Filosofia dell'amore/Amore come unione: differenze tra le versioni

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Indice del libro
"The Old, Old Story", olio di John William Godward, 1903
"The Old, Old Story", olio di John William Godward, 1903

Amore come solida unione[modifica]

La visione unitaria afferma che l'amore consiste nella formazione (o nel desiderio di formare) un tipo significativo di unione, un "noi". Compito centrale per i teorici "unitari",[1] quindi, è stabilire esattamente ciò che un tale "noi" comporti — se è letteralmente una nuova entità nel mondo, composta in qualche modo dall'amante e dall'amato, o se è semplicemente metaforica. Varianti di questo punto di vista risalgono forse ad Aristotele (cfr. Sherman 1993) e si possono trovare anche a Montaigne (1603/1877) e Hegel (1997); sostenitori contemporanei includono Solomon (1981, 1988), Scruton (1986), Nozick (1989), Fisher (1990) e Delaney (1996).

Scruton, scrivendo in particolare sull'amore romantico, afferma che l'amore esiste "non appena la reciprocità diventa comunità: cioè non appena viene superata ogni distinzione tra i miei interessi e i tuoi interessi" (1986, p. 230). L'idea è che l'unione è un'unione di interesse (preoccupazione/riguardo), cosicché che quando agisco per tale interesse non è solo per il mio bene o solo per il tuo bene ma per il nostro bene. Fisher (1990) ha una visione simile, ma un po' più moderata, sostenendo che l'amore è una fusione parziale degli interessi, preoccupazioni, risposte emotive e azioni degli innamorati. Ciò che colpisce sia di Scruton che di Fisher è l'affermazione secondo cui l'amore richiede l'effettiva unione degli interessi degli innamorati, poiché diventa così chiaro che essi concepiscono l'amore non tanto come un atteggiamento che assumiamo verso l'altro ma come una relazione: la distinzione tra i tuoi interessi e i miei scompare sinceramente solo quando arriviamo insieme a condividere le preoccupazioni, le attenzioni, ecc., e il mio semplice atteggiamento verso di te non è abbastanza per l'amore. Ciò fornisce contenuto alla nozione di un "noi" come soggetto (metaforico?) di queste preoccupazioni e interessi condivisi e come quello per il quale agiamo.

Solomon (1988) offre anche una visione unitaria, anche se è quella che cerca di "dare un nuovo senso all'amore" attraverso un senso letterale piuttosto che metaforico della "fusione" di due anime" (p. 24, cfr. Solomon 1981; tuttavia, non è chiaro esattamente cosa intende qui per "anima" e quindi come l'amore possa essere una fusione "letterale" di due anime). Ciò che Salomone ha in mente è il modo in cui, attraverso l'amore, gli innamorati ridefiniscono la loro identità come persone in termini di relazione: "Amore è la concentrazione e l'intenso focalizzarsi di definizione reciproca su un singolo individuo, sottoponendo praticamente ogni aspetto personale di se stessi a questo processo" (1988, p. 197). Il risultato è che gli innamorati vengono a condividere interessi, ruoli, virtù e così via che costituiscono ciò che prima erano due identità individuali, ma ora diviene un'identità condivisa, e lo fanno in parte consentendo mutualmente di svolgere un ruolo importante nel definire la propria identità.

Nozick (1989) offre una visione unitaria che differisce da quelle di Scruton, Fisher e Solomon in quanto Nozick pensa che ciò che è necessario per l'amore sia semplicemente il desiderio di formare un "noi", insieme al desiderio che la tua amata ricambi. Tuttavia, afferma che questo "noi" è "una nuova entità nel mondo... creata da una nuova rete di relazioni tra [gli amanti] che non li rende più separati" (p. 70). Nell'affermare questa rete di relazioni, Nozick fa appello agli innamorati che "raggruppano" non solo i rispettivi benessere, nel senso che il benessere di uno è legato a quello dell'altro, ma anche la loro autonomia, in quanto "ognuno trasferisce alcuni diritti precedenti di prendere determinate decisioni unilateralmente, in una "cassa comune" (p. 71). Inoltre, sostiene Nozick, gli amanti acquisiscono ciascuno una nuova identità come parte del "noi", una nuova identità costituita dal loro (a) desiderio di essere percepiti pubblicamente come una coppia, (b) la loro partecipazione al loro benessere riunito, e (c) la loro accettazione di un "certo tipo di divisione del lavoro" (p. 72):

« Una persona in un noi potrebbe trovarsi a considerare un libro interessante da leggere, ma lasciarlo all'altra persona, non perché egli stesso non vi sia interessato, ma perché l'altra persona sarebbe più interessata, e uno di loro che lo legge è sufficiente ad essere registrato dall'identità più ampia ora condivisa, il noi.[2] »

Gli oppositori della visione unitaria hanno ritenuto eccessive queste affermazioni: questi sostengono che i teorici dell'"unione" prendono troppo letteralmente le implicazioni ontologiche di questa nozione del "noi". Ciò porta a due specifiche critiche della visione unitaria. La prima è che le visioni unitarie eliminano l'autonomia individuale. L'autonomia, a quanto pare, implica una sorta di indipendenza da parte dell'agente autonomo, tale da avere il controllo non solo su ciò che fa ma anche su quello che è, poiché è costituito dai suoi interessi, valori, preoccupazioni, ecc. Tuttavia, le opinioni unitarie, eliminando una chiara distinzione tra i tuoi interessi ed i miei, minano di conseguenza questo tipo di indipendenza e minano così l'autonomia degli innamorati. Se l'autonomia fa parte del bene dell'individuo, allora, dal punto di vista dell'"unione", l'amore è in tal senso cattivo; tanto peggio per la visione unitaria (Singer 1994; Soble 1997). Inoltre, Singer (1994) sostiene che una parte necessaria per far sì che la persona amata sia l'oggetto del tuo amore è il rispetto per la persona amata in quanto persona particolare, e ciò richiede il rispetto della sua autonomia.

I teorici unitari hanno risposto a questa obiezione in diversi modi. Nozick (1989) sembra pensare alla perdita di autonomia nell'amore come una caratteristica desiderabile del tipo di unione che gli amanti possono raggiungere. Fisher (1990), un po' più riluttante, afferma che la perdita di autonomia nell'amore è una conseguenza accettabile dell'amore. Tuttavia, senza ulteriori argomentazioni queste affermazioni sembrano alquanto sofferte. Solomon (1988, pp. 64ff) descrive questa "tensione" tra unione e autonomia come "il paradosso dell'amore". Ma questa è un'opinione che Soble (1997) deride: chiamarlo semplicemente un paradosso, come fa Solomon, non vuol dire affrontare il problema.

La seconda critica implica una visione sostanziale dell'amore. Parte di ciò che è amare qualcuno, dicono questi oppositori, è avere interesse per lui di per se stesso, per il suo bene. Tuttavia, le visioni unitarie rendono incomprensibile tale preoccupazione ed eliminano la possibilità sia di egoismo che di sacrificio di sé, poiché eliminando la distinzione tra i miei interessi e i tuoi interessi, hanno in effetti trasformato i tuoi interessi in miei e viceversa (Soble 1997; vedi anche Blum 1980, 1993). Alcuni sostenitori delle opinioni unitarie vedono questo come un punto a loro favore: dobbiamo spiegare come posso avere interesse per le persone diverse da me stesso, e la visione unitaria apparentemente lo fa comprendendo i tuoi interessi come parte dei miei. E Delaney, rispondendo a un'apparente tensione tra il nostro desiderio di essere amati altruisticamente (per paura di essere altrimenti sfruttati) e il nostro desiderio di essere amati per ragioni (che presumibilmente sono attraenti per il nostro amante e quindi hanno una sorta di base egoistica), dice (1996, p. 346):

« Dato il mio punto di vista che l'ideale romantico è principalmente caratterizzato dal desiderio di raggiungere un profondo consolidamento dei bisogni e degli interessi attraverso la formazione di un noi, non credo che un po' di egoismo del tipo descritto debba preoccupare entrambe le parti. »

L'obiezione, tuttavia, sta proprio nel tentativo di spiegare egoisticamente il mio interesse per la mia amata. Come dice Whiting (1991, p. 10), un simile tentativo "mi colpisce come una colonizzazione inutile e potenzialmente discutibile": in amore, dovrei preoccuparmi della mia amata per amor suo, e non perché in qualche modo io riesca a tirarne fuori qualcosa per me. (Questo può essere vero sia se la mia preoccupazione per la mia amata è semplicemente strumentale al mio bene sia se è parzialmente costitutiva del mio bene.)

Sebbene le critiche di Whiting e Soble qui abbiano avuto successo contro i sostenitori più radicali della visione unitaria, in parte non riescono a riconoscere il nocciolo di verità che si intravede nell'idea dell'unione. Il modo di Whiting di formulare la seconda obiezione in termini di un inutile egoismo in parte indica una via d'uscita: noi persone siamo in parte creature sociali e l'amore è una modalità profonda di quella socialità. In effetti, una parte dei resoconti dei punti di unione vuol dare un senso a questa dimensione sociale: dare un senso a un modo in cui a volte possiamo identificarci con gli altri, non solo nel diventare interdipendenti con loro (come Singer – 1994, p. 165 – suggerisce, intendendo "l'interdipendenza" come una sorta di reciproca benevolenza e rispetto), ma piuttosto nel rendere chi siamo come persone costituito in parte da coloro che amiamo (cfr. ad esempio Rorty 1986/1993; Nussbaum 1990).

In questo senso, Friedman (1998), prendendo in parte ispirazione da Delaney (1996), sostiene che dovremmo comprendere il tipo di unione d'amore in questione come una sorta di federazione di sé:

« Sul modello della federazione, una terza entità unificata è costituita dall'interazione degli innamorati, che coinvolge gli innamorati che agiscono di concerto in una serie di condizioni e per una serie di scopi. Questa azione concertata, tuttavia, non cancella l'esistenza dei due amanti come agenti separabili e separati con possibilità continue d'esercizio delle rispettive agenzie.[p. 165] »

Dato che da questo punto di vista gli innamorati non rinunciano alle loro identità individuali, non vi è alcun motivo di principio per cui la visione unitaria non possa dare un senso all'interesse dell'amante per la sua amata di per sé.[3] Inoltre, sostiene Friedman, una volta che abbiamo definito l'unione come federazione, possiamo vedere che l'autonomia non è un gioco a somma zero; piuttosto, l'amore può sia migliorare direttamente l'autonomia di ciascuno sia promuovere la crescita di varie abilità, come l'autovalutazione realistica e critica, che favoriscono l'autonomia.

Tuttavia, questo modello di federazione non è privo di problemi — problemi che influiscono anche su altre versioni della visione unitaria. Poiché se la federazione (o il "noi", come nella visione di Nozick) è intesa come terza entità, abbiamo bisogno di un resoconto più chiaro di quello che viene dato del suo stato ontologico e di come esso sia. Rilevante qui è la letteratura sull'intenzione condivisa e soggetti multipli. Gilbert (1989, 1996, 2000) ha sostenuto che dovremmo prendere abbastanza sul serio l'esistenza di un soggetto plurale come entità al di sopra dei suoi membri costituenti. Altri, come Tuomela (1984, 1995), Searle (1990) e Bratman (1999) sono più cauti, trattando questi discorsi sul "noi" come se avessero un'intenzione metaforica.

Note[modifica]

  • I riferimenti bibliografici specifici sono tra parentesi nel testo.
  1. Chiamo "unitari" quei teorici che propongono l'interpretazione "unitaria", di unione, del "noi" come unione di due persone che si amano, nella definizione proposta in questo capitolo.
  2. Per una semplice interpretazione, ciò sembra bizzarro, poiché il "noi" formato da mia moglie e da me stesso non ha imparato a conoscere l'amore come unione solo perché mi ha lasciato il libro di Nozick da leggere. Forse Nozick dà per scontato che gli amanti discutano di questioni pertinenti ai loro interessi condivisi, cosicché in tal modo "noi" possiamo prendere in considerazione ciò che solo "io" ho letto.
  3. Certo, dire che non esiste una ragione di principio per cui ciò sia impossibile è ben lungi dall'avere un resoconto positivo, e più lavoro deve essere fatto sulla visione unitaria (o di qualsiasi altro tipo) dell'amore per spiegare in cosa consiste l'interesse per l'altro di per seé. Si veda Annas (1977) per ulteriori discussioni sulle difficoltà in merito.