Thomas Bernhard/Voci
Incipit: [2]
Vicino a Oslo abbiamo conosciuto un uomo
sulla sessantina che a proposito di un certo
ospizio ci ha raccontato più di quanto già
sapevamo dagli appunti di Hamsun sul suo
ultimo anno di vita, perché in quell’ospizio lui ci
aveva lavorato esattamente nel periodo in cui vi
aveva trascorso la sua esistenza anche il più
grande scrittore norvegese. Già da un po’ l’uomo
ci aveva colpito perché se ne stava taciturno in
quella locanda vicino a Oslo, logicamente piena
di rumore il venerdì sera, dove pernottammo
per diversi giorni. Dopo aver preso posto al suo
tavolo ed esserci presentati, siamo venuti a
sapere che in origine quest’uomo aveva studiato
filosofia e per motivi di studio era stato tra
l’altro quattro anni a Göttingen. Noi l’avevamo
preso per un capitano della marina mercantile
norvegese ed eravamo andati al suo tavolo per
sapere qualcosa di più sulla vita di mare, non
certo sulla filosofia, perché anzi proprio per
starne lontani eravamo scappati dalla
Mitteleuropa verso il Nord. Ma l’uomo ci aveva
risparmiato la filosofia, dicendo che
effettivamente la filosofia lui l’aveva
abbandonata da un giorno all’altro e che a
ventisette anni si era messo a disposizione
dell’istituto per l’assistenza agli anziani. Non era
pentito della sua decisione. Il suo primo incarico
era stato quello di aiutare un vecchio a scendere
dal letto, rifargli il letto e rimetterlo a letto.
Quel vecchio era Hamsun. Per molti mesi, ogni
giorno, aveva accompagnato Hamsun nel
giardino situato dietro l’ospizio, e in paese gli
aveva comprato quelle certe matite con le quali
Hamsun aveva scritto il suo ultimo libro. Era
stato lui il primo a vedere Hamsun da morto. A
quel tempo, logicamente, non aveva ancora
un’idea precisa di chi fosse Hamsun al quale
aveva steso il lenzuolo sopra il volto morto.
L’imitatore di voci che ieri sera è stato ospite
della Società di Chirurgia si era dichiarato
disposto, dopo lo spettacolo a Palazzo
Pallavicini al quale la Società di Chirurgia
l’aveva invitato, a venire con noi sul Kahlenberg
per dare anche lì, dove noi abbiamo sempre una
casa aperta a tutti gli artisti, una dimostrazione
della sua arte, logicamente non senza un
compenso. L’imitatore di voci, che era originario
di Oxford in Inghilterra ma aveva frequentato le
scuole a Landshut e in origine aveva fatto
l’armaiolo a Berchtesgaden, noi l’avevamo
pregato di non ripetersi sul Kahlenberg, ma di
presentarci invece qualcosa di completamente
diverso da quello che aveva fatto per la Società
di Chirurgia, ossia di imitare voci
completamente diverse da quelle di Palazzo
Pallavicini, e lui, che col programma presentato
a Palazzo Pallavicini ci aveva entusiasmato, ce
l’aveva promesso. Per noi, sul Kahlenberg,
l’imitatore di voci ha effettivamente imitato
altre voci, più o meno celebri, completamente
diverse da quelle imitate per la Società di
Chirurgia. Abbiamo anche potuto esprimere dei
desideri, e l’imitatore di voci ci ha accontentati
con la massima premura. Quando però gli
abbiamo fatto la proposta di chiudere il
programma imitando la propria voce, lui ha
detto che non ne era capace.
Due filosofi, sui quali sono già stati pubblicati
più scritti di quanti ne abbiano pubblicati loro
stessi e che un giorno, dopo decenni che non si
vedevano, si sono ritrovati proprio nella casa di
Goethe a Weimar, dove si erano recati tutti e
due, logicamente ciascuno per conto proprio e
arrivando da direzioni opposte, al solo scopo di
conoscere meglio vita e costumi di Goethe, cosa
che, essendo inverno e facendo quindi piuttosto
freddo, aveva creato a entrambi difficoltà di ogni
genere, approfittarono di questo incontro,
inaspettato ed effettivamente imbarazzante per
entrambi, per scambiarsi attestazioni di stima e
di ammirazione e per scambiarsi altresì la
promessa che subito, appena ritornati a casa, si
sarebbero sprofondati negli scritti del rispettivo
collega con tutta la concentrazione che questi
scritti richiedevano e meritavano. Quando però
uno dei due disse che di questo incontro nella
casa di Goethe avrebbe riferito, logicamente
sotto forma di saggio filosofico, nella rivista che
a suo giudizio era la migliore di tutte, l’altro si
oppose istantaneamente e definì il progetto del
suo collega una diffamazione, un assassinio
morale.
A Montreux sul lago di Ginevra avevamo notato
una signora, seduta su una panchina lungo la
riva, la quale di tanto in tanto, rimanendo
appunto su questa panchina, riceveva e poi
congedava, senza fare il benché minimo
movimento, le più svariate persone che
venivano a farle visita. Per due volte
un’automobile è venuta a fermarsi di fronte a lei
sulla riva e ne è sceso un giovane in livrea che le
ha portato i giornali ed è ripartito, per cui noi
avevamo pensato che doveva trattarsi del suo
autista privato. La signora era avvolta in varie
coperte di lana e doveva avere secondo noi
molto più di settant’anni. A volte faceva un
cenno di saluto a un passante. Probabilmente è
una di quelle ricche e distinte signore svizzere
che svernano sul lago di Ginevra mentre i loro
affari continuano a prosperare in tutto il resto
del mondo, avevamo pensato. La signora, come
venimmo a sapere ben presto, era
effettivamente una di quelle svizzere ricchissime
e distintissime che passano l’inverno sul lago di
Ginevra; da vent’anni era paralizzata dalla vita
in giù e in questi vent’anni quasi ogni giorno si
era fatta accompagnare dal suo autista sulla riva
del lago di Ginevra, facendosi poi depositare
sempre sulla stessa panchina e facendosi portare
i giornali. Da decine d’anni Montreux deve a lei
il cinquanta per cento delle proprie entrate
fiscali. Il famoso ipnotizzatore Fourati l’aveva
ipnotizzata vent’anni prima e non era più stato
capace di liberarla dall’ipnosi. Così Fourati aveva
distrutto per sempre non soltanto la vita di
questa signora, ma anche la propria, come è
noto.
Due coniugi di Salisburgo che avevano sempre
lavorato ciascuno per conto suo e ora godono
insieme di una doppia pensione, per la fine
dell’inverno ebbero l’idea di fare un viaggio a
Zell am See nel Pinzgau, per cui i due coniugi si
procurarono un dépliant di questa località tanto
decantata per consultarlo e trovare così una
locanda che potesse prestarsi al caso loro per
due o tre settimane. Effettivamente questi
coniugi tanto entusiasti dei viaggi avevano
scovato nel dépliant una locanda che sembrava
soddisfare i loro gusti e le loro esigenze, e si
erano messi in viaggio alla volta di Zell am See.
Quando però, dopo essersi fatto il viaggio fino a
Zell am See con tutti i relativi strapazzi,
entrarono nella locanda prescelta, dovettero
prendere atto che ciò che li aspettava nella
locanda era esattamente l’opposto delle loro
aspettative. Le camere, per fare un esempio, che
il dépliant descriveva come molto accoglienti,
erano invece tetre, e i coniugi inorriditi avevano
avuto l’impressione che in ognuna di queste
camere ci fosse sul pavimento una bara chiusa
sulla quale era scritto sempre e soltanto il loro
nome.
I sindaci di Pisa e di Venezia si erano accordati
per fare una sorpresa che lasciasse a bocca
aperta i turisti in visita alle loro città, i quali da
secoli si lasciavano ugualmente incantare da
Pisa come da Venezia, per cui avevano deciso di
far trasportare e montare, in gran segreto e di
notte, la torre di Pisa a Venezia e il campanile di
Venezia a Pisa. Ma non erano riusciti a tener
segreto il loro proposito, e proprio nella notte in
cui volevano far trasportare la torre di Pisa a
Venezia e il campanile di Venezia a Pisa erano
stati internati in manicomio, logicamente il
sindaco di Pisa nel manicomio di Pisa e il
sindaco di Venezia nel manicomio di Venezia.
Le autorità italiane erano riuscite a trattare la
cosa con la più assoluta riservatezza.
Nel giugno dello scorso anno comparve davanti
al tribunale un tirolese il quale era accusato di
avere ucciso uno scolaro di Imst ed è stato
condannato all’ergastolo. Il tirolese, che di
professione faceva il tipografo e da una trentina
d’anni lavorava in una stamperia di Innsbruck
con piena soddisfazione dei proprietari, si era
difeso protestando che lo scolaro di Imst gli
incuteva paura, ma su questo punto non era
stato creduto dai giurati, poiché il tipografo, che
effettivamente era oriundo di Schwaz e il cui
padre si era conquistato un grandissimo
prestigio in Tirolo in quanto presidente della
corporazione dei macellai tirolesi, era alto un
metro e novanta ed era in grado, come i giurati
avevano avuto modo di accertare in aula con i
loro occhi, di sollevare a due metri di altezza, fin
dal primo tentativo, una palla di ghisa del peso
di centocinquanta chilogrammi. Il tipografo
tirolese aveva ammazzato lo scolaro di Imst
usando un cosiddetto maglio da muratore.
Nostro zio, che possedeva a Innsbruck una manifattura di tabacchi e a Stams un cosiddetto chalet e che per questo motivo noi chiamavamo lo zio di Innsbruck, il giorno di Capodanno del millenovecentosessantasette ha chiesto alla stazione centrale di Innsbruck un biglietto di andata e ritorno per Merano ed è salito effettivamente su un treno diretto a Merano, con un’enorme quantità di bagagli, come ci hanno riferito alcuni testimoni. Ma a Merano non è mai arrivato, e nessuno ha più sentito parlare di lui, benché le indagini siano state sospese solo dopo due anni di intense ricerche. Nel frattempo la manifattura di tabacchi è stata chiusa e lo chalet è stato venduto, perché le spese per queste indagini si sono mangiate tutto quanto il cosiddetto patrimonio in contanti lasciato dallo zio di Innsbruck. Per la manifattura di tabacchi, in cui lavoravano trecento operai che nel frattempo hanno dovuto essere licenziati, non si è trovato finora un acquirente, perché negli ultimi anni la richiesta di tabacchi è diminuita e quella di nostro zio è una fabbrica effettivamente antiquata. Ma dicono che bisognerà venderla non appena gli avvocati intervenuti nelle ricerche dello zio reclameranno le loro parcelle, logicamente molto elevate. Ogni primavera ci torna alla memoria che verso la metà di maggio partivamo per Innsbruck e pernottavamo a Innsbruck da nostro zio per partire con lui l’indomani di buon’ora alla volta di Stams, dove passavamo diversi giorni nel suo chalet, leggendo e andando a passeggiare nei boschi circostanti. Siamo convinti che la buona salute di cui godiamo da anni si debba ascrivere soprattutto al fatto che due volte l’anno, in primavera e in autunno, andavamo a Innsbruck e a Stams da nostro zio. Alla disgrazia di cui nostro zio indubbiamente è stato vittima nel viaggio a Merano si deve ascrivere il fatto che adesso, quando ci mettiamo in viaggio, non chiediamo più un biglietto di andata e ritorno, ma sempre e soltanto uno di corsa semplice...
NOTE
[modifica | modifica sorgente]- Der Stimmenimitator - Traduzione dal tedesco di Eugenio Bernardi, Adelphi Edizioni, 1987.
- ↑ Rare cose fanno sognare come quelle notizie di cronaca che racchiudono un destino in poche righe dettate in tono di spassionata neutralità. In questo libro Thomas Bernhard ha scelto come forma letteraria appunto la notizia di cronaca. Così troveremo qui più di cento romanzi in altrettante pagine. Prendendo di sorpresa il lettore, e sostituendo una guizzante velocità al martellio ossessivo dei suoi libri più celebri, Bernhard inanella una serie di storie esilaranti e oltraggiose, tutte enunciate da un cronista che si pretende di impeccabile sobrietà e precisione. I fatti innanzitutto – sembra dirci, con celato sarcasmo. E i fatti, nella loro nudità, riescono pur sempre a sbalordirci. Sono multiformi e coatti come il protagonista della storia che dà il titolo al libro: un imitatore di voci che riusciva a imitare ogni voce possibile ma rimaneva interdetto e si dichiarava incapace quando gli chiedevano di imitare la propria. L’imitatore di voci è apparso per la prima volta nel 1978. (A cura di Eugenio Bernardi).
- ↑ La struttura originale del testo è stata rispettata.
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