Ragionamento sull'assurdo/Parte V
Scetticismo epistemologico e senso dell'assurdo
[modifica | modifica sorgente]Sotto questo aspetto, come in altri, la percezione filosofica dell'assurdo assomiglia allo scetticismo epistemologico. In entrambi i casi il dubbio filosofico finale non è contrapposto ad alcuna certezza incontrastata, sebbene sia raggiunto mediante estrapolazione da esempi di dubbio all'interno del sistema di prove o giustificazioni, in cui è implicito un confronto con altre certezze. In entrambi i casi la nostra limitatezza si unisce alla capacità di trascendere quei limiti di pensiero (vedendoli così come limiti e come inevitabili).
Lo scetticismo inizia quando ci includiamo nel mondo di cui ne rivendichiamo la conoscenza. Notiamo che alcuni tipi di prove ci convincono, che siamo contenti di permettere che le giustificazioni della credenza finiscano in determinati punti, che sentiamo di conoscere molte cose anche senza sapere o avere motivi per credere alla negazione di altre che, se vere, renderebbero falso ciò che affermiamo di sapere.
Ad esempio, so che sto guardando un pezzo di carta, anche se non ho motivi adeguati per affermare di sapere che non sto sognando; e se sto sognando, allora non sto guardando un pezzo di carta. Qui viene utilizzata una concezione ordinaria di come l'apparenza può divergere dalla realtà per dimostrare che diamo per scontato il nostro mondo; la certezza che non stiamo sognando non può essere giustificata se non circolarmente, in termini di quelle stesse apparenze che vengono messe in dubbio. È in qualche modo inverosimile suggerire che io possa sognare; ma la possibilità è solo illustrativa. Rivela che le nostre pretese di conoscenza dipendono dal fatto che non sentiamo la necessità di escludere alcune alternative incompatibili e che la possibilità di sognare o la possibilità di allucinazione totale sono solo rappresentanti di possibilità illimitate, la maggior parte delle quali non possiamo nemmeno concepire.[1]
Una volta che abbiamo fatto il passo indietro verso una visione astratta di tutto il nostro sistema di credenze, prove e giustificazioni, e visto che funziona, nonostante le sue pretese, solo dando il mondo in gran parte per scontato, non siamo in grado di confrontare tutte queste apparenze con una realtà alternativa. Non possiamo liberarci delle nostre risposte/reazioni ordinarie e, se potessimo, ciò ci lascerebbe senza alcun modo di concepire una realtà di qualche tipo.
È lo stesso nel dominio pratico. Non usciamo dalla nostra vita verso un nuovo punto di osservazione da cui vediamo ciò che è veramente, oggettivamente significativo. Continuiamo a dare la vita in gran parte per scontata, visto che tutte le nostre decisioni e certezze sono possibili solo perché ci sono tante cose che non ci preoccupiamo di escludere.
Sia lo scetticismo epistemologico che il senso dell'assurdo possono essere raggiunti attraverso dubbi iniziali posti all'interno di sistemi di prove e giustificazioni che accettiamo e possono essere dichiarati senza far violenza ai nostri concetti ordinari. Possiamo chiedere non solo perché dovremmo credere che ci sia un pavimento sotto i nostri piedi, ma anche perché dovremmo credere alle prove dei nostri sensi — e ad un certo punto le domande disponibili avranno superato le risposte. Allo stesso modo, possiamo chiederci non solo perché dovremmo prendere l'aspirina, ma anche perché dovremmo avere dei problemi riguardo al nostro benessere. Il fatto che prenderemo l'aspirina senza aspettare una risposta a quest'ultima domanda non dimostra che si tratti di una domanda irreale. Continueremo anche a credere che c'è un pavimento sotto di noi senza aspettare una risposta all'altra domanda. In entrambi i casi è questa naturale fiducia non supportata che genera dubbi scettici; quindi non può essere usata per risolverli.[2]
Lo scetticismo filosofico non ci fa abbandonare le nostre credenze ordinarie, ma conferisce loro un sapore peculiare. Dopo aver riconosciuto che la loro verità è incompatibile con le possibilità che non abbiamo motivi per credere di non ottenere – a parte i motivi per quelle stesse convinzioni che abbiamo messo in discussione – torniamo alle nostre convinzioni familiari con una certa ironia e rassegnazione. Incapaci di abbandonare le risposte naturali da cui dipendono, ce le riprendiamo, come un coniuge che è fuggito con qualcun altro e poi ha deciso di tornare; ma li consideriamo in modo diverso (non che il nuovo atteggiamento sia necessariamente inferiore al vecchio, in entrambi i casi).
La stessa situazione si presenta dopo aver messo in discussione la serietà con cui prendiamo le nostre vite e la vita umana in generale e ci siamo contemplati senza presupposti. Ritorniamo quindi alle nostre vite, come infatti dobbiamo, ma la nostra serietà è intrisa di ironia. Non che tale ironia ci consenta di sfuggire all'assurdo. No. È inutile borbottare: "La vita non ha senso, la vita non ha senso..." come accompagnamento a tutto ciò che facciamo. Nel continuare a vivere, lavorare e lottare, ci prendiamo sul serio in azione, checché ne diciamo.
Ciò che ci sostiene, sia nella convinzione che nell'azione, non è la ragione o la giustificazione, ma qualcosa di più basilare di ciò — perché continuiamo allo stesso modo anche dopo essere convinti che le ragioni siano scadute.[3] Se provassimo a fare affidamento interamente sulla ragione, e ci sforzassimo ostinatamente, le nostre vite e credenze crollerebbero — una forma di follia che potrebbe effettivamente verificarsi se la forza inerziale di dare per scontati mondo e vita andasse in qualche modo perduta. Se qui molliamo la presa, la ragione non ce la restituirà.
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Si veda Thompson Clarke, "The Legacy of Skepticism" cit., Journal of Philosophy 69 (20):754 (1972).
- ↑ Si vedano, per questa sezione, Giovanni Invitto, Esistenzialismo e dintorni, Angeli, 1992, pp.38-44; Gianni Paganini, Scepsi moderna. Interpretazioni dello scetticismo da Charron a Hume, Busento, 1991, passim; Scetticismo. Una vicenda filosofica, a cura di Mario de Caro ed Emilio Spinelli, Collana Frecce n.41, Carocci, 2007.
- ↑ Come dice David Hume in un famoso brano del suo Trattato: "Fortunatamente accade che, poiché la ragione non è in grado di dissipare queste nubi, la natura stessa è sufficiente a tale scopo e mi cura da questa malinconia e delirio filosofico, o rilassando questa tendenza mentale, o per avocazione e vivace impressione dei miei sensi, che cancellano tutte queste chimere. Ceno, gioco a backgammon, converso e sono felice con i miei amici; e quando dopo tre o quattro ore di divertimento, ritornerei a queste speculazioni, mi sembrano così fredde, tese e ridicole, che non riesco a trovare la forza d'animo di continuarle" (Libro 1, Parte 4, Sezione 7 – ediz. (EN) Selby-Bigge, p. 269, mia traduz.) Il Trattato di Hume è apparso in svariate edizioni dopo la sua morte. Dato che vivo nella stessa città in cui Hume nacque, ho avuto modo d'aver accesso a molteplici volumi nell'originale (EN), si vedano int. al., David Hume, A Treatise of Human Nature, Selby-Bigge, Oxford, Clarendon Press, 1888 [1888]. URL consultato il 29 novembre 2019. via Archive.org; David Hume, A Treatise of Human Nature : Being an Attempt to Introduce the Experimental Method of Reasoning into Moral Subjects & Dialogues Concerning Natural Religion, Green & Grose, vol. 1, Londra, Longmans, Green & Co., 1882 [1882].; David Hume, A Treatise of Human Nature : Being an Attempt to Introduce the Experimental Method of Reasoning into Moral Subjects & Dialogues Concerning Natural Religion, vol. 2, Londra, Longmans, Green & Co., 1882 [1882]. URL consultato il 29 novembre 2019. via Archive.org