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Cromatografia/Cromatografia a fluido supercritico

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Indice del libro

La cromatografia a fluido supercritico è una tecnica ibrida tra cromatografia liquida e gascromatografia che ha alcune delle migliori caratteristiche di entrambe e prevede l'utilizzo di un fluido supercritico come fase mobile. Si definisce fluido supercritico un liquido che viene portato in condizioni di temperatura tali da superare il punto critico ovvero un punto tale per cui non è possibile più riottenere la sostanza in fase condensata qualsiasi sia la pressione applicata. In tali condizioni le proprietà chimico-fisiche del fluido sono intermedie tra quelle di un liquido puro e quelle di un gas: questo ha densità e coefficiente di diffusione simili a quelli di un liquido e viscosità simili a quelle di un gas.
Nella tabella vengono riportati e messi a confronto i diversi valori approssimati di alcuni importanti parametri cromatografici:[1][2]

Densità (g/mL) Viscosità (g/cm s) Diffusibilità (cm2/s)
GAS 10-3 10-4 0,1
SFC 0,2-0,8 5 10-4 10-4
LIQUIDO 1 10-2 10-5

Per portare una sostanza in condizioni di fluido supercritico si vanno ad aumentare i parametri di pressione e temperatura fino ad arrivare al punto critico. Quando temperatura e pressione di un liquido sono a valori prossimi a quelli ambiente si possono distinguere nettamente due fasi: una liquida e una gassosa sovrastante. Quando si raggiungono i valori critici la distinzione tra le due fasi scompare e si ottiene una fase omogenea che viene definita fluido supercritico.

Caratteristiche generali

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La cromatografia a fluido supercritico può essere definita come una tecnica ibrida tra HPLC e GC, infatti presenta notevoli vantaggi rispetto ad entrambe. I fluidi supercritici hanno minore viscosità rispetto ai liquidi per cui le analisi saranno più veloci e si avrà una minor caduta di pressione lungo la colonna (la caduta di pressione assume valori che vanno da 1/3 a 1/5 rispetto a quelli ottenibili con l'analisi HPLC). Questo consente di impiegare colonne più lunghe rispetto a quelle usate in cromatografia liquida e che possono arrivare anche a 10-20 metri di lunghezza e con diametri interni di 50-100 μm[3] senza provocare un'eccessiva contropressione.[4] Un altro aspetto particolarmente interessante è che, essendo le colonne più lunghe, il numero di piatti teorici sarà maggiore e questo porterà ad avere un potere risolutivo fino a 5 volte maggiore rispetto a quello ottenibile con l'HPLC. Altro grande vantaggio che ne consegue è la possibilità di collegare più colonne in serie per ottenere un'efficienza ancora maggiore.
Dal momento che il fattore discriminante è la densità della fase mobile e non la temperatura come nel caso della gascromatografia, questa tecnica può essere applicata anche a sostanze termolabili, l'unica accortezza da avere è assicurarsi che la temperatura necessaria a mantenere la fase mobile in condizioni supercritiche sia cautelativamente più bassa della temperatura di degradazione della sostanza in esame. Proprio perché questa tecnica non richiede il passaggio in fase gas degli analiti può essere applicata a sostanze poco volatili e quindi si presta bene per analisi su soluti ad alto peso molecolare altrimenti non analizzabili con gascromatografia. La viscosità e la diffusività intermedie tra un gas e un liquido consentono di avere una separazione più veloce per i motivi già visti prima ma al contempo un allargamento di banda minore rispetto a quello osservabile in gascromatografia: l'elevata velocità di diffusione degli analiti nella fase mobile costituita dal gas carrier dà infatti luogo a fenomeni di allargamento di banda molto importanti.

Strumentazione

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La strumentazione utilizzata in cromatografia a fluido supercritico può essere così schematizzata:

Schema a blocchi della cromatografia a fluido supercritico

È inoltre presente un restrittore ovvero un capillare di lunghezza variabile tra i 2 e i 10 cm la cui funzione è quella di mantenere la pressione della colonna ai valori desiderati: si lavora infatti con un gas compresso e che deve rimanere in condizioni di supercriticità per tutta l'analisi. A seconda della tipologia di rivelatore impiegata viene collocato in punti diversi della strumentazione:

  • tra la colonna e il rivelatore se il rivelatore è un rivelatore da GC, in questo modo il fluido supercritico viene fatto passare allo stato gassoso prima di entrare nel rivelatore;
  • dopo il rivelatore se il rivelatore impiegato è un rivelatore per cromatografia liquida, in questo caso la fase mobile deve essere mantenuta in condizioni di supercriticità anche nel rivelatore.

Altro aspetto molto importante è che i blocchi costituenti iniettore, colonna e rivelatore devono trovarsi all'interno di un forno termostatato a temperatura controllata: è infatti necessario avere un sistema che consenta di avere un accurato controllo della temperatura. La fase mobile deve essere infatti mantenuta in condizione di fluido supercritico.

Come fase mobile la più comunemente usata è la CO2, questo perché presenta un punto critico facilmente raggiungibile: la temperatura critica è infatti 31 °C e la pressione critica di 72,9 atm. Dal momento che le condizioni richieste per ottenere la CO2 in condizioni supercritiche sono non troppo stringenti, l'apparecchiatura solitamente utilizzata è la stessa impiegata per l'HPLC.
Presenta inoltre una serie di altri vantaggi, quali ad esempio:

  • è un eccellente solvente per molte molecole organiche non polari - le interazioni intermolecolari tra le molecole di CO2 sono molto deboli a temperatura e pressione ambiente (la CO2 infatti è un gas in condizioni standard). Se le molecole di CO2 vengono compresse e quindi obbligate a stare le une vicine alle altre la densità aumenta, ciononostante le interazioni intermolecolari rimangono di debole entità, il che rende possibile ad altre molecole di diffondersi attraverso e questo conferisce alla CO2 un buon potere solvente;
  • è compatibile con molti rivelatori;
  • è atossica, non infiammabile;
  • poco costosa - viene solitamente riciclata da industrie in cui viene ottenuta come sottoprodotto di reazione;
  • è trasparente all'UV.

Si possono poi aggiungere dei modificatori organici polari che hanno effetto sulla ritenzione e modificano il potere solvente, tra questi troviamo ad esempio il metanolo: bisogna infatti tenere conto che anche la polarità, insieme alla densità, agisce sulla separazione degli analiti. L'aggiunta di modificatori diventa poi indispensabile quando si ha a che fare con soluti molto polari le cui interazioni con la fase stazionaria sono molto intense, in questi casi infatti spesso vengono trattenuti così saldamente in colonna da venir eluiti con difficoltà e restituendo picchi slargati, oppure non venir eluiti affatto. Possono essere usate diverse specie organiche come modificatori ma il più usato è il metanolo in quanto presenta una miscibilità completa con la CO2 insieme ad altri vantaggi quali ad esempio il basso costo e la bassa tossicità. Qualora la sola aggiunta di metanolo non fosse sufficiente ad aumentare la polarità della CO2 fino ai valori desiderati, si può ricorrere all'aggiunta di acqua: questa non è solubile se non in piccolissime quantità (circa 1%) nella CO2 pura, ma se al solvente si aggiunge del metanolo, la quantità di acqua tollerata può arrivare anche fino al 10%.[5]
Come fase mobile si possono impiegare anche altre sostanze quali ad esempio N2O, pentano, diclorodifluorometano, miscele di isopropile ed etere dietilico, ma la CO2 è sicuramente la più usata.

In cromatografia a fluido supercritico esistono diversi modi per intervenire sui tempi di ritenzione e sulla selettività:

  • concentrazione del modificatore - è il metodo più efficace e consente di ottenere il miglior effetto sui tempi di ritenzione pur influendo solo in piccola parte sulla selettività;
  • temperatura - la variazione di temperatura consente di ottenere un effetto molto minore sui tempi di ritenzione, in compenso però agisce sulla posizione relativa dei picchi;
  • pressione - è l'aspetto che influisce maggiormente se si ha a che fare con la CO2 pura ma questo parametro diventa di secondaria importanza soprattutto nel caso in cui la concentrazione del modificatore assuma valori piuttosto alti. Dal momento che la densità della fase mobile, unitamente con l'affinità dell'analita per questa, varia al variare della pressione, questa proprietà viene controllata attraverso un sistema regolatore di pressione: la densità però aumenta all'aumentare della pressione in modo non lineare, per questo motivo sono presenti dei software in grado di controllare la programmata di densità e renderla lineare. Lavorando ad una temperatura costante di 40 °C, le maggiori variazioni nella densità della CO2 si verificano in un range di pressione compreso tra 70 e 110 bar, se ne deduce quindi che, per piccole variazioni di pressione all'interno di questa finestra, si otterranno grandi variazioni di densità e quindi di potere solvente della CO2.[6]
  • velocità del flusso - ad un incremento della velocità del flusso corrisponde l'aumento della pressione che, come visto in precedenza, agisce significativamente sull'analisi. L'aumento di pressione causa un aumento della densità e una diminuzione dei tempi di ritenzione.

Applicazioni

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Le colonne utilizzate per la SFC sono le stesse impiegate nell'HPLC, la più comunemente usata prevede come fase stazionaria C18, particolarmente indicata per trigliceridi, oli di silicone, carotenoidi e altri composti contenenti lunghe code apolari.[7]
Viene molto spesso impiegata per la separazione di composti chirali, per questo motivo è molto usata in ambito farmaceutico: si pensi infatti al fatto che il 40% dei farmaci in uso sono costituiti da sostanze chirali e che 1/4 di queste vengono somministrate in forma enantiomericamente pura.[8] Trova comunque anche molte altre applicazioni nell'industria alimentare: si pensi alla decaffeinizzazione di tè e caffè o anche all'estrazione di aromi dal luppolo per la produzione di birra.
È una tecnica che si presta bene ad essere accoppiata ad ogni tipo di rivelatore e lo spettrometro di massa non fa eccezione, in questo caso saranno necessarie delle accortezze per realizzare un'interfaccia opportuna. L'accoppiamento viene realizzato attraverso l'ausilio di un tubicino di acciaio inossidabile di 125-250 μm che andrà ad aumentare il volume morto causando un lieve slargamento dei picchi, ma provocherà un effetto particolarmente favorevole: il calo di pressione provocherà la vaporizzazione di una buona parte della fase mobile e di conseguenza il flusso in arrivo al rivelatore sarà molto minore (il che è estremamente positivo dal momento che uno dei problemi principali legato all'utilizzo dello spettrometro di massa è proprio dato dal fato che è in grado di tollerare solo portate ridotte di flussi in entrata).
Il più grande limite di questa tecnica è dato dalle condizioni di temperatura e pressione richiesti per mantenere la fase mobile in condizione di fluido supercritico: richiede infatti una strumentazione molto costosa aggiungendo un buon numero di fattori da controllare ed ottimizzare.

  1. Miller, p. 124
  2. Skoog, p. 752
  3. Skoog, p. 938
  4. Webster, p. 19
  5. Berger, p. 34
  6. Berger, p. 21
  7. Berger, p. 35
  8. Webster, p. 2