Infinità e generi/Versi e prosa
I generi più generali (tanto per essere onomatopeici, che includono tutti gli altri – e per lo stesso motivo, essendo "generi di generi", dovrebbero essere denominati in modo più appropriato categorie – sono i versi e la prosa. La distinzione tra versi e prosa rispecchia a livello del microcosmo letterario la condizione di "numero" o quantità. Indipendentemente da ciò che gli studiosi hanno detto negli ultimi cento anni in infinite discussioni, il fatto è che la distinzione tra versi e prosa è solo una distinzione tra le due forme più generali di quantità, continua e discontinua. Un verso è un verso purché prevalga qualche principio di discontinuità o di sezionamento, sia esso ritmico o metrico, che esegua una sorta di reiterazione del suono; e la prosa è prosa mentre scorre senza mai ricorrere. I versi sono come gocce di pioggia, che schizzano ripetutamente, mentre la prosa è un fiume che scorre senza interruzioni. Quindi esiste nei versi una certa "superiorità", perché "vengono dal cielo" come un discorrere incompiuto ed enigmatico di angeli e oracoli, mentre la prosa scivola lungo il terreno al pari del conversare quotidiano degli uomini.
Questa distinzione riflette, quindi, i principi della continuità essenziale e della discontinuità esistenziale tra l’Infinito e il finito.
Il simbolo tradizionale del cerchio può rendere tutto ciò ancora più chiaro: se rappresentiamo l'Essere, unico e infinito, con un punto, i raggi che emanano da esso rappresentano le sue distinte possibilità di manifestazioni in molte direzioni; sono le qualità o le proprietà che prolungano la sua essenza senza esserne separate. Se, da questo punto, disegniamo molti cerchi concentrici, questi rappresenteranno i vari livelli di vicinanza e lontananza in cui ogni punto e segmento dei raggi può stare in relazione al punto centrale. I raggi rappresentano la continuità essenziale e i cerchi la discontinuità esistenziale; i raggi, l'unità della realtà; i cerchi, la molteplicità dei piani o livelli.[1] Questa figura si applica alla distinzione tra versi e prosa in duplice modo, secondo la regola del simbolismo tradizionale che consente sempre la coesistenza del simbolismo diretto e inverso.[2] Possiamo dire, da un lato, che i raggi esprimono il flusso continuo della prosa e il loro sezionamento di cerchi concentrici il ritmo del verso. Dall'altro, possiamo vedere la figura in senso inverso, e dire che la prosa gira o si muove continuamente come i pianeti nella loro orbita, e che i raggi dei versi sezionano o scandiscono ritmicamente questi cerchi secondo le direzioni dello spazio.
Le possibili combinazioni di sfumature distinte tra versi e prosa non devono farci perdere la distinzione essenziale, perché ogni combinazione, non importa quanto complessa, sarà sempre fatta di elementi continui e discontinui.
La tendenza critica più recente è quella di dimenticare il ruolo chiave del fattore quantitativo – metrico o ritmico – nella distinzione tra versi e prosa, e di cercare un tipo semantico di distinzione. Cioè, con o senza metriche e rime, un testo è considerato "poetico" o "prosastico" a seconda che prevalga un uso "connotativo" o "denotativo" del linguaggio; si suppone che il verso parli in modo obliquo e la prosa in modo recto.[3] Questa nuova distinzione è nata dalla necessità di rendere conto della grande quantità di opere scritte senza alcun impegno metrico. Ma, da un lato, denotazione e connotazione non sono altro che equivalenti semantici di continuità e discontinuità, come possiamo vedere dal riferimento diretto o indiretto – continuo o discontinuo – dal significante al significato. Dall'altro, questa è una distinzione derivata e secondaria, e non una distinzione primaria. Per millenni, le opere poetiche hanno posseduto metriche e rime, essendo connotative o denotative (persino i trattati di scienza e filosofia, che semanticamente chiameremmo prosastici, sono stati scritti in forme poetiche, senza attirare l'attenzione di nessuno). Potremmo ammettere, in modo da concludere la questione, una quadruplice classificazione, modellata secondo l'incrociamento di criteri semantici e fonetici: così avremmo un connotativo-continuato e un denotativo-continuato; un connotativo-discontinuo e un denotativo-discontinuo; e le gradazioni di questi quattro spiegherebbero facilmente tutte le possibili combinazioni senza ulteriori complicazioni, che tra l'altro avrebbero potuto essere risolte sin dall'inizio con la percezione del significato ambiguo della parola "prosa", intesa quale opposta, da un lato, al "verso" e, dall'altro, alla "poesia".
Tuttavia, secondo la loro origine, i versi e la prosa non sono modi di significazione, ma piuttosto modi di elocuzione. Per evitare ulteriori confusioni, diremo che un testo intensamente "connotativo" privo di qualsiasi tipo di reiterazione ritmica o metrica, non è verso: è prosa poetica o qualcosa di simile; e un testo puramente "denotativo", come alcune righe puramente prosaiche e informative nelle tragedie di Shakespeare e Racine – per non parlare dei vecchi trattati di Geometria e Fisica composti in rima – sono versi. In breve: il testo continuo, connotativo o denotativo, è prosa; e il testo discontinuo, connotativo o denotativo, è verso, sia esso "poetico" o meno. Se qualcuno desidera cambiare tale sistemazione, preferendo utilizzare il criterio semantico, non farà la minima differenza; solo, per motivi di chiarezza, raccomandiamo di tenere presente che la distinzione tra verso e prosa si riferisce principalmente all'elocuzione e secondariamente (metaforicamente, o secundum quid) al significato; e che per passare dall'impiego diretto di un concetto al suo impiego metaforico è necessario effettuare aggiustamenti e compensazioni al fine di evitare trasposizioni frugali, meccaniche e stupide.
Da questo punto di vista, vedremo che teoricamente tutti i generi letterari possono essere indifferentemente messi in prosa o versi (o in gradazioni distinte di una combinazione), e che in effetti sono stati così messi, secondo il gusto e la preferenza delle epoche. Se oggi sembra un po' strano scrivere trattati di fisica in metrica e rima, agli antichi greci la prosa poetica simbolista non sarebbe sembrata meno strana.
Insistiamo sul fatto che l'esistenza di varie gradazioni di miscela, e persino di miscele quasi ineccepibili, non cambia nulla del concetto generale: il fatto che il Nordest non sia né a Nord né a Est non elimina l'esistenza di Nord ed Est, che devono rimanere in posizione affinché qualcuno possa stare a Nordest. Il culto ossessivo delle eccezioni – che alla fine possono sempre ritornare alla regola, se un'opera ne valesse la pena – non proviene da nient'altro che dal gusto per quello che Ortega y Gasset chiamava "la filosofia dei gatti grigi".
Prima di addentrarci nella discussione di generi specifici, dobbiamo spiegare che la distinzione dei generi è del tutto diversa da quella di verso e prosa. È una duplice differenza:
- Il verso e la prosa sono differenziati in base al numero – o all'ordine o alla relazione – mentre i generi letterari si differenziano in quanto riflettono le categorie di spazio e tempo e le varie modalità di spazio e tempo. Il verso e la prosa sono "categorie" o generi di generi; comprendono tutti i generi così come il numero comprende lo spazio e il tempo.
- Se i generi sono corpora di possibilità e se questi corpora sono distinti l'uno dall'altro, allora ogni corpus si definisce come un principio o una regola per la strutturazione della materia presa nel suo insieme, mentre il verso e la prosa sono principi per la strutturazione del parti più piccole – frasi ed espressioni – considerati separatamente. Una tragedia è una tragedia perché la totalità degli eventi narrati concorre necessariamente ad un tragico esito secondo la regola della tragedia, sebbene ci possano essere, qua e là, lungo l'opera, elementi piacevoli o comici. Ma i versi sono versi perché le loro frasi sono sezionate e cucite, una per una, secondo un qualche tipo di modulo reiterativo; e la prosa è prosa perché le sue frasi si susseguono in un flusso continuo, senza impegno alla reiterazione. Per sapere se un'opera è scritta in versi o in prosa, è sufficiente leggere alcuni paragrafi o anche solo guardare la disposizione del testo sulla pagina, mentre per sapere se un'opera è una commedia o una tragedia, a meno che sia indicato sulla copertina, dobbiamo leggerlo interamente e conoscere le intime connessioni tra i suoi elementi e livelli di significato.
I generi, come dicevamo, sono corpi di possibilità per la combinazione di una data materia letteraria, e questi corpi si distinguono l'uno dall'altro riflettendo nella loro struttura interna le altre due grandi dimensioni dell'esistenza corporea: il tempo e lo spazio. Da qui la prima grande divisione dei generi: la modalità temporale o successiva è espressa nei generi narrativi e la modalità spaziale o simultanea nei generi espositivi. Le suddivisioni interne di questi generi – o, se volete, le loro specie – saranno definite, quindi, secondo le numerose modalità di spazio e tempo, modalità che, a loro volta, si distinguono per numero: continuo e discontinuo. Tempo continuo – o non terminato; tempo discontinuo – o terminato: questo è il criterio per la distinzione dei generi narrativi. Spazio continuo - o comprendente la totalità; spazio discontinuo – o suddiviso in luoghi distinti: questo è il criterio per la distinzione dei generi espositivi.[4]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Si veda Laleh Bakhtiar, Sufi. Expressions of the Mystic Quest, Thames & Hudson, 1979, pp. 10-11; anche René Guénon, Symboles de la Science Sacrée, Gallimard, 1962. Capp. VIII-XIII.
- ↑ René Guénon, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Gallimard, 1945, Cap. XXX.
- ↑ La distinzione esclusivamente semantica è sostenuta da Massaud Moisés, op. cit., Cap. IV.
- ↑ Per un discorso generale sui tipi di testo, si veda s.v. "Tipi di testo", di Letizia Lala, Enciclopedia dell'Italiano (2011), su Enciclopedia Treccani.