si trovi qui e non in Germania, ossia quattro
chilometri più in giù, disse, perché in Germania non ci sarei
andato. Fu fin dal primo istante un'amicizia intellettuale.
Perlopiù quelli che suonano il pianoforte, anche se sono
celeberrimi, non sanno nulla della propria arte, disse. è vero,
dissi io, ma questo succede anche in tutti gli altri campi
dell'arte, è esattamente così nella pittura, nella letteratura, dissi,
e nemmeno i filosofi hanno cognizione di che cosa sia la
filosofia. Gli artisti non hanno quasi mai cognizione della
propria arte. Hanno dell'arte una concezione dilettantesca,
restano a vita legati al dilettantismo, perfino gli artisti più
celebri nel mondo intero. Ci eravamo subito intesi, eravamo
stati attratti fin dal primo istante, questo devo dirlo, dalle nostre
differenze, che erano in effetti differenze abissali, benché
avessimo spontaneamente la medesima concezione dell'arte.
Solo un paio di giorni dopo questo incontro sul Mönchsberg,
Wertheimer si è unito a noi. Glenn, Wertheimer ed io, che per
le prime due settimane avevamo abitato ciascuno per proprio
conto, ma tutti e tre in alloggi assolutamente inadeguati della
Città Vecchia, alla fine affittammo insieme, per la durata del
nostro corso con Horowìtz, una casa a Leopoldskron, nella
quale potevamo fare ciò che più ci piaceva. Nella Città Vecchia
tutto aveva avuto su di noi un effetto paralizzante, l'aria era
irrespirabile, le persone intollerabili, l'umidità dei muri aveva
recato grave danno a noi e ai nostri strumenti. In realtà
abbiamo potuto continuare il nostro corso con Horowitz solo
grazie al fatto che ce ne siamo andati via da quella città, la
quale è in definitiva la città più avversa all'arte e allo spirito
che si possa immaginare, un buco ottuso e provinciale, con
gente stupida e muri freddi, nella quale con l'andare del tempo
tutto è reso ottuso, tutto senza eccezioni. è stata la nostra
salvezza aver impacchettato le nostre quattro carabattole ed
essercene andati fuori, a Leopoldskron, che allora era ancora un
prato verde nel quale pascolavano le mucche e dimoravano gli
uccelli a centinaia di migliaia. La città di Salisburgo, che
essendo stata dipinta di fresco fin nei suoi più piccoli anfratti, è
adesso ancora più orribile di quanto fosse allora, ventotto anni
fa, era ed è tuttora una città nemica di tutto ciò che gli uomini
hanno di più intimo, che col tempo vien da essa annichilito, noi
questo lo avevamo capito subito ed eravamo scappati a
Leopoldskron. I salisburghesi sono sempre stati atroci, così
come il clima nel quale vivono, e quando oggi giungo in questa
città non solo mi confermo nel mio giudizio di allora, ma tutto
mi appare ancora più atroce. Eppure certamente fu per noi un
grandissimo vantaggio aver frequentato il corso di Horowitz
proprio in questa città così avversa allo spirito e all'arte. In un
ambiente di studio che ci è ostile studiamo meglio che in un
ambiente a noi amichevole, e colui che si accinge a studiare
farebbe bene a scegliere un luogo di studio che gli sia ostile
piuttosto che un luogo con un'atmosfera amichevole, in quanto
un'atmosfera amichevole gli toglierebbe gran parte della
concentrazione sullo studio, mentre un ambiente a lui ostile
permette una concentrazione totale, al cento per cento, su
questo studio, dal momento che su questo studio egli deve
concentrarsi se non vuol cadere in preda alla disperazione, e in
questo senso Salisburgo, come tutte le altre cosiddette belle
città, è probabilmente raccomandabilissima per chi voglia
compiervi un corso di studi, certo soltanto per un carattere
forte, un carattere debole andrebbe in rovina inesorabilmente in
brevissimo tempo. Per tre giorni Glenn era stato ammaliato
dall’incanto di questa città, per poi accorgersi ad un tratto che si
trattava, come si suol dire, di un incanto fasullo, che quella
bellezza era in fondo ripugnante e che gli esseri umani, in
questa città dalla bellezza ripugnante, erano volgari. Il clima
prealpino rende psicopatici gli esseri umani che già da
piccolissimi hanno dovuto subire l'ottusità e che con l'andare
del tempo diventano malvagi, dissi. Colui che vive qui e non
mente a se stesso questo lo sa bene, colui che vi giunge da fuori
se ne rende conto dopo poco tempo, e deve andar via, prima
che per lui sia troppo tardi, a meno che non voglia diventare
come questi ottusi abitanti di Salisburgo, come questi
psicopatici che con la loro ottusità uccidono a poco a poco tutto
ciò che ancora non è come loro. All'inizio, disse Glenn, aveva
pensato che crescere qui sarebbe stato bellissimo, ma già due o
tre giorni dopo il suo arrivo gli era parso un incubo essere
messi al mondo in questa città, e qui essere costretti a crescere,
a diventare adulti. Questo clima e questi muri uccidono la
sensibilità, disse. E io non ebbi altro da aggiungere. A
Leopoldskron lo spirito maligno di questa città non poteva più
danneggiarci, pensai mentre varcavo la soglia della locanda. In
fondo non fu soltanto Horowitz che mi insegnò a suonare il
pianoforte fino alle sue estreme conseguenze, fu anche il
quotidiano contatto con Glenn Gould nel periodo in cui
seguimmo il corso di Horowitz, pensai. Il mio ultimo maestro
prima di Horowitz era stato Wührer, uno di quei maestri che ti
soffocano nella mediocrità, per non parlare di quelli che avevo
avuto prima di lui, tutti nomi illustri, come si suol dire, che ad
ogni piè sospinto suonano in pubblico nelle metropoli e
occupano cattedre assai ben remunerate nei nostri celebri
conservatori pur non essendo altro che gente rovinosa, uomini
che suonano il pianoforte senza avere la minima idea dei
concetti musicali, pensai. Dappertutto suonano e occupano
posti di insegnamento questi maestri di musica, e guastano
migliaia e centinaia di migliaia di allievi, quasi che il loro
compito vitale consistesse nel soffocare sul nascere le doti
straordinarie dei giovani musicisti. Non c'è posto al mondo in
cui l'irresponsabilità regni sovrana come nei nostri
conservatori, pensai, i quali recentemente hanno preso il nome
di università musicali. Di ventimila maestri di musica uno solo
è il maestro ideale. Horowitz era quello che intendo un maestro
ideale, pensai. Glenn, se si fosse dedicato all'insegnamento,
sarebbe stato lui pure un maestro ideale. Glenn, al pari di
Horowitz, possedeva la sensibilità e la comprensione ideali per
questa disciplina, anche lui sarebbe riuscito nell'intento di
trasmettere quest'arte.
Ogni anno decine di migliaia di studenti di musica
percorrono la strada dell'ottusità negli istituti superiori di
musica e sono mandati in rovina dai loro inqualificabii maestri,
pensai. Capita qualche volta che diventino famosi pur non
avendo capito niente, pensai mentre varcavo la soglia della
locanda. Diventano Gulda o Brendel, eppure non sono nulla.
Diventano Gilels, eppure non sono nulla. Anche Wertheimer,
se non avesse incontrato Glenn, sarebbe certo diventato uno dei
nostri più importanti virtuosi del pianoforte, pensai, non
avrebbe dovuto abusare delle scienze dello spirito come io del
cosiddetto campo filosofico, perché come io da decenni ho
abusato della filosofia o del campo filosofico, così Wertheimer
ha abusato fino alla fine della sua vita di quelle che vengono
chiamate scienze dello spirito. Lui non avrebbe riempito tutte
quelle schede, pensai, e io non avrei riempito tanti manoscritti,
sono crimini contro lo spirito, questo pensai entrando nella
locanda. Cominciamo come virtuosi del pianoforte e finiamo
per rovistare e frugare nelle scienze dello spirito oppure nelle
filosofie, e così ci roviniamo. Perché non ci siamo spinti fino al
limite estremo e al di là di questo limite estremo, pensai, e
abbiamo abbandonato il pianoforte per riguardo a un genio nel
nostro campo. Ma a esser sincero, io non sarei comunque mai
potuto diventare un virtuoso del pianoforte, poiché in realtà
non volevo essere un virtuoso del pianoforte in quanto ho
sempre avuto contro questa idea le più ampie riserve e ho
soltanto abusato del virtuosismo pianistico ai fini del mio
processo di intristimento, sembrandomi addirittura fin da
principio che chi suona il pianoforte fosse un personaggio
ridicolo; essendo stato traviato dal mio talento veramente
straordinario per lo studio del pianoforte, io questo talento l'ho
prima applicato all'attività pianistica, e poi, dopo quindici anni
di torture, l'ho buttato a mare da un momento all'altro e senza
farmi il minimo scrupolo. Non è nel mio stile sacrificare la mia
esistenza al sentimentalismo. Sono scoppiato a ridere e ho fatto
trasportare il pianoforte nella casa del maestro, poi per vari
giorni mi sono divertito di me stesso che ridevo del trasporto
del pianoforte, sì, è proprio così, da solo mi sono preso gioco
della carriera del virtuoso che io stesso da un momento all'altro
avevo spezzato. E forse questa carriera da me infranta tutt'a un
tratto, pensai entrando nella locanda, è una parte indispensabile
del mio processo di intristimento. Noi tutti sperimentiamo ogni
sorta di cose per poi spezzare di continuo questi esperimenti,
gettiamo tutt'a un tratto decenni di esistenza nel mucchio dei
rifiuti. Wertheimer era sempre stato più lento, mai risoluto
come me nel prendere le decisioni, la sua carriera di virtuoso
del pianoforte l'ha gettata nel mucchio dei rifiuti vari anni dopo
di me e, a differenza di me, non se n'è fatto una ragione né
allora né mai, di continuo l'ho sentito rammaricarsi per il fatto
che non avrebbe dovuto abbandonare l'attività pianistica, che
avrebbe dovuto continuare a suonare, che entro certi limiti il
colpevole ero io, essendo sempre stato io il suo modello nelle
questioni importanti, nelle decisioni esistenziali, così ha detto
una volta, pensai entrando nella locanda. Per me e per
Wertheimer aver frequentato le lezioni di Horowitz era stato
micidiale, mentre quelle lezioni erano state per Glenn
l'espressione del suo genio. Non Horowitz, pensai, ma Glenn
aveva ucciso sia in me sia in Wertheimer tutto ciò che aveva a
che fare col virtuosismo pianistico e, in definitiva, con la
musica in generale. Glenn ci ha reso impossibile il virtuosismo
pianistico in un'epoca nella quale noi due credevamo ancora
fermamente nel nostro virtuosismo pianistico. Per vari anni
ancora dopo il corso di Horowitz, avevamo creduto nel nostro
virtuosismo, benché esso fosse già morto nel momento in cui
avevamo conosciuto Glenn. Chissà se non fossi andato da
Horowitz e avessi continuato a seguire le lezioni del mio
maestro Wührer, chissà se in quel caso oggi non sarei davvero
un virtuoso del pianoforte, uno di quei celebri virtuosi, pensai,
che tutto l'anno viaggiano in lungo e in largo tra Buenos Aires
e Vienna con la loro arte. Lo stesso vale per Wertheimer. Ma
subito mi dissi di no, un no estremamente deciso, poiché fin
dall'inizio avevo odiato il virtuosismo con tutto ciò che esso
significa e porta con sé, odiavo innanzitutto l'idea di
presentarmi davanti a tanta gente e odiavo gli applausi più di
tutto il resto, gli applausi non riuscivo a sopportarli, per molto
tempo non seppi se ciò che non sopportavo era l'aria viziata
fino a quando mi fu chiaro che non sopportavo il virtuosismo
in quanto tale, e specialmente il virtuosismo pianistico. Non
c'era nulla, infatti, che io odiassi come il pubblico e tutto ciò
che a questo pubblico è legato, e quindi odiavo anche il
virtuoso (e i virtuosi) in sé. E Glenn in realtà suonò in pubblico
solamente per due o tre anni, poi non sopportò più di suonare
in pubblico e rimase a casa, e laggiù, nella sua casa in America,
diventò il migliore e il più importante tra tutti quelli che
suonano il pianoforte.
Quando, dodici anni fa, noi andammo a trovarlo per
l'ultima volta, già da dieci anni Glenn non si esibiva più in un
pubblico concerto. Nel frattempo era diventato il più lucido di
tutti i folli. Era giunto al vertice della sua arte e ormai era
questione di tempo, di un tempo brevissimo, poi di sicuro
sarebbe stato colto dall'ictus cerebrale. Wertheimer aveva
allora la mia stessa sensazione, anche lui pensava che a Glenn
non restasse da vivere se non pochissimo tempo, lo disse a me
che gli sarebbe venuto un colpo.
Eravamo rimasti per due settimane e mezzo nella casa di
Glenn, dove lui si era sistemato uno studio. Come durante il
corso di Horowitz a Salisburgo, egli suonava il pianoforte
pressoché tutto il giorno e tutta la notte. Aveva fatto così per
anni, per un intero decennio. Ho dato trentaquattro concerti in
due anni e questo mi basta per tutta la vita, aveva detto Glenn.
Con Glenn, Wertheimer ed io suonavamo Brahms dalle due di
pomeriggio fino all'una di notte. Intorno alla sua casa Glenn
aveva posto tre guardiani che avevano l'incarico di tener
lontana la gente. All'inizio, per non essergli di peso, noi
avevamo deciso di non fermarci da lui nemmeno per una notte,
ma poi rimanemmo per due settimane e mezzo, e allora per me
e per Wertheimer fu di nuovo chiaro che la nostra decisione di
rinunciare al virtuosismo pianistico era stata giustissima. Mio
caro soccombente, fu il saluto di Glenn a Wertheimer, con
tipico sangue freddo americanocanadese Glenn sempre aveva
definito Wertheimer come soccombente, riservando a me un
semplice e secco filosofo, che mi lasciava del tutto indifferente.
Wertheimer, il soccombente, era agli occhi di Glenn uno che va
a fondo, ininterrottamente e sempre più a fondo, mentre io
secondo lui avevo in bocca ogni momento e con una regolarità
che gli riusciva probabilmente insopportabile la parola filosofo,
e dunque era più che naturale che noi due fossimo per lui il
soccombente e il filosofo, pensai quando entrai nella locanda.
Il soccombente e il filosofo erano giunti in America per
rivedere il virtuoso del pianoforte Glenn, per nessun altro
motivo...
- Der Untergeher - Traduzione dal tedesco di Renata Colorni, Adelphi Edizioni, 1985.
- ↑ La struttura originale del testo è stata rispettata.