Leonard Cohen e la Cabala ebraica/Unione mistica
Unione mistica
[modifica | modifica sorgente]Santo erotismo e rettificazione poetica
[modifica | modifica sorgente]Un'altra dimensione prevalente nel comportamento poetico di Cohen, che ha una grande affinità con i resoconti dell'esperienza mistica, è la dimensione erotica della ricerca di unirsi a Dio, un tema che ho già menzionato. Scobie ha giustamente osservato che la "vera dinamica" dei sentimenti religiosi di Cohen "risiede nella loro identificazione con l'energia e le emozioni sessuali".[1] Seguendo le orme di molti poeti, saggi e visionari di diverse tradizioni, Cohen ritrae il sessuale nell'immaginario religioso e il religioso nell'immaginario sessuale. Qualsiasi tentativo di separare i due si scontra con l'esperienza radicale che ha plasmato l'estetica spirituale di Cohen; secondo le sue stesse parole, egli è "the poet of the two great intimacies".[2] "Religion is my favorite hobby", ha detto in un'intervista condotta nel novembre 1998. "It’s deep and voluptuous — a pure delight. Nothing is comparable to the delight you get from this activity. Apart, obviously, from courting. If you are a young man, that is the more amusing activity."[3]
Nel poema "Out of the Land of Heaven" da The Spice-Box of Earth, dedicato a Chagall, Cohen impiega l'immagine cabalistica della regina del Shabbat che si accoppia con il maschio ebreo un venerdì sera[4] per illustrare l'erotismo dell'unione mistica:
Il tema dell'unione è presentato in modo melodrammatico nella lirica di "Joan of Arc" dell'album Songs of Love and Hate (1971), una canzone che racconta il dialogo tra la leggendaria eroina[6] e Dio:
L'unione di Giovanna d'Arco e Dio si traduce nel superamento della differenza, nella reintegrazione della donna nell'uomo, che è immaginata come la combustione della legna nel fuoco, la trasmutazione del desiderio in polvere. Nell'occhio della mente, è possibile distinguere fuoco e legna, ma nel momento della vampata non c'è modo di separarli. Allo stesso modo, nel legame dell'unione mistica, l'amante e l'amato non possono essere differenziati. Suggerirei che, in linea con una tradizione di lunga data nel pensiero mistico, Giovanna d'Arco rappresenta simbolicamente l'anima, che è femminizzata in relazione alla divinità maschile. Noto, tra parentesi, che nel poema "I Met You" della collezione New Poems (1968), Cohen si dipinge come un dio in relazione a Giovanna d'Arco che ha bisogno di usare il suo corpo per cantare la bellezza in un modo senza precedenti.120 In questo caso, il poeta assume il ruolo della divinità maschile in relazione all'amante femminile. Più vicino alla dinamica di genere operativa nella canzone "Joan of Arc" è il commento di Cohen in The Energy of Slaves (1972), "I am the ghost of Joan of Arc", cioè il poeta si identifica con la santa martire — femminile. Utilizzando questa figura per esemplificare la brama di unione, Cohen tocca un altro tema ben attestato nei testi mistici, vale a dire, il nesso tra martirio, ascetismo ed erotismo.121 Le anime d'orientamento mistico da tempo immemorabile hanno demarcato il limite dell'amore per Dio nel mettere in ballo la propria vita, la sofferenza dell'eros fino alla morte, che è commoventemente illustrata da Cohen nell'immagine delle ceneri dell'abito da sposa sospese come una reliquia sopra gli ospiti invitati a celebrare la cerimonia matrimoniale. Leggendo dal punto di vista del mondano, questo sembrerebbe trasmettere un'amara ironia, le nozze trasposte in un funerale, ma se guardate da una prospettiva trascendente, non c'è affatto ironia. L'amore può essere più consumato che nella consumazione dell'amante nel cuore dell'amato? C'è forse un'immagine più arrestante di quella del legno che brucia nella fiamma?
L'immagine del santo martire è un simbolo adeguato per l'unione mistica in quanto comunica l'idea di auto-annientamento. Richard C. Zaehner, uno studioso del XX secolo sul misticismo comparato, descrisse emotivamente il punto nel suo resoconto dello stadio culminante dell'unione mistica in cui il mistico maschio è avvolto e penetrato dallo spirito di Dio. Riflettendo la prospettiva tipicamente androcentrica che informa i racconti letterari dei mistici cristiani prevalentemente maschili che aveva studiato, Zaehner descrive l'anima del mistico in relazione al divino come la sposa che riceve passivamente dalla potenza maschile di Dio. L'anima riconosce la sua "femminilità essenziale" in relazione a Dio, poiché nella sua ricettività ella è annientata, il che serve a Zaehner come un paradigma dell'unione mistica in base alla quale l'autonomia del sé viene negata nell'assorbimento dell'anima nell'unità dell'essere. Zaehner osserva che in questo stato l'anima del mistico, nelle sue osservazioni limitata al maschio, è paragonabile a una "vergine che si innamora violentemente e non desidera null'altro che essere ‘estasiata’, ‘annientata’ e ‘assimilata’ nell'amato. Non ha senso meravigliarsi del fatto che le estasi del mistico teistico sono strettamente affini ai trasporti dell'unione sessuale, l'anima che recita la parte della femmina e Dio che appare come il maschio".[8] Questo non è il posto dove analizzare criticamente la posizione di Zaehner. Ciò che è cruciale per me è che lo studioso ha formulato l'esperienza unitaria in termini che aiutano a illuminare il racconto di Cohen su Giovanna d'Arco.
Scobie ha sostenuto che "i santi di Cohen devono rendere trasparenti le loro volontà al Nulla. Il sé non viene sacrificato per qualche causa superiore; il sacrificio del sé è la causa superiore.[9] Questa presentazione, tuttavia, non è abbastanza dialettica per catturare la tensione paradossale del pensiero di Cohen. Chiaramente, la credenza tradizionale in un Dio trascendente è problematica. Negli ultimi anni, Cohen ebbe a parlare più facilmente di Dio nell'immaginario teistico, ma anche nelle opere precedenti e più irriverenti, non è un nichilista o agnostico. Al contrario, Cohen ha sempre saputo che il raggio di fede può brillare solo attraverso la nube del dubbio. L'inseparabilità dei due è espressamente espressa in "Heart With No Companion", da Various Positions, "Though your promise count for nothing / You must keep it nonetheless".[10] Può il dubbio essere espresso in modo più devastante che nella rassegnazione che la propria promessa non conta nulla? Nonostante ciò, la promessa deve essere mantenuta, e lì si basa la convinzione irremovibile insita nel cuore dell'incredulità. Per Cohen, l'impegno che sembra più inutile è quello che deve essere mantenuto con la massima diligenza, poiché è proprio la promessa che non conta nulla, la fine della corda, potremmo dire, che si fissa più risolutamente in Dio. Come dice Cohen nel Book of Mercy:
In questo contesto possiamo comprendere meglio una componente significativa della dimensione mistica degli scritti di Cohen. Il desiderio di assorbimento del sé in un essere superiore rappresenta una possibilità reale anche se la corda che lega uno a quell'essere è lo sconforto. In un'altra canzone, "Ballad of the Absent Mare", da Recent Songs (1979), Cohen descrive l'unione del sé con Dio prendendo l'immagine di un cowboy che cavalca il suo cavallo. Uno non dovrebbe essere stupito dall'uso di questa immagine apparentemente prosaica per mettere in relazione una questione così sublime. Il poema incarna un'astuta sensibilità mistica quando il poeta articola l'unificazione di maschio e femmina attraverso il motivo molto più antico del cavaliere che viene insellato sul cavallo, una metafora utilizzata dai poeti mistici nel corso della storia.[12]
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Si noti che il poeta non rimane nell'unione, ma in qualche modo conclude malinconicamente con una nota di rottura, una separazione del legame, l'amore che scompare come un fumo irreparabile. Faremmo bene a leggere l'ultima parola come re/pair, cioè la riparazione a cui il poeta allude consisterebbe nel riparare cavaliere e cavalla, maschio e femmina, ma questa unione non può resistere nel mondo della separazione. La canzone termina con un appello meravigliosamente espresso di rassegnazione che risuona con l'antica saggezza cinese, per prendere possesso bisogna lasciar andare:
La canzone è sia immagine che specchio: l'effimera unione descritta nella canzone viene confrontata alla fine con lo svanire della canzone. In effetti, la canzone è scritta all'ombra della deriva, nella traccia dello svanimento, "gone like the smoke", "gone like this song". Nel ritornello di "Boogie Street" da Ten New Songs, Cohen esprime ancora una volta questo motivo:
Inutile dire che "Boogie Street" non è un luogo particolare, ma una rappresentazione figurativa del mondo fisico del piacere in cui si beve vino, si fumano sigarette, si gode la bellezza del fiume e della cascata, s'inseguono relazioni d'amore in cui uno è fatto e disfatto. Vi è, tuttavia, la possibilità di essere temporaneamente rimosso da questo stato di temporalità sperimentando la trascendenza senza alcuna mediazione. Cohen interpreta questa esperienza come baciata sulle labbra dalla "crown of light", che è "the darkened one". Suppongo che la paradossale caratterizzazione di Dio sia derivata, o per lo meno, sia un analogo interessante del racconto diffuso della prima delle sefirot nella tradizione cabalistica quale luce primordiale così luminosa che brilla nello splendore della sua oscurità. Il poeta attesta l'immediatezza dell'esperienza, è qualcosa di spontaneo e inaspettato, "I never thought we’d meet", ma una volta che il legame si è formato, viene immediatamente annullato e finisce in Boogie Street. L'enunciazione poetica, quindi, è alla pari dell'esperienza mistica che, come hanno notato alcuni studiosi, è fugace, momentanea, persistente come ciò che sta persistentemente passando.
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Leonard Cohen, p. 8. See above, n. 22.
- ↑ Da Death of a Lady’s Man, rist. in Stranger Music, p. 230.
- ↑ Eleana Cornelli, "The Virtueless Monk", La Nazione (Firenze), 25 novembre 1998, citato anche in Juan Rodriguez, "Zen Robes Retired as Singer Turns 65", The Montreal Gazette, 18 settembre 1999.
- ↑ ReSu questo tema si vedano: Gershom Scholem, On the Kabbalah and Its Symbolism, trad. (EN) Ralph Manheim, New York 1969, pp. 139-145; Tishby, Wisdom of the Zohar, pp. 438-439, 1226-1227; Elliot K. Ginsburg, The Sabbath in the Classical Kabbalah, Albany 1989, pp. 115-116, 292-293.
- ↑ Selected Poems, p. 71.
- ↑ Per un'analisi interessante, si veda Marina Warner, Joan of Arc: The Image of Female Heroism, Berkeley 1981.
- ↑ Stranger Music, pp. 147-148.
- ↑ Richard C. Zaehner, Mysticism Sacred and Profane: An Inquiry into Some Varieties of Praeternatural Experience, Oxford 1957, p. 151.
- ↑ Leonard Cohen, p. 10.
- ↑ Citato da <http://www.leonardcohenfiles.com>.
- ↑ Book of Mercy, p. 73.
- ↑ È possibile che Cohen sia stato influenzato soprattutto dalla delineazione dei dieci tori rintracciabili al maestro cinese Kakuan del XII secolo. Si veda Paul Reps, Zen Flesh, Zen Bones: A Collection of Zen and Pre-Zen Writings, Rutland, Vermont, 1977, p. 166: "Il toro è l'eterno principio di vita, la verità in azione. I dieci tori rappresentano dieci fasi successive nella realizzazione della propria vera natura". La narrazione che descrive i dieci gradini copre la ricerca del toro, scoprire le sue impronte, percepire il toro, catturare il toro, domare il toro, cavalcare il toro a casa, il toro trasceso, sia toro che sé trascesi, raggiungere la fonte, stare nel mondo. L'ultimo passo è descritto più dettagliatamente come condizione di umiltà e contrizione, camminare scalzi nel mondo, nudi di petto, vestiti con abiti miserevoli, carichi di polvere.
- ↑ Stranger Music, pp. 308-309.
- ↑ Ibid., p. 309.
- ↑ Book of Longing, p. 64.