Utente:Mizardellorsa/Prova

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Giovanni Boccaccio è il primo grande narratore italiano, le sue opere sono caratterizzate da un'esplicita consapevolezza teorica. Amico del più vecchio Petrarca e grande studioso di Dante, nella sua vita si impegnò, oltre che nella scrittura, nella costante ricerca e trascrizione di opere classiche.

Della sua vita ci rimane un'autobiografia di dubbia attendibilità, comunque si sa che nacque presso Firenze dell'estate del 1313, un periodo in cui andava affermandosi il ceto mercantile. Matura per la poesia dantesca una grande passione, contrariamente alla volontà del padre, che lo avvia agli studi per diventare mercante. Nel 1327 si trasferisce a Napoli, dove l'occupazione di commesso al banco sollecita in lui un penetrante spirito di osservazione. La sua formazione umana va arricchendosi tra le esperienze nell'ambiente mercantile e la pratica dei testi latini e mediolatini reperiti nella biblioteca regia.

Nel 1340 torna a Firenze, che lascerà tre volte; attorno al 1348, per il poeta un periodo di intensa produzione letteraria, si diffonde anche a Firenze la 'peste', sulla quale è incentrato il Decameron, la sua maggiore opera.

In seguito a indigenze finanziarie prende gli ordini minori e diventa chierico. Si dedica quindi allo studio preumanistico dei classici scrivendo opere prevalentemente in latino.

Muore a Certaldo il 21 dicembre 1375.

Il profilo culturale di Boccaccio si delinea in tre filoni fondamentali:

  • Tradizione medievale e modelli cortesi
  • Insegnamento dantesco
  • Studi classici

Il Decameron[modifica]

La sua opera maggiore è il Decameron: esso è il primo libro di novelle della letteratura europea. Volto ad alleviare le pene amorose delle fanciulle, esso contiene cento novelle, dieci al giorno per dieci giorni (da qui il titolo, dal greco deka=dieci ed hemérai=giorni), ognuna introdotta da una rubrica, narrate da dieci giovani (sette ragazze e tre ragazzi, di cui ognuno ogni giorno sceglieva il tema delle novelle per quel giorno) rifugiati a Fiesole per sfuggire alla peste di Firenze, che fa da cornice all'intera opera.

Per cornice si intende un racconto entro il quale si sviluppano le cento novelle, fornendo loro un contesto; la cornice del decameron fornisce nua descrizione della peste fiorentina del 1348 che l'autore ha vissuto in prima persona e da cui è rimasto sconvolto sia per l'orrore della morte sia per il decadimento di tutti i valori civici e morali dei cittadini. L'antitesi di tutto questo si rispecchia nella vicenda della brigata in fuga a Fiesole (descritta come locus amoenus), simbolo di rinnovamento di tutto ciò che in città stava andando perduto. Così alla confusione fiorentina si contrappone l'ordine, nella pianificazione delle giornate, come nei re e regine che a turno scelgono il tema delle novelle; il periodo di convivenza, seppur all'insegna del diletto, diviene esemplare sotto il profilo etico, morale e virtuoso. Questo è il secondo fine dell'opera, l' utile, mentre il primo era quello dilettevole.

La lingua utilizzata è il volgare fiorentino, a volte affiancato da espressioni di altri dialetti italiani. Stile e registro sono molto vari, tuttavia i più utilizzati sono il comico e il realistico.

In accordo con l'epoca in cui fu scritto, dove sempre maggior rilievo assumeva il ruolo dei mercanti, nella società del Decameron predominano le capacità personali rispetto alla posizione sociale: ogni personaggio, anche se di bassa estrazione sociale, può riscattare se stesso con la sua intelligenza e abilità, spesso usate come strumento di affermazione personale: nasce in questo modo la beffa, una storia falsa architettata per raggiungere un'utilità pratica. Ricorrenti sono inoltre i temi del viaggio e dell'avventura e, immancabile, la denuncia della corruzione, malvagità e ipocrisia del clero, evidenziando come la profonda spiritualità della fede fosse ottenebrata da superstizione, idolatria e falsi miracoli.

Enciclopedia[modifica]

Testi[modifica]