Ragionamento sull'assurdo/Parte II

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Indice del libro


"Sisifo e le Facoltà", incisione di Max Klinger (1914)
"Sisifo e le Facoltà", incisione di Max Klinger (1914)
« Ad ogni angolo di strada il sentimento dell'assurdità potrebbe colpire un uomo in faccia. »
(Albert Camus, Il mito di Sisifo)

Dubbio e scetticismo nell'assurdo[modifica]

Nella vita ordinaria una situazione è assurda quando include una cospicua discrepanza tra pretesa o aspirazione e realtà: qualcuno pronuncia un discorso complicato a sostegno di una mozione già approvata; un noto criminale viene nominato presidente di una grande fondazione filantropica; dichiari il tuo amore per telefono a un annuncio registrato; mentre vieni nominato commendatore al Quirinale, ti cadono i pantaloni.

Quando una persona si trova in una situazione assurda, di solito tenterà di cambiarla, modificando le sue aspirazioni o cercando di metterle in un migliore accordo con la realtà, oppure tirandosi fuori completamente dalla situazione. Non siamo sempre disposti o in grado di districarci da una posizione la cui assurdità ci è diventata chiara. Tuttavia, di solito è possibile immaginare alcuni cambiamenti che eliminerebbero l'assurdità, indipendentemente dal fatto che potremmo o meno implementarli. La sensazione che la vita nel suo insieme sia assurda sorge quando percepiamo, forse debolmente, una pretesa o un'aspirazione gonfiata che è inseparabile dalla continuazione della vita umana e che rende inevitabile la sua assurdità, a meno di abbandonare la vita stessa.[1]

La vita di molte persone è assurda, temporaneamente o permanentemente, per ragioni convenzionali legate alle loro particolari ambizioni, circostanze e relazioni personali. Se c'è un senso filosofico di assurdità, tuttavia, deve nascere dalla percezione di qualcosa di universale — un dato rispetto in cui la pretesa e la realtà inevitabilmente si scontrano per tutti noi. Questa condizione è fornita, sosteniamo, dalla collisione tra la serietà con cui prendiamo la vita e la possibilità perpetua di considerare come arbitrari o proni al dubbio tutto ciò che reputiamo serio.

Non possiamo vivere vite umane senza energia e attenzione, né senza fare scelte che dimostrino che prendiamo alcune cose più seriamente di altre. Eppure abbiamo sempre a disposizione un punto di vista al di fuori della particolare forma della nostra vita, punto di vista da cui la serietà appare ingiustificata. Questi due punti di vista inevitabili si scontrano in noi, ed è ciò che rende la vita assurda. È assurda perché ignoriamo i dubbi che sappiamo non possono essere risolti, continuando a vivere con serietà quasi immutata nonostante tali dubbi.

Questa analisi richiede una difesa sotto due aspetti: primo, per quanto riguarda l'inevitabilità della serietà; secondo, per quanto riguarda l'inevitabilità del dubbio.

Ci prendiamo sul serio sia che conduciamo una vita seria o meno sia che ci occupiamo principalmente di fama, piacere, virtù, lusso, trionfo, bellezza, giustizia, conoscenza, salvezza o mera sopravvivenza. Se prendiamo sul serio le altre persone e ci dedichiamo a loro, questo non fa che moltiplicare il problema. La vita umana è piena di sforzi, progetti, calcoli, successo e fallimento: perseguiamo le nostre vite, con vari gradi di pigrizia ed energia.

Sarebbe diverso se non potessimo fare un passo indietro e riflettere sul processo, ma fossimo semplicemente guidati da un impulso all'altro senza autocoscienza. Ma gli esseri umani non agiscono solo di impulso. Sono prudenti, riflettono, soppesano le conseguenze, si chiedono se valga la pena fare quello che stanno facendo. Non solo le loro vite sono piene di scelte particolari che si uniscono in attività più ampie con struttura temporale: decidono anche in termini più ampi cosa perseguire e cosa evitare, quali priorità ci dovrebbero essere tra i loro vari obiettivi e che tipo di persone vogliono essere o diventare. Alcune persone uomini devono affrontare tali scelte a causa delle grandi decisioni che prendono di volta in volta; alcune altre semplicemente riflettendo sul corso delle loro vite come prodotto di innumerevoli piccole decisioni. Decidono chi sposare, quale professione seguire, se aderire al Club Sportivo o al Partito XY; oppure potrebbero semplicemente chiedersi perché continuino a essere commercianti o accademici o tassinari, e poi smettono di pensarci dopo un certo periodo di riflessione inconcludente.[1]

Sebbene possano essere motivati dall'atto ad agire per quei bisogni immediati con cui la vita li presenta, consentono al processo di continuare aderendo al sistema generale delle abitudini e alla forma di vita in cui tali motivi hanno il loro posto — o forse solo aggrappandosi alla vita stessa. Spendono enormi quantità di energia, rischi e calcoli sui dettagli. Pensiamo a come un individuo comune si preoccupi del suo aspetto, della sua salute, della sua vita sessuale, della sua onestà emotiva, della sua utilità sociale, della sua conoscenza di sé, della qualità dei suoi legami con la famiglia, dei colleghi e degli amici, quanto faccia bene il suo lavoro, se comprenda il mondo e cosa vi stia succedendo. Condurre una vita umana è un'occupazione a tempo pieno, alla quale ognuno dedica decenni di intenso interesse e pensiero.

Questo fatto è così ovvio che è difficile trovarlo straordinario e importante. Ognuno di noi vive la propria vita — vive con se stesso ventiquattro ore al giorno. Cos'altro dovrebbe fare — vivere la vita di qualcun altro? Eppure gli umani hanno la speciale capacità di fare un passo indietro ed esaminare se stessi e le vite in cui sono impegnati, con quel distaccato stupore che viene dal guardare una formica che lotta per salire su un mucchio di sabbia. Senza sviluppare l'illusione di essere in grado di sfuggire alla propria posizione altamente specifica e idiosincratica, possono vederla sub specie aeternitatis[2] — e la visione è al contempo sobria e comica.[3]

Il cruciale passo indietro non viene fatto chiedendo ancora un'altra giustificazione nella catena e non riuscire a ottenerla. Le obiezioni a quella linea di attacco sono già state dichiarate; le giustificazioni finiscono. Ma questo è esattamente ciò che fornisce al dubbio universale il suo oggetto. Facciamo un passo indietro per scoprire che l'intero sistema di giustificazione e critica, che controlla le nostre scelte e supporta le nostre pretese di razionalità, si basa su risposte e abitudini che non mettiamo mai in discussione, che non dovremmo sapere come difendere senza circolarità, e alle quali noi dobbiamo continuare ad aderire anche dopo che sono state messe in discussione.

Le cose che facciamo o desideriamo senza ragioni e senza richiedere ragioni – le cose che definiscono ciò che è una ragione per noi e ciò che non lo è – sono i punti di partenza del nostro scetticismo. Ci vediamo dall'esterno, e tutta la contingenza e la specificità dei nostri obiettivi e attività diventano chiare. Tuttavia quando prendiamo questa visione e riconosciamo ciò che facciamo come arbitrario, non ci disimpegna dalla vita, e qui sta la nostra assurdità: non nel fatto che una tale visione esterna possa essere presa riguardo a noi, ma nel fatto che noi stessi possiamo prenderla, senza smettere di essere le persone le cui preoccupazioni finali sono considerate in modo così distaccato.[4]

Note[modifica]

  1. 1,0 1,1 Per questa sezione si veda specialmente Raymond Angelo Belliotti, Is Human Life Absurd? A Philosophical Inquiry into Finitude, Value, and Meaning, Cap. 3, BRILL, 2019.
  2. Sub Specie Aeternitatis, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
  3. L'espressione sub specie aeternitatis si ritrova anche in Baruch Spinoza nella sua argomentazione relativa all'identità di Dio e Natura (Deus sive Natura):
    « Ma questa necessità delle cose è la stessa necessità dell’eterna natura di Dio: dunque è proprio e peculiare della natura della Ragione considerare le cose, anch’esse, come eterne, ma in una maniera particolare e loro propria; ossia secondo una loro peculiare eternità. S’aggiunga che i fondamenti della Ragione sono le nozioni che spiegano quelle entità o quelle caratteristiche che sono comuni a tutte le cose: entità o caratteristiche che non danno ragione dell’essenza di alcuna cosa singolare; e che perciò debbono essere pensate al di fuori di qualsiasi relazione temporale, e sotto una specie – per così dire – di eternità (sub specie aeternitatis). »
    (Baruch Spinoza, Ethica, Vol. II, Proposizione 44)
  4. Sono consapevole che si ritiene che lo scetticismo sul mondo esterno sia stato ampiamente confutato, ma rimango comunque convinto della sua irrefutabilità da quando ho letto gli scritti di Thompson Clarke, specialmente il suo "The Legacy of Skepticism", Journal of Philosophy 69 (20):754 (1972).