Ebrei a Caluso - Progetto "Salva una storia"/Capitolo 4

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Indice del libro

Capitolo 4. Dall'internamento alla deportazione a Fossoli

A partire dal settembre del 1938 in Italia era già in vigore la nota legislazione antiebraica e dal gennaio del 1940 Guido Lospinoso, ispettore generale di pubblica sicurezza, e altri funzionari di pari grado stavano viaggiando in lungo e in largo, soprattutto per l'Italia centrale e meridionale, con il compito di reperire edifici da utilizzare come campi di concentramento, quali ville in campagna, conventi, fortezze, scuole, caserme e fabbriche.

L'approntamento dei "campi di concentramento" e la scelta dei comuni per il cosiddetto "internamento libero" erano allora già a buon punto, contemplando la disponibilità di 4700 posti, che avrebbero dovuto essere portati rapidamente a 9400.
Tra i criteri seguiti dal generale Lo Spinoso per la definizione dei campi di concentramento vi erano i seguenti:

  1. gli edifici dovevano essere lontani da obiettivi militari (strade, porti, ponti fabbriche…)
  2. gli edifici dovevano essere isolati e facilmente controllabili
  3. i proprietari "affittuari" dovevano essere disposti a dare in locazione l'edificio e acconsentire ai lavori di adattamento
  4. gli edifici dovevano essere grandi e stabili, dotati di acqua e corrente elettrica, facilmente adattabili ad ospitare prigionieri

Tra le località che rispettavano perfettamente tali criteri vi era Fossoli, una frazione del comune di Carpi, in provincia di Modena, situata nella Pianura Padana. Questo territorio godeva di una posizione strategica, era privo di rilievi, che avrebbero reso il campo soggetto ad attacchi a sorpresa dei nemici ed inoltre si trovava in prossimità di una rete ferroviaria diretta in Austria e nel restante Nord Europa, utile ai fini di una rapida ed efficiente deportazione nei lager tedeschi e polacchi. Iniziò ad essere impiegato nel maggio 1942 come un campo di prigionia per soldati britannici, australiani e neozelandesi catturati in Nord Africa.

La storia del campo Fossoli era inestricabilmente collegata a quella della guerra italiana: l'8 settembre 1943 fu il momento dell'armistizio, della fuga a Brindisi del re e del capo di governo Badoglio, l'esercito italiano venne disarmato con inaspettata rapidità da unità della Wehrmacht già di stanza in Italia o fatte venire appositamente attraverso il Brennero, la nazione fu assoggettata al potere militare tedesco e ridotta quindi al rango di paese occupato. Al momento dell'armistizio incapparono nell'occupazione tedesca oltre 10.000 "ebrei stranieri", tra cui i quasi 4000 internati nei comuni dell'Italia settentrionale e centrale. La notizia del rapido smantellamento dell'esercito italiano e del contemporaneo imporsi dell'autorità militare tedesca suscitò ovunque il terrore, nei campi come nei comuni. Ovunque se ne presentasse l'occasione, gli internati, soprattutto gli sloveni deportati dalla Venezia Giulia e gli jugoslavi, oltre naturalmente agli ebrei, tentavano la fuga.

Come in tutti i paesi occupati dalla Wehrmacht, anche in Italia venne creato un apparato di polizia che riceveva ordini direttamente dall'Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, nella fattispecie si trattava di una rete di Comandi Regionali (KdS), di Comandi Avanzati (AK) e di Posti Avanzati (AP) ovvero piccoli comandi periferici tra cui, Asti, Biella, Cuneo, Ivrea.

Nel frattempo la Repubblica Sociale Italiana (RSI), sorta il 13 settembre 1943, nella Carta di Verona, si affrettava a sostenere, al punto 7, che "Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica".

Questa formulazione era sufficientemente vaga e imprecisa da permettere qualunque interpretazione pratica: dal mantenimento delle precedenti leggi razziali al loro irrigidimento, dall’espulsione degli ebrei al loro arresto. Le misure applicative del punto 7 non si fecero attendere; il 30 novembre 1943 il Ministro degli Interni dispose - con l'ordinanza di polizia n. 5 - l'arresto e l'internamento degli ebrei, nonché il sequestro dei loro beni. Tale ordinanza costituì lo spartiacque tra discriminazione e persecuzione in Italia.

A fine novembre 1943 il campo di Fossoli fu aperto come campo di concentramento per ebrei, direttamente sotto la giurisdizione del Sindaco di Modena e non più sotto quella dell'autorità militare, confermando la diretta responsabilità dei fascisti nella politica di espulsione degli ebrei. Ben presto le SS assunsero la direzione del campo.

Dalla Provincia di Aosta gli ebrei furono portati a Fossoli con tre trasferimenti: il 20 gennaio, il 17 febbraio e il 6 marzo del 1944.