Profili di donne marchigiane/Partigiane

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Leda Antinori[modifica]

Leda Antinori

Lena nasce a Fano il 17 febbraio 1927, dove morirà – appena diciottenne – il 3 aprile 1945.

Cresce in una famiglia antifascista che lavorava e commercializzava tessuti in lana, vendeva legna da ardere e carbone dell’entroterra. Leda, frequentò la scuola fino alla quarta elementare, lasciando poi gli studi – come sovente accadeva – per apprendere il mestiere di sarta e aiutare la famiglia. Ancora sedicenne, si iscrisse al partito comunista ed entrò a far parte del Gruppo di Azione Patriottica di Pesaro nella 5ª Brigata Garibaldi "Pesaro", in stanza a Fano.

Assieme alla madre, alla sorella Iva e ad altre donne, iniziò a produrre indumenti per i partigiani che operavano sugli Appennini; nello stesso tempo, iniziò la sua attività di staffetta partigiana, trasportando ordini, messaggi, viveri, armi e stampa clandestina, lungo la vallata del Metauro fino alla Gola del Furlo. In quel periodo divenne responsabile dei Gruppi di difesa della donna.

Venne arrestata, ancora diciassettenne, dai tedeschi il 20 luglio 1944, tra Sant'Andrea in Villis (dov’era sfollata con la famiglia) e Fenile, località alla periferia di Fano, mentre trasportava d'armi; si lasciò catturare per salvare i compagni che erano con lei, permettendogli di fuggire. Condotta dapprima a Carignano, poi a Novilara e da qui, sempre lo stesso giorno, presso il comando delle SS a Mondolfo – dove, nonostante gli estenuanti interrogatori e messa a confronto anche con la sorella Iva che collaborava anch’essa coi partigiani – venne rilasciata qualche giorno più tardi, senza aver rivelato alcun nome. Le vicissitudini non terminarono qui: fu riportata nuovamente a Novilara assieme a Magda Minciotti, un'altra staffetta di appena 15 anni, con la quale condivise la carcerazione, durante un colloquio col padre che le fece visita, fu avvisata che i partigiani si stavano organizzando per liberarla, ma lei si oppose per timore di rappresaglie e ritorsioni nei confronti dei civili del luogo e dei familiari; i primi di agosto fu definitivamente trasferita nelle carceri di Forlì e dopo qualche giorno in quelle di Bologna dove venne condannata a morte per fucilazione.

In seguito al bombardamento, che il 12 ottobre 1944 colpì le carceri bolognesi delle Caserme Rosse, riuscì a scappare, iniziando una travagliata fuga attraverso l'Emilia-Romagna, senza né riparo, né vestiti che la proteggessero dal freddo. Trovò ospitalità presso una famiglia di contadini delle campagne di Faenza dove riprese la sua attività di staffetta. Nell’avanzare del fronte, un altro bombardamento uccise tutti i componenti della famiglia che l'ospitava. Si rifugiò quindi a Castel Raniero, presso l’ospedale, dove curò alcuni partigiani feriti. Riprese la via del ritorno e – arrivata nel forlivese – zona già liberata, venne arrestata dalle truppe polacche, che la liberano una quindicina di giorni più tardi, quando fu riconosciuta da un partigiano slavo.

Il 20 dicembre 1944 fece finalmente ritorno a Fano (la città era stata liberata pochi mesi prima) nella sua casa di via Fanella, fortemente provata, con ancora i vestiti estivi di quando era stata arrestata cinque mesi prima e una giacca ricevuta dai contadini. Sofferente, con capelli e denti mancanti, febbre alta e tosse, provò a scrivere un diario di memorie, dettandolo alla sorella Iva, anche se non riuscì a portarlo a termine.

Morì di meningite tubercolare, appena diciottenne, presso l’ospedale “Santa Croce”, dov’era ricoverata da un mese. Era il 3 aprile 1945, due giorni dopo Pasqua e al funerale partecipò una nutrita e commossa folla.

La Commissione regionale marchigiana per il riconoscimento della qualifica di partigiano la riconobbe come partigiana combattente con il grado di sottotenente, per aver “partecipato alle operazioni di guerra svoltesi in territorio metropolitano”. Nel centro storico della città di Fano il suo nome è ricordato, assieme a quello di altri undici partigiani, sulla lapide affissa nel 1947 alla facciata del municipio. Nel dopoguerra, il Partito Comunista Italiano intitolò una delle proprie cellule, composta da militanti donne, alla memoria di Leda Antinori. Infine, nel 2011 l'ANPI di Fano le ha intitolato la sua nuova sezione, mentre il comune di Fano ha inoltre intitolato alla giovane partigiana una via cittadina.

Adele Bei[modifica]

Adele Bei

Adele Bei nasce a Cantiano il 4 maggio 1904 e muore a Roma il 15 ottobre 1976. È stata sindacalista, parlamentare, nonché una delle ventun madri della Costituzione della Repubblica Italiana.

Adele nasce in una famiglia povera operaia, fortemente politicizzata. Nel 1920 sposa Domenico Ciufoli, tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia.Dopo cinque anni, dopo essere entrata anche lei nel partito, espatriò con il marito in Francia, da dove compì numerosi viaggi clandestini in Italia per svolgere attività di collegamento tra militanti antifascisti. Nel 1933 venne arrestata e condannata dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a diciotto anni di reclusione. Scontò sette anni e mezzo cui si aggiunsero due e mezzo di confino; venne poi liberata nell'agosto del 1943. Dopo l'8 settembre 1943, partecipò alla lotta partigiana a Roma: il suo compito era organizzare le masse femminili.

Dopo la Liberazione, Adele Bei entrò a far parte della Consulta nazionale su designazione della CGIL. Nel primo congresso della CGIL, tenutosi a Firenze nel giugno del 1947, mentre la CGIL aveva firmato un accordo con gli industriali per portare il salario delle donne al 70% di quello degli uomini (quando la normativa fascista prevedeva un taglio del 50%), Adele presentò la Carta della lavoratrice in cui veniva richiesto che le donne a parità di lavoro ricevessero la medesima retribuzione degli uomini.

Ci piace ricordarla il 2 giugno 1946, quando sedette, come componente del gruppo parlamentare comunista, tra le ventun donne elette all'Assemblea costituente italiana: in particolare lavorò nella Terza commissione per l'esame dei disegni di legge. Successivamente entrò al Senato nella I legislatura del dopoguerra: unica donna fra i 106 senatori di diritto, nominati in accordo con la III disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana. Successivamente venne eletta alla Camera dei deputati nella II e III legislatura del parlamento repubblicano. Complessivamente dal 1948 al 1960.

Come componente della decima Commissione lavoro, si impegnò a fortemente a difesa delle categorie di lavoratrici più disagiate: mondariso, tabacchine, operaie agricole; chiamata a dirigere il sindacato dei lavoratori delle foglie di tabacco, composto in maggioranza di lavoratrici donne, negli anni '50, sostenne con forza le loro battaglie ottenendo nel 1957 un aumento salariale e misure previdenziali analoghe a quelle degli altri lavoratori.

Ad Adele Bei e ad altre sei donne partigiane, il Comune di Roma ha dedicato il percorso ciclo-pedonale che da Ponte Milvio porta a Castel Giubileo.

Marcella Chiorri Principato[modifica]

Marcella Chiorri Principato è nata a Cantiano il 19 gennaio 1902 ed è morta a Milano l'11 agosto 1980; è stata una maestra elementare e socialista.

Marcella, nel novembre 1923, sposò Salvatore Principato (anche lui partigiano) e ne seguì e condivise per tutto il Ventennio l'attività politica, collaborando anche con Ines Saracchi, direttrice della scuola Caterina da Siena, e con Lina Merlin.

Nei primi anni '30, fu proprio lei a scrivere con inchiostro simpatico, grazie alla sua scrittura leggibile e non nota alla polizia fascista, parte della corrispondenza tra i referenti milanesi di «Giustizia e Libertà» e la Concentrazione antifascista di Parigi.

Alla morte del marito, ucciso dai fascisti in Piazzale Loreto il 10 agosto 1944, Marcella non esitò ad assumerne le consegne ideali. Tramite la mediazione del socialista Alberto Benzoni, si fece presentare a Rodolfo Morandi e a Lelio Basso, e sotto la loro direzione cominciò a svolgere l'attività di supporto e assistenza alle sempre più numerose famiglie dei caduti e dei deportati. Il Cimitero Maggiore di Milano diventò luogo di incontro e di smistamento di aiuti, come dichiara Marcella stessa e come risulta da alcune segnalazioni della polizia fascista di quel periodo.

Partecipò con Lelio Basso a una riunione clandestina del Partito Socialista, tenutasi in uno stabile di Piazza Ermete Novelli e fu segretaria di Lelio Basso nella gestione del Fondo Matteotti, il cui atto di costituzione sarebbe stato stipulato, nello studio dell'avvoccato Blasco Morvillo, nei primi giorni di novembre del 1944.

Dopo la liberazione di Milano, Marcella continuò l'attività di assistenza alle famiglie dei deportati e dei fucilati dedicandosi attivamente, col sindaco Antonio Greppi, alla memoria della Resistenza. Fino al 1956 fu segretaria del Comitato Onoranze Caduti per la Libertà; in tale funzione predispose, tra l'altro, per le lapidi in bronzo di Piazza Mercanti, a Milano, gli elenchi dei partigiani caduti.

Gina Cingoli Portaleone[modifica]

Gina Cingoli Portaleone nasce a Porto Civitanova Marche il 16 gennaio 1912 ed è deceduta a Torino il 22 dicembre 1989. È stata un'insegnante.

Dopo la Prima guerra mondiale, la famiglia Cingoli – di origini ebraiche – si era trasferita dalle Marche a Torino. Gina insegnante di scuola media, nel 1938 (dopo l'approvazione delle leggi razziali), venne esclusa dall'insegnamento. Anche il marito, Aldo Portaleone, è perseguitato per motivi razziali e – quando scoppia la Seconda guerra mondiale – Gina, che è madre di due figli piccoli, cerca un po' di sicurezza sfollando in Val di Susa, a Rubiana (in provincia di Torino).

La famiglia Portaleone, decide poi di spostarsi in prossimità del capoluogo e la famiglia trova un rifugio in una cascina in località Tetti di Rivoli, nella prima cintura torinese. Sono lunghissimi mesi di clandestinità, di disagio, con l'incubo dei rastrellamenti (un fratello di Gina Cingoli, nel 1944, era stato arrestato, rinchiuso nel campo di Fossoli e, mentre era avviato alla deportazione nei Lager nazisti, era riuscito rocambolescamente a fuggire).

Finalmente, con la Liberazione, la professoressa può tornare al suo lavoro. Insegnerà fino al 1975, anno in cui andrà in pensione. Per altri tre anni ancora prestò attività come insegnante presso la Scuola ebraica "Emanuele Artom" di Torino, ma non cesserà mai, dai giorni della Liberazione, di testimoniare sui valori dell'antifascismo e della libertà di tutti i popoli.

Maria Assunta Lorenzoni[modifica]

Maria Assunta Lorenzoni

Maria Assunta Lorenzoni nasce a Macerata nel 1918 e viene uccisa a Firenze il 21 agosto 1944. Era una crocerossina e fu insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

Maria Assunta, figlia del professor Giovanni Lorenzoni, docente a Firenze e segretario generale dell'Istituto internazionale d'agricoltura, durante la seconda guerra mondiale, aveva prestato servizio come crocerossina. All'armistizio, la ragazza prese subito contatti con gli antifascisti fiorentini. Entrata a far parte di un gruppo che si era fuso con la V Brigata "Giustizia e Libertà", a Tina – questo il nome di battaglia con il quale era conosciuta – fu affidato l'incarico dei collegamenti con il comando della Divisione "GL".

Per mesi svolse pericolose missioni, portandosi a più riprese a Milano e in altre località del Nord, organizzando l'espatrio di cittadini d'origine ebraica e di perseguitati politici. Durante la battaglia per la liberazione di Firenze, Maria Assunta per ben tre volte riuscì ad attraversare le linee di combattimento per portare ordini al Comando d'Oltrarno.

Finita nelle mani di una pattuglia tedesca, Tina fu portata a villa Cisterna e rinchiusa in una stanzetta per esservi interrogata. Rimasta sola la ragazza tentò la fuga, ma mentre stava scavalcando il reticolato che recingeva la costruzione fu colpita da una raffica di mitra. Nella stessa mattinata suo padre, che saputo della cattura di Tina aveva raggiunto un avamposto degli alleati per organizzarvi uno scambio di prigionieri, cadde colpito da una granata tedesca.

Ada Natali[modifica]

Ada Natali nasce a Massa Fermana il 5 marzo 1898 dove morirà il 27 aprile 1990. Di professione insegnante, fu la prima donna eletta Sindaco in Italia, deputata comunista.

Ada era figlia di Giuseppe Natali, sindaco socialista di Massa Fermana che, nel 1922, gli squadristi avevano picchiato a sangue. Anche la "maestra Ada" (come la chiamavano i suoi compaesani, dopo che si fu diplomata), dovette subire le persecuzioni fasciste. Si era iscritta a Legge a Macerata e, quando chiese di poter insegnare in un paese non troppo lontano dalla sede universitaria, fu mandata ad Apezzana di Loro Piceno, una località dove non c'erano ancora le strade.

Così "maestra Ada", quando doveva recarsi all'Università, era costretta a percorrere faticosi sentieri, per poter poi prendere, a Passo Loro, un pullman per Macerata. Caparbiamente la ragazza, che era definita dalla polizia fascista "sovversiva comunista pericolosa", riuscì a laurearsi in Giurisprudenza e in quegli anni, oltre che ai suoi scolari, insegnò a leggere e a scrivere ai contadini analfabeti della zona.

Dopo l'8 settembre 1943, Ada Natali prende parte alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza marchigiana. Partecipa, con i partigiani del Maceratese, alle battaglie di Pian di Piega e San Ginesio e, dopo la ritirata dei nazifascisti, torna al suo lavoro di insegnante elementare a Massa Fermana. Nel 1945, militante del PCI, viene eletta sindaco. È la prima donna, in Italia, che assume questo incarico e, nel 1946, istituisce nel suo Comune le "colonie" per i bambini (un modo per assicurare un piatto di minestra, ai piccoli delle famiglie più povere).

Nelle elezioni politiche del 1948, la "maestra Ada" è presentata come unica candidata comunista nelle Marche e viene eletta alla Camera dei deputati. Nel 1953 si impegna nella campagna elettorale in Sicilia e, negli anni '50, si batte affinché le operaie delle fabbriche marchigiane ottengano regolari contratti di lavoro. Per quel che ha fatto in quel periodo viene anche processata, ma i suoi difensori (fra i quali il partigiano Umberto Terracini), ne ottengono l'assoluzione. È anche assolta quando la processano per alienazione di oggetti artistici comunali, venduti per salvare una preziosa Natività di Vincenzo Pagani.

Quando si ritira a vita privata, la "maestra Ada" non interrompe i rapporti con il movimento di emancipazione femminile, così come quelli con i dirigenti del PCI, con i quali ha condotto tante battaglie democratiche. Cattolica praticante, ha mantenuto, sino alla morte, ottimi rapporti anche col clero locale. Ad Ada Natali è stata intitolata una via di Massa Fermana.

Vittoria Nenni[modifica]

Vittoria Nenni

Vittoria Nenni è nata ad Ancona il 3 ottobre 1915 ed è morta nel campo di concentramento di Auschwitz (Polonia) il 15 luglio 1943.

Vittoria era la figlia minore del partigiano Pietro Nenni. Sposò giovanissima il francese Henry Daubeuf. Col marito, dopo l'invasione tedesca della Francia, Vittoria entrò nella Resistenza. Nel 1942, la giovane donna fu arrestata dalla Gestapo con l'accusa di aver stampato e diffuso manifestini antinazisti e di avere, con Daubeuf, svolto, soprattutto negli ambienti universitari, "propaganda gollista antifrancese". Vittoria fu deportata nel campo di Romainville. Il marito, con altri patrioti francesi, fu trucidato l'11 agosto 1942 nelle vicinanze di Parigi. A Mont Valerien una lapide ricorda l'eccidio.

Vittoria fu deportata nel campo di sterminio di Auschwitz il 23 gennaio 1943. Avrebbe potuto salvarsi rivendicando la sua nazionalità italiana, che era stata notata da un ufficiale di polizia, ma rifiutò. Dichiarò di sentirsi francese e di voler seguire la sorte delle sue compagne di prigionia. Ad Auschwitz, Vittoria Nenni (pur non essendo comunista e neppure iscritta al Partito socialista), si unì al gruppo dei comunisti francesi. Con loro condivise la durezza della deportazione e, ammalatasi gravemente (le autorità militari sovietiche, trovarono negli archivi del lager una scheda di Vittoria Daubeuf; i medici del campo avevano scritto che la deportata n. 31635 era deceduta per "influenza"), non sopravvisse.

Sulla teca che ad Auschwitz ricorda Vittoria Nenni, sono scritte le sue ultime parole: "Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla". Dopo la Liberazione, in Italia le strade di molti Comuni sono stata intitolate a questa vittima dei nazisti. Portano il nome di Vittoria Nenni pure asili d'infanzia e Sezioni del PSI. Nel 1988, le è stata dedicata anche la tessera del Partito socialista: riproduce uno struggente dipinto di Renato Guttuso.

Derna Scandali[modifica]

Derna Scandali è nata ad Ancona il 12 febbraio 1912 dove è deceduta il 10 marzo 2010. Fu operaia e sindacalista.

Derna è cresciuta in una famiglia di antifascisti, dopo la licenza elementare era stata assunta come operaia in un'azienda di abbigliamento. Allo scoppio della guerra, per sottrarsi ai bombardamenti, si era trasferita con la famiglia nel comune di Agugliano, alla periferia di Ancona. È qui che Derna entra in contatto con un distaccamento del GAP di Jesi e inizia a svolgere il ruolo di staffetta partigiana.

Nel gennaio 1944 viene nominata segretaria della cellula comunista di Agugliano. Dopo la Liberazione, tornata nel capoluogo, partecipa attivamente alla nascita dei Gruppi di difesa della donna e dell'UDI, impegnandosi in numerose iniziative per la ricostruzione del tessuto sociale della città e per l'accoglienza dei reduci dal fronte. Contemporaneamente svolge un'intensa attività di propaganda per il PCI nella sezione "Mario Zecca", collaborando tra l'altro con l'organo di stampa locale Bandiera Rossa. Nella prima metà del 1945, su richiesta del suo partito, si iscrive alla Scuola centrale del PCI a Roma, dove frequenta un corso di tre mesi. Tra i docenti troviamo i partigiani Palmiro Togliatti, Lucio Lombardo Radice e Celeste Negarville.

Tornata ad Ancona, entra a far parte della locale Camera del lavoro, riaperta il 18 luglio del 1944, all'indomani della liberazione della città con l'arrivo della II Armata polacca. Pochi mesi dopo, nel luglio del 1945, partecipa al Convegno provinciale del PCI, che si tiene ad Ancona ed è presieduto da Adele Bei, durante il quale viene annunciata la nascita della Commissione consultiva femminile della Camera del lavoro. Nel novembre dello stesso anno entra nel Comitato federale del PCI di Ancona. Dal 1945 al 1955 Derna ricopre l'incarico di segretaria della Commissione femminile della Camera del lavoro di Ancona, con una parentesi presso la Camera del lavoro di Macerata dove ricoprirà la stessa mansione dal 1948 al 1949.

In questo periodo visita decine di fabbriche disseminate nel territorio, portando avanti numerose battaglie sindacali che mirano principalmente al miglioramento degli ambienti di lavoro. Alle "Cartiere Miliani" di Fabriano (dove nel 1945 seicento dei novecento operai lì occupati erano donne), dopo uno sciopero da lei diretto, si ottenne l'installazione di un impianto di depurazione dell'aria presso il reparto cernita, nel quale un'altissima percentuale di operaie lamentava gravi patologie dell'apparato respiratorio. Successivamente Derna si occupò a fondo delle condizioni di lavoro nelle filande che costituivano, esclusa la cartiera di Fabriano, la più antica attività manifatturiera della provincia di Ancona.

Tra i risultati raggiunti: la regolarizzazione di molti contratti e l'iscrizione della manodopera femminile agli istituti previdenziali. Derna si dedica molto anche al problema del lavoro sommerso a domicilio, svolto principalmente dalle donne. Tra i settori che vi ricorrono maggiormente, la commissione femminile individua quello degli strumenti musicali. Nel 1953 è Derna a organizzare la Conferenza provinciale della Donna lavoratrice, al termine della quale viene approvata la Carta rivendicativa della lavoratrici anconetane, nella quale le richieste salienti sono: un livello massimo di sperequazione tra uomo e donna del 13%; l'applicazione integrale della legge sulla maternità e infanzia; l'estensione anche alle mezzadre e alle lavoratrici statali, del diritto alla conservazione del posto di lavoro dopo il matrimonio; l'approvazione di un progetto di legge a tutela delle lavoratrici a domicilio; il rispetto sul luogo di lavoro della personalità e della dignità delle lavoratrici.

Derna Scandali è uscita dalla Camera del lavoro di Ancona nel 1955 e da questa data, fino al 1970, ha continuato a militare nel PCI, senza tuttavia ricoprirvi incarichi. Nel 1970 è entrata nella Direzione nazionale del Sindacato pensionati italiani, dove è rimasta fino al 1978. Nel 1987 il Comune di Ancona le ha assegnato un diploma di benemerenza per il suo impegno in favore della tutela dei diritti e della dignità delle persone anziane e, nel 1988, l'allora segretario generale della CGIL, Sergio Cofferati, le ha consegnato a Roma un riconoscimento per la sua lunga militanza nel sindacato.

Derna Scandali si è spenta a 98 anni nella Casa di riposo Benincasa di Ancona, che aveva contribuito a far realizzare.

Dirce Scarazzati Giuntoli[modifica]

Dirce Scarazzati Giuntoli è nata a Milano il 15 dicembre 1920 ed è deceduta a Empoli il 21 aprile 2002.

Per sfuggire alle persecuzioni dei fascisti, la famiglia di Dirce (il padre, spazzino a Milano, era stato licenziato per non aver voluto "prendere la tessera del Fascio", il fratello maggiore, Raoul, si era iscritto al PCdI dalla fondazione), nel 1931, aveva dovuto emigrare in Belgio. Gli Scarazzati si erano successivamente trasferiti in Francia e si erano fatti agricoltori.

Nel 1936, quando Raoul era andato in Spagna a combattere per la Repubblica, Dirce aveva preso i primi contatti con la cellula comunista clandestina del paesino dove abitava e dove era andata a servizio. Due anni dopo, Dirce si trasferisce a Parigi, entrando a tempo pieno nell'organizzazione del Centro estero del PcdI.

Nella primavera del 1939 Dirce è incaricata di rientrare in Italia, per collegarsi con l'organizzazione clandestina di Ancona, ma cade nelle mani dell'OVRA. Incarcerata, resiste agli interrogatori, poi è trasferita al carcere di Marassi, a Genova, e deferita al Tribunale speciale. Processata con altri ventiquattro imputati di varie regioni, il 2 febbraio 1940 Dirce Scarazzati viene condannata a otto anni di reclusione per "associazione e propaganda sovversiva". Sconta la pena nel Carcere di Trani.

Liberata il 23 agosto del 1943 la giovane raggiunge Milano e qui, dopo l'8 settembre, riprende la lotta antifascista, organizza la propaganda, mantiene i contatti tra il CLN e le fabbriche. Poi Dirce passa a Torino, dove diventa staffetta delle formazioni partigiane.

Quando, finalmente, l'Italia viene liberata, Dirce torna nella sua città natale, organizza l'Unione Donne Italiane e ne diviene la segretaria provinciale. Trasferita a Roma, all'Organizzazione del PCI, vi resta poco. A febbraio del 1946 è in Puglia, a dirigere il "lavoro femminile". A Bari incontra un funzionario comunista toscano, Aldo Giuntoli. I due si sposano ed Empoli diventa per Dirce la sua nuova città, dove continuerà le battaglie per la pace e la democrazia.

Amica fraterna della partigiana Rina Chiarini, quando le toccò il triste compito di rivolgerle l'estremo saluto disse: "Se la vita dei morti è nella memoria dei vivi, allora Rina e Remo sono con noi".

Lea Trivella[modifica]

Lea Trivella nasce a La Spezia nel 1918 e muore a Pesaro il 7 maggio 2006. È stata dirigente del movimento femminile.

Lea era cresciuta in Francia dove i suoi genitori, operai socialisti (che già avevano dovuto trasferirsi inutilmente dal capoluogo a Sarzana, sperando di sottrarsi così alle persecuzioni fasciste), erano stati costretti a emigrare nel 1922. A Parigi Lea, cresciuta, aveva avuto modo di frequentare alcune delle più rilevanti figure di fuorusciti comunisti, tra i quali i partigiani Adele Bei e Giuliano e Piero Pajetta.

Fu quindi per lei naturale l'adesione al Partito comunista e – quando la Francia fu occupata dai tedeschi – la partecipazione alla Resistenza francese. A fianco di Siro Lupieri, suo compagno di vita e di lotte, Lea combatté a Parigi contro i nazisti.

Nel 1943, dopo la caduta di Mussolini, rientrata in Italia, con Lupieri mise a frutto a Pesaro l'esperienza parigina di guerriglia urbana. Dopo la Liberazione, Lea Trivella fu protagonista e promotrice di tutte le più importanti iniziative per il miglioramento della condizione delle donne. Nel 1945 fu tra le fondatrici dell'Unione Donne Italiane a Pesaro; nel partito comunista si impegnò nelle politiche femminili.

Dopo la morte di Lupieri, nel 1986, si dedicò alla creazione di Centri sociali per anziani e, poi, alla organizzazione di corsi dell'Università per l'età libera. Nei suoi ultimi anni, malgrado l'età avanzata e le precarie condizioni di salute, continuò a militare nell'ANPI e non interruppe mai l'attività in favore delle donne e della pace.