Ebrei a Caluso - Progetto "Salva una storia"/Capitolo 3

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Capitolo 3. La vita quotidiana degli Ebrei a Caluso

Indice del libro

Agli ebrei furono assegnati alloggi presso famiglie a cui veniva corrisposto un affitto.
Qualche volta l'alloggio poteva essere una locanda.
Chi non era in grado di sostenersi riceveva un sussidio per pagare l'alloggio ed il vitto, fissato ad 8 lire al giorno per il capofamiglia, 4 per la moglie e 3 per ciascun figlio.


I fratelli Kis e Karjo alloggiavano presso l'albergo "Bonne Femme", rinominato durante il fascismo "Buona Fama".

Le sorelle Lederer con il cugino Adolf Eisner e Rodolfo Reich alloggiavano in via Cesare Battisti 23.
Samuel Zelikovits e David Steinlauf vennero internati in Via Vittorio Veneto 78.
Le famiglie più numerose e con bambini Lausch, Eisenstadter e Kresic risiedevano in Via Montello 3.
Tutti i giorni gli ebrei si dovevano recare presso la caserma dei carabinieri per firmare e certificare di non essersi allontanati dal Comune di internamento. Ogni azione che gli ebrei compivano era osservata e comunicata agli enti preposti.

La comunità non poteva avere con la popolazione altro che contatti superficiali. Il regime tentò di reprimere episodi di fraternizzazione fra internati e persone locali, come dimostra un articolo del giornale "La Provincia di Aosta" del 19 gennaio 1942.

Nella notte del 26 dicembre del 1942 a Caluso, in occasione della festa di Santo Stefano, un gruppo di cittadini calusiesi, tra i quali anche degli studenti, si unì a danze e festeggiamenti con alcune famiglie di origine ebraica. L'articolo condanna questi atti definendoli come osceni e poco rispettosi nei confronti del popolo civile, il cui nemico è, è stato e sempre sarà l'ebreo.

"Non mancheremo di additare da queste colonne al disprezzo e all'esecrazione di tutto il popolo questi ultimi campioni della depravazione fisica e morale convinti come siamo che non mancheranno di trovare sulla loro strada presto o tardi il salutare manganello o la classica porzione di olio di ricino che compia la necessaria disintossicazione dei corpi e purificazione degli spiriti."

Era loro vietato tenere con sé il passaporto, somme di denaro, gioielli, armi, apparecchi radiofonici; non potevano occuparsi di politica, né leggere liberamente giornali e libri stranieri.
Non si potevano riunire se non per scopi precisati, resi noti per tempo ed aventi per oggetto interessi contingenti di sistemazione del gruppo. Inoltre ogni lettera passava dall’Ufficio Censura, quindi il controllo era totale.

Con una circolare del 1942 gli ebrei furono precettati al lavoro; la decisione era legata soprattutto allo stato di guerra e alla mancanza di lavoratori nei comuni.
Gli uomini più giovani, di cui si è rinvenuta testimonianza nei registri della fabbrica stessa, furono avviati al lavoro presso l'AFAST, impresa per pantofole fondata nel 1921 da Giuseppe Sabioni. La fabbrica si trovava in Via Doberdò 3, dietro la stazione di Caluso.

Le precarie condizioni fisiche e psichiche degli internati furono spesso aggravate da alcune complicazioni sanitarie successivamente insorte, per le quali fu inizialmente negata la possibilità di curarsi. Con il passare del tempo gli ebrei ottennero farmaci e cure necessarie, rivolgendosi al medico di base del Comune e, in caso di situazioni diagnosticate come gravi, sono state rinvenute testimonianze di ricovero negli ospedali più attrezzati.