Prontuario di diritto romano/La capacità di agire

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La capacità di agire[modifica]

Era la capacità di esercitare validamente i diritti di cui si era titolari; tale capacità ineriva ai soggetti sui iuris, in relazione all'età, al sesso e alle condizioni mentali.
Lo ius civile stabiliva una graduazione di età che andava dagli infantes (che non sapevano ancora parlare), ai minores (minori di 15 anni), agli impuberes (dai 15 ai 18 anni), ai puberes (maggiori di 18 anni). Giustiniano stabilì che la piena capacità di agire si acquistava con i 18 anni.
Sin dai primordi, la donna fu sempre considerata soggetta al pater o al marito, per il principio di inferiorità delle donne.
Le donne e gli impuberes non potevano compiere tutti gli atti giuridici se la loro volontà non era integrata dall' auctoritas tutoria.
Le infermità mentali riconosciute portavano allo stesso tipo di incapacità giuridica; in particolare, si distinguevano le categorie dei furiosi (pazzi, alienati) e dei prodigi (prodighi, non sufficientemente oculati nell'amministrazione dei propri beni).

La tutela[modifica]

In diritto romano, la tutela aveva una funzione ben diversa da quella moderna; essa tendeva infatti a proteggere gli interessi del patrimonio e della famiglia del pupillo, più che a costituire un istituto di protezione per l'incapace.
In epoca classica, erano assai frequenti la tutela impuberis e la tutela mulierum.
La tutela mulierum era la tutela data alla donna propter levitatem, e durava tutta la vita. La donna poteva compiere da sola tutti gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di straordinaria amministrazione occorreva l' auctoritas del tutore.
Il tutor mulieris poteva essere legittimo o testamentario, ma sempre dativo. Solo in seguito fu dato alle donne di scegliere il proprio tutore (tutor optivus) e addirittura di cambiarlo (optio tutoris); alla nomina del tutore da parte del magistrato si faceva luogo solo se la donna ne faceva richiesta.
Nel IV secolo d.C. (sotto Diocleziano), l'istituto della tutela mulieris scomparve definitivamente, mentre l'evoluzione della tutela impuberis si trasformò dall'originaria configurazione potestativa in istituto assistenziale.
La tutela impuberis esisteva già ai tempi della Lex XII Tabularum; essa era data agli impuberi (incapaci di agire) il cui pater fosse morto o avesse perduto la libertà. Solo in prosieguo di tempo si ammise che l'impubere orfano o figlio di chi avesse perduto la libertà acquistasse capacità di agire e divenisse sui iuris, limitando la tutela ai soli infantes.
( E ai minores ? ). Il diritto romano conosceva tre figure di tutela impuberis: quella legittima, quella dativa e quella testamentaria. La legislazione giustinianea chiamò alla tutela anche i cognati e stabilì che si potesse dare un tutore anche sotto condizione o a termine.
Dalle fonti si ricava l'esistenza anche di una tutela "fiduciaria": quando il genitore abbia affrancato il figlio o il nipote o altri impuberi, riceve la tutela legittima di quelli.
Le fonti fanno cenno anche alla gestione patrimoniale: «quando i tutori gestiscono gli affari del pupillo, dopo la pubertà rendono il conto in giudizio della tutela».
Il tutore aveva l' administratio del patrimonio dell'impubere; i suoi poteri si articolavano nella gestio e nella 'auctoritas interpositio.
La gestio era la normale gestione degli affari, mentre l' auctoritas interpositio consisteva nell'approvazione successiva, da parte del tutore, degli atti compiuti dal pupillo proximus pubertati.
Se il pupillo era infans, il tutore compiva egli stesso l'atto, ritrasferendogli gli effetti; non si trattava quindi di gestione rappresentativa ma piuttosto di una negotiorum gestio, poiché il tutore agiva per conto dell'impubere ma in nome proprio.
È da notare che, mentre in epoca classica il tutore poteva compiere ogni atto di amministrazione, in età postclassica divenne sempre più frequente la necessità dell'autorizzazione del magistrato per gli atti di straordinaria amministrazione.
Le fonti sottolineano che «se non interviene l' auctoritas del tutore, di certo chi contrae con il pupillo poi resta obbligato, mentre al contrario il pupillo non resta obbligato». Il tutore trattava gli affari del pupillo come propri, diventando personalmente proprietario e obbligato.
La responsabilità del tutore era assai grave; al termine della tutela, egli era tenuto al rendimento dei conti, ed in caso di cattiva amministrazione (dolosa o per negligenza) erano date contro di lui delle azioni infamanti: actio suspecti tutoris, intentabile da chiunque e tendeva alla rimozione del tutore venuto meno alla fides, actio rationibus distrahendis, azione privata che condannava il tutore al doppio risarcimento dei beni sottratti, actio tutelae bonae fidei.
Al tutore era altresì concessa l' actio tutelae contaria, allo scopo di ottenere il rimborso delle spese e la liberazione dalle obbligazioni assunte durante l'amministrazione.
In epoca imperiale fu introdotta la cauzione prestata dal tutore (satisdatio rem pupilli salvam fore) su ordine del pretore; in età postclassica sorse una forma di ipoteca tacita sui beni del tutore.
Essendo la tutela concepita come un munus, cioè come incarico obbligatorio per il designato, erano poche e ben definite le cause di esonero. Le cosiddette excusationes previste in diritto romano riguardavano per lo più lo stato di salute fisica e mentale del tutore, e altre circostanze contingenti: «...per miseria del tutore è dato esonero ...», «...deve essere esonerato anche colui che ignora l'alfabeto...», «...i medici sono esonerati se esercitano la professione in Roma, come anche chi amministra il fisco...».

La curatela[modifica]

È difficile individuare la differenza tra tutela e curatela in diritto romano.
In linea di massima, la curatela fu predisposta a favore di soggetti privi delle normali capacità psichiche, e si concretava nella sola negotiorum gestio. Ma quando la tutela si trasformò, avvicinandosi alla moderna concezione, quasi si confuse con la curatela.
I sordi e i muti, e coloro che soffrivano di malattie croniche, come i pazzi, poiché non erano in grado di sopravvivere con le proprie capacità e con i propri mezzi, dovevano essere affidati a dei curatori nominati dal pretore o dai governatori delle province: i curatores debilium personarum.
Per il nascituro istituito erede o beneficiario di un legato, la legge prevedeva un curatore speciale, il curator ventris, con il compito di conservare i beni che sarebbero spettati al nascituro.
Ma la più importante forma di curatela fu introdotta nel 192 a.C. e fu la cura minorum XXV annorum; tale istituto si rese necessario nello stesso interesse dei minori che non avrebbero, altrimenti, potuto stipulare con terzi timorosi di essere accusati di aver abusato della minore età della controparte.
Quando il minore si faceva assistere dal curatore, costui con il proprio consenso garantiva al terzo che l'obbligazione sarebbe stata adempiuta. Il consenso, a differenza dell' auctoritas, non serviva a convalidare l'atto (già valido) ma impegnava il curatore di fronte alla controparte come garante.
Contro il curator suspectus erano date al minore le stesse azioni infamanti della tutela; al curatore era altresì data l' actio contraria per essere risarcito.