Pluralismo religioso in prospettiva ebraica/Ebraismo e pluralismo

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Kotel, Muro Occidentale (הכותל המערבי, HaKotel HaMa’aravi), Gerusalemme

Introduzione[modifica]

Ebraismo e Pluralismo[modifica]

Negli ultimi decenni è emerso un nuovo ordine economico in tutto il mondo, dominato non da stati nazionali territoriali ma da società transnazionali coinvolte nella finanza globale, produzione industriale, distribuzione dei prodotti, controllo delle risorse, banche, assicurazioni, servizi sanitari e persino formazione scolastica.[1] L'obiettivo principale della società transnazionale è la massimizzazione del profitto, e i valori principali che informano l'ethos della società globale sono la concorrenza, la specializzazione e l'efficienza. Nella nuova economia globale del libero scambio e dei liberi mercati, il trasporto di capitali, materiali, merci e persone ha la precedenza sull'autonomia, la sovranità e la cultura dei governi nazionali e delle comunità locali. Poiché la globalizzazione economica comporta lo scioglimento delle tariffe e delle politiche protettive, la deregolamentazione del commercio internazionale e il trattamento delle società straniere come se fossero entità locali, la globalizzazione significa delocalizzazione.

L'attuale globalizzazione economica non avrebbe potuto avvenire senza una corrispondente rivoluzione tecnologica: nell'automazione, nei trasporti e nelle comunicazioni. Nell'economia globale, le macchine hanno sostituito gli esseri umani praticamente in ogni settore e industria. Mentre le aziende cercano di massimizzare i profitti, milioni di lavoratori sono stati temporaneamente (e, in alcuni casi, definitivamente) eliminati dal processo economico e intere categorie di lavoro sono in gran parte o totalmente scomparse, sia a causa dell'automazione sia della specializzazione. In parte, la portata globale delle aziende è facilitata dall'aumento della velocità e della convenienza dei modi di trasporto. Ma ancora più importante è il fatto che le istituzioni economiche e gli individui in tutto il mondo sono ora collegati tramite satelliti, telefoni, cavi, fax e Internet. In un ambiente digitalizzato globale, le transazioni vengono completate in nanosecondi e le vite di individui o intere comunità possono essere trasformate istantaneamente da persone che vivono a migliaia di chilometri di distanza.

L'impatto della globalizzazione è stato di vasta portata e complesso. Da un lato, la globalizzazione ha migliorato il tenore di vita di molti segmenti del mondo, specialmente nei paesi in via di sviluppo, grazie all'esportazione di conoscenze scientifiche e competenze tecnologiche e alla produzione e distribuzione di massa di beni materiali. Le nuove tecnologie di produzione alimentare hanno migliorato i raccolti agricoli, fornendo nutrimento a un mondo la cui popolazione continua a crescere a un ritmo allarmante, in parte a causa di migliori standard sanitari. La mortalità infantile è diminuita e l'aspettativa di vita è aumentata a causa dei programmi di immunizzazione globale,[2] di migliori servizi igienico-sanitari e di igiene personale e di una migliore qualità dell'acqua. Larghi segmenti della razza umana ora godono di condizioni di vita migliori rispetto a mezzo secolo fa.

Ma dall'altro lato, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati, la globalizzazione ha anche provocato impoverimento e dislocazione perché le società transnazionali fanno affari dove è più economico (cfr. Cina). Quando le comunità locali perdono le loro fonti di sostentamento, le persone sono costrette a trasferirsi e, in alcuni casi, masse di persone sono costrette ad attraversare le frontiere in cerca di lavoro (cfr. Guatemala, Messico, ecc.). Pertanto, in un fiorente commercio globale e un'abbondanza materiale senza precedenti, il mondo della produzione high-tech e automatizzata è testimone di disoccupazione temporanea e sottoccupazione. In mezzo all'abbondanza, c'è un massiccio ridimensionamento dei lavoratori e un calo degli standard di vita relativi per molte persone, poiché il divario tra ricchi e poveri è aumentato.

L'aspetto più drammatico della globalizzazione rilevante per il nostro studio è l'emergere di una monocultura globale. Attraverso le telecomunicazioni ad alta tecnologia, le società transnazionali possono ora raggiungere angoli remoti del mondo e dettare non solo cosa, quando e dove le persone produrranno tutto ciò che è necessario per la vita umana, ma anche come la vita deve essere vissuta. L'ideologia aziendale, il sistema di valori, le priorità e le modalità di organizzazione hanno dettato uno stile di vita ad alta intensità di merci in cui le persone si definiscono in base alla proprietà di prodotti che sono collegati, attraverso la pubblicità, alla propria immagine di sé e alla propria autostima. Nella monocultura globale omogeneizzata, i conglomerati dell'intrattenimento, che trasmettono immagini, musica e messaggi verbali in tutto il mondo, hanno gradualmente smantellato le culture locali. In tutto il mondo, la clonazione culturale avviene quando le persone ascoltano la stessa musica e guardano gli stessi film o ammirano le stesse figure della cultura pop. Gli artisti locali devono difendersi dalla massiccia penetrazione di corporazioni transnazionali che ha praticamente sostituito canto, accompagnamento, inno e danza tradizionali. Molte comunità che una volta erano economicamente, socialmente e culturalmente autosufficienti sono state messe in crisi.

Nei paesi in via di sviluppo, dove globalizzazione significa decolonizzazione, industrializzazione e modernizzazione, è diventato sempre più difficile perpetuare il modo di vivere tradizionale. Mentre le moderne telecomunicazioni penetrano zone rurali e campagne remote, impartire ai bambini abilità di sopravvivenza tradizionali, usi e costumi etici, è stata una vera sfida poiché i bambini sono circondati dall'istruzione fornita dalle reti di intrattenimento globali. Si è aperto un divario crescente tra le generazioni, contribuendo alle rivoluzioni culturali e sociali nei paesi in via di sviluppo.

Nelle nazioni industrializzate occidentali, l'idea stessa che il passato possa servire come fonte di saggezza e guida nel presente non è più data per scontata. In una società guidata dalla tecnologia, le possibilità apparentemente illimitate del futuro ispirano l'immaginazione molto più dell'esperienza accumulata del passato. Inoltre, nei paesi occidentali, la stessa esigenza di tornare al passato è stata messa in discussione a causa di una crisi di rappresentanza, alimentata in parte dalla sofisticatissima tecnologia dell'immagine. Sotto il radicale scetticismo del cosiddetto "postmodernismo", la validità delle mega-narrazioni tradizionali che un tempo ancoravano la memoria collettiva e spiegavano i modi di vita, è stata seriamente minata. Anche la nozione di un Sé stabile, che era alla base di tutte le affermazioni di conoscenza, è stata messa in discussione. In effetti, come può il passato essere rilevante o autorevole in una società basata sulla tecnologia in cui nuove invenzioni e scoperte diventano istantaneamente obsolete e la conoscenza scientifica si moltiplica più velocemente di quanto il cervello umano possa assorbirla? Non sorprende che, nel mondo sviluppato, l'identità personale derivi dalle cose che le persone possiedono, che le multinazionali vendono con successo ai consumatori, convincendoli che i beni materiali sono l'unica fonte di felicità e autostima. In breve, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati, lo stesso legame con il passato è ora sotto assedio da una cultura globale che esalta la giovinezza, i piaceri del corpo e l'innovazione perpetua.

Si può dire molto di più sull'impatto della globalizzazione, soprattutto per quanto riguarda l'ambiente fisico del pianeta, ma vorrei concentrarmi su un aspetto del "momento globale" – l'omogeneizzazione della cultura – dal punto di vista dell'esperienza storica ebraica. Mi rivolgo alla storia perché credo che la conoscenza del passato sia necessaria per affrontare i problemi del presente e le sfide del futuro. Come minimo, la conoscenza del passato è necessaria per non commettere gli stessi errori che hanno commesso i nostri predecessori. Ma più significativamente, la conoscenza del passato getta luce su inclinazioni, bisogni e aspirazioni umane profonde, permettendoci così di prendere decisioni più informate nel presente, considerando ciò che è bene per gli esseri umani. Mi rivolgo al passato ebraico non solo perché l'ebraismo è la mia tradizione per nascita, per scelta religiosa e per specializzazione accademica, ma anche perché gli ebrei sono esistiti come una minoranza etnica e religiosa distinta da quando esiste la cultura occidentale. La storia degli ebrei suggerisce che il problema dell'omogeneizzazione della cultura non è nuovo; gli ebrei hanno dovuto affrontarlo per tutta la loro esistenza storica. Nel loro rifiuto di principio di rinunciare alla propria identità etnico-religiosa, gli ebrei servono come testimonianza del merito intrinseco del pluralismo religioso.[3]

Lo studio ha tre sezioni distinte. La prima sezione esamina il pluralismo interreligioso nella storia ebraica, vale a dire il rapporto tra ebrei e non ebrei, concentrandosi sul mondo pre-moderno. L'obiettivo di questa sezione è esplorare i modi in cui una minoranza ha affrontato la sfida dell'omogeneizzazione, imposta agli ebrei dall'esterno, che ha reso gli ebrei il perpetuo Altro nella cultura occidentale. Nella seconda sezione, discuto la diversità intrareligiosa nell'ebraismo moderno, esplorando le varie risposte ebraiche alle sfide della modernità. La diversità dall'interno ha portato a dibattiti molto aspri, costringendo gli ebrei a imparare a convivere con l’Altro Interno. Con una migliore comprensione del passato ebraico, la terza sezione dello studio fornisce una legittimazione teorica del pluralismo religioso all'interno della matrice del monoteismo ebraico. Dalla ricostruzione storica e dalla riflessione teologica emerge un triplice ragionamento: (a) il pluralismo religioso è necessario per il benessere umano; (b) il pluralismo religioso richiede la riduzione del potere politico; e (c) il pluralismo religioso non si traduce necessariamente in un soggettivismo relativo. Difendendo i meriti del pluralismo religioso, concludo con una critica alla monocultura occidentale contemporanea diffusa dalle corporazioni transnazionali.

Note[modifica]

  1. Esiste una vasta letteratura sul processo di globalizzazione. Questo mio studio e la mia posizione negativa nei suoi riguardi si basano sui saggi inclusi in The Case Against the Global Economy and for a Turn Toward the Local, curato da Jerry Mander & Edward Goldsmith (Sierra Club Books, 1996). Per una quadro più positivo della globalizzazione e l'argomentazione che questa sia favorevole alla pace nel mondo e agli standard dei diritti umani, si veda Thomas L. Friedman, The Lexus and the Olive Tree: Understanding Globalization (Farrar, Strauss and Giroux, 1998).
  2. Ancora da valutare la campagna immunitaria mondiale contro il COVID19.
  3. Sull'argomento specifico, si veda anche Jonathan Sacks, Future Tense - A Vision for Jews and Judaism in the Global Culture, Hodder & Stoughton, 2009.