Leonard Cohen e la Cabala ebraica/Poiesis

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Leonard Cohen in concerto, 27 ottobre 2008

Preghiera e Tempo di Poiesis[modifica]

Ora siamo pronti per tornare al brano del Book of Mercy con il quale abbiamo iniziato il nostro saggio. In queste parole Cohen caratterizza la preghiera dal punto di vista del desiderio, una bramosia di invocare il trascendente, designato dal tradizionale simbolo patriarcale "maestro". L'inquadramento ebraico di questo desiderio è manifestamente evidente dall'ultima riga in cui Cohen esprime il desiderio di essere sollevato da altri nove uomini in modo che possa unirsi a loro (un ovvio riferimento all'idea rabbinica di un quorum di dieci uomini, il Minian [ebr. מניין], richiesto per il culto pubblico) per sussurrare "Blessed be the name of the glory of the kingdom forever and forever", l'espressione liturgica che si dice sottovoce dopo che la confessione dell'unità di Dio nello Shemà è stata recitata ad alta voce.[1] La "rude chair" su cui Cohen invita il maestro a sedersi è composta dalle lodi che il poeta offre. In consonanza con un'idea articolata dai cabalisti, ma espressa in una forma molto più antica di pietà mistica ebraica, il canto delle lodi a Dio prepara il trono e ne rappresenta la costituzione. Per lodare, per cantare la canzone, questo è il "daily task". Cohen ci dice anche che la realizzazione di questo compito richiede che uno venga estratto fuori dal tempo. Ma cosa c'è nel carattere della preghiera che la rende prematura? Non si dovrebbe desiderare che la preghiera sia sempre in tempo? A che serve la preghiera fuori dal tempo?


Le Sefirot nella Kabbalah
The Sefirot in Jewish Kabbalahen:w:KeterBinahen:w:Chokhmahen:w:Da'aten:w:Gevurahen:w:Cheseden:w:TiferetHoden:w:Netzachen:w:Yesoden:w:Malkuth
The Sefirot in Jewish Kabbalah
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Nel seguito, Cohen affronta implicitamente tali problemi informandoci sui meccanismi di questo compito quotidiano: "Out of mist and dust you have fashioned me to know the numberless worlds between the crown and the kingdom". La creazione di canzoni, la poiesis (gr. ποίησις), la creazione di poesie, scaturisce da questa gnōsis (gr. γνῶσις), questa conoscenza di innumerevoli mondi che si estendono tra la corona e il regno. Una persona non esperta di Cabala non è completamente spiazzata. Il linguaggio è abbastanza familiare da far capire che esiste un modo di procedere anche se non si ha idea del significato del brano. Sostengo, tuttavia, che esiste qualcosa di molto specifico, anzi addirittura di tecnico, a cui fa riferimento Cohen. Egli sta alludendo alla dottrina cabalistica delle dieci sefirot, le emanazioni luminose del divino che sono configurate nell'immaginazione umana. Nella terminologia standard diffusa dai cabalisti, la prima delle sefirot si chiama Keter, "crown (corona)", e la decima Malkhut, "kingdom (regno)". I "numberless worlds" a cui Cohen fa riferimento sembrano essere le potenze situate tra Keter e Malkhut. Il poeta ci dice che è egli stato modellato dal suo maestro per conoscere questi mondi. Il fiume del canto scaturisce dalla sorgente di questo pensiero.

Contemplare i mondi equivale a immaginare le molteplici forme attraverso le quali l'informe prende forma. Il processo di rappresentazione nell'immaginazione procede lungo due canali primari e inseparabili, quello visivo e uditivo, la luce oscura dell'infinito che si frattura in un arcobaleno di colori, il silenzio dell'ineffabile che riverbera in una cacofonia di suoni. Non credo sia inesatto affermare che, per il cabalista, la visualizzazione contemplativa è il "daily task" di cui scrive Cohen, una missione che può anche essere chiamata adorazione, poiché la preghiera nel senso più profondo si riferisce alla formazione di un'immagine di ciò che non ha immagine, conferendo un nome a ciò che non ha nome. Il culto, inteso cabalisticamente, è un'espressione della poiesis, l'arte della creazione di forme.

Devo trattenermi dal chiarire le complessità che si celano dietro queste parole poiché una svolta in quella direzione ci intrappolerebbe in una moltitudine di distinzioni e chiarimenti da cui probabilmente non ci sarebbe via di scampo. Ai nostri fini, ciò che è importante sottolineare è che la pratica meditazionale che ha informato la vocazione poetica dei cabalisti comporta l'attribuzione di forme immaginarie all'informe, la configurazione antropomorfa dell'invisibile, che è allo stesso tempo l'attribuzione del nome al innominato. Analogamente, le parole di Cohen situano il dovere di adorare nell'immaginazione poetica degli attributi del maestro dalla corona in alto al regno in basso. A dire il vero, il motivo tradizionale viene modificato nelle mani del poeta e cantante contemporaneo, ma il suo debito con la tradizione, non importa quanto frastagliato, è fuori discussione. Nella canzone "Love Itself" da Ten New Songs, Cohen vibra con una voce piena di fervore religioso:

« In streams of light I clearly saw
The dust you seldom see,
Out of which the Nameless makes
A Name for one like me.[2] »

Nella continuazione, il poeta parla del trascorrere dell'amore, della disperazione del desiderio, un tema familiare che ha raccontato sin dall'inizio della sua carriera letteraria. Non cerca di trattenere l'amore che fugge attraverso la "open door". C'è un rilascio nell'evasione, trattenere lasciando andare:

« Then I came back from where I’d been
My room, it looked the same —
But there was nothing left between
The Nameless and the Name.[3] »

La fuga dell'amore può educarci sulla via dell'illuminazione: si ritorna al proprio posto e, in superficie, tutto sembra uguale, ma quando si guarda da una prospettiva più sfumata, la molteplicità delle cose nel mondo della particolarità viene superata nell'unità dell'essere, e tutti i nomi sono assorbiti nella nondifferenziazione dell'innominato.

Essere così assorbiti è stata la ricerca incessante del "poet laureate of pessimism" di Montréal,[4] il "little Jew who wrote the bible", come Cohen si è descritto in "The Future".[5] Affidare al divino di portare la sua anima oltre il mondo della lussuria sfrenata nella pura terra della beatitudine è stato un pilastro dello spirito poetico di Cohen: le sue canzoni scaturiscono dal desiderio apparentemente insaziabile di trionfare sul desiderio. Come dice in "The Night Comes On", in un linguaggio che richiama alla mente il simbolo cabalistico della Shekhinah, la presenza femminile, il portale attraverso il quale si deve passare sulla via del ritorno all'utero:

« Now I look for her always; I’m lost in this calling;
I’m tied to the threads of some prayer.
Saying, ‘When will she summon me, when will she come to me,
what must I do to prepare?’ —
Then she bends to my longing, like a willow, like a fountain,
she stands in the luminous air.
And the night comes on, and it’s very calm,
I lie in her arms, she says, ‘When I’m gone
I’ll be yours, yours for a song’.[6] »

Il poeta riconosce di essere sempre alla ricerca della donna amata, oggetto della sua passione spirituale. La ricerca è spinta dalla sua chiamata, essendo legata ai "threads of some prayer". La presenza dell'altra si piega al suo desiderio e poi arriva la notte, l'oscurità mistica in cui la mente è passata al di sopra del mondo fisico. In questo momento di riposo, la qualità agrodolce della visione di Cohen appare chiara: la donna amata può essere posseduta solo dopo che se ne è andata e il possesso assume la forma dell'offrire una canzone. Per creare quel legame, il poeta deve tornare al reame della contingenza, il luogo dell'afflizione e del vagare. Mentre la canzone si conclude,

« And the night comes on, and it’s very calm;
I want to cross over; I want to go home,
but she says, ‘Go back, go back to the world’.[7] »

Incoronato con la luce delle tenebre, ornato dalla gioia della sofferenza, Cohen ha lasciato altruisticamente in eredità doni poetici dalla totalità del "broken heart" che ospita in modo angoscioso la "joyous word".[8] Per Cohen, la scrittura di poesie e canzoni è stata una pratica spirituale, un rituale sacramentale,[9] che gli ha offerto la possibilità di prevalere sul tormento metafisico dell'esistenza, la lacerazione nel mantello dell'essere, che ha sentito così intensamente sul piano psicologico ed emotivo. Per quanto riguarda tale questione, il confine tra tradizioni è confuso nella mente del poeta. Così, nella poesia 'Even Some of My Own', Cohen contrappone trasgressivamente il giuramento più sacro proclamato dai cattolici, l'impegno più solenne pronunciato dagli ebrei e le sue creazioni liriche: "Operate on the heart / With proven songs / Such as Ave Marie / And Kol Nidre / Even some of my own".[10]

Significativamente, in Death of a Lady’s Man, Cohen ha espresso il desiderio di liberazione attraverso la creatività artistica in un'immagine usata dai cabalisti per conversare sull'esperienza di comunione con Dio: "My heart longs to be a chamber for the Name... Without the Name the wind is babble, the flowers are a jargon for longing... Without the Name sealed in my heart I am ashamed".[11] Anni dopo, in Book of Mercy, Cohen formulò la stessa postura nel linguaggio che risuona con un altro precetto di teologia rabbinica e cabalistica riguardo alla fusione degli attributi divini, "Kindle the darkness of my calling, let me cry to the one who judges the heart in justice and mercy. Arouse my heart again with the limitless breath you breathe into me, arouse the secret from obscurity".[12] Tra compassione e giudizio, libertà e morte, la prospettiva dar efflato ad una poesia rinasce perpetuamente, illuminando il segreto della preghiera dalle ombre dell'oscurità . Se la canzone rappresenta la possibilità di redenzione, l'esilio è la mancanza di canzoni. In "By the Rivers Dark" da Ten New Songs, Cohen esprime la questione attraverso l'antica immagine profetica che inizia il Salmi 137: "By the rivers of Babylon / there we sat / sat and wept / as we thought of Zion". Nella sua impostazione originale, Babilonia è una specifica località geografica, ma simboleggia anche il potere empio e le bramosie carnali, un'immagine sviluppata ulteriormente nell'Apocalisse di Giovanni, dove Babilonia viene definita la "great, mother of harlots" (17:5). In molte delle sue canzoni,[13] e in almeno una poesia,[14] Cohen invoca il simbolo di Babilonia per rappresentare la tentazione del piacere fisico che deve essere superato. Ciò che è particolarmente interessante riguardo all'uso del simbolo scritturale nella nuova canzone è l'equazione che Cohen fa tra Babilonia e l'assenza di canzoni.

« By the rivers dark
I wandered on.
I lived my life
in Babylon.
And I did forget
My holy song
And I had no strength
In Babylon. »

Nell'oscurità dell'oblio, il poeta ha dimenticato la sua canzone. Tuttavia, come ci si aspetterebbe da questo consumato maestro della sofferenza, proprio dove il terreno della speranza sembra essiccato, la speranza nasce:

« By the rivers dark,
In a wounded dawn,
I live my life
In Babylon.
Though I take my song
From a withered limb,
Both song and tree,
They sing for him.
Be the truth unsaid
And the blessing gone,
If I forget My Babylon. »

Invertendo le parole del salmista, il poeta percepisce la difficoltà derivante non dal dimenticare Gerusalemme (Salmi 137:5), ma nel non ricordare Babilonia. Se la crepa dell'oblio viene dimenticata, non ci può essere memoria e nessuna verità può essere pronunciata, nessuna benedizione concessa. Solo quando si raggiunge il limite dell'oblio si può cominciare a ricordare e i fiumi oscuri si riverseranno in oceani luminosi. Sorgendo sulle ali di questa fede, possiamo prestare la nostra voce a quella che forse è la suprema dichiarazione cabalistica declamata dal più stimolante e umile dei poeti ebrei contemporanei:[15]

« Ring the bells that still can ring.
Forget your perfect offering.
There is a crack in everything.
That’s how the light gets in. »

Note[modifica]

  1. Talmud babilonese, Pesahim 56a.
  2. Book of Longing, p. 54.
  3. Ibid.
  4. Espressione usata da Nadel, Various Positions, p. 1.
  5. Stranger Music, p. 371.
  6. Ibid., p. 346. Le sfumature erotiche dell'esperienza mistica dell'unione con la presenza femminile del divino sono anche alquanto evidenti in "Our Lady of Solitude" da Recent Songs (publ. in Stranger Music, p. 301), un'esperienza che è inquadrata nello linguaggio scritturale di conoscere l'altro "faccia a faccia". Da notare il commento di Cohen nella citata "CBC Interview with Leonard Cohen": "I’ve always loved the virgin and the actual experience of the female form rising from the mists of your own heart and embracing you and giving you for a moment the consolumentum, the kiss of peace that’s part of an experience that is very deep. I’ve always felt close to this figure, Mary or the virigin or the queen of solitude". La possibilità che la locuzione finale in questa litania di immagini possa designare la Shekhinah è evidenziata nella continuazione dell'intervista in cui Cohen commenta la descrizione del personaggio femminile in "Our Lady of Solitude" come "vessel of the whole wide world / Mistress, oh mistress of us all": "That’s in the cabalistic viewpoint, that’s the second letter of the alphabet, the open letter which is the cup of the seed from which the world manifests". Cohen allude alla pervasiva spiegazione cabalistica della lettera beit come bayit, casa o apertura del mondo, il ricettacolo femminile che riceve il liquido seminale dalla potenza maschile da cui si evolve la creazione. È ragionevole concludere che, per Cohen, la "Queen of Solitude" indica la Shekhinah, che egli identifica anche come la Vergine Maria. Ecco quindi un'altra illustrazione della propensione di Cohen a intrecciare immagini cristiane e cabalistiche in una rete senza soluzione di continuità.
  7. Ibid.
  8. Book of Mercy, p. 79.
  9. Nadel, Various Positions, p. 5.
  10. Book of Longing, p. 166.
  11. Citato in Nadel, op. cit., p. 209. È interessante notare qui che il Tetragramma scritto in caratteri ebraici si trova nell'autoritratto riprodotto nel Book of Longing, p. 200. Sotto il nome ci sono le parole "grateful of course", che sono in netto contrasto con i commenti supra il nome: "worried of course / defeated of course / old of course". La pietà mistica di Cohen è ben catturata dal legame che egli stabilisce tra il nome e un senso di apprezzamento. Allo stesso modo, si veda la sua risposta nella citata intervista di Hesthamar: "I feel tremendously relieved that I’m not worried about my happiness... But what I am so happy about is that the background of distress and discomfort has evaporated... before it was all one piece, it was very dark... And by the grace of God, that feeling has evaporated, so that I can feel real sorrow now, it’s not the sorrow that emerges from the sorrow, it’s not just the melancholy that emerges from the melancholy".
  12. Book of Mercy, p. 60.
  13. "Last Year’s Man" da Songs of Love and Hate: "Babylon the bride / Great Babylon was naked"; "Is This What You Wanted" da New Skin for the Old Ceremony in Stranger Music, p. 203: "You were the Whore and the Beast of Babylon"; e "Dance Me to the End of Love" da Various Positions, op. cit., p. 337: "Let me see your beauty / when the witnesses are gone / Let me see you moving / like they do in Babylon".
  14. "Foreign God, Reigning in Earthly Glory..." da Parasites in Heaven, rist. in Selected Poems, p. 213: "Foreign God, reigning in earthly glory between the Godless God and this greedy telescope of mine: touch my hidden jelly muscle, ring me with some power, I must conquer Babylon and New York".
  15. Stranger Music, p. 373.