Interpretare Gesù in contesto/Gesù altrove

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"Gesù Cristo", incisione secondo Guido Reni, ca. 1680

Gesù altrove: interpretare Gesù in un contesto giudaico[modifica]

Nonostante una grande quantità di dibattiti e discussioni, il Gesù della storia sembra essere stato smarrito.[1] Negli ultimi anni il pubblico e la comunità accademica sono stati presentati con una varietà di Gesù storici, alcuni plausibili, altri non tanto. Il difetto principale dei ritratti implausibili, specialmente quelli emanati dal Jesus Seminar nordamericano e dai suoi simpatizzanti, è il contestuale posizionamento errato di Gesù. Gesù è stato sollevato via dal suo contesto giudaico e ricollocato in quello che dovrebbe essere un ambiente ellenistico più adatto.

A mio avviso, ciò che spesso ci rimane non è realmente il Gesù storico, ma il Gesù politicamente corretto della fine del ventesimo secolo. La collocazione di Gesù in un quadro cinico, ad esempio, è per certi versi probabilmente il risultato più curioso, per non dire dubbio, della ricerca neotestamentaria fino ad oggi. L'ipotesi cinica col tempo sarà sicuramente consegnata alla pattumiera di ipotesi mal concepite, ma sarà comunque utile ricorrere ad essa come nostro punto di partenza.

La riluttanza del cristianesimo a consentire a Gesù di risiedere nel suo contesto giudaico è di per sé un elemento di interesse, con una storia che risale alla stesura dei Vangeli del Nuovo Testamento, in particolare il quarto. La tendenza a collocare Gesù al di sopra dell'ebraismo è in una certa misura comprensibile, dato lo sviluppo della cristologia, in cui Gesù è visto come salvatore universale (e non semplicemente il Messia di Israele), e data la rapida espansione della chiesa primitiva, in cui i suoi membri diventavano prevalentemente gentili (e quindi in gran parte privi di interesse e di comprensione per l'ebraismo e per il popolo ebraico).

Anche negli ultimi due secoli, che consideriamo l'era della ricerca biblica critica, la riluttanza a collocare Gesù nel suo contesto giudaico è evidente.[2] Che una piena e corretta comprensione del contesto giudaico non sia diventata un luogo comune negli studi del Nuovo Testamento è in parte a causa di gravi carenze nei campi di studio pertinenti e affini. Il tentativo di Gustaf Dalman di comprendere la lingua di Gesù in termini di aramaico,[3] da cui Joachim Jeremias anni dopo cercò di isolare l’ipsissima verba Jesu, fu messo in discussione a causa del suo appello a documenti aramaici che postdatano il tempo di Gesù di diversi secoli.[4] Questo problema vizia anche in larga misura il tentativo di Matthew Black di affrontare le difficoltà esegetiche e le incertezze testuali nei Vangeli e negli Atti facendo appello all'aramaico.[5] Il raffinamento nello studio dei Targum aramaici e l'aggiunta di una quantità significativa di materiale aramaico dai tempi di Gesù – grazie soprattutto alla scoperta dei Rotoli del Mar Morto – hanno permesso di compiere progressi più sicuri in questo campo.[6] In effetti, aspetti importanti dell'interpretazione da parte di Gesù del regno di Dio sono stati chiariti mediante un uso giudizioso del Targum Isaia.[7] Ciononostante, le debolezze percepite nei precedenti tentativi di Dalman e dei suoi successori tendevano a scoraggiare gli studiosi neotestamentari dal prendere un approccio aramaico su Gesù e sui Vangeli.

L'incapacità di apprezzare il contesto giudaico di Gesù è anche in parte dovuto alla consapevolezza ormai diffusa delle carenze presenti nella massiccia raccolta di paralleli rabbinici e neotestamentari di Paul Billerbeck nel suo Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch.[8] Questo lavoro è stato criticato da molti, soprattutto negli ultimi anni. I problemi più comunemente citati hanno a che fare con l'incapacità di trattare i paralleli nel loro pieno contesto letterario e tradizionale, l'accettazione acritica dell'attribuzione dei detti rabbinici, e l'assunto che la letteratura midrashica e talmudica descriva accuratamente il periodo del Secondo Tempio.[9]

Lo studio critico della letteratura rabbinica, che è ancora nelle sue fasi iniziali, lo studio critico dei Targum e la recente pubblicazione dell'intero corpus dei Rotoli del Mar Morto, rendono possibile guardare nuovamente a Gesù nel suo contesto giudaico, questa volta con maggiore precisione. È ironico che in un momento in cui il potenziale per studiare Gesù in un contesto ebraico non è mai stato più propizio, così tanti oggi cerchino di collocarlo in altri contesti.

Questo Capitolo parla di tale problema ed è presentato in due parti: (1) il Gesù fuori luogo, smarrito e (2) Gesù nel suo contesto giudaico. La prima parte spera di esporre gli errori e le conseguenze di mettere Gesù nel contesto sbagliato, in questo caso un contesto cinico e relativamente non-ebraico. La seconda parte tenta di mostrare come Gesù, nel suo insegnamento e comportamento, sia a suo agio nel mondo dell'ebraismo palestinese del I secolo e che, se collocato nel suo giusto contesto, il suo insegnamento e il suo comportamento hanno un senso.

Gesù smarrito[modifica]

Secondo l'ipotesi delle due fonti, il Vangelo di Matteo e il Vangelo di Luca furono scritti indipendentemente, ciascuno usando il Vangelo di Marco come base più un altro documento, detto "Fonte Q", per il materiale comune ai due vangeli ma non presente in Marco

██ Marco

██ Q

██ Matteo (materiale esclusivo)

██ Luca (materiale esclusivo)

Burton Mack negli anni ’90 pubblicò un libro intitolato The Lost Gospel: The Book of Q and Christian Origins. Come chiarisce il sottotitolo, il libro si occupa dell'ipotetica fonte chiamata Q, che molti studiosi del Vangelo pensano sia stata utilizzata dagli evangelisti Matteo e Luca. Il libro cerca di spiegare le origini della storia di Gesù, in particolare sotto la forma di "Q", che Mack pensa sia stato il primo Vangelo scritto. Egli crede che la prima comunità Q comprendesse Gesù in termini più simili al cinismo che all'ebraismo. Vale a dire, Gesù era visto come iconoclasta e controculturale, non affermando l'eredità di Israele e le aspirazioni escatologiche. Di conseguenza, Mack dice: "Come ricordato dal popolo di Gesù, Gesù era molto più simile al maestro cinico che a un Cristo-Salvatore o a un messia con un programma di riforma sociale e religiosa ebraica del Secondo Tempio".[10] Mack continua a fare appello alle tradizioni premarciane e al Vangelo di Tommaso per sostenere una visione che ha colpito la maggior parte degli studiosi neotestamentari e degli studiosi di Gesù come implausibile.

Lo studio di Mack su Q è più o meno il continuo del suo precedente studio del Vangelo di Marco, pubblicato a fine anni ’80 e intitolato A Myth of Innocence: Mark and Christian Origins. Discutendo dallo stile del ministero di Gesù e da quella che crede essere stata l'essenza del suo messaggio, Mack conclude che i contemporanei di Gesù avrebbero prontamente riconosciuto il maestro galileo come un cinico. Due citazioni di questo libro riassumono l'essenza della sua prospettiva. Secondo il biblista statunitense:

  • L'uso di parabole, aforismi e risposte argute da parte di Gesù è molto simile al modo in cui i cinici usano le parole. Molti dei suoi temi sono temi cinici familiari. E il suo stile di critica sociale, diffidente e vago, concorda anche con la tipica posizione cinica.
  • L'autoconsapevolezza del cinico deve essere presa sul serio come quella che molti del resto avrebbero dovuto aspettarsi da Gesù. Non solo lo stile di critica sociale da parte di Gesù si confronta favorevolmente col cinismo, ma anche i suoi temi e argomenti sono molto più vicini all'idioma cinico che non a quelli caratteristici del pietismo ebraico pubblico. Si cerca invano un impegno diretto di interessi specificamente ebraici. La critica che Gesù fa nei suoi discorsi non viene diretta specificamente alle questioni istituzionali ebraiche, né le sue raccomandazioni attingono a concetti e autorità chiaramente ebraiche... L'analogia cinica riposiziona il Gesù storico lontano da un ambiente settario specificamente ebraico e verso l'ethos ellenistico noto per aver prevalso in Galilea.[11]

Le affermazioni negative di Mack qui sono semplicemente mozzafiato. Non meno sorprendenti sono i commenti laudatori sul retro di copertina del suo libro. Ad esempio, Werner Kelber afferma: "A Myth of Innocence is the most penetrating historical work on the origins of Christianity written by an American scholar in this century (= A Myth of Innocence è l'opera storica più penetrante sulle origini del cristianesimo scritta da uno studioso americano in questo secolo). A questa iperbole Ron Cameron aggiunge: "A Myth of Innocence is surely one of the most important studies of the origins of Christianity since Schweitzer’s Quest (= A Myth of Innocence è sicuramente uno degli studi più importanti sulle origini del cristianesimo dai tempi del Quest di Schweitzer). Veramente. Recensori e studiosi, tuttavia, non sono stati così euforici.[12]

Praticamente ogni disconoscimento che Mack fa nella seconda citazione supra è falsa. Ma esaminiamole tutte e due a turno.

In primo luogo, Mack afferma: "Lo stile di critica sociale di Gesù si confronta favorevolmente col cinismo". A questo rispondo, no, in realtà non si confronta proprio per niente. Lo stile di critica sociale di Gesù differisce notevolmente dallo stile cinico in molti punti (di più su questo cfr. sotto). Inoltre, nella prima citazione Mack aggiunge che "anche lo stile di critica sociale di Gesù, diffidente e vago, concorda con la tipica posizione cinica". In che modo la critica sociale di Gesù è "diffidente e vaga"? La sua critica feroce ai farisei, con i quali differiva in materia di halakhah e di interpretazione della missione, e le sue critiche e minacce profetiche dirette contro l'establishment del Tempio sono tutt'altro che diffidenti e vaghe. A dire il vero Gesù, quando vuole e la situazione lo richiede, può essere estremamente astuto e intelligente. Affronta abilmente le domande sulla sua autorità (Marco 11:27-33) e se creda o meno che le tasse debbano essere pagate a Roma (Marco 12:13-17). Ma le sue risposte ambigue in queste occasioni non esemplificano diffidenza, ma discrezione strategica.

"Diogene cerca l'Uomo", olio di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein (XVIII sec.)

Impressionato dai parallelismi di Gerald Downing tra i detti di Gesù e quelli che si pensava fossero stati pronunciati dai cinici o fossero rappresentativi del pensiero e del comportamento cinici,[13] e accettando prontamente le conclusioni raccomandate da Mack, anche Dom Crossan ha sostenuto che la filosofia e lo stile di vita del cinico fornisce il modello più vicino al quale si dovrebbe guardare Gesù.[14] Il cinico portava tipicamente un mantello (τρίβων), una sacca da mendicante (πήρα), un bastone (βακτηρία), e di solito andava a piedi nudi (vedi Giuliano, Orationes 6.201A). Il cinico era "controculturale", spiega Crossan, e "sembrava sufficientemente diverso da ciò che era normale per gli standard sociali contemporanei".[15] Il cinico si considerava libero sotto Zeus e spesso si considerava il collaboratore della divinità. L'implicazione di queste osservazioni, ritiene Crossan, è che Gesù stesso fosse un cinico ebreo.

Ci sono paralleli superficiali, certo. Il ministero itinerante di Gesù, il suo modo modesto di mezzi e abiti, il suo ripudio del potere politico e del materialismo, le sue pratiche egualitarie, il suo celibato e la sua critica dell'establishment religioso sono tutti in linea con la teoria e la pratica tipiche dei cinici del I secolo, almeno per quanto possiamo determinare. Ma poi, alcune di queste caratteristiche sono anche vere per gli Esseni e vari altri individui ebrei (e vere, potrei aggiungere, per i profeti di Israele del periodo classico). Erano anche loro cinici?

I sostenitori dell'ipotesi cinica di solito fanno appello al Discorso Missionario: "Comandò loro di non prendere niente per il viaggio; né pane, né sacca (πήρα), né denaro nella cintura, ma soltanto un bastone (ῥάβδον) ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche (χιτὧν)" (Marco 6:8-9). Nei paralleli di Matteo e Luca, anche il bastone è escluso (Matteo 10:10; Luca 9:3;10:4). In contrasto con le istruzioni di Gesù, i cinici presero una borsa e un bastone; in effetti, questi oggetti erano i loro segni caratteristici: "Ciò che rende cinico un cinico è la sua borsa e il suo bastone e la sua grande bocca" (Epitteto 3.22.50; cfr. Luciano, De Morte Peregrini 15; Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi illustri 6.13; Ps.-Diogene 30.3).[16] Tuttavia, l'unico parallelismo con Gesù è nel dare istruzioni su cosa indossare e cosa portare nel proprio viaggio. L'unica concordanza specifica è quella di prendere il bastone (se seguiamo Marco; se non lo facciamo, non c'è concordanza). La verga, tuttavia, è difficilmente distintiva dei cinici. Al contrario, nel contesto ebraico il bastone ha una lunga e distinta associazione coi patriarchi (ad esempio, Genesi 32:10 [Giacobbe]; 38:18 [Giuda]), e col grande legislatore e suo fratello (ad esempio, Esodo 4:4 [Mosè]; 7:9 [Aronne]). Inoltre, è anche un simbolo d'autorità regale, che figura in testi che in una successiva interpretazione assumono un significato messianico ed escatologico (ad esempio, Genesi 49:10; Isaia 11:4; Esdra 19:14). Il parallelo con gli Esseni è più stretto di quello coi cinici (Flavio Giuseppe, J.W. 2.8.4 §125–127).

Secondo Giuliano, "il fine e lo scopo della filosofia cinica... è la felicità, ma una felicità che consiste nel vivere secondo natura..." (Orationes 6.193D). Ciò non coincide con ciò che si conosce di Gesù, il cui scopo principale era vivere sotto l'autorità di Dio, come attestato nella Scrittura e sperimentato attraverso il Suo Spirito.

I cinici, inoltre, erano noti per aver deriso le usanze sociali e l'etichetta, come urinare, defecare e avere rapporti sessuali in pubblico (cfr. Cicero, De officiis 1.128; Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi illustri 6.69; Epitteto, Discorsi 2.20.10 ["Mangia e bevi e copula e defeca e russa"]; Seneca, Epistulae morales 91.19 ["Che differenza fa per me", chiede, "da quale estremità esce il rumore?"). Niente di tutto questo assomiglia in alcun modo a ciò che si sa di Gesù e dei suoi primi seguaci.

In secondo luogo, Mack pensa che "i temi e gli argomenti (di Gesù) siano molto più vicini all'idioma cinico che a quelli caratteristici del pietismo ebraico pubblico". Una simile affermazione può essere fatta solo da qualcuno che non conosce a sufficienza la lingua e i temi dei Rotoli del Mar Morto, gli apocrifi e gli pseudepigrafi ebraici e la prima letteratura rabbinica. Un attento esame dei paralleli tra Gesù e le presunte tradizioni ciniche che Downing ha addotto rivela che questi "paralleli" sono di solito abbastanza generali. Inoltre, molti dei paralleli di Downing sono con fonti probabilmente non ciniche, quindi alcuni di questi paralleli riflettono il mondo mediterraneo della tarda antichità più di quanto non facciano i tratti distintivi cinici.

Nonostante i suoi difetti, il gran numero di paralleli tra i detti di Gesù e la tradizione rabbinica compilati nel Kommentar di Paul Billerbeck (che Mack non cita da nessuna parte nei suoi libri) attesta la stretta correlazione tra il primo linguaggio rabbinico e i temi e gli argomenti di Gesù. Ci sono paralleli impressionanti tra Gesù e i rabbini in parabole, proverbi e preghiere.[17] Sebbene il lavoro di Billerbeck sia stato criticato in molti punti, è ampiamente riconosciuto che la miriade di paralleli assemblati in quest'opera attesta drammaticamente l'ebraicità del contenuto e della forma del discorso e del comportamento di Gesù.

In terzo luogo, Mack fa la sorprendente e assurda affermazione che "Si cerca invano un impegno diretto di interessi specificamente ebraici". Al contrario, Gesù impegna i suoi contemporanei in questioni relative alla purezza e al Sabbath, i principali segni attraverso i quali le persone della tarda antichità riconoscevano prontamente una persona ebrea. Sebbene Gesù sia spesso criticato per aver mantenuto un'intesa halakhica diversa da quella degli altri maestri, da nessuna parte nelle sue risposte troviamo indicazioni che Gesù denigrasse o rifiutasse i soggetti stessi della Legge. Non ci sono buone ragioni per porre i particolari dell'insegnamento di Gesù al di fuori dei parametri della pratica religiosa ebraica e del dibattito ebraico della tarda antichità.

Forse un impegno ancora più pronunciato con gli interessi ebraici si vede nella proclamazione di Gesù del regno di Dio. Un messaggio del genere avrebbe sensibilizzato direttamente le speranze ebraiche di redenzione nazionale. Qui sta una stragrande debolezza nell'approccio "cinico" che Mack e altri hanno adottato. Mack afferma che la frase "regno di Dio" è piuttosto rara nella letteratura ebraica non cristiana.[18] L'implicazione è che questo theologoumenon sia più un concetto cristiano e post-Gesù, non qualcosa che deriva direttamente dall'ebraismo. A questo Bruce Chilton ha risposto in termini intransigenti: "Siamo chiari: Mack ha torto, e il suo tentativo di interpretare la predicazione di Gesù esclusivamente sulla base di antecedenti ellenistici riesce solo nella misura in cui testi giudaici come i Targum a lungo conosciuti e studiati vengono volontariamente ignorati dagli studiosi che dovrebbero saperne di più che impegnarsi in tali speciali profferte."[19] Chilton ha ragione.

Il concetto del governo di Dio è radicato nella Scrittura stessa. L'espressione "regno di YHWH" ricorre in 1 Cronache 28:5; 2 Cronache 13:8. Ci sono anche riferimenti indiretti al regno di Dio, in cui viene usato un pronome (cfr.1 Cronache 29:11; Salmi 22:28; Obadia 21; Daniele 4:3,34;7:27; Salmi 22:28;103:19;145:11-13). Inoltre, nelle Scritture Ebraiche Dio è spesso chiamato "re" (מלד) si dice che "regni" (מלד). Si pensa soprattutto ai Salmi di intronizzazione (ad esempio, 47,93,96-99) dove si sente spesso il ritornello "YHWH è diventato re!" A parte i Vangeli e gli scritti del Nuovo Testamento, la frase greca è certamente rara, con Sal. Sal. 17: 3 (ή βασιλεία τοῦ θεοῦ ἡμῶν) e Sap. 10:10 (βασιλείαν θεοῦ) che forniscono esempi. Filone parla allo stesso modo di Dio come re (Cherub. 29; Post. Caini 5, 105 [πρῶτος καὶ μόνος τῶν ὅλων βασιλεὺς ὁ θεός ἑστι]; Agric. 51, 78; Conf. Ling. 173, parafrasando Deuteronomio 10:17; Migr. Abr. 146; e molti altri). Ma la rarità dell'espressione in greco significa ben poco nella discussione sulla dizione del Gesù di lingua aramaica.

Chilton attira la nostra attenzione su diversi esempi importanti delle apparizioni della frase aramaica דאלהא / דיהוה מלכוהא ("regno di Dio/YHWH"), che ricorre dieci volte in otto passaggi (Tg. Isa. 24:23; 31:4; 40:9; 52:7; Tg. Ez. 7:7, 10; Tg. Obad. 21; Tg. Mic. 4:7, 8; Tg. Zacc. 14:9). Di particolare interesse è il Tg. Mic. 4:7-8, in cui l'apparizione del regno di Dio è associata alla venuta del Messia.[20] La maggior parte di questi passaggi parlano dell'apparizione o della rivelazione del regno di Dio e quindi la concepiscono in termini escatologici.

I Rotoli del Mar Morto contribuiscono alle determinanti prove targumiche di Chilton. Qui si trovano riferimenti al regno di Dio (anche se quasi sempre utilizzando il pronome personale) nelle varie edizioni dell'Inno del Sacrificio del Sabbath. Questi riferimenti includono "il suo regno" (4Q403 1 i 32), "il suo regno altissimo" (4Q403 1 i 8; 1 i 14; 4Q405 3 ii 4; MasSS 2:20), "il suo regno glorioso" (4Q403 1 i 25; 4Q405 23 i 3; ii 11-12), "tutto il Suo regno" (4Q403 1 i 32-33), "il tuo regno" (4Q400 1 ii 3; 2 1; 4Q401 14 i 7), "il tuo glorioso regno" (4Q401 14 i 6) e "il glorioso regno del Re di tutti gli d[ei]" (4Q405 24 3).[21]

Sebbene non sia così frequentemente attestato, l'idea del regno di Dio si trova anche in molti degli scritti pseudepigrafali. Secondo Giub. 1:28 Dio è "re" che governa "sul monte Sion nei secoli dei secoli". In previsione della restaurazione di Israele, il patriarca Dan profetizza che "il Santo governerà [βασιλεύων] su di loro" (T. Dan 5:13). L'autore del Testamento di Mosè predice l'apparizione del regno di Dio dopo che Israele avrà sopportato un periodo di ira: "Allora il suo regno (di Dio) [regnum illius] apparirà... Poiché il Celeste sorgerà dal suo trono regale [a sede regni sui]" (T. Mosè 10:1, 3).

Sullo sfondo di tale dizione e immagini la proclamazione da parte di Gesù del regno di Dio non solo sarebbe stata intelligibile, ma sarebbe stata prontamente percepita come se parlasse alle speranze e alle aspettative di molti dei suoi contemporanei ebrei. La speranza dell'apparizione del regno di Dio, in cui i torti vengono rimessi, il male è bandito e le persone sono rivivificate spiritualmente e fisicamente, non potrebbe essere più inconsistente con il pensiero e il comportamento cinico.

In quarto luogo, Mack aggiunge: "Né la critica che Gesù fa nei suoi discorsi non viene diretta specificamente alle questioni istituzionali ebraiche". Questo disclaimer, tuttavia, non è convincente. La dimostrazione di Gesù nel recinto del Tempio, un atto che molti considerano giustamente una tradizione fondamentale, era diretta specificamente verso la politica e la pratica della singola istituzione ebraica più importante. Come Mack possa affermare quello che afferma, è molto difficile da comprendere. La sua affermazione negativa è parte integrante della sua dubbia asserzione che l'esecuzione di Gesù non ebbe nulla a che fare con il suo ministero, ma fu probabilmente lo sfortunato risultato d'essere stato "associato a una dimostrazione". Mack crede che il legame tra le attività pubbliche e gli insegnamenti di Gesù e il suo successivo arresto, interrogatorio ed esecuzione sia stata un'invenzione letteraria e teologica da parte dell'evangelista marciano.[22] Anche in questo caso il ragionamento di Mack è difettoso, e la sua interpretazione errata e la trascuratezza delle fonti pertinenti sono eclatanti.[23]

Mack crede che il racconto di Marco dell'azione di Gesù nel Tempio sia una finzione, perché non trova prove di un orientamento anti-Tempio da parte di Gesù. Dove Mack va fuori strada è nel pensare che l'azione di Gesù dovrebbe essere intesa in termini anti-tempio. Se avesse considerato paralleli storici, avrebbe potuto pensare meglio. Ad esempio, gli insegnanti che durante una festa religiosa incitarono la folla a tirare limoni ad Alessandro Ianneo, il sacerdote asmoneo (c. 100 p.e.v.) che si stava preparando a offrire un sacrificio (cfr. Flavio Giuseppe, Ant. 13.13.5 §372–373), lo fecero non a causa di un pregiudizio anti-Tempio, ma a causa di un'intensa lealtà per la purezza del Tempio e la santità dell'ufficio di Sommo Sacerdote.[24]

"Diogene il Cinico", olio di Jean-Léon Gérôme (1860)

Similmente, Gesù fa appello agli oracoli profetici al momento della sua azione nei recinti del Tempio (Marco 11:17), oracoli che nel caso di Isaia 56 attendevano con ansia un'era gloriosa in cui il Tempio di Gerusalemme sarebbe stato apprezzato e onorato dal mondo.[25] Ma a causa della commercializzazione e della concomitante riduzione dei pragmata del sacrificio,[26] Gesù si appellò al minaccioso oracolo di Geremia 7. Chiamando il Tempio un "covo di ladroni" Gesù non era più anti-Tempio di quanto non lo fosse stato il primo grande profeta templare Geremia. Il disappunto che Gesù espresse nei riguardi dell'istituzione del Tempio per non aver conseguito la funzione esaltata prevista in Isaia 56 sottolinea escluysivamente la lealtà di Gesù al Tempio e la sua fede nella sua importanza duratura. In breve, l'azione di Gesù nei sacri recinti offre la prova della disposizione esattamente opposta di ciò che Mack immagina erroneamente. L'azione di Gesù nel Tempio fornisce una prova convincente e significativa che le questioni istituzionali ebraiche erano al centro del programma di Gesù.

In quinto luogo, Mack non solo afferma che la critica di Gesù non era diretta specificamente verso le questioni istituzionali ebraiche, ma aggiunge anche che le "raccomandazioni di Gesù (non) attingono a concetti e autorità ovviamente ebraiche". Questa è una strana dichiarazione di non responsabilità in considerazione del frequente appello di Gesù alla Scrittura e al retaggio ebraico. Sebbene non tutte le citazioni o parafrasi della Scrittura attribuite a Gesù derivino necessariamente da Gesù,[27] la tendenza di Mack e di molti partecipanti al Jesus Seminar di respingere questo materiale è del tutto ingiustificata. È proprio a questo punto che il Jesus Seminar ha ricevuto alcune delle sue critiche più acute.[28] In effetti, Chilton ha plausibilmente sostenuto che Gesù dovrebbe essere visto come un rabbino, sia nel suo modo di comportarsi (nell'insegnare ai discepoli) che nel suo stile di argomentazione scritturale, che in molti punti è coerente con temi, esegesi e dizione della parafrasi aramaica della Scrittura.[29] Con riferimento al suo comportamento, l'azione di Gesù nel Tempio ricorda le proteste guidate dai maestri in epoca asmonea ed erodiana e anticipa proteste, didattiche o profetiche, negli anni che precedettero la grande guerra nel 66-70 e.v.[30]

In sesto e ultimo luogo, Mack afferma che "l'analogia cinica riposiziona il Gesù storico lontano da un ambiente settario specificamente ebraico e verso l'ethos ellenistico noto per aver prevalso in Galilea". Le prove, tuttavia, proprio non supportano tale conclusione. Le due città più grandi ed ellenizzate della Galilea erano Zippori e Tiberiade. La prima è a circa due ore a piedi da Nazaret, la città di Gesù. Curiosamente, non c'è traccia che Gesù abbia mai visitato nessuna di queste due città durante il suo ministero. Inoltre, nessuna prova è stata ancora addotta, né archeologica né letteraria, a dimostrare che i cinici vivessero in queste città o in qualsiasi altro luogo della Galilea all'inizio del I secolo.[31] L'"analogia cinica" non riposiziona il Gesù storico lontano da un ambiente ebraico, poiché l'analogia rimane non dimostrata, impropria e altamente improbabile.

Mack, inoltre, dice che "l'uso di parabole, aforismi e risposte intelligenti da parte di Gesù è molto simile al modo in cui i cinici usano le parole". Questo è vero, ma solo superficialmente. Ciò che viene trascurato è che l'uso di parabole, aforismi e risposte intelligenti da parte di Gesù è più vicino al modo in cui i rabbini usano le parole. Ancora una volta, si dovrebbe attirare l'attenzione sulla massa di paralleli assemblati da Billerbeck e sull'ampia letteratura accademica che è stata prodotta negli ultimi anni da studiosi che studiano Gesù alla luce dei Rotoli del Mar Morto e dei primi Judaica.

Mack afferma inoltre che "Molti dei temi (di Gesù) sono familiari temi cinici". Di nuovo, questo è vero solo in un senso molto generale. I temi di Gesù sono infatti familiari temi rabbinici. Ad esempio, circa la metà delle circa 325 parabole tannaitiche raffigurano Dio come un re; allo stesso modo, circa la metà delle parabole di Gesù riguardano il regno di Dio. I parallelismi tematici e strutturali tra le parabole di Gesù e le parabole dei rabbini sono vasti, tanto che un recente interprete delle parabole suggerisce correttamente che Gesù e i rabbini si siano basati su un comune thesaurus di vocabolario e immagini.[32]

In sintesi, i paralleli di Downing sono per la maggior parte abbastanza generali; i migliori parallelismi che egli adduce frequentemente sono con Giuseppe Flavio, Filone, altra letteratura ebraica antica e letteratura rabbinica. David Aune commenta che mentre "i paralleli isolati sono interessanti da una prospettiva fenomenologica, solo le strutture parallele di pensiero e comportamento possono essere considerate come aventi una possibile relazione storica o genetica. Masse di paralleli isolati dimostrano poco..." (suo corsivo).[33] Il punto di vista di Aune è molto giusto e fondato. Quando si tiene conto del contesto e della struttura più completi del pensiero e del comportamento di Gesù, siamo colpiti dal suo rapporto con l'ebraismo della tarda antichità e dalle questioni che preoccupavano molti dei suoi correligionari.

I paragoni di Crossan e Mack con i cinici sono utili in quanto ci aiutano a comprendere meglio il contesto sociale in cui Gesù sarebbe stato visto dai suoi contemporanei. Alcuni aspetti del ministero di Gesù sarebbero probabilmente apparsi "cinici", almeno superficialmente, all'aristocrazia ebraica e all'establishment religioso dei suoi giorni. Ma le prove sono ben lungi dal portare alla conclusione che Gesù in realtà pensasse a se stesso come un cinico.

Il problema principale con la proposta di Crossan e Mack è che non siamo troppo sicuri di cosa fosse veramente il vero cinico. La maggior parte del nostro materiale primario è stata tramandata dagli stoici, i cui ritratti idealizzati forniscono a malapena il realismo necessario per confronti validi (vedi, ad esempio, Epitteto, Discorsi 3.22). Il cinismo si evolse nel corso di diversi secoli e aveva già circa quattro secoli al tempo di Gesù. Non esiste un corpo di dottrina o una descrizione coerente di prima mano (come nell'epicureismo o nello stoicismo). Tuttavia, Crossan, Mack e altri pensano di poter ricostruire il cinismo attingendo a fonti che abbracciano circa sei secoli. Prendendo e scegliendo, principalmente dal Christ and the Cynics di Gerald Downing, una raccolta di "paralleli" simile a quella di Strack-Billerbeck, Crossan e compagnia bella trovano diversi punti di contatto che li portano a concludere che Gesù era un cinico ebreo.

Mentre è vero che sia i cinici che Gesù erano in un certo senso controculturali, l'opposizione di Gesù alle istituzioni del suo tempo, per quanto ne sappiamo, era abbastanza distintiva dall'opposizione espressa dai cinici. In effetti, probabilmente non è corretto nei confronti dei cinici parlare di "opposizione". I cinici non si opposero alle loro rispettive culture e istituzioni, per quanto li disprezzassero. Non c'era interesse a riformare o restaurare la società, come probabilmente c'era nel caso di Gesù. I cinici riversavano disprezzo sulla società e su ciò che consideravano la sua vanità e futilità. Erano i vandali e gli anarchici della tarda antichità. Ridicolizzarono ciò che la società considerava sacro. Un'analisi più approfondita e più ampia del cinismo rivela che in realtà c'è un ampio divario tra i cinici e Gesù.

A questo punto vorrei riassumere quattro dei principali problemi che affliggono l'ipotesi cinica:

  1. Mack, Crossan e altri presumono che i cinici vivessero nella maggior parte delle grandi città al tempo di Gesù. Le prove archeologiche e letterarie suggeriscono che il cinismo fosse in declino all'inizio del I secolo. Una tale ipotesi è quindi del tutto priva di giustificazione.
  2. Mack e soci presumono che i cinici fossero presenti a Zippori, una città vicino a Nazaret, in cui probabilmente operavano Gesù e membri della sua famiglia. Tuttavia, non ci sono prove archeologiche o letterarie della presenza di cinici nella Galilea del I secolo.[34] Al contrario, ci sono prove sia letterarie che archeologiche della presenza in questa città di sinagoghe, rabbini ed ebrei osservanti della Torah.
  3. Mack e soprattutto Crossan presumono che Gesù sarebbe caduto sotto l'influenza di un cinico o di uno dei cinici incontrati a Zippori. Ma l'annuncio di Gesù del regno di Dio, i suoi dibattiti con gli insegnanti religiosi riguardo al significato e l'applicazione della Scrittura, il suo essere spesso chiamato "rabbì", la coerenza di dizione e tematica del suo insegnamento con le parafrasi aramaiche della Scrittura che emergono nella sinagoga, il suo pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua e il suo insegnamento nel Tempio, militano tutti contro questo punto di vista. Gesù è meglio compreso come un ebreo religioso impegnato a discutere argomenti di grande interesse per molti ebrei, che vivevano in Giudea e in Galilea.
  4. Le istruzioni di Gesù ai suoi discepoli in realtà sono in tensione con le caratteristiche con cui i cinici sono meglio conosciuti (il bastone, la sacca del mendicante e il mantello consumato). La natura riparatrice del suo messaggio ("Il regno di Dio è giunto") e il suo ministero di guarigione, esorcismo e socializzazione, sono nettamente in tensione con il fatalismo cinico e la propensione all'allontanamento dalla società. Inoltre, non vi è alcuna testimonianza che durante il suo ministero Gesù abbia mai visitato Zippori o Tiberiade, i due più grandi centri urbani della Galilea. Se Gesù fosse stato veramente un cinico, influenzato dai cinici di Zippori, come spieghiamo questa omissione?[35]

No, il modello "cinico" non chiarisce nulla, ma offusca molto. Gesù enfatizzò la Torah, anzi vi fondò la sua teologia e il suo stile di vita. Pensò e insegnò in un quadro di purezza e pietà ebraica (inclusa la saggezza popolare) e cercò la restaurazione di Israele. Questa aspettativa fu elaborata nella sua proclamazione del regno di Dio e delle opere di potenza mediante le quali Gesù e i suoi sostenitori percepirono una prova tangibile della presenza del regno. In numerosi punti gli insegnamenti di Gesù, le sue pratiche ed osservanze sono strettamente paralleli a quelli dei maestri religiosi del suo tempo.[36]

Chilton riassume bene le prove generali che consigliano il confronto di Gesù coi rabbini del suo periodo:

« Molto di ciò che ci si ricorda Gesù abbia fatto e detto, si adatta bene all'attività rabbinica: la preoccupazione per la purezza e le abluzioni (una preoccupazione che includeva la pratica del battesimo), l'enfasi programmatica sull'insegnamento e la guarigione, lo sviluppo di temi caratteristici nel suo insegnamento (come "il regno di Dio"), il raduno di discepoli per i quali quell'insegnamento era stato presentato in una forma ripetibile o di mishnah (un sostantivo che deriva dal verbo shanah, "ripetere"). La maggior parte dei passaggi che presentano Gesù in disputa con i contemporanei farisaici, scribali e sacerdotali sono anche in linea con alcuni degli argomenti vigorosi che si incontrano nella letteratura rabbinica. In tutti questi aspetti, l'attività di Gesù sembra sostanzialmente simile a ciò che ci si poteva aspettare da un rabbino.[37] »

Questo non vuol dire che Gesù fosse un rabbino e nient'altro. Ma prima di poter iniziare a valutare il suo insegnamento, i suoi obiettivi e la sua comprensione di sé, bisogna metterlo in contesto.

Gesù nel suo contesto giudaico[modifica]

Il posizionamento di Gesù nel suo contesto giudaico appropriato implica lo studio dei paralleli proprio come il posizionamento errato di Gesù in un contesto cinico implica confronti coi paralleli. Ovviamente i paralleli possono essere scivolosi; come le statistiche, i paralleli possono essere usati per provare molte cose.[38] Fatemi illustrare questo punto. La cosiddetta "regola d'oro" di Gesù, che recita: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti" (Matteo 7:12), è spesso paragonato a un detto simile attribuito a Hillel: "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va’ e studia" (b. Shab. 31a).[39] Un simile parallelo offre prove convincenti che collocano Gesù in un contesto giudaico, forsanche rabbinico?

La forma positiva della Regola d'Oro proposta da Gesù non è originale, anche se alcuni commentatori cristiani a volte diano questa impressione. Una forma precedente è attestata nel consiglio di Yeshua ben Sira: "Giudica le esigenze del prossimo dalle tue; e su ogni cosa rifletti" (Siracide 31:15). I commentatori hanno talvolta osservato che la forma positiva di Gesù della Regola d'Oro, se non originale, punta a un'etica più elevata, in quanto "richiedeva una dimostrazione assoluta di amore".[40] In contrasto, la forma negativa della Regola d'Oro, si presume rifletta uno spirito meno generoso. La forma negativa è ampiamente attestata in materiali risalenti al tempo di Gesù e dopo:

E quello che odi, non farlo a nessuno (Tob. 4:15).
Siccome desideri che nessun male ti accada, ma di essere partecipe a tutte le cose buone, così devi agire in base allo stesso principio nei confronti dei tuoi sudditi e trasgressori (Ep. Arist. 207).
Che nessuno faccia ciò che odia sia fatto a lui (Filone, Hypothetica, apud Eusebius, Praep. Ev. 8.7.6).
Nessuno dovrebbe fare al suo prossimo ciò che non piace a se stesso (versione ebraica di T. Naph. 1:6).
Amerai il tuo prossimo, in modo che ciò che ti è odioso non lo farai (Tg. Sal.-J. Lev. 19:18, la parte in corsivo indica dove l'aramaico si discosta dall'ebraico).

Possiamo dedurre da questi esempi che la forma positiva della regola di Gesù rappresentasse un'etica più elevata? No, probabilmente non possiamo. La forma negativa era nota anche ai cristiani, come si vede in Did. 1: 2 ("E tutto ciò che desideri non ti sia fatto, non farlo tu stesso agli altri") e Tommaso §6 ("Non fate ciò che odiate" = con variaz. in POxy 654,5).[41] Non c'è nessuna prova che gli scrittori patristici, che avevano familiarità con entrambe le forme della regola, pensassero che la forma positiva fosse superiore a quella negativa. Inoltre, la forma positiva della regola è attestata nelle fonti ebraiche: in parte nella succitata Epistola di Aristea e integralmente nel successivo 2 Enoc: "Ed ora, figli miei, custodite i vostri cuori da ogni ingiustizia che il Signore odia. Proprio come un uomo chiede la propria anima a Dio, così lo faccia con ogni anima vivente" (61:1–2).

I molti parallelismi con le fonti ebraiche ci obbligano a collocare Gesù in un contesto ebraico? No, non proprio. Si pensi al detto attribuito a Seneca: "Stai attento a non danneggiare gli altri, così gli altri non ti faranno del male" (Epistulae morales 103.3–4). La corrispondenza approssimativa con il detto di Seneca, tuttavia, non implica che la forma della regola di Gesù sia stoica o cinica. In effetti, la forma negativa di Hillel della regola d'oro è più vicina alla forma negativa di Seneca. La forma positiva della regola è attestata anche in altri scrittori non ebrei, come Sesto: "Come desideri che i tuoi vicini ti trattino, trattali parimenti" (Sentenze 89), Cassio Dione (51.34.39) e Isocrate (Ad Nicocleam 49).

Il legame tra la Regola d'Oro e il comando di amarsi l'un l'altro nella versione aramaica di Levitico 19:18 è intrigante, dato che Gesù cita questo passaggio come il secondo dei due grandi comandamenti (Marco 12:28-31). Ma anche qui non abbiamo una tradizione che sia distintiva di Gesù, perché la tradizione del doppio comandamento è attestata nelle fonti ebraiche (vedi discussione sotto). Quello che probabilmente abbiamo qui è un'ulteriore indicazione che l'etica di Gesù era completamente al passo con le opinioni ampiamente condivise dai suoi contemporanei ebrei.

In sintesi, la forma positiva di Gesù della Regola d'Oro è in qualche modo distintiva, in quanto la forma negativa sembra essere stata più comune. Questo fatto può accrescere la sua pretesa di autenticità (in quanto ci si potrebbe aspettare che un topos non dominicale entrato nel flusso dominicale si conformi al formato comune),[42] ma non colloca Gesù in un contesto giudaico più fermamente. Il parallelo è interessante, certo, ma non è determinante. Impariamo poco del programma di Gesù, e nulla che lo distingua dai suoi contemporanei ebrei o finanche dai suoi contemporanei non-ebrei.[43]

Ci sono altri paralleli e punti di interesse comuni che ci dicono cose molto più significative su Gesù. Ma ancora una volta, poiché i cristiani hanno avuto la tendenza a enfatizzare la cristologia e ad esagerare l'unicità, che si pensa sia un requisito della cristologia, importanti punti di sovrapposizione con le espressioni dell'ebraismo al tempo di Gesù sono trascurati o trattati solo di sfuggita.[44]

Il resto di questo Capitolo tratta tre esempi dell'interazione di Gesù con la Legge ebraica. Si dovrebbe pensare che il rispetto di Gesù per la Torah sia chiaramente evidente nei Vangeli. Ma ancora una volta, motivati ​​dal desiderio di elevare Gesù al di sopra dell'ebraismo (che non sembra gradito), gli interpreti cristiani hanno fatto nel corso dei secoli alcune strane affermazioni sull'opposizione di Gesù alla Legge, o sulla sua trascendenza. Lo studio critico della tradizione dominicale non rivela tale tendenza. La citazione dello Shemà (Deuteronomio 6:4-5) da parte di Gesù e l'ingiunzione di amare il prossimo come se stessi (Levitico 19:18) come "comandamento più grande" (cfr. Marco 10:28-34) attesta la lealtà di Gesù alla Torah e al suo presupposto che essa sia normativa. Forse ancora più rivelatrice è la sua risposta allo studioso delle Scritture che gli chiese cosa dovesse fare "per ereditare la vita eterna" (Luca 10:25). Questo passaggio e gli altri passaggi che verranno esaminati, forniscono una prova significativa che Gesù rispettava pienamente la Torah, anche se a volte differiva da alcuni dei suoi contemporanei nella propria interpretazione. Contestare il significato della Scrittura, ovviamente, è una cosa molto ebraica e molto rabbinica.

Lo spazio qui mi consente la discussione di soli tre esempi. Tutti e tre illustrano bene l'adesione di Gesù ai principi cardinali della fede ebraica nella tarda antichità. In alcuni punti possiamo intravedere tratti distintivi, forse anche una misura di originalità. Ma il nostro approccio allo studio di Gesù non è guidato da una ricerca di unicità o originalità.

1. Il Sabbath. Un aspetto dell'insegnamento e del ministero di Gesù che ha provocato polemiche riguardava la sua comprensione del Sabbath. Il fatto che questa controversia sia precoce e diffusa nella tradizione (Marco 3:1-6; Luca 14:1-6; Giovanni 5:9-17;7:22-24;9:14-16) e si sarebbe dimostrata imbarazzante per la chiesa primitiva, che era prevalentemente ebraica, raccomandano la sua autenticità.[45] La storia narrata in Marco 2:23-28 è particolarmente sorprendente. I Farisei chiedono di sapere da Gesù perché i suoi discepoli raccolgano il grano di Sabbath, una pratica proibita dalla legge. La raccolta del grano dai campi non propri era consentita (cfr. Deuteronomio 23:25), ma il lavoro di Sabbath non lo era (cfr. Esodo 20:10; Deuteronomio 5:14; cfr. M. Shab. 7: 2). Gesù risponde facendo appello all'azione di Davide e dei suoi uomini, che nel momento del bisogno mangiarono il Pane della Presenza (ebr. לחם הפנים, lechem haPānīm, che doveva essere mangiato solo dal Sommo sacerdote e dai suoi associati (1 Samuele 21:1-6; cfr. Levitico 24:5-9). Le azioni di Gesù e dei suoi discepoli, da un lato, e di Davide e dei suoi compagni, dall'altro, sono grosso modo parallele, ma se l'argomento di Gesù sia veramente convincente è molto dibattuto.[46] Il punto interessante è il principio che Gesù enuncia:

(IT)
« Il sabbath è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabbath »

(EL)
« το σαββατον δια τον ανθρωπον εγενετο ουχ ο ανθρωπος δια το σαββατον »
(Marco 2:27[47])

Alcuni studiosi ebrei sono rimasti colpiti da questa affermazione, in particolare il defunto rabbino Philip Sigal.[48] Sigal richiama la nostra attenzione sul parallelo nel Mekhilta:

« "E osserverai il sabbath, perché è santo per te" [Esodo 31:14]:[49] Ciò significa: a te è consegnato il sabbath [מםודה]; tu non sei consegnato [מםודין] al sabbath (Mek. di Esodo 31:12-17 [Shabbat §1]). »

Mekilta attribuisce il detto al rabbino Simeon ben Menasya (di solito datato alla fine del II secolo e.v.). In B. Yoma 85b c'è una discussione riguardante la necessità di circoncidere il neonato l'ottavo giorno, anche se quel giorno cade di Sabbath. Da ciò si deduce che se la legge del Sabbath può essere sospesa a causa di un organo del corpo, allora sicuramente la legge del Sabbath può essere sospesa per salvare una vita. Rabbi Simeon ben Menasya viene quindi menzionato per aver citato Esodo 31:14 a questo proposito, ma in Yoma il detto di Rabbi Simeon ben Menasya è attribuito al Rabbi Jonathan ben Joseph: "Esso è dato nelle tue mani; non sei tu dato nelle sue mani". Sigal pensa che la tradizione abbia avuto origine con Gesù, ma sia stata trasmessa in modo anonimo e alla fine attribuita a Simeon ben Menasya (e più tardi ancora al rabbino Jonathan ben Joseph). Forse — ma la tradizione, se non il detto stesso, probabilmente è anteriore a Gesù, forse derivante dalla decisione di Mattatia di difendersi durante il Sabbath (cfr. 1 Maccabei 2:38-40).[50]

"Discorso della Montagna", dipinto di Carl Heinrich Bloch (1877)

Il detto di Gesù implica forse che egli abbia meno rispetto per il Sabbath di quanto non abbiano i suoi insegnanti religiosi rivali? Downing cita un detto di Pseudo-Crates: "Gli esseri umani non sono stati creati per il bene dei cavalli, ma cavalli per quello degli esseri umani" (Ps.-Crates 24), per dimostrare che il punto di vista di Gesù è parallelo alle idee ciniche.[51] Il detto di Gesù costituisce quindi un esempio di cinismo, un disprezzo del valore del Sabbath, che riflette una prospettiva ellenistica, non ebraica? O è piuttosto un'opinione che riflette direttamente la discussione halakhica ebraica su un argomento che va dritto al cuore della tradizione e della pietà ebraica? A mio avviso, l'insegnamento di Gesù non aveva in alcun modo lo scopo di minare la santità del Sabbath.

Inoltre, l'appello alla Scrittura (cioè, "Non hai mai letto quello che fece Davide?") difficilmente può essere citato come prova che Gesù teneva di poco conto la Legge. Tutt'altro! L'appello a un passaggio della Scrittura per far luce su un insegnamento altrove nella Scrittura è parte integrante dell'interpretazione ebraica. Quello che abbiamo qui è un esempio dell'halakhah di Gesù, che per i suoi seguaci era persuasivo, anche se probabilmente non per altri. A mio parere, la risposta esegetica di Gesù è di casa nei dibattiti esegetici esemplificati nella letteratura rabbinica, nonostante le opinioni di Cohn-Sherbok.

2. L'altare. Nel contesto del Discorso della Montagna c'è la raccomandazione di Gesù: se ti ricordi "che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Matteo 5:23-24). Il detto presuppone che il Tempio di Gerusalemme sia ancora in piedi,[52] mentre l'evidente fedeltà al Tempio rende difficile credere che questo detto sia sorto nella Chiesa in un contesto post-pasquale (sebbene alcuni commentatori lo sostengano). Con ogni probabilità il detto risale a Gesù.

Questo detto, come altri nella tradizione dominicale, subordina il rituale cultuale all'integrità personale. Non c'è nulla di nuovo qui; i profeti presero questo punto di vista (Geremia 7:21-26; Osea 6:6; Amos 5:21-24; Michea 6:6-8), così fece il saggio Yeshua ben Sira (Siracide 7:8-9;34:18-19), come anche le autorità rabbiniche successive (m. Pesah. 3:7; e testi citati in Billerbeck, 1.287-88). Infatti, anche Filone lo dice: "Poiché, se l'adoratore è senza sentimento o giustizia benevoli, i sacrifici non sono sacrifici, l'oblazione consacrata è profanata... Ma, se egli è puro di cuore e giusto, il sacrificio resta saldo e valido..." (De Vita Mosis 2.107-108).[53] Così si attestano sia l'antichità che l'attualità di questo sentimento.

L'insegnamento di Gesù in Matteo 5:23-24 è coerente con l'insegnamento dei saggi. Secondo Yeshua ben Sira: "Uno prega, l'altro maledice: quale delle due voci ascolterà il Signore?" (Siracide 34:24; il contesto ha a che fare con l'offerta di sacrifici; cfr. 34:18-22;35:1-20); e: "Non cercare di corrompere (Dio) con doni, non accetterà, non confidare su un sacrificio ingiusto, perché il Signore è giudice e non v'è presso di Lui preferenza di persone" (Siracide 35:12). Secondo Rabbi Eleazar ben Azariah: "Per le trasgressioni che sono tra l'uomo e Dio il Giorno dell'Espiazione effettua espiazione, ma per le trasgressioni che sono tra un uomo e il suo compagno il Giorno dell'Espiazione effettua espiazione solo se ha placato il suo prossimo" (m. Yoma 8: 9).

L'insegnamento di Gesù in Matteo 5:23-24 è coerente anche con i comandamenti trovati in Levitico 5:20-26, che hanno a che fare con la restituzione. La Legge richiede che ciò che è stato preso ingiustamente venga restituito e che venga offerta al sacerdote un'offerta per la colpa. L'insegnamento rabbinico sottolinea la necessità che la restituzione avvenga pienamente e prima di dare l'offerta per la colpa: "l'offerta per la colpa viene dopo che il denaro [è restituito]... [Se] ha portato la sua offerta per la colpa ma non ha restituito la cosa che aveva rubato, non si dovrebbe mescolare il sangue [dell'offerta] fino a quando egli non restituisce la cosa che aveva rubato" (t. B. Qam. 10.18; cfr. Sipra Lev. §68 [Lev 5:25]; b. B. Qam. 110a). Abrahams commenta: "Matteo si riferisce specificamente a colui che deve portare un'offerta per il peccato, e nell'atto di farlo ricorda che non ha ancora riparato un torto commesso da lui contro un altro uomo, presumibilmente proprio quel torto per la cui ragione porta l'offerta".[54] Il parallelo tra Matteo 5:23-24 e l'halakhah nella Tosefta, afferma Abrahams, "è esatto".[55]

La preoccupazione di Gesù che una data offerta sia presentata al Tempio in uno stato di purezza etica è coerente con la sua azione nei recinti del Tempio (Marco 11:15-18 e paralleli). Studi recenti hanno suggerito che questa azione fosse in reazione al modo in cui gli animali sacrificali venivano acquistati e presentati ai sacerdoti per il sacrificio, un modo con cui Gesù era in netto disaccordo. Lungi dal suggerire che Gesù si fosse opposto al Tempio o al sacrificio, la sua azione suggerisce invece che sostenesse il cultus e fosse molto interessato alle pragmata del sacrificio. Sulla base di dimostrazioni simili nei recinti del Tempio da parte di insegnanti religiosi (specialmente quella che coinvolge una disputa tra halakhah Hillelita e Shammaita) possiamo dedurre che Gesù insegnava che coloro che acquistano animali per il sacrificio ne prendano possesso prima di consegnarli ai sacerdoti.[56]

3. Vita Eterna. Secondo Luca 10:25-28 un esperto della Legge chiede a Gesù: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?" Gesù risponde a sua volta con una domanda: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?" Lo studioso delle Scritture risponde recitando il doppio comandamento, un comandamento che anche Gesù aveva recitato (Marco 12:29-31): "Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza; e il prossimo tuo come te stesso.". Gesù loda l'uomo per la sua risposta: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai". La domanda del dottore della Legge costituisce la classica questione religiosa ebraica (cfr. anche Marco 10:17). La sua risposta, suggerita dalla domanda di Gesù, riflette un riassunto della Legge che è attestato in varie forme in molte fonti (cfr. T. Iss.' 5:2; 7:6; T. Dan 5:3; Ep. Arist. 229; Filone, Virt. 51, 95; Spec. Leg. 2.63; Abr. 208).[57] La risposta positiva di Gesù, in cui allude a Levitico 18:5, non potrebbe essere più completamente ebraica e più completamente noncinica.

Se questo scambio fosse stato prodotto da una comunità cristiana, sicuramente la risposta giusta sarebbe stata diversa. Dopo tutto, i cristiani avevano proclamato che la salvezza veniva tramite la fede in Gesù risorto (ad esempio, Atti 2:38;4:12; Romani 10:9), non tramite l'obbedienza alla Legge ebraica. Luca 10:25-28 deve quindi derivare dalla vita e dal ministero di Gesù, non dalla comunità cristiana.[58]

Particolarmente interessante è notare quanto strettamente la risposta di Gesù sia coerente esegeticamente e tematicamente con le tendenze interpretative ebraiche. Come è già stato accennato, la sua risposta, "fa' questo e vivrai", allude a Levitico 18:5: "Osserverete dunque le mie leggi e le mie prescrizioni, mediante le quali, chiunque le metterà in pratica, vivrà". Il contesto generale di questo brano rende chiaro che la vita "che una persona vivrà" è la vita nella terra promessa (cioè Israele), non la vita eterna nel Mondo a venire. Ricordiamo che lo studioso delle Scritture aveva chiesto a Gesù cosa doveva fare per "ereditare la vita eterna", non la vita nella terra d'Israele, di cui già godeva.

Come mai Gesù pensa che un'allusione a Levitico 18:5 fornisca un'adeguata assicurazione a un uomo che ha chiesto della vita eterna, non della vita in questo mondo? La parafrasi aramaica di questo testo fornisce con ogni probabilità una risposta. Secondo Tg. Onq. Lev. 18:5: "Tu devi osservare le Mie prescrizioni e le Mie leggi, che, se una persona le pratica, vivrà seguendole nella vita eterna". Targum Pseudo-Jonathan rende il testo un po 'più elaborato: "Devi osservare le mie prescrizioni ed i miei ordini (delle festività), che, se una persona li pratica, vivrà seguendoli nella vita eterna e gli sarà assegnata una porzione con il giusto".[59] L'antichità di questa parafrasi interpretativa, per cui il testo viene a parlare della vita eterna come anche della vita nel mondo presente, è attestata a Qumran.[60] La parafrasi aramaica rende chiaro che la frase, "che una persona deve osservare e così avere la vita in loro", a Qumran allude proprio a Levitico 18:5.

Questi tre esempi sono solo rappresentativi. Molti altri potrebbero essere discussi. Ma le tre considerazioni di cui sopra dovrebbero essere sufficienti per dimostrare che l'insegnamento di Gesù derivava e parlava alla fede ebraica dei suoi giorni.[61] Il primo esempio non trattava semplicemente di ciò che era lecito di Sabbath, ma della questione più fondamentale circa lo scopo del Sabbath. Per quanto riguarda il secondo esempio, l'insistenza di Gesù sul fatto che i requisiti etici della restituzione dovessero esser presi in considerazione prima che l'offerta fosse completata, presuppone l'importanza del Tempio e del sistema sacrificale. In effetti, l'halakhah di Gesù è sicuramente destinata a garantire la loro efficacia. Nel terzo esempio troviamo Gesù che raccomanda l'osservanza della Legge, soprattutto come riassunta nel grande doppio comandamento di amare Dio con tutto se stessi e di amare il proprio prossimo come se stessi, per essere certi della vita eterna.

Pensieri conclusivi[modifica]

A Myth of Innocence di Mack si conclude con una nota di tragedia personale e di logica torturata. L'evangelista nazareno decaduto ha abbandonato la sua fede cristiana e non ha più speranza di nessun messia, cristiano o altro: "Né l'immaginazione di Marco sulla prima apparizione dell'uomo di potenza, né la sua fantasia sull'apparizione finale dell'uomo di gloria, si adatta alla saggezza ora richiesta. La chiesa ha canonizzato un momento straordinariamente pietoso di condanna paleocristiana del mondo. Così il mondo ora è condannato. Basta. Un futuro per il mondo difficilmente può esser più immaginato, se la sua redenzione è nelle mani dell'innocente figlio di Dio proposto da Marco".[62]

L'interpretazione di Mark da parte di Mack è davvero strana. Mi si permetta di offrirne una al suo posto, molto brevemente. Abbiamo sentito fin troppo dall'evangelista Mack. Ascoltiamo ora l'evangelista Marco. Di fronte a un mondo ostile – alla deriva dalle sue radici ebraiche e minacciato da un Impero Romano sempre più intollerante e ostile – l'evangelista marciano dichiara con coraggio che il vero "figlio di Dio" non è Cesare; è Gesù Cristo. La buona novella per il mondo non è iniziata con l'arrivo di Cesare e dei suoi dubbi eredi (qui sta il vero mito); è iniziata con l'arrivo del Cristo. L'evangelista chiarisce il suo punto di vista nelle parole iniziali: "Inizio della buona novella di Gesù Cristo, il figlio di Dio" (Marco 1:1). Queste parole costituiscono un'allusione inconfondibile al Culto dell'Imperatore, specialmente come venne espresso durante il lungo e celebrato regno di Augusto (30 p.e.v.-14 e.v.). Secondo l'iscrizione di Priene (9 p.e.v.), in parte si legge: "Provvidenza... ci ha dato Augusto... affinché egli potesse beneficiare l'umanità, essendo stato inviato come salvatore... e con la sua venuta (ha superato tutte le nostre aspettative)... il compleanno del dio Augusto fu l'inizio della buona novella per il mondo" (OGIS 458, righe 32–41). Sentiamo questa idea espressa in un papiro in riferimento a Nerone (che regnò 54-68 e.v.): "Il buon dio del mondo abitato, l'inizio di tutte le cose buone" (POxy 1021).

Nonostante un'introduzione così propizia, la storia di Gesù narrata da Marco finisce su una croce romana, tra lo scherno dei sacerdoti al potere, dei passanti e persino di due ribelli crocifissi con lui. Ma impressionato dal modo in cui Gesù morì e dai segni soprannaturali che accompagnarono la sua morte, il centurione romano che sovrintendeva all'esecuzione fa una dichiarazione che dovrebbe essere riservata solo per l'imperatore: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!" (Marco 15:39).

L'evangelista Marco mette la storia nella sua luce migliore, certo, ma non in un modo meschino in cui potrebbe tentare di implicare gli innocenti e scagionare i colpevoli. Il Gesù di Marco è ebreo, forse non così evidente come nel ritratto matteano (la cui ostilità verso gli insegnanti ebrei e le sette rivali è molto più pronunciata), ma comunque ebreo. A parte il contesto ebraico, il contesto palestinese e le Scritture di Israele e la loro eredità interpretativa, la storia di Gesù nel Vangelo di Marco difficilmente poteva essere compresa correttamente e adeguatamente. In effetti, la storia come noi la troviamo non avrebbe potuto essere scritta. Il Gesù di Marco rimane un Gesù ebreo, nonostante Burton Mack e il Jesus Seminar. Il Gesù di Marco e degli altri Vangeli deve essere interpretato nel suo contesto giudaico se lo si vuole comprendere in modo equo e ragionevole.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche, Ebraicità del Cristo incarnato e Ecco l'uomo.
  1. Il tema del presente wikilibro è in effetti "il Gesù scomparso". Le cose spesso scompaiono perché sono state messe fuori posto. Ciò che manca in molte presentazioni di Gesù è la sua ebraicità. Questo elemento essenziale, ma mancante, è spesso sia la causa che il risultato del mancato posizionamento di Gesù nel contesto appropriato. Ho affrontato questo problema anche nel libro Ebraicità del Cristo incarnato.
  2. Su questo punto, si veda B. D. Chilton, "Jesus within Judaism", in J. Neusner (cur.), Judaism in Late Antiquity: II. Historical Syntheses (Handbuch der Orientalistik 70; Leiden: Brill, 1995) 262–84; rist. in Chilton & C. A. Evans, Jesus in Context: Temple, Purity, and Restoration (AGJU 39; Leiden: Brill, 1997) 179–201.
  3. Il tentativo fu certamente lodevole e in un certo modo bilanciava la tendenza della ricerca del XIX secolo a trarre paralleli quasi esclusivamente tra Nuovo Testamento e fonti classiche. In lingua iglese, ciò è evidente nei grandi commentari di J. B. Lightfoot e B. F. Westcott.
  4. G. H. Dalman, Die Worte Jesu mit Berücksichtung des nach kanonischen jüdischen Schrifttums und der aramäischen Sprache erörtert (Leipzig: Hinrichs, 1898); ET: The Words of Jesus (Edinburgh: T. & T. Clark, 1902); J. Jeremias, Neutestamentliche Theologie: Erster Teil: Die Verkündigung Jesu (Gütersloh: Mohn, 1971); ET: New Testament Theology: The Proclamation of Jesus (Londra: SCM Press, 1971).
  5. M. Black, An Aramaic Approach to the Gospels and Acts (Oxford: Clarendon, 1946; 3rd ed., 1967; rist. con Introduzione di C. A. Evans; Peabody: Hendrickson, 1998). Nonostante i difetti, l'opera di Black rappresenta un grande progresso di controllo critico rispetto a passate opere di C. F. Burney, The Poetry of Our Lord: An Examination of the Formal Elements of Hebrew Poetry in the Discourse of Jesus Christ (Oxford: Clarendon Press, 1925), e C. C. Torrey, The Four Gospels (New York: Harper, 1933).
  6. M. McNamara, The New Testament and the Palestinian Targum to the Pentateuch (AnBib 27A; 2nd ed., Roma: Pontifical Biblical Institute, 1978); idem, Targum and Testament (Grand Rapids: Eerdmans, 1972); B. D. Chilton, The Glory of Israel: The Theology and Provenience of the Isaiah Targum ( JSOTSup 23; Sheffield: JSOT Press, 1982). Per una raccolta conveniente di materiali aramaici del tempo approssimativa di Gesù, si veda J. A. Fitzmyer & D. J. Harrington, A Manual of Palestinian Aramaic Texts (Second Century BC–Second Century AD) (BibOr 34; Roma: Pontifical Biblical Institute Press, 1978).
  7. B. D. Chilton, "Regnum Dei Deus Est", SJT 31 (1978); idem, God in Strength: Jesus’ Announcement of the Kingdom (SNTU 1; Freistadt: Plöchl, 1979; rist. BibSem 8; Sheffield: JSOT Press, 1987); idem, A Galilean Rabbi and His Bible: Jesus’ Own Interpretation of Isaiah (Londra: SPCK, 1984) = A Galilean Rabbi and His Bible: Jesus’ Use of the Interpreted Scripture of His Time (GNS 8; Wilmington: Glazier, 1984).
  8. (H. L. Strack) e P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch (6 voll., VI ediz., Munich: Beck, 1978).
  9. O, come afferma Jacob Neusner, "il modo in cui stanno le cose veramente". Cfr. C. A. Evans, "Early Rabbinic Sources and Jesus Research", in Eugene H. Lovering, Jr. (cur.), Society of Biblical Literature 1995 Seminar Papers (SBLSP 34; Atlanta: Scholars Press, 1995) 53–76. In molti punti seguo Neusner. Si veda inoltre P. S. Alexander, "Rabbinic Judaism and the New Testament", ZNW 74 (1983) 237–46.
  10. B. L. Mack, The Lost Gospel: The Book of Q and Christian Origins (San Francisco: HarperCollins, 1993), 245. Solo il primo strato di Q, dice Mack, era cinico. Per una prospettiva simile, si veda L. Vaage, "Q and Cynicism: On Comparison and Social Identity", in R. A. Piper (cur.), The Gospel behind the Gospels: Current Studies on Q (NovTSup 75; Leiden: Brill, 1994) 199–229; idem, Galilean Upstarts: Jesus’ First Followers according to Q (Valley Forge: Trinity Press International, 1994).
  11. B. L. Mack, A Myth of Innocence: Mark and Christian Origins (Minneapolis: Fortress, 1988) 68, 73.
  12. Per un assaggio, si veda A. Y. Collins, JBL 108 (1989) 726–29. L'iperbole di Kelber (presa dalla sua recensione su CBQ 52 [1990] 161–63, qui 162) però si indebolisce quando afferma che Mack è arrivato a "conclusioni alquanto strane" e che non è giusto incolpare Marco "di tutti i mali dell'Occidente, partendo dalle crociate fino all'Olocausto..." (qui 163). Più recentemente, si veda P. R. Eddy, "Jesus as Diogenes? Reflections on the Cynic Jesus Thesis", JBL 115 (2006) 449–69; e la risposta di F. G. Downing, "Deeper Reflections on the Jewish Cynic Jesus", JBL 117 (1998) 97–104.
  13. F.G. Downing, Christ and the Cynics: Jesus and Other Radical Preachers in First-Century Tradition (JSOT Manuals 4; Sheffield: JSOT Press, 1988); idem, Cynics and Christian Origins (Edinburgh: T. & T. Clark, 1992).
  14. J. D. Crossan, The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant (San Francisco: HarperCollins, 1991) partic. 421–22. Crossan ha dato a questa tendenza popolare la sua espressione più eloquente. Molti degli studi emanati dal Jesus Seminar prendono un approccio simile, compresi gli studi sulla Fonte "Q" alla base di Matteo e Luca. Sebbene sia vero che i ricercatori di Q sono principalmente interessati alle ideologie delle ipotetiche comunità Q e non al Gesù storico, le loro descrizioni di queste ideologie hanno avuto la tendenza a rafforzare nella mente pubblica, così come nella mente accademica, l'immagine del Gesù ellenistico che aveva poco interesse per le questioni che riguardavano gli ebrei palestinesi del I secolo. Nel caso di Mack, tuttavia, la sua interpretazione della prima comunità Q come interpretazione di "Gesù cinico" supporta, secondo lui, la sua visione di Gesù quale cinico.
  15. Crossan, The Historical Jesus, 85, 83.
  16. Si veda Downing, Christ and the Cynics, 47–48.
  17. Questi vengono riassunti ed esaminati in C. A. Evans, Jesus and His Contemporaries: Comparative Studies (AGJU 25; Leiden: Brill, 1995) 251–97. Per analisi più dettagliate, si vedano P. Fiebig, Die Gleichnisreden Jesu im lichte der rabbinischen Gleichnisse des neutestamentlichen Zeitalters (Tübingen: Mohr [Siebeck], 1912); G. Dalman, Jesus-Jeshua: Studies in the Gospels (Londra: SPCK, 1929); W. O. E. Oesterley, The Gospel Parables in the Light of Their Jewish Background (Londra: Macmillan, 1936); D. Flusser, "Sanktus und Gloria", in O. Betz, M. Hengel e P. Schmidt (curr.), Abraham unser Vater: Juden und Christen im Gespräch über die Bibel (O. Michel Festschrift; Leiden: Brill, 1963) 129–52; J. Jeremias, The Parables of Jesus (Londra: SCM; New York: Scribner’s, 1963); J. J. Petuchowski e M. Brocke (curr.), The Lord’s Prayer and Jewish Liturgy (New York: Seabury, 1978); D. Flusser, Die rabbinischen Gleichnisse und der Gleichniserzähler Jesus (Berna: Peter Lang, 1981); B. H. Young, Jesus and His Jewish Parables (New York: Paulist, 1989); H. K. McArthur e R. M. Johnston, They Also Taught in Parables: Rabbinic Parables from the First Centuries of the Christian Era (Grand Rapids: Zondervan, 1990).
  18. Si veda B. L. Mack, "The Kingdom Sayings in Mark", Forum 3 (1987) 3–47. Per un'affermazione ed estensione acritica di questa opinione, si veda J. G. Williams, "Neither Here nor There: Between Wisdom and Apocalyptic in Jesus’ Kingdom Sayings", Forum 5 (1989) 7–30.
  19. B. Chilton, "The Kingdom of God in Recent Discussion", in B. Chilton & C. A. Evans (curr.), Studying the Historical Jesus: Evaluations of the State of Current Research (NTTS 19; Leiden: Brill, 1994) 255–80, qui 269.
  20. B. Chilton, The Glory of Israel: The Theology and Provenience of the Isaiah Targum (JSOTSup 23; Sheffield: JSOT Press, 1982) 77–81; cfr. Evans, Jesus and His Contemporaries, 155–81.
  21. 21 See A. M. Schwemer, "Gott als König und seine Königsherrschaft in den Sabbatlieden aus Qumran", in M. Hengel & A. M. Schwemer (curr.), Königsherrschaft Gottes und himmlischer Kult im Judentum, Christentum und in der hellenistischen Welt (WUNT 55; Tübingen: Mohr [Siebeck], 1991) 45–118.
  22. Mack, A Myth of Innocence, 88–89, 282. Mack commenta: "Gesù deve essere andato lì in qualche occasione, molto probabilmente durante un periodo di pellegrinaggio, fu associato a una manifestazione e fu ucciso... Alcuni dei suoi seguaci apparentemente videro una connessione tra l'attività di Gesù in Galilea e il suo destino a Gerusalemme" (pp. 88-89); "Il tema evangelico deve quindi essere una fabbricazione successiva al 70 e.v. Prima di allora lo scenario sarebbe apparso ridicolo" (p. 282). Lo studente di Mack, David Seeley ("Was Jesus like a Philosopher? The Evidence of Martyrological and Wisdom Motifs in Q, Pre-Pauline Traditions, and Mark", in D.J. Lull [cur.], Society of Biblical Literature 1989 Seminar Papers [SBLSP 28; Atlanta: Scholars Press, 1989] 540–49, qui 548) concorda, aggiungendo che l'evangelista "Marco s'inventò la cospirazione ebraica contro Gesù per sue ragioni redazionali... la morte stessa fu probabilmente solo un errore" (cioè, in quanto Pilato fraintese le intenzioni di Gesù). Qui sì che siamo nel ridicolo!
  23. Con una breve nota (Myth of Innocence, 225 n. 12) Mack respinge il collegamento di Giovanni al ministero di Gesù e successiva esecuzione, sostenendo che il quarto Vangelo dipende dai Sinottici. In questo modo spazza via il giudizio critico di diversi studiosi giovannei. Inoltre non tiene conto di un collegamento simile tra il ministero pubblico e l'opposizione mortale del Sommo sacerdote attestata in Flavio Giuseppe, Ant. 18.3.3 §63–64. Nella parte di questo testo abbellito, che praticamente tutti considerano autentico, Flavio Giuseppe descrive Gesù come un insegnante e taumaturgo che fu accusato dagli "uomini dirigenti" (cioè i sacerdoti al potere) davanti al governatore romano. Abbiamo qui un importante punto di accordo tra Marco, Giovanni (che è sicuramente indipendente dai Sinottici) e Flavio Giuseppe: le attività pubbliche di Gesù provocarono i sacerdoti, la cui accusa davanti a Pilato portò all'esecuzione di Gesù. Si veda Evans, Jesus and His Contemporaries, 301–18, 345–52.
  24. Secondo F. Giuseppe, i critici di Alessandro dissero che "egli discendeva da prigionieri e non era idoneo al sacerdozio e al offrire sacrifici".
  25. L'oracolo presente in Isaia 56 riecheggia la preghiera di dedicazione diSalomone, in cui viene espressa la speranza che tutti i popoli verranno al Tempio di Gerusalemme e adoreranno Dio; cfr. C. A. Evans, "From ‘House of Prayer’ to ‘Cave of Robbers’: Jesus’ Prophetic Criticism of the Temple Establishment", in C. A. Evans & S. Talmon (curr.), The Quest for Context and Meaning: Studies in Biblical Intertextuality in Honor of James A. Sanders (BIS 28; Leiden: Brill, 1997) 417–42.
  26. Per una discussione ed abile difesa di questa linea d'interpretazione, si veda B. Chilton, The Temple of Jesus: His Sacrificial Program Within a Cultural History of Sacrifice (University Park: Penn State Press, 1992) 91–111.
  27. Su tale questione, si veda R. T. France, Jesus and the Old Testament (Londra: Tyndale, 1971).
  28. Si vedano R. B. Hays, "The Corrected Jesus", First Things 43 (Maggio, 1994) 43–48; D. E. Timmer, Perspectives 9 (1994) 18–20; C. J. Schlueter, Consensus 21 (1995) 141–43; J. Schlosser, BZ 39 (1995) 269–71; M. L. Soards, TToday 52 (1995) 270–72; C. M. Tuckett, JTS 46 (1995) 250–53; Evans, Jesus and His Contemporaries, 1–49. Per una critica di Crossan, The Historical Jesus, si veda N. T. Wright, "Taking the Text with Her Pleasure", Th 96 (1993) 303–10.
  29. Si veda B. Chilton, A Galilean Rabbi and His Bible: Jesus’ Use of the Interpreted Scripture of His Time (GNS 8; Wilmington: Glazier, 1984); idem e C. A. Evans, "Jesus and Israel’s Scriptures", in Chilton & Evans (curr.), Studying the Historical Jesus: Evaluations of the State of Current Research (NTTS 19; Leiden: Brill, 1994) 281–335; Evans, "‘Do This and You Will Live’: Targumic Coherence in Luke 10:25–28", in Chilton & Evans, Jesus in Context: Temple, Purity, and Restoration (AGJU 39; Leiden: Brill, 1997) 277–93.
  30. Per il periodo asmoneo abbiamo l'incidente che coinvolge Alessandro Ianneo. Nel periodo erodiano abbiamo gli insegnanti che persuasero dei giovani a distruggere l'aquila d'oro nei precinti templari (F. Giuseppe, J.W. 1.33.2-4 §648–655; Ant. 17.6.2–4 §149-167) e la risposta all'insegnamento di Hillel in merito alla proprietà di animali dedicati al sacrificio (t. Hag. 2.11; y. Hag. 2.3; y. Besa. 2.4; b. Besa. 20a–b). Negli anni che portano alla grande guerra abbiamo la dimostrazione di Simeon ben Gamaliel che protestò contro le truffe sui prezzi nel Tempio (m. Ker. 1:7) e Gesù ben Ananias che profetizzò la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (J.W. 6.5.3 §300–309).
  31. I lavori archeologici in corso a Zippori suggeriscono che prima del 70 e.v. la città fosse in gran parte ebrea. Vasche rituali di immersione (= mikvaot) e pentole d'acqua in pietra, come anche l'assenza di ossa di maiale tra i resti faunistici nonché l'assenza di alcuni edifici tipici delle città greco-romane, fanno pensare che non solo Zippori fosse una città molto ebraica, ma che la presenza dei Gentili fosse trascurabile. Per ulteriori informazioni su questo punto, si veda M. Chancey e E. M. Meyers, "How Jewish Was Sepphoris in Jesus’ Time?" BARev 26.4 (2000) 18–33, 61.
  32. B. B. Scott, Hear Then the Parable: A Commentary on the Parables of Jesus (Minneapolis: Fortress, 1989) 18.
  33. D. E. Aune, "Jesus and Cynics in First-Century Palestine: Some Critical Considerations", in J. H. Charlesworth & L. L. Johns (curr.), Hillel and Jesus: Comparisons of Two Major Religious Leaders (Minneapolis: Fortress, 1997) 176–92, qui 185.
  34. Su questo punto generale, si veda R. A. Horsley, Archaeology, History, and Society in Galilee: The Social Context of Jesus and the Rabbis (Valley Forge: Trinity Press International, 1996). Inoltre si veda il popolare riassunto di Chancey & Meyers, "How Jewish Was Sepphoris in Jesus’ Time?"
  35. Per le critiche recenti e devastanti dell'ipotesi cinica, vedi Aune, "Jesus and Cynics in First-Century Palestine", 176–92; H. D. Betz, "Jesus and the Cynics: Survey and Analysis of a Hypothesis", JR 74 (1994) 453–75; C. M. Tuckett, "A Cynic Q?", Bib 70 (1989) 349–76; idem, Q and the History of Early Christianity: Studies on Q (Edinburgh: T. & T. Clark, 1996) 368–91; B. Witherington, Jesus the Sage: The Pilgrimage of Wisdom (Minneapolis: Fortress, 1994) 123–43. Witherington trova che l'insegnamento di Gesù sia in pieno accordo con la tradizione sapienziale ebraica della tarda antichità, specialmente come viene esemplificata nella sapienza di Yeshua ben Sira (cfr. Siracide). Le sue scoperte sono generalmente coerenti con l'immagine di Gesù discussa nel presente volume.
  36. Per un riassunto conciso di numerosi paralleli importanti, si veda A. Finkel, The Pharisees and the Teacher of Nazareth (AGSJU 4; Leiden: Brill, 1964) partic. 129–75.
  37. B. Chilton, Pure Kingdom: Jesus’ Vision of God (Londra: SPCK; Grand Rapids: Eerdmans) 106–7.
  38. Si vedano gli utili caveat offerti da S. Sandmel, "Parallelomania", JBL 81 (1962) 2–13.
  39. Un altro detto attribuito a Hillel potrebbe essere pertinente: "Sii dei discepoli di Aronne, ama la pace e persegui la pace, ama l'umanità e conducila alla Legge" (’Abot 1:12)
  40. Come notato gistamente da D. C. Allison e W. D. Davies, A Critical and Exegetical Commentary on the Gospel according to Matthew, vol. 1 (ICC; Edinburgh: T. & T. Clark, 1988) 687.
  41. Per una discussione della forma negativa di tale regola in Tommaso, cfr. B. Chilton, "‘Do not do what you hate’: Where there is not gold, there might be brass. The case of the Thomaean Golden Rule", in Chilton, Judaic Approaches to the Gospels (USF International Studies in Formative Christianity and Judaism 2; Atlanta: Scholars Press, 1994) 123–49.
  42. Chilton (Judaic Approaches to the Gospels, 142) conclude plausibilmente che "Gesù insegnò la Regola, che era generalmente riconosciuta nella sua cultura, nella sua forma positiva". Ma prosegue suggerendo che originariamente fosse pronunciata in contesti diversi da quelli forniti in Matteo/Luca e in Tommaso.
  43. Questi risultati sono coerenti con quelli articolati da Chilton.
  44. Pare assurdo che si debba comprovare l'ebraicità di un ebreo (Gesù), perché i cristiani non sembrano gradirla e cercano scappatoie (a volte assurde)!
  45. Ci sono molti che difendono l'autenticità di Marco 2:23-27; cfr. F. Neirynck, "Jesus and the Sabbath: Some Observations on Mark II, 27", in Neirynck, Evangelica: Gospel Studis—Études d’évangile (BETL 60; Leuven: Peeters & Leuven University Press, 1982) 637–80; R. Pesch, Das Markusevangelium. 1. Teil (HTKNT 2.1; Freiburg: Herder, 1977) 183. Pesch asserisce che piuttosto che "scena ideale" fittizia a riflesso del comportamento della prima chiesa, la storia sia basata "su tradizione concreta dalla vita di Gesù". Non tutto il ragionamento a sostegno dell'autenticità della storia è valido (specialmente quello che deriva da Bultmann e suoi studenti), punto che Neirynck considera.
  46. Per esempio, si veda D. M. Cohn-Sherbok, "An Analysis of Jesus’ Arguments Concerning the Plucking of Grain on the Sabbath", JSNT 2 (1979) 31–41; rist. in C. A. Evans & S. E. Porter (curr.), The Historical Jesus: A Sheffield Reader (BibSem 33; Sheffield: Sheffield Academic Press, 1995) 131–39. Cohn-Sherbok conclude che le argomentazioni di Gesù erano "invalide da un punto di vista rabbinico" (p. 133) e difettose perché il paragone che fece era inappropriato" (p. 138). La sua conclusionè è a sua volta difettosa, tuttavia, in quanto presume che i successivi metodi rabbinici e le regole di esegesi fossero in vigore probabilmente agli inizi del primo secolo. Salvare una vita durante il Sabbath non era cosa controversa (b. Yoma 85a; cfr. b. Menah. 95a: "anche quello che è stato santificato oggi nel vaso puoi darglielo da mangiare perché egli è in pericolo di vita"), ma far del lavoro di Sabbath dove la vita non era in pericolo veniva considerato illegale.
  47. La dichiarazione conclusiva, "Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato" (v. 28), è un commento editoriale aggiunto dall'evangelista nel tentativo di orientare la storia in una direzione cristologica. Per un altro commento editoriale di questa natura, cfr. Marco 7:19.
  48. I. Abrahams, "Rabbinic Aids to Exegesis", in H. B. Swete (cur.), Essays on Some Biblical Questions of the Day: By Members of the University of Cambridge (Cambridge: Cambridge University Press, 1909) 159–92, qui 186; P. Sigal, The Halakah of Jesus of Nazareth according to the Gospel of Matthew (Lanham & New York: University Press of America, 1986). L'opera di Sigal è in un certo senso ostacolata dalla sua ipotesi sulla priorità di Matteo.
  49. "Osserverete dunque il sabbath, perché lo dovete ritenere santo."
  50. Abrahams, "Rabbinic Aids to Exegesis", 186–87. Cfr. anche G. Vermes, The Religion of Jesus the Jew (Minneapolis: Fortress, 1993) 22–24; Biografie cristologiche, ad hoc.
  51. Downing, Christ and the Cynics, 125. Come possibile parallelo al riferimento di Davide che mangia il Pane di proposizione, Downing cita Vite e dottrine dei filosofi illustri 6.73: "Diogene non riteneva di errare nel prendere qualcosa da un tempio, o a mangiare la carne di un qualche animale vivente." Ciò è in parallelo col punto di Gesù in senso generico. Ma lo stesso si può dire di Paolo, che pensava fosse accettabile mangiare carne sacrificata ad idoli, a patto che fosse fatto con una coscienza pulita (1 Corinzi 8,10). Allora Paolo era un cinico?
  52. Secondo C. G. Montefiore, The Synoptic Gospels (2 voll., Londra: Macmillan, 1927) 2.61: "I versetti in ogni caso implicano che lo stato ebraico ed il Tempio fossero ancora funzionanti ed in buon ordine. L'insegnamento, ancora una volta, è perfettamente rabbinico e usuale". Così anche per R. Bultmann, The History of the Synoptic Tradition (Oxford: Blackwell, 1968) 132; U. Luz, Matthew 1-7 (Minneapolis: Fortress, 1989) 281. Sebbene Matteo 5:23-24 probabilmente derivi da Gesù, deve il suo contesto attuale all'evangelista matteano.
  53. Si veda E.P. Sanders, Jewish Law from Jesus to the Mishnah: Five Studies (Londra: SCM; Philadelphia: Trinity Press International, 1990) 42–43; idem, Judaism: Practice and Belief 63 BCE–66 CE (Londra: SCM; Philadelphia: Trinity Press International, 1992) 192–93.
  54. Abrahams, "Rabbinic Aids to Exegesis", 189.
  55. Luz (Matteo 1-7, 289) non la pensa così. Luz trova il parallelo più vicino in Siracide e m. Yoma 8:9, non nei testi che parlano dell'interruzione delle offerte per la colpa. Sanders (Judaism, 192), tuttavia, collega Matt. 5:23-24 a questi testi.
  56. Per una discussione esauriente di questo aspetto importante dell'insegnamento di Gesù, si veda Chilton, The Temple of Jesus, 91–111; idem, Pure Kingdom, 115–23.
  57. Si veda D. C. Allison, "Mark 12.28–31 and the Decalogue", in C. A. Evans & W. R. Stegner (curr.), The Gospels and the Scriptures of Israel ( JSNTSup 104; SSEJC 3; Sheffield: Sheffield Academic Press, 1994) 270–78. Cfr. anche J. B. Stern, "Jesus’ Citation of Dt 6,5 and Lv 19,18 in the Light of Jewish Tradition", CBQ 28 (1966) 312–16.
  58. Ma ciò non esclude la possibilità che la tradizione sia stata modificata e collegata alla Parabola del Buon Samaritano (Luca 10:29-37). Fitzmyer (The Gospel according to Luke X–XXIV [AB 28A; Garden City: Doubleday, 1985] 877–78) assegna Luca 10:25-28 a L, sebbene l'evangelista possa essere stato influenzato da Marco 12. Traccee delle modifiche lucane sono state individuate nei punti dell'introduzione, transizione e conclusione nel complesso che formaLuca 10:25-37. Si veda J. Jeremias, Die Sprache des Lukasevangeliums: Redaktion und Tradition im Nicht-Markusstoff des dritten Evangeliums (KEKNT Sonderband; Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1980) 190–93.
  59. Questa esegesi è esplicita in Sipra Lev. §193 (su Levitico 18:1-30): "‘Osserverete dunque le mie leggi e le mie prescrizioni, che un essere umano le metterà in pratica e vivrà’. Questa formulazione della materia serve a far osservare ed eseguire in statuti, e mantenere e fare in prescrizioni ‘...vivrà’—nel mondo a venire. E se desideri affermare che il riferimento è a questo mondo, non è il fatto che alla fine uno muore? Ecco, come devo spiegare, ‘...vivrà’? È in riferimento al mondo a venire. ‘Io il Signore’: fedele a dar ricompensa." La frase-chiave, "vivrà secondo loro in vita eterna" ricorre tre volte nel Targum Ezechiele (a 20:11, 13, 21), mentre anche la trasformazione di promesse profetiche di benessere e restaurazione in questa vita viene attestata nel Targum Isaia (a 4:3; 58:11).
  60. Secondo CD 3:12-16, 20: "Ma quando quelli di loro che erano rimasti saldi nei comandamenti di Dio, Egli stabilì il Suo patto con Israele per sempre, rivelando loro cose nascoste, in cui tutto Israele aveva sbagliato: i suoi santi Sabbath, le Sue gloriose festività, le Sue giuste leggi, le Sue vie affidabili. I desideri della Sua volontà, ‘che una persona deve osservare e quindi aver vita in loro’... coloro che si attengono ad essa riceveranno la vita eterna e tutta la gloria di Adamo sarà loro".
  61. Quando dico la "fede ebraica" non intendo implicare che l'ebraismo fosse monolitico. La fede ebraica era espressa nel pensiero e nella pratica in una varietà di modi. Sebbene io non ritenga necessario parlare di "ebraismi" o "cristianesimi", è importante riconoscere la diversità e il pluralismo della fede ebraica e cristiana nella tarda antichità.
  62. Mack, A Myth of Innocence, 376.