Utente:Hellisp/Sandbox/Annibale Barca
Annibale Barca (barca non era un vero cognome, in punico significa "fulmine") (247 a.C. - 182 a.C.) fu un comandante militare dell'antica Cartagine. Famosissimo per i suoi risultati nella Seconda guerra punica, da lui stesso scatenata marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei e le Alpi, fino in Italia dove sconfisse le legioni romane in tre battaglie principali; Battaglia della Trebbia (218 a.C.), Battaglia del Lago Trasimeno (217 a.C.), Battaglia di Canne (216 a.C.) e molteplici scontri minori. Dopo la Battaglia di Canne i Romani rifiutarono lo scontro diretto e gradualmente riconquistarono i territori del sud Italia di cui avevano perso il controllo. La Seconda guerra punica terminò con l'attacco romano a Cartagine che costrinse Annibale al ritorno in Africa nel 204 a.C. e con la sua definitiva sconfitta nella Battaglia di Zama nel 202 a.C.
Dopo la fine della guerra, Annibale guidò Cartagine per parecchi anni cercando di ripararne le devastazioni, fino a quando i Romani non lo forzarono all'esilio nel 195 a.C.. Annibale si rifugiò quindi dal re Seleucide Antioco III in Siria dove continuava a propugnare guerre contro Roma. Nel 189 a.C. Antioco III fu sconfitto dai Romani e Annibale dovette ricominciare la fuga, questa volta presso il re Prusia I in Bitinia. Quando i Romani chiesero a Prusia la sua consegna, Annibale preferì suicidarsi. Era il 182 a.C.
Annibale è considerato uno dei più grandi strateghi della storia (Polibio, suo contemporaneo, lo accomunava a Publio Cornelio Scipione Africano) e altri lo accostano ad Alessandro Magno, Giulio Cesare, Federico II e Napoleone.
Biografia
[modifica | modifica sorgente]Annibale (Dono - o Grazia- di Baal), figlio di Amilcare Barca (Barca significa assai probabilmente 'Folgore') nacque nel 247 a.C. Il padre, dopo la sconfitta di Cartagine nella Prima guerra punica e dopo aver domato la ribellione dei mercenari e dei sudditi libici, in rotta con il partito aristocratico, cercava la rivincita. Supplicò il "Senato" cartaginese di dargli un esercito per riconquistare l'Iberia che si era ribellata. Cartagine fornì solo una forza relativamente ristretta e Amilcare con il genero Asdrubale e accompagnato da tre figli Annibale, Asdrubale e Magone, dopo aver loro fatto giurare odio eterno a Roma sull'altare di Baal-Hamman, intraprese la marcia lungo le costa del Nord Africa fino alle Colonne d'Ercole. Pur con poche truppe e pochi finanziamenti, Amilcare sottomise le città iberiche e riaprì le miniere per autofinanziarsi. Sfortunatamente fu ucciso in un combattimento. Spirando designò il genero Asdrubale quale successore. Per otto anni Asdrubale comandò le forze cartaginesi consolidando la presenza punica, riuscendo anche a edificare una nuova città (Carthago Nova - oggi Cartagena) e a firmare un trattato con Roma dove impegnava i cartaginesi a non oltrepassare il fiume Ebro. Asdrubale morì nel 221 a.C. pugnalato da un assassino e i soldati acclamarono loro comandante Annibale. Aveva ventisei anni e ne aveva passati diciassette lontano da Cartagine. Il governo cartaginese confermò questa scelta. Dopo due anni trascorsi a completare la conquista dell'Iberia a sud dell'Ebro, Annibale si sentì pronto alla guerra. Cominciò l'assedio di Sagunto - città alleata a Roma con il pretesto che si trovava a sud dell'Ebro e quindi non rientrava nel territorio protetto da Roma. L'assedio durò otto mesi e terminò con la conquista della città anche perché Roma si limitò a mere proteste verbali presso Cartagine che aveva buon gioco nel declinare le responsabilità. Il governo cartaginese alla fine, vista la popolarità di Annibale, decretò la guerra a Roma. Stava terminando il 219 a.C..
La seconda guerra punica
[modifica | modifica sorgente]Con trentasette elefanti, cinquantamila fanti e novemila cavalieri, per lo più Iberici e Libici, Annibale partì verso l'Italia nella primavera del 218 a.C. lasciando il fratello Asdrubale a comandare le truppe in Iberia e a controllarne il territorio e le coste. Dopo un relativamente facile attraversamento dei Pirenei, Annibale dovette scontrarsi con le tribù galliche alleate alla colonia greca di Marsiglia e -contrariamente alle aspettative del generale cartaginese - del tutto indifferenti alla situazione delle consorelle che occupavano la Pianura Padana e sentivano la pressione delle armi romane. Questa resistenza spinse Annibale verso il nord della Provenza. Tremila uomini si rifiutarono di iniziare un così pericoloso passaggio. Annibale permise ad altri settemila, titubanti, di ritornare in Spagna. Avendo così mantenuto le truppe migliori, il generale, dopo essere riuscito a evitare uno scontro con forze romane sul Rodano, nell'autunno iniziò la scalata delle Alpi. Ventimila fanti, seimila cavalieri e ventun elefanti riuscirono ad arrivare nella Pianura Padana, meno della metà di quanti erano partiti. Sconfiggendo tribù montane, difficoltà del terreno e intemperie, Annibale aveva compiuto una delle imprese militari più memorabili del mondo antico.
La sua improvvisa apparizione fra i Galli della Pianura Padana fece staccare molte tribù dalla appena stipulata alleanza con Roma. Dopo una breve sosta per lasciare riposare i soldati, Annibale si assicurò le posizioni alle spalle sottomettendo la tribù ostile dei Taurini (nei dintorni dell'odierna Torino). Quindi mosse lungo la valle del Po sconfiggendo i Romani, guidati da console Publio Cornelio Scipione (il padre del vincitore di Zama), in una scaramuccia presso Victumulae lungo il Ticino costringendoli ad evacuare buona parte della Lombardia con azioni della sua superiore cavalleria. Nel dicembre dello stesso anno ebbe l'opportunità di mostrare la sua capacità strategica quando attaccò al fiume Trebbia (Battaglia della Trebbia) vicino Placentia le forze di Publio Cornelio Scipione (padre dell'Africano) cui si erano aggiunte le legioni di Tiberio Sempronio Longo. Tatticamente la battaglia anticipò quella di Canne. L'eccellente fanteria romana si incuneò nel fronte dell'esercito cartaginese ma i romani furono accerchiati ai fianchi dalle ali di cavalleria numidica e respinti verso il fiume. Di 16.000 legionari e 20.000 alleati si salvarono circa 10.000 uomini che ripiegarono a Piacenza.
Dopo aver resa sicura la sua posizione nel nord Italia con questa battaglia, Annibale acquartierò le sue truppe per l'inverno fra i Galli il cui zelo per la sua causa, cominciò a scemare a causa dei costi del mantenimento dell'esercito punico. Nella primavera del 217 a.C. Annibale decise di trovare a sud una base di operazioni più sicura. Con le sue truppe e l'unico elefante sopravvissuto all'inverno, attraversò quindi l'Appennino senza incontrare opposizione. Lo attendevano grosse difficoltà nelle paludi dell'Arno dove perse molte delle sue truppe per i disagi e le malattie e dove egli stesso divene cieco da un occhio. Avanzò quindi in Etruria su terre più elevate inseguito dalle armi romane. Con l'aiuto della nebbia riuscì a sconfiggere i romani nella Battaglia del Lago Trasimeno piombando all'improvviso sulle truppe romane in spostamento e spingendole sulle spiagge e nelle acque del lago. Morì il console Gaio Flaminio. La strada per Roma era aperta. Rendendosi però conto di non disporre un esercito tecnologicamente attrezzato per un assedio della Città, preferì sfruttare la sua vittoria per spostarsi dal Centro al Sud Italia e lì provare a suscitare una generale rivolta contro i dominatori di Roma. Anche se controllato e disturbato strettamente dalle truppe del dittatore Quinto Fabio Massimo che sarà detto "il Temporeggiatore", riuscì nel suo intento staccando vari popoli dall'alleanza con Roma. In un'occasione, anche se intrappolato nella pianura Campana riuscì a sfuggire con uno stratagemma e a trovare una base confortevole nelle pianure dell'Apulia, dove i Romani non osavano scendere per timore della superiore cavalleria del cartaginese.
Nella campagna del 217 a.C. Annibale non riuscì a ottenere un seguito fra le popolazioni Italiane ma l'anno seguente ebbe l'opportunità di creare una svolta in questo atteggiamento. Un forte esercito Romano comandato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Caio Terenzio Varrone avanzò verso di lui in Apulia e accettò battaglia nei pressi di Canne (Battaglia di Canne). Ponendo al centro dello schieramento i Galli (che come previsto cedettero rapidamente) e attaccando con la cavalleria pesante numidica la cavalleria leggera di Roma, messa presto in fuga, Annibale riuscì a circondare le legioni e a distruggerle quasi completamente. I romani ebbero 30.000 caduti, 10.000 caddero prigionieri e solo 10.000 circa riuscirono a rifugiarsi a Venusia con il superstite console Varrone. Le perdite di Annibale furono circa 6.000. Questa vittoria portò al suo fianco la quasi totalità delle popolazioni meridionali mentre l'Etruria e i Latini restarono fedeli all'Urbe. Non avendo però ricevuto aiuti a sufficienza né dalla madrepatria né dai nuovi alleati non poté portare un attacco diretto a Roma nonostante questa non potesse più schierare molte truppe a sua difesa. Dovette quindi accontentarsi di dispiegare le truppe al controllo del territorio e il solo evento notevole del 216 a.C. fu la conquista di Capua, allora la seconda maggior città d'Italia. Annibale vi pose la sua nuova base.
Negli anni successivi Annibale si dovette adattare a operazioni minori per lo più necessarie al controllo della Campania. Non riuscì a costringere i suoi nemici ad una battaglia definitiva e, anzi, dovette subire alcune leggere sconfitte. Con il passare del tempo la sua posizione nel Sud Italia divenne sempre più difficile. Le truppe affidate ai suoi subordinati non erano, in genere, capaci di operare da sole e né il governo cartaginese (che inviò solo 4.000 numidi e 48 elefanti) né il suo alleato Filippo V di Macedonia (disturbato dall'azione diplomatica romana presso la Lega Etolica e Attalo I di Pergamo avversari del re macedone) operarono per portargli un aiuto concreto e sufficiente. La conquista di Roma diventava sempre più remota e difficile. Nel 212 a.C. Annibale ottenne un grande successo conquistando Tarentum, colonia greca in prospettiva utile porto per ricevere aiuti via mare dall'Africa. Per contro, non riuscendo a respingere le armi romane in Campania perse il controllo della regione. L'anno successivo Annibale ritornò in Campania con tutto l'esercito e con una marcia attraverso il Sannio arrivò a tre Km da Roma causando il terrore della popolazione ma pochissimi danni e ancora meno pericolo.
Ma nello stesso anno Capua cadde nuovamente in mani romane. E Roma dimostrò come trattava le popolazioni che tradivano. Questo rese per lo più difficile la situazione del cartaginese facendo vacillare la decisione nelle altre popolazioni vicine. Nel 210 a.C. sconfisse un esercito proconsolare a Herdoniac (oggi Ordona) in Apulia e nel 208 a.C. distrusse una forza romana che assediava Locri. Però Quinto Fabio Massimo, nonostante i suoi quasi settant'anni, assalì Taranto che espugnò l'anno successivo. 30.000 abitanti furono venduti come schiavi. Era 209 a.C. e Roma con 10 delle sue 25 legioni attive (circa 200.000 uomini mobilitati) continuava la graduale riconquista del Sannio e della Lucania. Nel 207 a.C. Annibale ritornò in Apulia dove sperava di riuscire a concertare un ricongiungimento con un esercito cartaginese che stava discendendo l'Italia agli ordini del fratello Asdrubale. Per sua sfortuna, Asdrubale fu sconfitto nella Battaglia del Metauro dalle legioni di Livio Salinatore e Claudio Domizio Nerone e morì. Annibale dovette ritirarsi nelle montagne del Brutium (Calabria) dove riuscì a resistere per alcuni anni. Il fratello superstite Magone venne fermato in Liguria 205 a.C. - 203 a.C. e i negoziati con Filippo V di Macedonia non gli portarono nessun vantaggio per via dell'interferenza Romana. L'ultima speranza di successo in Italia ebbe termine.
Ritorno in Africa
[modifica | modifica sorgente]Nel 204 a.C. Publio Cornelio Scipione Africano che l'anno prima era stato eletto console portò la guerra in Africa con 25.000 uomini. Alleatosi con Massinissa re numida avversario dell'altro re Siface che lo aveva cacciato dal regno con l'aiuto dei cartaginesi ne poté usare la cavalleria, molto più adatta alle nuove tattiche belliche di quella romana. Cartagine cercò di intavolare trattative di pace ma Scipione sconfisse le forze di Asdrubale e Siface in due consecutive battaglie.
Nel 203 a.C. Annibale e il fratello Magone che aveva appena subito una sconfitta a Milano e che morì nel viaggio, furono richiamati in patria e il condottiero, dopo aver lasciato un ricordo della sua spedizione su tavole di bronzo nel tempio di Giunone di Capo Lacinie, fece vela per l'Africa. Il suo arrivo a Cartagine ridiede il vantaggio al partito della guerra che lo pose alla testa delle truppe, un misto di milizie cittadine e dei suoi veterani e mercenari. Nel 202 a.C. dopo un'inutile conferenza di pace con Scipione si scontrò con lui nella Battaglia di Zama. Scipione ormai conosceva le tattiche dell'avversario e, paradossalmente, le usò contro il loro inventore. La cavalleria numidica di Massinissa sbaragliò quella cartaginese. Inoltre le disaggregate forze cartaginesi non potevano reggere al confronto con l'esercito romano, ottimamente allenato e disciplinato. La sconfitta di Annibale a Zama pose fine alla residua resistenza di Cartagine e alla Seconda guerra punica.
Annibale aveva appena 46 anni e dimostrò di saper essere non solo un condottiero ma anche un uomo di stato. Dopo un periodo di oscuramento politico, nel 195 a.C. tornò al potere come sufeto (capo del governo). Il titolo era diventato abbastanza insignificante ma Annibale gli ridiede potere e prestigio. L'economia cartaginese, pur se deprivata degli introiti del commercio, stava riprendendo vigore con un'agricoltura specializzata. Annibale tentò una riforma dello Stato per incrementare le entrate fiscali ma l'oligarchia, sempre gelosa di lui, tanto da accusarlo di aver tradito gli interessi di Cartagine quando era in Italia evitando di conquistare Roma quando ne aveva avuto la possibilità, lo denunciò ai sempre sospettosi romani.
L'esilio
[modifica | modifica sorgente]Annibale preferì scegliere un volontario esilio. Prima tappa fu Tiro, la città-madre di Cartagine. Dopo fu a Efeso alla corte di Antioco III. Questo re stava preparando una guerra a Roma. Annibale si rese subito conto che l'esercito Siriaco non avrebbe potuto competere con quello romano. Consigliò quindi di equipaggiare una flotta e portare un esercito nel sud Italia aggiungendo che ne avrebbe preso lui stesso il comando. Antioco III, però ascoltò piuttosto cortigiani e adulatori e non affidò ad Annibale nessun incarico importante. Nel 190 a.C. Annibale fu posto al comando della flotta fenicia ma fu sconfitto in una battaglia alle foci dell'Eurimedonte.
Dalla corte di Antioco che sembrava pronto a consegnarlo ai Romani, Annibale fuggì per nave fino a Creta. È celebre l'aneddoto del suo inganno; i Cretesi non volevano lasciarlo più partire a meno che non lasciasse nel loro tempio principale l'oro che aveva con sé come offerta votiva. Egli allora finse di acconsentire. Consegnò un grosso quantitativo di ferro appena ricoperto da un sottile strato d'oro e trafugò invece le sue barre fondendole e nascondendole all'interno di statue di magnifica fattura che egli portava sempre con sé e che i Cretesi gli permisero di portar via. Da Creta quasi subito ritornò in Asia chiedendo rifugio a Prusia I re di Bitinia. Ancora una volta i Romani sembrarono determinati nella sua caccia e inviarono Flaminio per chiedere la sua consegna. Prusia accettò di darlo loro ma Annibale scelse di non cadere vivo nelle mani del nemico. A Libyssa sulle spiagge orientali del Mar di Marmara prese quel veleno che, come diceva, aveva a lungo conservato in un anello. Curioso (ma non si sa quanto veritiero) a questo punto l'oracolo che in giovane eta' lo aveva sempre convinto che sarebbe morto in Libia, a Cartagine e che citava testualmente: "Una zolla libyssa (libica) ricoprira' le tue ossa". Immaginiamo quale fosse il suo stupore quando apprese il nome di quella lontana localita' in cui si era rifugiato. Le sue ultime parole si dice fossero: "Poiché i Romani non hanno tempo di aspettare la morte di un vecchio, vediamo di fare loro questo favore". L'esatta data della sua morte è fonte di controversie. Generalmente viene indicato il 182 a.C. ma, come sembra potersi dedurre da Tito Livio, potrebbe essere stato il 183 a.C., lo stesso anno del suo vincitore: Scipione l'Africano.
Calunnia
[modifica | modifica sorgente]La figura di Annibale ha sofferto di una storica distorsione. I soli scritti su di lui sono le fonti romane, ovviamente molto ostili, in quanto Roma lo considerò il peggior nemico che abbia dovuto fronteggiare. Le accuse al cartaginese si rivelano abbastanza ipocrite. Quando al Lago Trasimeno morirono i due consoli romani Annibale ne cercò invano uno sulle coste del lago. In un altra occasione le ceneri del console Marcello furono restituite alla famiglia. Ma quando Claudio Domizio Nerone sconfisse Asdrubale alla Battaglia del Metauro, la testa del fratello di Annibale fu gettata nel campo cartaginese. Non sembra che Annibale fosse più crudele di così ma l'immagine persiste. Cicerone quando parlava dei due grandi nemici di Roma usò per Pirro il termine "onorevole" mentre definiva "crudele" Annibale. Per contro ricordiamo che Polibio, pur essendo ostaggio greco a Roma, entrato nel circolo degli Scipioni - acerrimi nemici del cartaginese- ne ha sempre esaltato la figura. Anche Tito Livio traccia una ritratto più equilibrato del grande nemico.
Posto nella Storia
[modifica | modifica sorgente]Il nome di Annibale è molto conosciuto nella cultura popolare, misura oggettiva della sua importanza nella storia del mondo occidentale. L'autore dell'articolo nell'Enciclopedia Britannica del 1911 (pubblico dominio) così lo descrive:
- Sul genio militare di Annibale non vi possono essere due opinioni. Un uomo che per quindici anni riesce a tenere il campo in una terra ostile e contro potenti forze guidate da una serie di abili generali deve essere un comandante e uno stratega supremo. Per stratagemmi e imboscate certamente superò tutti i generali dell'antichità. Senza dimenticare lo scarso aiuto fornitogli dalla madrepatria. Quando dovette fare senza i suoi veterani, organizzò sul momento truppe fresche. Non abbiamo mai sentito di ammutinamenti nei suoi eserciti anche se composti di Libici, Iberici e Galli. E ancora; tutto quello che sappiamo di lui proviene da fonti ostili. I Romani lo hanno tanto temuto e odiato che non poterono rendergli giustizia. Tito Livio parla di sue grandi qualità ma anche di suoi egualmente grandi vizi, fra cui segnala la sua più che punica perfidia e l'inumana crudeltà. Per la prima non vi era altra giustificazione della sua consumata bravura nelle imboscate. La seconda deriva, noi crediamo, dal fatto che in certi casi si comportò come le usanze belliche dell'epoca consentivano. Certo non arrivò alla brutalità di Claudio Nerone con la testa di Asdrubale. Polibio dice semplicemente che fu accusato di crudeltà da Romani e di avarizia dai Cartaginesi. In effetti Annibale ebbe acerrimi nemici e la sua vita fu una continua lotta contro il destino.