Wikibooks:Deposito/Moduli/L'arte di ottenere ragione/Premessa e stratagemmi I-IX

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Il manoscritto pressochè completo, ma senza note, è stato ritrovato nel lascito ereditario di Schopenhauer. Lo si può far risalire presumibilmente al 1830; il testo è stato pubblicato con titoli diversi, come "Dialettica", "Dialettica eristica" o "L'arte di ottenere ragione".

Il testo originale è disponibile all'indirizzo [1], affiancato da una versione in inglese.

Premessa[modifica]

Introduzione: logica e dialettica
I.

Fin dall’antichità logica e dialettica sono stati considerati sinonimi, anche se logizesJai, riflettere, meditare, calcolare, e dialegesJai, colloquiare, sono due concetti diversi. Il termine dialettica (dialektikh, dialektikh pragmateia, dialektikoV anhr) è stato utilizzato per la prima volta da Platone (come ci riferisce Diogene Laerzio): e scopriamo infatti, nel Fedro, nel Sofista, nel libro VII della Repubblica, ecc…, che la intende come uso regolare ed esercizio della ragione. Anche Aristotele ha impiegato ta dialektika con lo stesso significato: però (secondo Lorenzo Valla) è stato il primo ad utilizzare logikh con il medesimo senso: e ritroviamo infatti nei suoi scritti logikaV duscereiaV, i. e. argutias, protasin logikhn, aporian logikhn. – Pertanto dialektikh sembrerebbe un termine più antico rispetto a logikh. Cicerone e Quintiliano adoperano nello stesso significato generale Dialectica [e] Logica. Cicero in Lucullo: Dialecticam inventam esse, veri et falsi quasi disceptatricem. – Stoici enim judicandi vias diligenter persecuti sunt, ea scientia, quam Dialecticen appellant, Cicero, Topica, Cap. 2. – Quintiliano: itaque haec pars dialecticae, sive illam disputatricem dicere malimus: quest’ultimo sembra che fosse l’equivalente latino per dialektikh. (Almeno secondo Petri Rami dialectica, Audomari Talaei praelectionibus illustrata, 1569.) Quest’uso dei termini Logica e Dialettica come sinonimi si è mantenuto nel Medioevo e fino ai giorni nostri. Tuttavia, in epoca più recente, “Dialettica” è stato utilizzato, soprattutto da Kant, con un significato più riduttivo, come “arte del dialogo sofistico”, e per questo si è arrivati a preferire “Logica”, in quanto denominazione più innocente. Ciononostante hanno entrambi lo stesso significato, e negli ultimi anni si è tornati ad utilizzarli come sinonimi.


II.

E’ un peccato che “Dialettica” e “Logica”, dall’antichità fino ai giorni nostri, siano stati utilizzati come sinonimi, e per questo non mi è possibile distinguere, come vorrei, il loro significato, e definire la “Logica” (da logizesJai, riflettere, meditare – da logoV, parola e ragione, che sono inseparabili) “la scienza delle leggi del pensiero, cioè l’agire della ragione” e la “Dialettica” (da dialegesJai, colloquiare: ogni colloquio però comunica fatti o opinioni: cioè tratta di storia o di convincimenti), “l’arte di disquisire” (intendo il termine in senso moderno). E’ evidente quindi che la logica tratta di un puro soggetto aprioristico, per definizione distinto dall’esperienza, cioè la legge del pensiero, il processo della ragione (del logoV), ossia la legge che segue la ragione quando è lasciata a se stessa e non viene ostacolata, come nel caso di un pensiero solitario da parte di un essere razionale che non viene fuorviato. La Dialettica invece riguarderebbe la comunione di due esseri razionali, che pensano insieme, ma non appena smettono di andare d’accordo come due orologi regolati in sincrono, danno origine ad una discussione, ad uno scontro di intelletti. Dal punto di vista della pura ragione i due individui dovrebbero andare d’accordo. Le divergenze hanno origine dalla diversità, fondamentale per ogni individualità, e rappresentano anche un elemento empirico. La Logica, cioè la scienza del pensiero, il processo della ragione pura, sarebbe ricostruibile anche solo a priori; la Dialettica in gran parte solo a posteriori, dall’esperienza delle interferenze che incidono sul pensiero puro tramite le divergenze delle individualità, costituite da due esseri razionali che pensano insieme, e dai mezzi utilizzati dai singoli per far emergere come vincente il proprio pensiero. E infatti la natura umana comporta che, se ragionando insieme, dialegesJai, cioè confrontando le proprie opinioni (discorsi storici esclusi) A osserva che i pensieri di B sullo stesso argomento divergono dai suoi, allora come prima cosa non riesamina il proprio pensiero, per vedere se ci sono errori, ma presuppone che ve ne siano nel pensiero dell’altro: cioè l’uomo per natura ritiene di aver ragione; e da questa proprietà nasce la disciplina che vorrei chiamare Dialettica, ma che per evitare fraintendimenti chiamerò “Dialettica eristica”, ossia la scienza che studia l’arte di ottenere ragione nell’uomo.

Stratagemma I[modifica]

L'estensione. - Consiste nel portare l'affermazione del vostro antagonista oltre i suoi limiti naturali, dandole un significato generale e un senso quanto più ampio possibile, esagerandola; e, contemporaneamente, dando alla vostra affermazione un senso e dei limiti quanto più ristretti possibile, perchè più un'affermazione diventa generale, più numerose sono le obiezioni che genera. La contromossa consiste in una precisa definizione del punto o del quesito in argomento.

Esempio 1. - Io ho affermato che gli Inglesi erano eccelsi nella tragedia. Il mio antagonista tenta di trovare un caso che smentisca l'affermazione, e risponde che è un fatto noto che nella musica, e quindi nell'opera, non hanno prodotto nula di buono. Io respingo l'attacco ricordandogli che la musica non è compresa nell'arte drammatica, che comprende solo la tragedia e la commedia. Era una cosa che sapeva perfettamente. Quello che ha fatto è di tentare di generalizzare la mia affermazione, in modo da poterla applicare a tutte le opere teatrali, e conseguentemente all'opera e alla musica, per essere certo di smentirmi. Al contrario, noi possiamo salvare la nostra affermazione riducendola entro limiti ancora più stretti di quanto intendevamo, se il nostro modo di esprimerla favorisce questo espediente.

Esempio 2. - A. dichiara che la pace del 1814 restituì l'indipendenza a tutte le città tedesche della Lega Anseatica. B. trova un'eccezione a questa affermazione, ricordando il fatto che Danzica, che aveva ricevuto l'indipendenzaper merito di Napoleone, la perse proprio a causadi quella pace. A questo punto A. si salva ribadendo: "Ho detto "tutte le città tedesche" e Danzica era in Polonia"

Questo trucco è stato menzionato da Aristotele (l. viii., cap. 11, 12).

Esempio 3. - Lamarck, nalle sua Philosophie Zoologique (Vol. i., p. 203), afferma che il polipo non ha sensibilità, perchè non ha nervi. E' certo, però, che ha qualche forma di percezione; perchè avanza verso la luce mediante un ingegnoso movimento laterale, e cattura le sue prede. Quindi è stato ipotizzato che il suo sistema nervoso sia distribuito omogeneamente su tutto il suo corpo, come fosse mescolato con quest'ultimo; perchè è ovvio che il polipo possiede qualche capacità percettiva pur senza disporre di alcun organo di senso separato. Poichè questa ipotesi smentisce la posizione di Lamark, egli allora arguisce: "In questo caso ogni parte del suo corpo dovrebbe essere capace di qualsiasi tipo di sensazione, e anche di motilità, di colontà, e di pensiero. Il polipo avrebbe tutti gli organi del piùperfetto degli animali in ogni punto del suo corpo; ogni punto potrebbe avere le funzioni della vista, dell'olfatto, del tatto, dell'udito e così via; addirittura, potrebbe pensare, valutare, e trarre conclusioni; ogni particella del suo corpo sarebbe un animale perfetto, e sovrasterebbe lo stesso uomo, poichè ogni sua parte possederebbe tutte le facoltà che l'uomo possiede solo nella sua completezza. Inoltre, non ci sarebbe ragione di non estendere ciò che vale per il polipo a tutti gli esseri unicellulari, i più primitivi fra tutte le creature, e anche alle piante, che sono anch'esse vive, ecc. ecc."

Usando trucchi dialettici di questo tipo uno scrittore tradisce di essere segretamente conscio di essere dalla parte del torto, perchè dalla sola affermazione che tutto il corpo dell'animale è sensibile alla luce, cosa che implica la presenza di un sistema nervoso, egli argiusce che l'intero corpo abbia la dote del pensiero.

Stratagemma II[modifica]

L'omonimia. - Questo trucco consiste nell'estendere un'affermazione a qualcosa che ha poco o niente a che vedere con l'argomento in questione, se non lasomiglianza della parola; quindi di confutarla trionfalmente, e così di pretendere di avere confutato l'affermazione originale.

Si può notare che si definiscono sinonimi due parole diverse che indicano lo stesso concetto; gli omonimi sono invece due concetti che sono espressi dalla stessa parola. (vedi Aristotele, Topica, l. i., c. 13.). "profondo", "tagliente", "alto" usati in una circostanza per oggetti, in un'altra per toni, sono omonimi; "onorato" e "onesto" sono sinonimi.

Questo è un trucco che può essere considerato identico al sofisma per omonimia; tuttavia, se il sofisma è ovvio, non imbroglierà nessuno.

Ogni luce può essere spenta
L'intelletto è una luce
Quindi può essere spento

Qui è immediatamente chiaro che ci sono quattro termini nel sillogismo, poichè la parola "luce" è stata usata sia in senso reale che in senso metaforico. Ma se il sofisma diventa più sottile, è in grado, ovviamente, di confondere, specialmente quando i due concetti espressi dalla stssa parola sono correlati, e adatti ad essere scambiati fra diloro. Se viene usato intenzionalmente, non è mai abbastanza sottile da ingannare; e quindi gli esempi devono essere tratti da esperienze personali e occasionali.

Sarebbe una cosa molto opportuna che ogni trucco fosse identificato da un nome breve e di facile comprensione, così che quando una persona utilizza uno dei trucchi, glielo si potesse immediatamente rinnnfacciare.

Darò due esempi di omonimia.

Esempio 1 - A.: "Non sei ancora addentro ai misteri della filosofia Kantiana."

B.: "Oh, se stai parlando di misteri, non voglio averci nulla a che fare."

Esempio 2. - Ho biasimato il principio associato alla parola onore, considerandolo una sciocchezza; poichè, in base a tale principio, un uomo perde il suo onore ricevendo qualsiasi insulto, cosa che non può rimediare se non rispondendocon un insulto maggiore, o lavandolo col sangue suo o dell'avversario. Ho sostenuto che il vero onore dell'uomo non può essere ferito da quello che riceve, ma solo da quello che fa; for there is no saying what may befall any one of us (frase non chiara). Il mio antagonista attaccò immediatamente il mio argomento, e affermò trionfante che quando un commerciante viene accusato ingiustamente di truffa, disonestà, o negligenza nei suoi affari, si tratta di un'offesa al suo onore, che in questo caso è stato ferito solo da quello che ha subito, e che può essere riparato solo punendo l'aggressore e costringendolo alla ritrattazione.

Qui, attraverso un'omonimia, lui confondeva l'onore civico, detto anche buon nome, e che può essere ferito da una maldicenza o di una calunnia, con il concetto di onore cavalleresco, chamato anche punto d'onore, che può essere ferito da un insulto. E poichèilprimo non può essere ignorato, ma deve essere respinto con una smentita pubblica, così, con la stessa motivazione, anche una ferita al secondo non può essere ignorato, ma dev'essere difeso con un insulto più pesante e con un duello. In questo caso abbiamo una confusione fra due cose diverse nella loro essenza legate dalla parola omonima onore, e con la conseguente modifica dell'argomento della disputa.

Stratagemma III[modifica]

Un altro trucco è prendere una proposizione che è stata esposta relativamente, in riferimento ad un preciso argomento, come se fosse stata pronunciata in senso generale o assoluto; o, almeno, prenderla con un senso abbastanza diverso, e quindi confutarla. Di seguito, l'esempio di Aristotele:

Un Moro ha la pelle scura; ma rispetto ai suoi denti è chiara; pertanto, l'ha scura e chiara allo stesso tempo. Questo è un sofismo ovvio, che non ingannerebbe nessuno. Confrontiamolo con uno tratto dall'esperienza reale.

Parlando di filosofia, una volta ho ammesso che il mio sistema appoggiava i Quietisti, e li lodava. Poco dopo, la conversazione si spostò su Hegel, e io affermai che i suoi scritti, per la maggior parte, non avevano senso; o, ad ogni modo, che in molti passaggi l'autore scrisse le parole, lasciando al lettore il compito di trovargli un significato. Il mio avversario non cercò di confutare questa affermazione ad rem, ma si accontentò dell'argomentazione ad hominem e di dirmi che io avevo appena lodato i Quietisti e che essi avevano scritto una gran quantità di cose senza senso.

Lo ammisi; ma, correggendolo, dissi che avevo lodato i Quietisti non in quanto filosofi e scrittori, cioè per i risultati che raggiunsero nel campo della teoria, ma solo in quanto uomini, e per il loro comportamento nelle sole questioni pratiche; e che, nel caso di Hegel, stavamo parlando di teorie. In questo modo, parai l'attacco.

I primi tre trucchi hanno caratteri affini. Hanno in comune il fatto che viene attaccato qualcosa di diverso da ciò che è stato affermato. Pertanto, sarebbe una ignoratio elenchi lasciarsi battere in questo modo.

Poiché, in tutti gli esempi che ho indicato, ciò che l'avversario dice è vero, ma è in contraddizione apparente, non reale, con la tesi. Tutto ciò che l'uomo che sta attaccando deve fare è negare la validità del suo sillogismo; nello specifico, negare la conclusione che ne trae, cioè che, essendo la sua proposizione vera, la nostra deve essere falsa. In questo modo, la sua stessa confutazione viene confutata, negandone la conclusione, per negationem consequentiae. Un altro trucco è rifiutarsi di ammettere delle premesse vere, perché già si prevede la conclusione. Ci sono due modi di battere questa cosa, incorporati nelle prossime due sezioni.

Stratagemma IV[modifica]

Quando volete giungere a una conclusione, non dovete lasciarla intuire, ma dovete ottenere che le premesse della conclusione vengano accettate una a una, senza che l'antagonista se ne accorga, disseminandole qua e là nel vostro discorso; altrimenti, il vostro antagonista tenterà ogni tipo di cavillo. Oppure, se ci sono dubbi sul fatto che il vostro antagonista le accetterà, dovete prima fargli accettare le premesse delle premesse; ossia, dovete organizzare dei pre-sillogismi, e fare in modo che ne vengano accettati molti, in ordine sparso. In questo modo potete condurre il gioco finchè avrete ottenuto l'ammissione che tutte le premesse sono vere, e a questo punto raggiungerete il vostro scopo chiudendo il cerchio. Queste regole sono fornite da Aristotele nel suo Topica, l. viii., c. 1. E' un trucco che non richiede esempi.

Stratagemma V[modifica]

Per provare la verità di un'affermazione, potete anche utilizzare premesse false, che il vostro antagonista si rifiuterà di ammettere come vere, o perchè non coglie la loro verità, o perchè si accorge delle conclusioni che ne discendono immediatamente. In questo caso il piano è quello di utilizzare premesse che sono di per sè false, ma sono vere per il vostro antagonista, e di ragionare secondo la sua mentalità, ossia con la tecnica ex concessis. Questo perchè una conclusione vera può essere tratta da premesse false, mentre non avviene il contrario. Analogamente, le premesse false del vostro antagonista possono essere rigettate con altre premesse false, che tuttavia egli ritiene vere; poichè è con lui che voi avete a che fare, e dovete utilizzare il modo di pensare che lui usa. Per esempio, se lui è membro di una qualche setta a cui voi non appartenete, potete utilizzare, controdi lui, le opinioni risapute di quella setta, passandole come principi.[1]

Stratagemma VI[modifica]

Un altro progetto è di ottenere la vittoria con l'inganno, postulando quello che deve essere provato, cosa che si può fare (1) utilizzando una parafrasi o un sinonimo, "buona reputazione" invece di "onore"; "virtù" invece di "verginità", ecc.; o utilizzando termini che possono essere scambiati l'uno con l'altro, "animali a sangue rosso" e "vertebrati"; oppure (2) enunciando una proposizione generale che copre il particolare oggetto della disputa; per esempio, sostenere l'incertezza della medicina dopo aver postulato l'incertezza dell'intero sapere umano. (3) Se, al contrario, due cose discendono una dall'altra, e una delle due dev'essere provata, potete dichiarare l'altra come postulato. (4) Se dev'essere provata un'affermazione generale, potete indurre il vostro antagonista ad ammettere uno dei casi particolari. Si tratta dell'inverso del secondo punto. [2]

Stratagemma VII[modifica]

Se la disputa dovesse essere condotta con uno stile rigido e formale, e ci fosse il desiderio di giungere ad una comprensione molto chiara della questione, chi presenta una tesi e vuole dimstrarla può procedere contro l'avversario ponendo domande, per trarre la verità della propria tesi dalle sue stesse risposte. Questo metodo erotematico o socratico era in uso specialmente presso gli antichi; e questo, e alcuni dei trucchi che seguiranno, gli sono simili. [3]

Il piano è quello di porre una grande quantità di domande molto generali, in modo da mascherare quello che volete che venga ammesso, e, subito dopo, di proporre rapidamente l'argomento che deriva da queste ammissioni; poichè chi è lento nella comprensione non può seguire il ragionamento con la sufficiente rapidità, e non coglierà gli errori logici o le lacune che potrebbero esserci nella dimostrazione.

Stratagemma VIII[modifica]

Questo trucco consiste nel far saltare i nervi al vostro antagonista; infatti, quando egli si arrabbia diventa incapace di ragionare correttamente, e di percepire quali sono i suoi punti di vantaggio. Potete farlo arrabbiare facondogli subire più volte qualche ingiustizia, o attuando una qualche forma di cavillosità, e mantenendo un atteggiamento globalmente insolente.

Stratagemma IX[modifica]

Oppure, puoi porre le domande in un ordine diverso da quello richiesto per trarne la conclusione, e trasporle, così che lui non sappia dove vuoi andare a parare. Di conseguenza, lui non può prendere nessuna precauzione. Puoi anche usare le sue risposte per giungere a conclusioni diverse o perfino opposte, a seconda del loro carattere. Questo è simile al trucco di mascherare il tuo procedimento.

Note[modifica]

  1. Aristotele, Topica, l. viii., chap. 2.
  2. Idem, cap. 11. L'ultimo capitolo di questo lavoro contiene alcune buone regole per la pratica della Dialettica
  3. Sono tutti liberamente tratti dal cap. 15 di De Sophistici Elenchis di Aristotele.