Saeculum Mirabilis/Capitolo 5
La bomba e la corsa agli armamenti
[modifica | modifica sorgente]La rete degli interessi di Einstein
[modifica | modifica sorgente]Con questo Capitolo entriamo in una fase della vita di Einstein, all'incirca dal 1939 fino alla sua morte nel 1955, in cui è sempre più difficile separare tre filoni principali della sua attività: il suo rapporto con la bomba, la difesa del governo mondiale e la resistenza al clima di guerra fredda. La questione della sua connessione con il progetto della bomba atomica si fonde dopo Hiroshima con la sua preoccupazione per un mondo che potrebbe autodistruggersi con armi atomiche, che a sua volta era collegata direttamente alla sua campagna per il governo mondiale. Entrambe queste preoccupazioni, a loro volta, erano intimamente connesse con le nubi sempre più fitte della guerra fredda. Un controllo efficace delle armi nucleari e dei piani per il governo mondiale doveva includere l'Unione Sovietica, ma, in un clima crescente di sfiducia e aperto disaccordo tra Oriente e Occidente, come si potevano realizzare questi piani ambiziosi? Alla fine degli anni ’40, quando la Cortina di ferro era stata definitivamente chiusa, la NATO era stata istituita, l'Unione Sovietica aveva la bomba e la rivoluzione comunista in Cina aveva avuto luogo, coloro che erano al potere in America e in misura minore in Gran Bretagna consideravano l'internazionalismo del tipo sostenuto da Einstein come nel migliore dei casi ingenuo e nel peggiore filo-sovietico. La posizione di Einstein sulla guerra fredda e più in generale sulla libertà e altri valori sociali era intimamente legata alle sue campagne per il governo mondiale e contro la corsa agli armamenti nucleari.
È impossibile, tuttavia, parlare di tutto in una volta. Per mantenere ben delineati i filoni dell'attività di Einstein, è necessario trattarli separatamente, pur riconoscendo importanti aree di sovrapposizione. La separazione non è del tutto artificiale se guardiamo oltre Einstein, al mondo in generale. Ad esempio, la spinta del dopoguerra per stabilire il controllo internazionale dell'energia atomica, che per Einstein era impensabile senza un governo mondiale che lo sovrintendesse, non implicava, per quanto riguardava la maggior parte dei funzionari e dei commentatori governativi, un governo mondiale. Così il controllo internazionale dell'energia atomica è discusso in questo Capitolo in connessione con la costruzione e l'uso della bomba, mentre il governo mondiale è trattato nel prossimo. Le campagne antinucleari postbelliche di Einstein, che potrebbero forse essere trattate sotto il titolo della sua crescente alienazione dalla politica della guerra fredda, hanno una dinamica interna e istituzionale legata alle persone e alle organizzazioni ad esse associate e sono quindi discusse anche in questo Capitolo. Infine, il crescente antagonismo con l'Unione Sovietica, cui Einstein era incline a resistere per quanto poté, si interseca in vari modi con tutti gli aspetti dell'attività politica di Einstein nel suo ultimo decennio, ma ancora una volta ha una dinamica distinta nel più ampio contesto geopolitico e ideologico, che merita una trattazione a parte. In breve, questo e i due Capitoli successivi si concentrano rispettivamente sulla bomba atomica, sul governo mondiale e sul conflitto ideologico della guerra fredda, pur riconoscendo che questi fili sono strettamente intrecciati nella figura reale di Einstein.
Queste considerazioni hanno a che fare ben più di come organizzare il materiale. Hanno anche a che fare, come abbiamo notato precedentemente, con la natura sfaccettata del sistema di valori di Einstein. Molti attivisti nelle varie sfere in cui era coinvolto Einstein si occupavano essenzialmente di un solo interesse o di una sola campagna. In tali casi, Einstein poteva trovarsi d'accordo con un individuo su quell'unica questione ma non su altre, il che gli lasciava il delicato problema di come evitare che i disaccordi su questioni secondarie minassero il terreno comune. Con questi punti in mente, passiamo alla connessione di Einstein con la bomba atomica.
Einstein e la Bomba, 1939–1945
[modifica | modifica sorgente]Einstein è stato chiamato il nonno della bomba atomica in quanto si basava in ultima analisi su una svolta teorica che egli fece quarant'anni prima di Hiroshima. Non che la teoria dell'equivalenza massa-energia racchiusa nell'equazione E=mc² dicesse agli scienziati e agli ingegneri come costruire una bomba. "My sole contribution in this field", spiegò Einstein a un corrispondente dopo la guerra, "was that in 1905 I established the relationship between mass and energy, a truth about the physical world of a very general nature, whose possible connection with the military potential was completely foreign to my thought" e continuava: "My only contribution with respect to the atomic bomb was that, in 1939, I signed a letter to President Roosevelt in which I called attention to the existing possibility of producing such a bomb and to the danger that the Germans might make use of that possibility. I considered this my duty because there were definite indications that the Germans were working on such a project."1
In verità, come vedremo, il coinvolgimento di Einstein fu un bel po' più importante di quanto suggerisca questa affermazione, ma egli fu essenzialmente uno spettatore del dramma della costruzione della bomba. Molte fasi intermedie nello sviluppo della fisica moderna, in molte delle quali Einstein non prese parte diretta, dovettero aver luogo prima che la sua svolta del 1905 sfociasse nelle bombe di Hiroshima e Nagasaki. Né partecipò, se non in misura molto minore, allo stesso Progetto Manhattan, il nome in codice dato al progetto che produsse le bombe.2 Il principale contributo di Einstein alla storia delle armi nucleari fu politico piuttosto che scientifico, in quanto la sua preoccupazione sin dall'inizio fu con il loro impatto sulle relazioni tra le nazioni e, in ultima analisi, sul destino della civiltà umana. Tuttavia, proprio a causa del suo contributo alla fisica, la posizione politica di Einstein su questo problema aveva un'autorità particolare.
Iniziamo con le percezioni proprie di Einstein, poiché nel dopoguerra fu spinto in diverse occasioni a spiegare e giustificare il suo ruolo. Sviluppò una sua propria narrativa, legata alle esigenze del momento e al desiderio di affermare ciò che vedeva come verità. Dopo la guerra aveva motivi per sottolineare la sua distanza dal Progetto Manhattan, poiché in alcuni ambienti fu accusato di complicità in un momento in cui discuteva a gran voce a favore del controllo delle armi nucleari. L'evidenza mostra che Einstein ebbe qualche difficoltà nel separare il suo nome e la sua reputazione dall'arma più distruttiva della storia umana. La lettera sopra citata, che chiariva il suo ruolo nello sviluppo della bomba, era indirizzata al pacifista A. J. Muste, il quale aveva ipotizzato che, data la sua eminenza come fisico, Einstein dovesse essere coinvolto nel Progetto Manhattan. Muste sperava di ottenere da Einstein l'impegno pubblico di rifiutarsi di impegnarsi in qualsiasi ricerca collegata alla "Super" o Bomba H che era attualmente in fase di sviluppo. Einstein rispose con una certa esasperazione che non aveva mai preso parte "in work of a military–technical nature" e che le autorità lo sapevano molto bene: "it would, therefore, be quite ridiculous if I were to issue a statement declaring my refusal to take part in armament work... it would never occur to [the military authorities] to invite me to participate in such work."3
La cosa più inquietante per Einstein erano le lettere dei corrispondenti giapponesi che facevano simili insinuazioni. Non fu solo la comprensibile sensibilità dei giapponesi alla questione nucleare dopo Hiroshima a inquietare la mente di Einstein, ma anche il fatto che Einstein nutrisse una stima e un affetto particolari per il Giappone dopo la sua visita negli anni ’20. Offendere i giapponesi era contrario ai suoi desideri. Tuttavia era determinato a mettere le cose in chiaro. Dall'editore della rivista Kaizō di Tokyo ricevette un questionario che includeva la domanda: "Why did you cooperate in the production of the atomic bomb, although you were well aware of its tremendous destructive power?" La risposta di Einstein ribadì alcuni degli stessi punti che aveva fatto a Muste, ma anche il suo pacifismo per la nuova era nucleare in quella che era essenzialmente una replica degli argomenti dei primi anni ’30. Si può ancora essere pacifisti e sostenere l'azione armata? Einstein diede un sì con riserva, se, come accadde quando aveva fatto la raccomandazione a Roosevelt nel 1939, era convinto che anche i tedeschi potessero sviluppare una bomba.
L'editore di Kaizō poteva essere stato convinto da questi argomenti, ma il traduttore giapponese delle risposte di Einstein al questionario, Seiei Shinohara, non lo fu. Ribadendo che Einstein aveva affermato di essere un pacifista assoluto mentre allo stesso tempo difendeva le azioni che portarono alla fabbricazione e all'uso della bomba, Shinohara non poteva che considerare le azioni di Einstein come un terribile errore. Infierendo maggiormente, Shinohara aggiunse che Gandhi, che Einstein aveva invocato nella sua risposta al direttore di Kaizō come "the one who indicated the path to be taken", sicuramente non avrebbe mai firmato la lettera a Roosevelt. Spinto sulla difensiva, Einstein rispose che non aveva affermato di essere un pacifista "absolute", ma piuttosto un pacifista "convinced" (überzeugter), che in seguito raffinò ulteriormente nel termine pacifist "dedicated" (entschiedener). Spinto ancora di più a definire la sua posizione, Einstein affermò: "I am opposed to the use of force under any circumstances except when confronted by an enemy who pursues the destruction of life as an end in itself" (corsivo nell'originale). Forse riconoscendo che ulteriori raffinamenti verbali non avrebbero portato avanti la sua causa, Einstein fece notare che, in ogni caso, contrariamente a quanto affermato da Shinohara, non avrebbe mai approvato l'uso della bomba contro la Germania e ne aveva sempre condannato l'uso contro il Giappone. Shinohara fu placato, chiedendo solo che Einstein inviasse un messaggio al Giappone nell'anniversario di Hiroshima e Nagasaki, cosa che acconsentì volentieri.4
Questi scambi illustrano il familiare problema einsteiniano di controllare la sua immagine pubblica, fino alla sua insistenza sul fatto che non sarebbe stato responsabile di nessuna traduzione giapponese, ma solo del suo testo tedesco.5 In verità era per lui difficile scrollarsi di dosso l'opinione comune di essere associato alla fabbricazione della bomba. Qual fu esattamente il suo coinvolgimento?
La storia inizia con il fisico ungherese Leó Szilárd, che, mentre risiedeva a Berlino nel 1932, aveva letto il romanzo di H. G. Wells The World Set Free (1914). In quel romanzo Wells, caratteristicamente molto in anticipo rispetto al progresso della scienza stessa, ipotizzò fantasiosamente la scoperta dell'energia atomica, tra i cui frutti nel suo racconto c'era la bomba atomica. Nel romanzo ha luogo una guerra globale, che riduce il mondo al caos fino a quando non viene convocata una conferenza che porta all'istituzione di un governo mondiale. Lasciando da parte per il momento la chiara previsione di Wells della pressione per il governo mondiale che sarebbe seguita alle bombe sul Giappone, il risultato più importante della lettura di Wells da parte di Szilard fu la sua cogitazione sulla possibilità di una reazione a catena, che era necessaria se l'energia doveva essere rilasciata dall'atomo in grande scala. Szilard indagò su vari elementi che potevano essere candidati idonei senza giungere a una conclusione, ma era sufficientemente sicuro del principio della reazione a catena da richiedere nel 1934 un brevetto per l'idea. Negli anni successivi Szilard assunse incarichi scientifici in Inghilterra e poi, nel 1938, in America senza poter comprovare l'affermazione fatta nel brevetto, finché non venne a conoscenza della scoperta della fusione degli atomi di uranio da parte del fisico tedesco Otto Hahn e del suo collega Fritz Strassmann. Hahn e Strassmann non trassero dal loro lavoro sulla fissione la conclusione che fosse possibile una reazione a catena, ma altri molto presto lo fecero. A quel punto Szilard e altri della Columbia University di New York City si impegnarono in lavori correlati, incluso il principale fisico italiano Enrico Fermi, furono tra coloro che si resero conto che i risultati di Hahn significavano una reazione a catena nell'uranio, e che quindi fosse possibile costruire una bomba con potenza indicibile. Iniziarono a dimostrarlo sperimentalmente e i risultati furono abbastanza incoraggianti da consentire loro di prendere in considerazione la pubblicazione. Tuttavia, sorse la questione se dovessero pubblicare, data la natura potenzialmente esplosiva della ricerca e il deterioramento del clima politico in Europa. Era il marzo del 1939. L'esercito di Hitler aveva marciato su Praga, stracciando l'accordo di Monaco dell'anno precedente, e rendendo praticamente inevitabile una guerra. Alla fine, Szilard e Fermi pubblicarono perché sapevano che esperimenti simili venivano intrapresi e pubblicati in Europa. Nell'estate del 1939, Szilard era alquanto preoccupato per la possibilità che la Germania acquistasse fonti di uranio, con il Congo belga che conteneva le maggiori risorse del mondo, e credeva che i governi dovessero essere avvertiti del pericolo. Decise di cercare l'aiuto di Einstein, poiché conosceva la regina del Belgio. Fu così che Einstein fu arruolato nella storia del progetto atomico, non per competenza scientifica e non inizialmente per la sua posizione in America, ma per la sua amicizia con la regina di una piccola nazione europea.
L'idea di una reazione a catena era nuova per Einstein, sebbene, come riferì Szilard, "he was very quick to see the implications and perfectly willing to do anything that needed to be done". Einstein era riluttante a scrivere direttamente alla regina su questo argomento, ma si offrì di scrivere a un membro del gabinetto belga che conosceva. Alla fine fu presa la decisione di rivolgersi al governo americano, che comunque avrebbe dovuto essere informato di una lettera ad un'altra nazione su un argomento così grave. Szilard si avvicinò a un economista emigrato ben collegato, Gustav Stolper, che a sua volta si avvicinò a Alexander Sachs, un banchiere di investimenti che aveva lavorato nell'amministrazione del New Deal di Roosevelt alcuni anni prima e conosceva lo stesso Roosevelt. Una volta messo al corrente della gravità della situazione, Sachs raccomandò di redigere una lettera da Einstein al Presidente.6
Datata 2 agosto 1939, la lettera stessa venne scritta congiuntamente da Einstein e Szilard, con Einstein che dettava una bozza e Szilard che la rivedeva e modificava. Szilard scrisse anche una nota separata contenente informazioni tecniche più dettagliate, che fu presentata contemporaneamente. Non c'era niente di allarmista nel tono della lettera, per quanto importante fosse il suo messaggio. Iniziava così: "Some recent work by E. Fermi and L. Szilard... leads me to expect that the element uranium may be turned into a new and important source of energy in the immediate future..." Il nuovo fenomeno di una reazione nucleare a catena in una grande massa di uranio avrebbe potuto portare alla costruzione di "extremely powerful bombs of a new type". Gli Stati Uniti avevano scarsi minerali di uranio; ce n'erano di buoni in Canada e in Cecoslovacchia, ma i migliori erano nel Congo belga. Date le circostanze, era auspicabile che ci fosse un "permanent contact" tra i fisici che lavoravano alla reazione a catena e il governo degli Stati Uniti, al fine di tenere il governo informato sugli sviluppi e accelerare il lavoro sperimentale elargendo fondi oltre a quelli che i dipartimenti universitari potevano fornire. La lettera terminava con l'inquietante osservazione che la Germania aveva interrotto la vendita di uranio dalle miniere in Cecoslovacchia (rilevate dalla Germania all'inizio di quell'anno), e che ciò poteva essere collegato al fatto che il figlio del sottosegretario di Stato tedesco, von Weizsäcker, era stato assegnato al Kaiser Wilhelm Institute di Berlino (di cui Einstein era stato direttore), dove ora si ripeteva il lavoro americano sulla reazione a catena.7
Per una serie di motivi, la lettera di Einstein non fu effettivamente consegnata a Roosevelt per due mesi, ma quando nell'ottobre 1939 Roosevelt ne fu finalmente informato, si mosse rapidamente per istituire un comitato consultivo sotto la guida di Lyman Briggs, direttore del National Bureau of Standards (che conteneva il laboratorio di fisica del governo). Fermi e Szilard furono aggiunti all'Uranium Committee, come divenne noto, quali "non-governmental representatives", insieme ad altri due fisici ungheresi emigrati, Edward Teller ed Eugene Wigner. Dopo un primo rapporto sulle possibili applicazioni militari della nuova forma di energia, venne suggerito che il Comitato dovesse aggiungere altri scienziati, tra cui Einstein, sebbene egli rifiutasse di partecipare, un punto su cui torneremo. Nel marzo 1940 Einstein fu nuovamente invitato a partecipare a un convegno sulla questione dell'uranio, questa volta su specifico suggerimento dello stesso Roosevelt. Ciò era il risultato di una seconda lettera di Einstein al presidente che attirava l'attenzione sulle prove dell'intensificazione della ricerca sull'uranio in Germania. Einstein rifiutò ancora una volta di partecipare. Alexander Sachs, il cui lungo memorandum è un'importante fonte storica per questa prima fase del programma atomico americano, riferisce: "Indisposition on account of a cold and the shyness which makes Dr Einstein recoil from participating in large groups would prevent his attendance".8 Una volta che il Comitato Briggs fu sciolto nel giugno 1940 e sostituito da uno sotto il National Defense Research Committee, guidato da Vannevar Bush, Einstein non ebbe più alcun legame diretto con quello che divenne il Progetto Manhattan, che a sua volta non fu istituito fino al dicembre 1941.
La valutazione del ruolo e della responsabilità di Einstein nella realizzazione della bomba non può basarsi solo sul resoconto delle sue stesse azioni. Gli eventi esterni, politici e scientifici, giocarono un ruolo importante e forse dominante, soprattutto sul ritmo del movimento del governo americano verso l'impegno su vasta scala per la produzione di una bomba. Il ritardo nella risposta di Roosevelt alla lettera originale di Einstein può essere attribuito alla preoccupazione del governo per l'inizio della guerra in Europa nel settembre 1939 e agli sforzi febbrili per rivedere le leggi americane di neutralità, che, secondo Roosevelt e i Democratici, seriamente ostacolavano la capacità del governo di affrontare la crisi. La lentezza della reazione governativa tra l'ottobre 1939 e il maggio-giugno 1940 rispecchiava il periodo della "phoney war" nel 1939-1940 e un corrispondente basso livello di urgenza, mentre nel giugno 1940 si spostava il programma sull'uranio dal Dipartimento del Commercio alla Difesa, riflettendo l'ansia derivante dalla caduta della Francia.9 Anche allora il progetto sull'uranio rimase una priorità relativamente bassa e, secondo il principale storico della bomba atomica, a metà dell'estate 1941 "was in danger for its life". Poi, nell'autunno del 1941, il rapporto britannico MAUD raggiunse gli Stati Uniti, fornendo in dettaglio i calcoli necessari per convertire l'Uranio-235 in materiale fissile, il che produsse la sorprendente conclusione che una bomba di immensa potenza poteva essere prodotta da poche libbre anziché da tonnellate di uranio. Nelle parole del rapporto MAUD, "the committee considers that the scheme for a uranium bomb is practicable and likely to lead to decisive results in the war".10 programma nel Progetto Manhattan su scala industriale. Questo fu ciò che portò entro dicembre alla conversione di un programma di ricerca di basso livello al Progetto Manhattan su scala industriale.
Si potrebbe descrivere il lavoro di Einstein come quello della prima spinta di un rimorchiatore contro una nave molto grande. Il biografo di Einstein Albrecht Fölsing probabilmente si spinge troppo oltre nella sua affermazione che "Einstein’s intervention, including his first letter, had no appreciable effect on the course of events".11 Più giusta è l'osservazione di Richard Rhodes secondo cui la lettera di Einstein "helped alert the United States to the possibility of an atomic bomb".12 Questa, e la successiva lettera del marzo 1940, ebbe certamente qualche conseguenza importante.13 Forse la prova più indicativa di ciò, anche se certamente prova negativa, è il fatto che la lettera di Einstein non fu il primo approccio al governo. All'inizio dell'anno, osserva Leo Szilard, "soon after we had discovered the neutron emission of uranium", il gruppo della Columbia University decise che il governo doveva essere informato. Enrico Fermi fu inviato a Washington, dove fu ricevuto da un comitato del Dipartimento della Marina, con il quale uno del gruppo era in contatto. Lì, scrive Szilard, "Fermi told in his cautious way the story of uranium and what possibilities were involved. But there the matter ended". Non si trattava semplicemente del fatto che il governo non era in uno stato d'animo ricettivo, ma anche del fatto che Fermi era sconosciuto al di fuori dei circoli scientifici. Dopo la riunione un membro del comitato telefonò a un fisico che conosceva e gli chiese: "Who is this man Fermi? What kind of man is he? Is he a Fascist or what? What is he?"14 A Einstein non sarebbero state mai poste domande del genere.
Ma ci sono altre domande sul ruolo di Einstein. Perché il governo degli Stati Uniti non fece più uso di Einstein dopo la fase iniziale del progetto della bomba? E qual era l'atteggiamento di Einstein nei confronti del lavoro sulla bomba durante la guerra rispetto alla sua visione retrospettiva? Nessuna delle due domande ha una risposta semplice.
Alla prima domanda, Einstein non era, ovviamente, uno specialista nel campo della fisica direttamente correlato al progetto della bomba. La sua sorpresa per la possibilità di una reazione a catena espressa a Szilard nella loro prima conversazione nell'agosto 1939 era un riflesso del suo isolamento da molti sviluppi attuali della fisica e della sua preoccupazione per la Teoria del campo unificato. Tuttavia, una mente fertile come la sua poteva essere utilizzata per molti usi, e infatti nel dicembre 1941 fu invitato a lavorare sulla separazione degli isotopi, un contributo relativamente minore e indiretto al progetto della bomba. Non gli fu chiesto di fare di più, perché ciò avrebbe significato essere pienamente informato e, nelle parole di Vannevar Bush, "this is utterly impossible in view of the attitude of the people here in Washington who have studied his whole history".15 In breve, era considerato un rischio per la sicurezza.
La preoccupazione di Bush era che Einstein potesse parlare alla gente in un modo non appropriato data la segretezza del lavoro, vale a dire che l'inaffidabilità di Einstein era un'espressione della sua personalità piuttosto che di qualsiasi deliberata tendenza sovversiva. Bush sapeva che i suoi superiori non avrebbero avuto la stessa visione indulgente. Einstein era già oggetto di indagine come serio rischio per la sicurezza. Le prove su cui si basava tale giudizio erano sufficientemente fragili da mettere in dubbio i metodi di rilevamento, per non parlare della comprensione degli investigatori coinvolti. È ora noto che il direttore dell'FBI J. Edgar Hoover ordinò personalmente un'indagine su Einstein sulla base di un unico rapporto non corroborato di presunta attività comunista negli anni ’20. L'FBI creò un file di 1 800 pagine su Einstein, l'"extreme radical", che includeva i "facts" che la casa di Einstein a Berlino era stata conosciuta negli anni ’20 come un "Communist Center and clearing house", che era stato "ousted from Germany as a Communist", e che quindi sembrava improbabile che "a man of his background could, in such a short time, become a loyal American citizen". Ulteriore materiale sulle sue presunte relazioni sospette con l'Unione Sovietica rafforza la conclusione, come afferma lo storico Richard Schwartz con notevole eufemismo, che il fascicolo dell'FBI riflettesse "an ideological bias within the FBI".16 Il dossier riproponeva anche le accuse di presunte tendenze sovversive di Einstein che erano state sollevate da un'organizzazione di donne patriottiche all'epoca in cui egli divenne residente per la prima volta negli Stati Uniti.17
Alquanto ironico è il fatto che l'FBI fosse evidentemente all'oscuro delle lettere di Einstein a Roosevelt o che fosse stato invitato dal presidente a partecipare a riunioni di alto livello sulla questione dell'uranio. Né apparentemente aveva peso per l'FBI che nell'ottobre 1940 Einstein avesse prestato giuramento come cittadino americano. Inoltre, nonostante avesse posto una barriera tra lui e il Progetto Manhattan, il governo lo ritenne sufficientemente leale da invitarlo a intraprendere un lavoro teorico sugli esplosivi per la Marina degli Stati Uniti, cosa che evidentemente fu lieto di fare. Il tenente che lo aveva reclutato per conto della Marina notò che Einstein "felt very bad about being neglected. He had not been approached by anyone to do war work".18 Non era stato contattato da nessuno per svolgere un lavoro bellico. Così, ancora una volta, come nella Prima Guerra Mondiale, Einstein fece la sua parte per lo sforzo bellico, con l'importante differenza che nella Seconda Guerra Mondiale non vi fu alcuna contraddizione tra l'opera intrapresa e la sua posizione sulla guerra.
Il contatto di Einstein con la burocrazia durante la guerra fu quindi limitato ma non del tutto irrilevante, il che solleva interrogativi sul fatto che fosse veramente così distaccato dalle questioni militari, incluso il progetto sull'uranio, come affermò in seguito. Il suo coinvolgimento evidentemente si estese oltre la firma della lettera a Roosevelt nell'agosto 1939. Non solo scrisse una seconda lettera a Roosevelt nel marzo 1940 e una terza nel marzo 1945, ma fu tenuto informato per tutto il tempo sui progressi del Progetto Manhattan, almeno in modo generale, tramite contatti con Szilard e altri.19 Come poteva non rendersi conto che stava succedendo qualcosa di grosso? Conosceva bene la prima fase del progetto sull'uranio e nel 1942 la maggior parte dei suoi più stretti colleghi e amici in fisica scomparve improvvisamente in zone remote del paese e smise di pubblicare il proprio lavoro. In un caso la sua conoscenza portò a un incontro imbarazzante con il fisico danese Niels Bohr, che avrebbe avuto implicazioni sulla sicurezza per Bohr e per lo stesso Einstein. Bohr era un vecchio amico, collega e sparring partner intellettuale che aveva abbracciato, e in effetti potrebbe essere chiamato il padre del nuovo campo della meccanica quantistica, con le cui premesse Einstein era in disaccordo. Nonostante le profonde differenze, mantennero un rapporto stretto, rispettoso, ma complicato per tutta la vita.20 Nel 1943, dopo essere fuggito dalla sua nativa Danimarca, Bohr venne negli Stati Uniti per lavorare a Los Alamos, dove fu svolto il principale lavoro teorico sulla bomba, e durante il viaggio si fermò a Princeton per vedere Einstein. Apparentemente Einstein salutò Bohr in una stanza affollata con l'annuncio, molto imbarazzante per Bohr, che era contento che Bohr venisse a ripulire il pasticcio che gli americani stavano combinando con il progetto sull'uranio.21 Non è chiaro quanto esattamente Einstein sapesse di ciò che stava accadendo, ma fu sufficiente a far riflettere sia i suoi amici che i suoi nemici.
Che dire, allora, dell'atteggiamento di Einstein nei confronti del progetto sull'uranio nel momento in cui era in corso? La sua riluttanza ad accettare l'invito di Roosevelt nel marzo 1940 a incontrare l'Uranium Committee era un segno, come suggerisce Albrecht Fölsing, di risentimento per non essere stato invitato a riunioni precedenti? In realtà, secondo Sachs, Einstein era stato invitato a un incontro precedente. Descrivendo la riunione dell'Uranium Committee del 21 ottobre 1939, Sachs commenta che "all who were invited attended, with the exception of Dr Einstein, whose health and shy disposition interposed obstacles".22 Sachs usò gli stessi termini per descrivere la mancata partecipazione di Einstein alla riunione del marzo 1940 alla quale era stato invitato. Questi rifiuti ci dicono qualcosa sull'atteggiamento di Einstein nei confronti del progetto sull'uranio o solo sulla sua avversione per le riunioni e i funzionari governativi? Non esiste un modo sicuro per saperlo. Altri elementi di prova suggeriscono che, quali che fossero i suoi sentimenti sulla propria partecipazione, Einstein mostrò un maggiore senso di urgenza rispetto a molti dei suoi colleghi scienziati riguardo allo stato di avanzamento del lavoro. Sachs osserva che gli scienziati coinvolti nel progetto sull'uranio tendevano sempre a sottovalutare i risultati del loro lavoro e le relative implicazioni, il cui effetto sui funzionari governativi "was to recoil from the very suggestions that were being pressed by Dr Einstein and the writer [Dr Sachs] for providing a larger and more resourceful organizational framework for adequate and faster prosecution of the task."23
In poche parole, abbiamo quella che sembra essere una contraddizione: Einstein apparentemente voleva che il progetto sull'uranio avesse successo ed era felice di intraprendere un lavoro quando gli veniva offerto, sia sul Progetto Manhattan che su altri lavori legati alla difesa, ma si ritirò da un ruolo nell'Uranium Committee nel momento in cui apparentemente non ci furono ostacoli per motivi di sicurezza. Il risultato è che, in assenza di prove conclusive sulle sue opinioni, biografi e storici sono stati liberi di sviluppare le proprie interpretazioni. Uno dice che Einstein rifiutò gli inviti alle riunioni dell'Uranium Committee perché non voleva essere lì, con l'implicazione che volesse mantenere le distanze dall'intero progetto; un altro suggerisce che abbia rifiutato perché non era stato invitato a riunioni precedenti, in altre parole che voleva essere più coinvolto. Retrospettivamente, dato il suo punto di vista sull'uso effettivo della bomba e la sua successiva campagna contro la corsa agli armamenti nucleari, era certamente opportuno che il suo ruolo fosse così indiretto. Con una certa plausibilità, fu in grado in seguito di negare il collegamento con il progetto della bomba, escludendo la lettera iniziale a Roosevelt, perché il suo ruolo era stato così secondario. Il fatto che ciò servisse a minimizzare la sua partecipazione, fino al punto di travisare il suo contributo al lavoro bellico, dimostrò semplicemente, come ha affermato un biografo, "that he was human enough to push to the back of his mind the unpleasant facts he did not wish to acknowledge'.25
Comunque si interpreti la parziale riscrittura della propria storia, non possono esserci dubbi sulla sincerità dei suoi rimpianti postbellici, come espressi in un'intervista alla rivista Newsweek del marzo 1947 in cui disse: "Had I known that the Germans would not succeed in producing an atomic bomb, I would never have lifted a finger."26 Allo stesso modo, nell'ultimo anno della sua vita disse allo scienziato Linus Pauling: "I made one great mistake in my life—when I signed the letter to President Roosevelt recommending that atom bombs be made; but there was some justification—the danger that the Germans would make them".27 Il tema comune in queste affermazioni, come nella lettera originale a Roosevelt e in molti altri documenti di Einstein dell'epoca, era la minaccia tedesca. La Germania era stata il principale distruttore della pace nel 1914; la rinascita del militarismo tedesco fu la causa della riformulazione del pacifismo da parte di Einstein nel 1932-33, e la paura di ciò di cui la Germania fosse capace fu la preoccupazione principale alla base dell'avvertimento a Roosevelt nel 1939. In breve, l'avvertimento a Roosevelt non era la prima volta nella sua carriera che quella paura dell'aggressione tedesca aveva fatto pendere la bilancia verso una decisione politica importante. Il sospetto nei confronti della Germania si avvicinò all'essere un assoluto nel suo schema di valori politici per gran parte della sua carriera. Una volta sconfitta nel 1945, la Germania fu sostituita come polo negativo nel sistema di valori di Einstein dalle armi atomiche. Il polo positivo, come prima, era il governo mondiale, ma sostenuto con una nuova urgenza. In un'intervista tenuta nel 1946 Einstein affermò che, a causa della minaccia delle bombe atomiche, il governo mondiale era una "absolute necessity, for which reason everything that is done in international affairs must be done from the viewpoint of whether it will advance or hinder the establishment of world government".
Da questo punto di vista la questione importante su Einstein e la bomba non è tanto quello che sapeva del suo lato tecnico o il suo livello di responsabilità per essa, ma l'evidenza che ben prima della fine della guerra la sua mente stava sul significato politico della bomba. Era già pronto alla consapevolezza delle implicazioni politiche globali di una nuova arma tramite il suo interesse di lunga data per le istituzioni sovranazionali come soluzione al problema della guerra. Più il Progetto Manhattan si avvicinava al raggiungimento del suo obiettivo di produrre una bomba utilizzabile, più si preoccupava delle sue implicazioni politiche, un sentimento che condivideva con altri fisici che erano più vicini alla bomba di lui. Lo sappiamo dalla cronaca dei contatti verso la fine della guerra tra Einstein e il fisico Otto Stern, che era consulente del laboratorio di Chicago del Progetto Manhattan. Einstein e Stern si erano conosciuti a Praga e a Zurigo prima della Prima Guerra Mondiale. Il lavoro di Stern a Chicago sui reattori atomici, sebbene non direttamente connesso con la fabbricazione e l'assemblaggio della bomba stessa, lo mise in condizione di sapere molto su ciò che si stava progettando. Durante una visita ad Einstein a Princeton nell'autunno del 1944 espresse preoccupazione per il possibile impatto delle nuove armi sulla politica internazionale, e insieme ebbero l'idea di contattare eminenti fisici dei paesi alleati, compresa l'Unione Sovietica, per fare pressioni sui leader politici affinché si internazionalizzasse il potere militare, che era l'unica alternativa ad un "secret technological arms race".28
Entrambi erano consapevoli di entrare in un territorio politicamente sensibile e fu presa la decisione di chiedere consiglio a Niels Bohr, che aveva collegamenti internazionali senza pari. Se possibile sarebbero anche stati in grado di ottenere il suo sostegno. Si dà il caso che lo stesso Bohr avesse già proposto in colloqui personali con Churchill e Roosevelt che si dovessero tenere discussioni sull'energia atomica tra le potenze alleate, compresa l'Unione Sovietica, prima che si prendesse in considerazione l'uso di una bomba. Tuttavia, Churchill respinse apertamente l'idea, e l'incontro con Roosevelt, sebbene apparentemente più positivo in quanto Roosevelt sembrava concordare sul fatto che i sovietici dovessero essere avvicinati, non riuscì a produrre il risultato desiderato. Peggio ancora, sebbene all'epoca Bohr non lo sapesse, Churchill convinse Roosevelt che i sovietici non dovevano essere consultati affatto sul progetto atomico. In un promemoria tra i due leader nella residenza di Roosevelt a Hyde Park, New York, nel settembre 1944, concordarono che "the suggestion that the world should be informed regarding Tube Alloys [Churchill’s code name for the bomb] is not accepted". Conclusero minacciosamente che "enquiries should be made regarding the activities of Professor Bohr and steps taken to ensure that he is responsible for no leakage of information, particularly to the Russians".29
Fu poco dopo che Bohr si consultò con Einstein, le cui proposte Bohr poté vedere immediatamente che lo avrebbero reso vulnerabile al sospetto da parte delle autorità. Alla luce dei suoi approcci infruttuosi ai governi, Bohr era determinato a impedire che Einstein si tuffasse in pericolose acque politiche e andò a Princeton per metterlo in guardia dal portare avanti la sua idea. In un'ampia discussione che Bohr riferì alle autorità statunitensi, Bohr riuscì a ottenere da Einstein l'impegno richiesto. A sua volta, Einstein scrisse a Stern in termini insolitamente cauti che riteneva saggio astenersi dal perseguire ulteriormente le loro preoccupazioni e concluse: "It pains me to use such nebulous terms, but on this occasion I have no choice".30
Alcuni storici hanno usato questo episodio per dimostrare che la conoscenza di Einstein del progetto della bomba andava ben oltre ciò che in seguito affermò, ma potrebbe anche essere usato per illustrare la sua mancanza di connessione con il progetto.31 Era nella non invidiabile posizione di sapere abbastanza da essere seriamente preoccupato per le sue implicazioni pur essendo impotente a fare qualcosa al riguardo. C'era qualche giustificazione per la sua irritazione che lo Smyth Report sponsorizzato dal governo sulla realizzazione della bomba atomica, che fu pubblicato il 12 agosto 1945 e stabilì lo stampo per le rivisitazioni popolari della storia, mise in primo piano la sua lettera a Roosevelt. Ciò faceva sembrare, in assenza di ulteriori riferimenti a lui, che fosse stato direttamente coinvolto nel progetto, "that he in some sense owned it". In realtà, la sua non partecipazione al progetto gli diede una certa libertà non aperta agli addetti ai lavori del Progetto Manhattan, come J. Robert Oppenheimer e Leo Szilard, che alla fine pagarono un prezzo elevato per i loro scrupoli. In comune con molti dei suoi colleghi scienziati, Szilard aveva sostenuto si facesse un'esplosione dimostrativa prima di qualsiasi uso diretto della bomba contro il Giappone e fu licenziato dal progetto atomico nel 1947; a quel punto si dedicò al campo della biologia. Nonostante lo spettacolare successo di Oppenheimer come leader scientifico del Progetto Manhattan, una combinazione del suo passato radicale e dell'opposizione allo sviluppo della Bomba-H fu sufficiente ai suoi nemici, nel clima politico febbrile dei primi anni ’50, per destituirlo. Nel 1954 fu sottoposto ad un'udienza, a seguito della quale gli fu negato il nulla osta di sicurezza.32 Molti altri scienziati del Progetto Manhattan subirono risultati simili. Einstein fu in grado di sfruttare la sua posizione caratteristica di essere "above the battle" per portare avanti campagne per il governo mondiale e contro la corsa agli armamenti con relativa impunità, usando le sue credenziali internazionaliste e la sua autorità scientifica per sostenere con piena forza le questioni più urgenti del momento. Come sempre, il genio di Einstein fu quello di conservare un elemento di distacco pur esercitando autorità morale in virtù della sua posizione di scienziato e di essere umano.
Hiroshima e Nagasaki
[modifica | modifica sorgente]Le bombe su Hiroshima e Nagasaki dimostrarono un salto quantico nel potere distruttivo con conseguenze inimmaginabili per il futuro umano. In un saggio sulla bomba atomica scritto nell'ottobre 1945, George Orwell scriveva: "It is a commonplace that the history of civilization is the history of weapons".33 Ma non c'era nulla di banale in questa innovazione. I giornali gareggiavano tra loro per produrre titoli che corrispondessero al significato del momento. Ciò che avevano in comune era la certezza che nulla sarebbe stato più come prima: "The Bomb that has Changed the World", scriveva il Daily Express (London). "New Age Ushered", diceva il New York Times. "So Opens a New Era for Man", riportava l’Evening Standard (London). "Modern Man is Obsolete" era il crudo titolo di un editoriale del Saturday Review of Literature.34
Le idee sulla direzione del cambiamento variavano enormemente. Lo stesso Orwell riteneva probabile che, poiché la bomba era così costosa e difficile da produrre, le nazioni sopravvissute avrebbero fatto un tacito accordo per non usarla mai, con la prospettiva quindi che le cose sarebbero andate avanti più o meno come prima, "with two or three monstrous super-states, each possessed of a weapon by which millions of people can be wiped out in a few seconds, dividing the world between them".35 Qualcosa di quella visione di stasi senza fine in mezzo a conflitti senza fine si fece strada nel suo capolavoro distopico 1984 (1949). Altri immaginarono futuri più apocalittici, credendo che l'uso delle bombe atomiche avesse infranto le ipotesi su tutti i reami della vita umana e in effetti sulla prospettiva della vita stessa. Il filosofo francese Emmanuel Mounier alla conferenza di fondazione dell'UNESCO nel 1946, scrisse: "For the first time for many centuries mankind is haunted by the idea that the end of the world is possible".36 Hiroshima di John Hersey, che riempì un intero numero del New Yorker nell'estate del 1946, esplorò il costo umano diretto della bomba seguendo le esperienze post-Hiroshima di sei sopravvissuti nei minimi e dolorosi dettagli. Il racconto di Hersey, un bestseller quando pubblicato come libro lo stesso anno, rafforzò a livello umano le riflessioni politiche e morali più astratte di giornalisti e filosofi.
Si dice che Einstein abbia risposto alla notizia di Hiroshima con uno stanco "O Weh" (qualcosa come "ahimè" senza sfumature yiddish antiche), ma una volta che ebbe raccolto i suoi pensieri fu evidente che la bomba serviva anche a cristallizzare idee sulla pace mondiale e la concezione einsteiniana del ruolo degli intellettuali che era stata lenta a svilupparsi. Il suo tono era nettamente meno apocalittico di quello di molti commentatori. In un'intervista pubblicata nel novembre 1945, Einstein disse: "The release of atomic energy has not created a new problem. It has merely made more urgent the necessity of solving an existing one" — vale a dire l'esistenza di Stati nazionali sovrani, che assicuravano che la guerra sarebbe rimasta inevitabile. Le soluzioni, però, dovevano essere radicali. Anche lui parlò di cambiamento rivoluzionario. In un messaggio a un Peace Congress of Intellectuals tenutosi a Breslavia, in Polonia, nell'agosto 1948 dichiarò: "We must revolutionize our thinking, revolutionize our actions, and must have the courage to revolutionize relations among the nations of the world... To bring this home to people all over the world is the most important and most fateful function intellectuals have ever had to shoulder." Per Einstein solo l'istituzione del governo mondiale poteva gestire l'entità della crisi, ma i governi esistenti non erano certo pronti a raggiungere un tale risultato. Pur riconoscendo la necessità di affrontare la nuova realtà atomica, i loro interessi erano inevitabilmente più specifici e localizzati. Si concentrarono sui meccanismi per il controllo internazionale dell'energia atomica all'interno del quadro esistente degli stati, sebbene integrati da un emergente internazionalismo sotto forma delle Nazioni Unite. Questo non poteva mai essere abbastanza per Einstein e i suoi colleghi sostenitori del governo mondiale, ma difficilmente potevano ignorare tali proposte o respingerle a priori. All'indomani di Hiroshima perseguirono una doppia strategia di impegno con la politica di governo promuovendo anche l'obiettivo più avvolgente del governo mondiale.
International Control of Atomic Energy
[modifica | modifica sorgente]Comunque venga valutato il ruolo di Einstein nel Progetto Manhattan, non ci possono essere dubbi sul suo atteggiamento nei confronti dell'energia atomica una volta che fosse un fait accompli: doveva essere controllato nell'interesse collettivo globale. In questo era in linea con un considerevole gruppo di scienziati atomici. Nel giugno 1945, mentre si avvicinava il primo test atomico e si seppe che un comitato governativo (in cui erano rappresentati scienziati senior del Progetto Manhattan) aveva raccomandato l'uso della bomba contro il Giappone, un gruppo di scienziati senior del laboratorio di Chicago scrisse un rapporto sostenendo che "an early unannounced attack against Japan [was] inadvisable". Spiegarono anche con notevole preveggenza il probabile sviluppo di una corsa agli armamenti nucleari e sostennero la necessità di un accordo internazionale per prevenire la guerra nucleare, compresi i metodi di controllo delle armi nucleari.38 Il cosiddetto Franck Report divenne il seme di un movimento più ampio tra gli scienziati all'indomani di Hiroshima. Nell'autunno 1945 contribuirono a sconfiggere il disegno di legge May-Johnson, che non garantiva il controllo civile dell'energia nucleare e conteneva disposizioni di sicurezza draconiane che gli scienziati ritenevano incompatibili con l'attività della scienza e con le relazioni internazionali. La testimonianza di Leo Szilard in un'udienza del Congresso sul disegno di legge fu particolarmente influente nel respingere il disegno di legge May-Johnson.39 Il suo sostituto, il disegno di legge sull'energia atomica McMahon, che stabiliva il controllo civile dell'energia nucleare, fu redatto in parte da scienziati. Nel frattempo, gli scienziati preoccupati per le conseguenze dell'energia atomica iniziarono a organizzarsi per un lungo dibattito. La Federation of Atomic Scientists, che presto sarebbe diventata la Federation of American Scientists (FAS), fu fondata nel 1945 e rappresentava gli scienziati atomici più giovani; l’Emergency Committee of American Scientists (ECAS), di cui parleremo più avanti in questo Capitolo, fu avviato da Szilard e presieduto da Einstein.
Avevano i loro obiettivi massimi, che per molti era il governo mondiale, ma la loro attenzione si focalizzava anche sulla questione immediata di domare la forza appena scatenata dell'energia atomica. In ogni caso, ciò che veniva offerto nel mondo reale della politica era una riforma per far fronte al pericolo specifico piuttosto che un cambiamento rivoluzionario nelle strutture globali e nel comportamento desiderato da Einstein e altri. Nel gennaio 1946 fu presentato all'ONU un piano americano per il controllo internazionale dell'energia atomica.
Il clima politico era poco propizio per una visione serena e distaccata della questione. L'alleanza in tempo di guerra con l'Unione Sovietica stava iniziando a sgretolarsi mentre le parti affrontavano le conseguenze della vittoria. Proliferarono i disaccordi sui confini e sulla composizione dei governi nell'Europa orientale, sulle riparazioni, sulle politiche di occupazione e molto altro. Al momento Est e Ovest stavano ancora parlando tra loro – il termine "guerra fredda" non emerse fino al 1947 – ma si stava palesando lo sforzo di mantenere la cooperazione in assenza di un nemico comune. Inoltre, il dibattito sul controllo internazionale veniva pesantemente influenzato dal fatto che gli Stati Uniti detenessero il monopolio delle armi atomiche e dalla correlata questione se ci fosse davvero un segreto sulla bomba atomica. Le stime sulla durata del monopolio americano variavano, e queste a loro volta si basavano spesso su presupposti di segretezza. Gli ottimisti in America, che tendevano ad essere politici piuttosto che scienziati, credevano che l'America avesse uno spazio temporale di dieci anni. Gli scienziati sapevano che non c'era un singolo segreto sulla bomba e che la conoscenza richiesta e le abilità esistevano nell'Unione Sovietica. Il consenso generale tra gli scienziati, alcuni dei quali conoscevano i fisici sovietici e ne riconoscevano la posizione di prim'ordine, riteneva che fosse questione solo di tre o quattro anni.40 Per quanto riguardava lo stesso piano di controllo internazionale, il monopolio atomico americano sembrava consentire all'America di dettare i termini all'Unione Sovietica, ma ebbe anche l'effetto di dissuadere gli Stati Uniti dal fare il tipo di concessioni che avrebbero potuto produrre un accordo. In pratica, prima del tentativo di negoziare il controllo internazionale, il monopolio americano non aveva reso l'Unione Sovietica un partner più accondiscendente. Secondo quanto riferito, Truman disse a Stalin alla Conferenza di Potsdam nel luglio 1945 che aveva un'arma di potere inimmaginabile, a cui Stalin rispose: "Well, I hope you use it". Nei negoziati sui confini e sui governi nell'Europa orientale dopo la sconfitta della Germania, l'Unione Sovietica puntò i piedi, chiarendo che si aspettava di avere una sfera di influenza che equivalesse a una sfera di controllo. Se ci fu un tentativo da parte dell'America di esercitare la "atomic diplomacy", come affermano alcuni storici, allora sembra che non abbia funzionato.41
In queste circostanze come poteva funzionare il controllo dell'energia atomica? Nel marzo 1946 un comitato presieduto da David Lilienthal produsse un rapporto per il Dipartimento di Stato come base per un piano da presentare all'ONU. Fortemente influenzato da J. Robert Oppenheimer, il risultante "Acheson–Lilienthal Report" pose l'accento sulla cooperazione con l'Unione Sovietica e a tal fine propose che gli usi militari dell'energia atomica fossero supervisionati da un organismo internazionale, essendo gli usi pacifici dell'energia atomica lasciata ai singoli stati. Quando si trattò di presentare il piano alle Nazioni Unite, tuttavia, il ruolo fu affidato all'ex finanziere Bernard Baruch, che, con l'appoggio del presidente Truman, apportò modifiche sostanziali al piano Acheson-Lilienthal sia nei toni che nella sostanza. Diffidente nei confronti degli scienziati che dominavano il gruppo Acheson-Lilienthal, Baruch era molto meno conciliante nei confronti degli interessi sovietici. Il Piano Baruch in effetti richiedeva ai sovietici di abbandonare il loro progetto di bomba atomica e di sottoporsi a severe disposizioni di ispezione e verifica, che includevano punizioni per le violazioni. Inoltre, il veto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite veniva abolito, il che significa che l'Unione Sovietica non sarebbe stata in grado di controllare le proposte che avevano il sostegno della maggioranza nel Consiglio di Sicurezza.
Anche quando il progetto di Baruch fu soppesato rispetto all'impegno americano di disarmarsi una volta concordate queste disposizioni, i sovietici lo trovarono inaccettabile.42 In verità, la fiducia reciproca scarseggiava nel 1946, e ciò si estendeva oltre le relazioni americane con l'Unione Sovietica ad includere alleati come la Gran Bretagna. Il McMahon Atomic Energy Act (che fu convertito in legge nell'agosto 1946) riorganizzò il controllo e la supervisione dell'energia atomica, portandola sotto il controllo civile, ma limitò anche severamente la diffusione di informazioni atomiche, che ebbe l'effetto di porre fine alla ricerca e allo sviluppo congiunti con Gran Bretagna e Canada, che avevano partecipato al Progetto Manhattan. Se questo era lo stato d'animo al Congresso riguardo agli alleati, che possibilità c'era di cooperare con l'Unione Sovietica?
La reazione di Einstein al Piano Baruch fu forse prevedibile. A differenza di Bertrand Russell, che era "fiducioso" quando fu presentato il Piano Baruch, Einstein lo giudicò rigorosamente in base alla probabilità che esso producesse un governo mondiale e concluse, in una lettera a un periodico liberale americano, che non lo era. Lo stesso Russell in seguito ebbe motivo di essere scettico nei confronti del piano, ma desiderò comunque che i russi lo avessero accettato.43 Sebbene generalmente sprezzante nei confronti del Piano Baruch, tuttavia, Einstein non fu impressionato dal fallimento dell'Unione Sovietica nell'offrire controproposte e fu critico nei confronti della mancanza di interesse sovietico per il governo mondiale quanto di quello americano.44 L'annuncio di Truman nel settembre 1949 che il primo test atomico sovietico aveva avuto luogo non fece che rafforzare lo scetticismo di Einstein, come disse in una lettera ad A. J. Muste, riguardo a tutte le soluzioni "purely mechanical" al problema della sicurezza. In assenza di fiducia reciproca, nessuna proposta come il Piano Baruch poteva avere successo. In effetti, fu "practically impossible for the Soviet Union to accept the Baruch Plan". Come si poteva allora raggiungere un accordo? Einstein rifiutò l'idea di grandi gesti come la sospensione temporanea della produzione di bombe atomiche quale modo per ridurre lo stimolo del raggiungimento della bomba da parte dell'Unione Sovietica. Non era un sostenitore delle concessioni unilateraliste, che pensava non sarebbero state considerate sincere e sarebbero state insignificanti fintanto che la dinamica della corsa agli armamenti fosse continuata. La pace e la sicurezza potevano avvenire solo sulla base di "a give-and-take relationship".45
Lo scetticismo di Einstein sul controllo internazionale al di fuori del governo mondiale era evidente, e i suoi dubbi nascevano dagli eventi. Il piano fu discusso alle Nazioni Unite per quasi tre anni senza risultati.46 In assenza di qualsiasi prospettiva di influenzare direttamente la politica, Einstein dedicò le sue principali energie politiche nel periodo 1945-1948 ad allertare l'opinione pubblica sui pericoli dell'energia atomica, e il suo veicolo principale in questi anni fu l'ECAS, di cui fu il fondatore presidente. Forse qui poteva essere esercitata una "salutary moral influence".
The Emergency Committee of Atomic Scientists
[modifica | modifica sorgente]La forza motrice dietro l'ECAS era Leo Szilard, che ancora una volta si avvalse del sostegno di Einstein in un progetto per avvertire di imminenti pericoli atomici. È un commentario significativo sulla capacità della guerra di concentrare le menti e di muovere gli ingranaggi della politica con rapidità e solerzia che la lettera del 1939 a Roosevelt si fosse tradotta in un progetto su scala industriale per la produzione di una bomba, mentre gli sforzi dell'ECAS nei quattro anni della sua esistenza dal 1946 al 1950, sebbene non trascurabile, non furono in grado di impedire l'istituzionalizzazione di una corsa agli armamenti nucleari. In effetti, l'ECAS chiuso i battenti poco dopo che i sovietici ebbero completato il loro primo test atomico. Tuttavia, Einstein probabilmente dedicò più energia e tempo a questa causa che a qualsiasi altra scienza esterna, e merita un attento esame come esempio dei suoi sforzi per influenzare il governo e l'opinione pubblica.
ECAS riunì un piccolo ma influente gruppo di fisici con l'obiettivo di raccogliere fondi e sensibilizzare la nazione sull'energia nucleare. Gli obiettivi dell'ECAS furono enunciati in un telegramma a diverse centinaia di eminenti americani a firma di Einstein nel maggio 1946. Il messaggio aveva un approccio tipicamente etico, annunciando che "our world faces a crisis as yet unperceived by those possessing the power to make great decisions for good or evil". La "unleashed power" dell'atomo ha cambiato tutto, proseguiva il telegramma, "save our modes of thinking, and thus we drift toward unparalleled catastrophe". Dopo aver citato l'appoggio di alcuni eminenti fisici nucleari, che avevano tutti lavorato al Progetto Manhattan, oltre alla Federation of American Scientists, il messaggio continuava con un appello per ottenere fondi di 200 000 dollari per una campagna "to inform the American people that a new type of thinking is essential if mankind is to survive and move to higher levels". La stampa diffuse ampiamente l'appello, ed Einstein in seguito lo registrò per trasmetterlo su un cinegiornale.47
Einstein deve essere stato gratificato dal fatto che almeno un membro del pubblico, Christian Gauss, avesse preso sul serio il termine "new thinking". Gauss era infatti l'Academic Dean dell'Università di Princeton, recentemente andato in pensione, e anche un noto critico letterario e scrittore educativo con una gamma di interessi notevolmente ampia.48 Nell'autunno del 1946 Gauss scrisse un articolo per l’American Scholar dal titolo "Is Einstein Right?" (cioè che sia giusto dire che l'avvento delle armi nucleari richiedeva un nuovo modo di pensare). Una copia dell'articolo si trova nell'Archivio Einstein, il che suggerisce che sia stato almeno portato all'attenzione di Einstein. Scrivendo per quello che era a tutti gli effetti il giornale interno della professione accademica americana, Gauss si espresse in modo notevolmente elevato. Alcune innovazioni teoriche e tecnologiche nella storia, scrisse, furono così fondamentali e di vasta portata che arrivarono a determinare il carattere di intere epoche. Attingendo alle idee dell'antropologo americano Lewis Henry Morgan (1818-1881), Gauss disse:
Tuttavia, ci sono stati molti esempi nella storia di civiltà che non sono riuscite a raccogliere la sfida del cambiamento tecnologico, con la conseguenza che sono andate in declino. Uno di questi fu l'Impero Romano, la cui capacità di innovazione si arrestò proprio nel momento in cui ce n'era bisogno. Bloccata nei modi di pensare del passato, "she failed to recognize that in expanding her empire, she had altered the nature of her problem. She never dreamed of creating the technological instruments which might have assured her dominion over her overextended and increasingly impoverished domain." C'erano spiacevoli parallelismi con il presente: "While in its technological aspect Rome’s predicament was then the opposite of ours, in one sense we are suffering from the same malady. We must realize that a civilization which is altered in one of its aspects cannot remain anchored to its past". Dobbiamo renderci conto che una civiltà che è alterata in uno dei suoi aspetti non può rimanere ancorata al suo passato”. Un nuovo modo di pensare, come sosteneva Einstein, era imperativo. Nello specifico, Gauss indicò che l'America, e l'Occidente in generale, si fossero impantanati in modi di pensare anacronistici basati sullo stato-nazione che erano del tutto in disaccordo con il crescente impatto globale del cambiamento tecnologico. Ciò che occorreva, disse, era "an extension of the frame of reference against which the validity and permissible limits of human conduct must be judged. This clearly involves the extension of the sphere of law to global dimensions and a new and global enforcement agency. It is a staggering problem of readjustment, reconstruction, and re-education".49
Implicitamente Gauss invocava un governo mondiale, ma per il momento il nostro focus non è sulle dimensioni politiche del problema ma sulla sfida intellettuale. La sua conclusione fu che il pensiero e l'istruzione occidentali erano eccessivamente legati al modo di pensare storico, che era esso stesso legato allo stato-nazione. Questo approccio si estendeva più in generale alle varie discipline umanistiche, che erano state "nationalized and over-historicized." Lo si confronti con gli scienziati che "have been long engaged in the greatest cooperative global enterprise known to man". La loro era la via del futuro e ciò doveva essere compreso.50
Questo può sembrare lontano dai piani per il controllo internazionale dell'energia atomica, ma dà un'idea dell'approccio radicale che implicava l'appello di Einstein per un "new thinking". In questo senso Gauss era l'interprete ideale di Einstein: orientato al futuro e aperto al cambiamento nonostante appartenesse alle discipline umanistiche che guardano indietro. L'ECAS era un comitato di emergenza e in tal senso si concentrava su questioni immediate ma al servizio di un cambiamento fondamentale. Ciò poneva la sfida di come vendere il messaggio in un modo che avrebbe portato grandi contributi pur mantenendo il senso della gravità del problema. A tal fine, la campagna, montata in tandem con la Federation of American Scientists, si avvalse dei servizi professionali dell'Advertising Council, un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1941 (allora chiamata War Advertising Council) per aiutare a mobilitare le imprese a sostegno dell'impegno bellico. Ci sono indicazioni nella corrispondenza dell'ECAS che alcuni dei suoi membri fossero poco felici di essere in tale compagnia, ma sembra che i loro dubbi fossero stati placati dall'argomentazione secondo cui molti potenziali donatori si sarebbero aspettati che nella campagna venisse utilizzata "skilled professional assistance". Einstein fu assicurato da W. A. Higinbotham della Federation of American Scientists del "judgement, discretion and taste" del Advertising Council e "that we have checked over sample ads prepared by the Council and there is nothing cheap or sensational about them". Per placare eventuali timori, Higinbotham allegò una scheda informativa sulle armi atomiche e la guerra preparata dal Council che toccava note opportunamente gravi: "The problem of how to prevent the use of scientific knowledge for destructive purposes... is the problem of life itself".51
Lo statuto dell'ECAS, come registrato presso lo Stato del New Jersey nell'agosto 1946, enunciava tre obiettivi: promuovere gli usi benefici dell'energia atomica, diffondere la conoscenza e la comprensione dell'energia atomica, e fare sovvenzioni e donazioni per promuovere ulteriormente le finalità di cui sopra. Le finalità politiche erano espressamente escluse dal mandato dell'ECAS.52 In effetti, in una conferenza dell'ECAS nel novembre 1946 Einstein osservò: "Intellectual workers cannot hope to succeed by directly intervening in the political struggle". Tuttavia, suggrì anche: "...by spreading enlightenment [intellectuals] can prevent able statesmen from being impeded in their work by general prejudice and reactionary opinion". Il confine tra illuminismo e intervento politico evidentemente non fu mai netto. Né poteva esserlo in una questione di tale importanza. Nello stesso discorso alla conferenza ECAS Einstein disse che, poiché non esisteva una protezione efficace contro le armi atomiche, la sicurezza "could only be assured when the present state of international anarchy gives way to reliable supranational guarantees against military attack". L'ECAS ribadì sempre più l'opinione, fortemente sostenuta da Einstein, che l'obiettivo del governo mondiale fosse un accompagnamento necessario al ruolo informativo dell'ECAS.53 "Einstein in una nota ai suoi colleghi dell'ECAS destinata ad essere usata come base per la discussione in una conferenza, scrisse: "I believe that as long as the possibility exists of incorporating all nations into a supranational government, we ought to work toward that goal without sacrificing any of the measures which are indispensable to the protection of the member states against aggression".54
Le indicazioni sono che, nonostante le critiche di alcuni sulla base del fatto che gli obiettivi dell'ECAS erano "chimerical and even dangerous", l'ECAS stava avendo un notevole successo nella raccolta di fondi e anche nel far circolare il messaggio. Secondo quanto riferito, i fondi arrivavano all'ECAS durante il 1947 a un tasso compreso tra $25 000 e $30 000 al mese.55 Ad Einstein fu inviato un editoriale dall’Arizona Times che esprimeva grande entusiasmo per la sua campagna: "Godspeed to Albert Einstein and the Emergency Committee of Atomic Scientists. Civilization lives or dies with the success of their efforts and the efforts of enlightened men everywhere". L'editoriale indicava anche l'indirizzo a cui inviare i contributi. Tuttavia, includeva anche un'osservazione che rivelava molto sull'aura che circondava Einstein. Veniva descritto come "the world-renowned physicist who helped perfect the atom bomb".56 Come abbiamo visto, questo era quanto di più lontano possibile dalla verità e del tutto contrario alle speranze di Einstein per la sua reputazione, tuttavia è probabile che una simile ipotesi fosse alla base della sua influenza tra la popolazione più ampia.
Tuttavia, per quanti soldi l'ECAS avesse raccolto e per quante menzioni favorevoli avesse ricevuto sulla stampa, nulla poteva nascondere il fatto che la campagna dell'ECAS per ottenere il controllo internazionale dell'energia atomica fu un fallimento. "New thinking" poteva impressionare le persone con la relativa portata della sfida alla civiltà umana, ma non poteva spostare il semplice e brutale fatto che nel mondo politico gli interessi di sicurezza e la sfiducia avevano la meglio sull'apertura a nuove idee. Negli ultimi giorni del dicembre 1946 l'Unione Sovietica respinse le proposte americane per il controllo internazionale. Il raccoglitore di fondi e sostenitore di molte buone cause Harold Oram scrisse a Einstein a metà del 1947 per affrontare quella che percepiva come un'atmosfera di sconforto e negatività nell'ECAS. Il problema nell'ECAS era soggettivo, affermava, derivante dall'incapacità dei membri del Comitato di concordare obiettivi e strategia. Sì, la situazione era cambiata con il fallimento del controllo internazionale da parte delle Nazioni Unite, ma l'ECAS aveva ancora un'importante missione educativa che continuava ad attrarre un sostegno significativo tra i donatori e il pubblico, come misurato dai fondi in entrata e dagli editoriali dei giornali. ECAS doveva decidere cosa vuoleva; se non era d'accordo sulla sua missione, doveva prendere in considerazione lo scioglimento.57 Un frutto di questa lettera fu una nuova dichiarazione dell'ECAS pubblicata nel giugno 1947, che affrontava direttamente il fallimento della campagna per il controllo internazionale ma insisteva sul fatto che c'era ancora del lavoro da fare, tanto più urgente in quanto, in assenza di un accordo internazionale, la corsa agli armamenti aveva compiuto ulteriori passi. Significativamente, due anni prima del primo test atomico sovietico, l'ECAS ammoniva: "Once stockpiles of atomic bombs have been accumulated by two national blocs in a divided world, it will no longer be possible to maintain peace". Alla lunga, concludeva l'ECAS, era necessaria la creazione di un governo sovranazionale. Era realistico? Sicuramente sì: "Men must understand that the times demand a higher realism which recognizes that ‘no man is an island’, that our fate is joined with that of our fellow men throughout the world."58 A ciò fece seguito una nuova lettera ai donatori a firma di Einstein che sottolineava la necessità di non cedere al disfattismo. Il compito degli scienziati rimaneva quello fondamentale di far comprendere al popolo americano la posta in gioco, che era niente di meno che la sopravvivenza della civiltà.59
Fu in questa atmosfera che l'ECAS propose un approccio diretto agli scienziati sovietici nella speranza che ciò potesse avviare un processo di cooperazione. L'iniziativa doveva essere strettamente extragovernativa, ma doveva chiaramente essere avallata dai governi degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica. Un approccio di Harrison Brown, vicepresidente esecutivo di ECAS, al segretario di Stato americano George Marshall non produsse risposta, ma una lettera ad Andrej Gromyko, capo della delegazione sovietica delle Nazioni Unite a New York, portò a un invito a un incontro, al quale, tuttavia, Brown fu informato nel modo più gentile possibile, che gli scienziati sovietici "did not wish to participate".60
Più o meno nello stesso periodo, Einstein si trovò a dialogare pubblicamente con gli scienziati sovietici. Nacque a seguito della sua lettera aperta alle Nazioni Unite nell'ottobre 1947 in cui mirava a rilanciare i piani per il controllo internazionale attraverso la riforma della struttura e del metodo di rappresentanza delle Nazioni Unite. I recenti fallimenti nel campo del controllo internazionale, insistette, non potevano essere attribuiti all'ONU, poiché nella sua forma attuale mancava dei poteri necessari per raggiungere tale obiettivo. Ciò che Einstein propose furono cambiamenti nelle Nazioni Unite che l'avrebbero resa più simile all'organizzazione "sovranazionale" che desiderava ardentemente. In primo luogo, i poteri dell'Assemblea Generale dovevano avere la priorità rispetto al Consiglio di Sicurezza; in secondo luogo, il metodo di rappresentanza doveva essere cambiato in elezione diretta da parte dei popoli delle nazioni; e in terzo luogo, l'Assemblea Generale doveva essere costantemente in sessione. In effetti, l'ONU doveva diventare un parlamento mondiale. Egli nutriva la speranza che l'Unione Sovietica potesse essere persuasa ad accettare un simile accordo che fosse in grado di fornire una reale sicurezza a tutte le nazioni.61
Inutile dire che la lettera di Einstein non produsse un tale risultato, ma provocò uno scambio pubblico con quattro scienziati sovietici, che diede una risposta definitiva alla domanda su cosa fosse successo alla comunità internazionale di scienziati nell'atmosfera della guerra fredda. La pace era una cosa, affermavano gli scienziati sovietici; tutti potevano concordare sulla desiderabilità di ciò. Il governo mondiale, tuttavia, era un'altra questione. Non era un'idea nuova e in passato era sempre stata sostenuta dai reazionari. Gli scienziati sovietici asserivano: "These ideas are a reflection of the fact that the capitalist monopolies, which dominate the major industrial countries, find their own national boundaries too narrow. They need a world-wide market..." Il governo mondiale era in effetti semplicemente un altro nome per l'imperialismo. La "Great October Socialist Revolution" aveva liberato la Russia dalla rapacità dei capitalisti, e ora i fautori di un "world superstate" chiedevano al popolo sovietico di rinunciare alle libertà conquistate a fatica. Pur assicurando ai loro lettori la loro grande stima per Einstein, gli scienziati sovietici credevano che egli fosse diventato inconsapevolmente un sostenitore degli "schemes and ambitions of the bitterest foes of peace and international cooperation".62
La risposta di Einstein, pubblicata nel numero di febbraio 1948 del Bulletin of Atomic Scientists, fu ampiamente diffusa dall'ECAS. Ciò che sorprese di più Einstein riguardo all'atteggiamento degli scienziati sovietici fu che loro, che erano "such passionate opponents of anarchy in the economic sphere, with equal passion advocate anarchy i.e., unlimited sovereignty, in the sphere of international politics". L'analisi sovietica delle Nazioni Unite come un "mere puppet show controlled by the United States and hence by American capitalists" sembrava a Einstein "a kind of mythology". Date le circostanze, Einstein era propenso a dare credito agli Stati Uniti, e in effetti anche all'ONU, per aver almeno tentato di creare un accordo sulla sicurezza atomica. Il governo sovietico aveva reso difficile per le persone ben intenzionate negli Stati Uniti fare quanto volevano per opporsi ai guerrafondai nel loro stesso paese.63
Quindi, secondo Einstein, l'Unione Sovietica era tanto responsabile quanto gli Stati Uniti per il mancato accordo sul controllo internazionale dell'energia atomica. Lo sconforto nell'ECAS si acuì nel corso del 1947, esacerbando le divergenze che già esistevano all'interno del Comitato. L'ECAS continuò a riunirsi e a rilasciare dichiarazioni, ma a metà del 1948 il cuore si era spento. Un'indicazione furono le dimissioni dall'ECAS di Victor Weisskopf, un eminente fisico teorico che aveva occupato una posizione di alto livello nel Progetto Manhattan. Nel maggio 1948 scrisse a Einstein che non poteva sostenere un programma di governo mondiale che non includesse l'Unione Sovietica. A suo avviso, sostenere il governo mondiale in assenza della partecipazione sovietica significava garantire che il mondo sarebbe stato diviso in due campi armati. Inoltre, non era stato in grado di migliorare i rapporti tra l'ECAS e la Federation of American Scientists (FAS). La FAS rappresentava gli scienziati americani più giovani, molti dei quali avevano lavorato al Progetto Manhattan e si erano opposti all'uso della bomba. Weisskopf era preoccupato per la "unhappy cleavage between old and young scientists that was opening up... The recent policies of the Emergency Committee, instead of narrowing its differences with the Federation, has only widened them."
Nella sua risposta, Einstein non sorprende che mettesse in dubbio entrambi i motivi delle dimissioni di Weisskopf, ma il peso del suo messaggio era che, se l'ECAS e altre organizzazioni avessero rinunciato alla lotta, avrebbero semplicemente concesso il campo ai Kriegshetzer (guerrafondai) di Washington. Su una nota più personale, Einstein ammise implicitamente che il compito in cui erano impegnati era difficile, ma insistette sul fatto che fermarsi ora significava cedere al fatalismo. Se non fosse stato spinto a cercare risultati di successo, avrebbe da tempo abbandonato la lotta, "not least because I am a congenital individualist and meetings of any kind are pure torture for me".64
Alla fine, l'ECAS cessò comunque la sua attività verso la fine del 1948, anche se non fu definitivamente liquidata fino al 1951.65 entrambi, fu la consegna dei suoi ingenti fondi residui al Bulletin of Atomic Scientists, che probabilmente lo salvò dall'estinzione e gli permise di svilupparsi nella principale voce politica della comunità americana di fisica nucleare. Appropriatamente, l'editore del Bollettino al momento della scomparsa dell'ECAS, il dottor Eugene Rabinowitch, pur rammaricandosi per lo scioglimento, ha generosamente elogiato l'ECAS per il suo ruolo nell'aiutare a educare il pubblico sulle realtà della nuova era atomica. Negli anni Cinquanta il Bulletin si sviluppò principalmente come veicolo di informazione, ma nei decenni successivi recuperò parte del suo slancio radicale einsteiniano quando la corsa agli armamenti passò alle lotte per i negoziati sul divieto dei test nucleari, la riduzione degli armamenti strategici, i missili nucleari da teatro, l'inverno nucleare, e simili.66
Il suo lascito principale, oltre alle prove che fornisce di energica promozione del controllo internazionale e del governo mondiale in un clima ostile ad entrambi, fu la consegna dei suoi ingenti fondi residui al Bulletin of Atomic Scientists, che probabilmente lo salvò dall'estinzione e gli permise di diventare la principale voce politica della comunità americana di fisica nucleare. Appropriatamente, l'editore del Bollettino al momento della scomparsa dell'ECAS, Eugene Rabinowitch, pur rammaricandosi per lo scioglimento, elogiò generosamente l'ECAS per il suo ruolo nell'aiutare a educare il pubblico sulle realtà della nuova era atomica. Negli anni Cinquanta il Bollettino si sviluppò principalmente come veicolo di informazione, ma nei decenni successivi recuperò parte del suo slancio radicale einsteiniano quando la corsa agli armamenti passò alle lotte per i negoziati sul divieto dei test nucleari, la riduzione degli armamenti strategici, i missili ballistici nucleari, l'inverno nucleare, e simili.66
La storia dell'ECAS è innanzitutto quella di combattere una battaglia persa per il controllo internazionale in un clima di peggioramento delle relazioni est-ovest e, in secondo luogo, di dannosi disaccordi interni. Le controversie in particolare sull'obiettivo radicale e sempre più emarginato del governo mondiale non solo indebolirono le energie interne, ma resero l'organizzazione vulnerabile agli attacchi dei conservatori e delle organizzazioni di sicurezza interna come l'FBI. Come vedremo nel Capitolo successivo, l'appetito per l'"internationalism" era diffuso nell'atmosfera di transizione e di crisi che seguì la guerra, ma con l'affermarsi della guerra fredda la sicurezza sembrò sempre più la migliore politica. Einstein raramente giocava sul sicuro. Dopo il 1945 si ritrovò nella stessa posizione che aveva dopo la Prima Guerra Mondiale — sostanzialmente in linea con la crescente convinzione dell'opinione pubblica che quella doveva essere l'ultima guerra e che il mondo doveva organizzarsi per la pace, ma poi si trovò in difficoltà quando il mondo passò a nuove arene di conflitto mentre Einstein continuava con il messaggio originale. Già nel 1918 parlava della necessità di un'organizzazione sovranazionale; nel 1945 credette che fosse giunto il momento.
La Bomba-H e il Manifesto Russell–Einstein
[modifica | modifica sorgente]Al momento dello scioglimento dell'ECAS, gli Stati Uniti erano sulla soglia del primo test con una bomba all'idrogeno. L'idea della fusione degli isotopi dell'idrogeno fu avanzata per la prima volta nel 1934 e la possibilità che la fusione potesse essere utilizzata per realizzare una bomba con una potenza molte volte superiore alla bomba atomica o a fissione fu riconosciuta subito dopo la scoperta della fissione atomica.67 Al laboratorio di Los Alamos del Progetto Manhattan, il volubile fisico ungherese emigrato Edward Teller si impegnò a promuovere l'idea di sperimentare una bomba all'idrogeno o "super" contemporaneamente alla bomba a fissione. In questa fase non riuscì a convincere Oppenheimer ad accettare la diversione di maggiori risorse verso la "super", ma insistette sulla sua argomentazione con forza sufficiente per consentirgli di lavorare lui stesso sulle questioni teoriche. Dopo Hiroshima portò la sua campagna a favore della "super" al culmine, rafforzato dal suo fervente anticomunismo e dalla convinzione che i sovietici stessero pensando sulla stessa linea. Guadagnò alcuni alleati nella comunità dei fisici, ma le sue ambizioni furono frustrate fino a quando la rivelazione del test atomico sovietico nel settembre 1949 contribuì a sostenere la sua tesi.
Nei mesi successivi, negli Stati Uniti infuriò un grande dibattito sull'opportunità di impegnarsi in un programma accelerato per produrre la "super". Le discussioni interne al governo cominciarono a trapelare all'inizio di novembre in seguito a un dibattito televisivo sul tema della segretezza nel programma della bomba atomica. Il fatto che il General Advisory Council della Atomic Energy Commission, presieduto da J. Robert Oppenheimer, fosse contrario allo sviluppo della "super" aggiunse furia politica alle argomentazioni e fu determinante nel far cadere l'ira del governo sulla testa di Oppenheimer tre anni dopo.68 Inevitabilmente Einstein fu coinvolto nel dibattito, anche se i segni indicano che almeno inizialmente considerava la Bomba-H come la creazione non di una nuova situazione ma semplicemente di un peggioramento di quella esistente. In una lettera al pacifista A. J. Muste scrisse: "I do not believe your proposal that the United States refrain from experimenting with the production of hydrogen bombs touches the core of the problem. The fact of the matter is that the people who possess real power in this country have no intention of ending the cold war". Il nocciolo della questione è che le persone che detengono il vero potere in questo Paese non hanno alcuna intenzione di porre fine alla guerra fredda". Pochi giorni dopo, sempre in risposta a Muste, respinse la richiesta di firmare un telegramma, insieme ad alcuni leader religiosi, sollecitando il rinvio della decisione sulla Bomba-H. Con una caratteristica enfasi sulla praticità, nonostante tutta la sua reputazione di ventoso idealismo, rispose: "Your new proposal seems to me quite impracticable. As long as competitive armament prevails it will not be possible to halt the process in one country. The only possible solution would be an honest attempt to work toward a reasonable agreement with the Soviet Russia and, beyond this, for security on a supranational basis."69 Certo, la risposta di Einstein potrebbe essere nata in parte dall'irritazione nei confronti di Muste, che nella sua prima lettera sottintendeva che Einstein dovesse avere un'influenza speciale a causa della sua connessione con il progetto della bomba atomica. Tuttavia, il rifiuto di Einstein era in linea con altre occasioni in cui aveva ripudiato quelli che considerava gesti vuoti, in particolare se comportavano un'azione unilaterale. In effetti, il giorno dopo che Einstein aveva ricevuto la seconda lettera di Muste (31 gennaio 1950), il presidente Truman annunciò la decisione di procedere con lo sviluppo della Bomba-H.
La prima dichiarazione pubblica di Einstein sulla Bomba-H arrivò due settimane dopo in una discussione televisiva presieduta da Eleanor Roosevelt. Al panel con lui c'erano David Lilienthal, Presidente della Commissione per l'Energia Atomica da poco andato in pensione, e J. Robert Oppenheimer, ora Direttore dell'Institute for Advanced Study di Princeton, dove Einstein era un accademico residente. Lilienthal e Oppenheimer, entrambi precedentemente al centro dell'establishment atomico della nazione, erano ora emersi come critici per quanto riguardava la Bomba-H. La stessa Eleanor Roosevelt, che aveva a lungo sposato cause umanitarie, inclusi i diritti civili dei neri, ed era stata delegata degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, occupava una posizione unica come quasi-membro dell'establishment — epitome del liberalismo in un'epoca conservatrice. Da parte sua, Einstein era autorizzato in virtù della sua eminenza "to speak truth to power", cosa che in tale programma fece in un modo particolarmente diretto. La sua presentazione includeva il tema familiare della disperazione per la corsa agli armamenti, ma con nuova urgenza e franchezza; parlò anche di un crescente clima di repressione politica negli Stati Uniti. La gioventù veniva militarizzata e la lealtà dei cittadini veniva attentamente controllata "by a police force growing more powerful every day". Disse:
Come sempre, Einstein non spiegò, forse non riuscì, a spiegare in che modo si potesse raggiungere la fiducia reciproca. Quello che poteva fare era ribadire l'imperativo morale della pace e dei negoziati con l'Unione Sovietica. La sua dura valutazione del clima dei primi anni ’50 in America fu accolta da alcuni americani come una provocazione. Sembrava immaginare l'America come una dittatura incipiente, proprio come la maggior parte degli americani descriverebbe l'Unione Sovietica. La trasmissione produsse un grande volume di posta, la maggior parte piena di elogi per il contributo di Einstein, ma alcuni istericamente contrari. Tra i più estremi c'era quello del membro del Congresso John Rankin, che fece scrivere la seguente dichiarazione nel verbale del Congresso:
Rankin era un membro di spicco della House Un-American Activities Committee (HUAC), un razzista dichiarato e un oppositore delle Nazioni Unite, che descrisse come una "fraud" il cui scopo era "to destroy the United States". Per quanto la sua affermazione fosse piena di dubbi presupposti ed errori, può darsi che Einstein fosse felice di avere nemici come questo, in quanto lo sproloquio di Rankin era una conferma indiretta della posizione pubblica di Einstein.
Alla fine, il programma della Bomba-H andò avanti, risultando nel primo test americano nell'autunno 1952, seguito nell'agosto 1953 dal primo test sovietico. La dinamica della corsa agli armamenti era ormai consolidata; la morte di Stalin nel 1953 e i segni di un disgelo nella guerra fredda a metà degli anni Cinquanta non ebbero alcun impatto sul suo cammino apparentemente inesorabile. In effetti, nella misura in cui le due parti erano disposte a parlare – i leader americano e sovietico si incontrarono a Ginevra nel luglio 1955 per la prima volta dalla Conferenza di Potsdam di dieci anni prima – i loro negoziati ebbero l'effetto di istituzionalizzare la situazione di stallo Est-Ovest, per quanto la retorica fosse attenuata. "The spirit of Geneva" rifletteva il riconoscimento reciproco del fatto brutale che ciascuna parte aveva la capacità di distruggere l'altra tanto quanto qualsiasi intento pacifico.72
Solo otto giorni prima dell'apertura del vertice di Ginevra, fu pubblicato il Manifesto Russell-Einstein. Allo stesso tempo un avvertimento sulle conseguenze della guerra nucleare e un appello ai governi affinché cerchino mezzi pacifici per risolvere le loro divergenze, fu l'ultimo documento pubblico emesso a firma di Einstein. Bertrand Russell aveva avviato la proposta in una lettera a Einstein nel febbraio 1955, portando a uno scambio di idee che culminò in una breve nota di Einstein l'11 aprile che accettava il testo della dichiarazione di Russell e il suo elenco di potenziali firmatari. Una settimana dopo Einstein morì. C'erano solo undici firmatari. Tutti (con l'eccezione dello stesso Russell) erano scienziati, tutti tranne due erano vincitori del Premio Nobel e rappresentavano una serie di paesi tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e Polonia. L'inclusione del fisico polacco Leopold Infeld fu importante per consentire al gruppo di presentarsi come un insieme di scienziati che abbracciava entrambe le parti durante la guerra fredda, anche se il ritorno di Infeld in Polonia nel 1950 dopo una carriera trascorsa principalmente in Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada deve essere attribuito a una devozione più alla Polonia che al comunismo. Il manifesto era decisamente apolitico. Da questa priorità scaturì la decisione di escludere i non-scienziati. Si riteneva che sarebbe stato più difficile tenersi alla larga dalla politica se fossero state incluse figure come lo storico Arnold Toynbee, proposto da Einstein.73
Il manifesto conteneva un lungo resoconto delle terribili circostanze politiche e scientifiche che richiedevano una riaffermazione della necessità della pace, seguito da una risoluzione formale, che recitava quanto segue:
Questo progetto era particolarmente vicino al cuore di Einstein. Debole com'era, aveva risposto con entusiasmo nel febbraio 1955 alla richiesta di supporto e ai suggerimenti di Russell per la lista dei firmatari. Si impegnò a cercare di convincere Niels Bohr a firmare, il cui appoggio Einstein riteneva particolarmente importante e che credeva, erroneamente come risultò, che sarebbe stato senza dubbio imminente.75
È interessante chiedersi perché Einstein fosse così ansioso di appoggiare questo documento rispetto alla lettera pubblica scritta dal pacifista A. J. Muste cinque anni prima che si opponeva allo sviluppo della Bomba-H. Dopotutto, entrambi erano a loro modo gesti simbolici, affermazioni di carattere etico e scientifico piuttosto che politico. Entrambi riguardavano cause nelle quali Einstein era profondamente impegnato. Tuttavia, i contesti delle proposte, la portata e le persone coinvolte erano sostanzialmente differenti. La lettera pubblica di Muste si concentrava sullo scopo specifico di fermare lo sviluppo della bomba all'idrogeno, che Einstein riteneva futile, poiché pensava che armi specifiche di qualunque tipo non costituissero il nocciolo del problema. Il problema risiedeva nell'intento dei politici, che era quello di sfruttare il conflitto internazionale per i propri "internal political purposes".76 In un certo senso, quindi, la causa era persa prima che fosse lanciata in quanto era abbastanza improbabile che i politici prestassero attenzione al messaggio. La proposta di Russell era invece priva di tale macchia, perché assumeva la forma di una risoluzione morale generale la cui efficacia, come evidentemente credeva Einstein, risiedeva proprio nella sua natura generale. Per quanto riguarda le persone coinvolte, mentre Einstein aveva rispetto per il pacifista americano A. J. Muste, questi era molto limitato in scopo e aveva irritato Einstein insinuando che la sua influenza era così grande a causa del suo ruolo nella bomba atomica. Russell, al contrario, non era dissimile da Einstein nella gamma dei suoi interessi e nella sua statura di intellettuale globale, oltre al quale avevano un'associazione che risaliva a diversi decenni prima. In combinazione con la schiera di vincitori del Premio Nobel che costituivano il resto dei firmatari, tutti proiettavano un'autorità morale e scientifica praticamente senza pari su questo tema. L'impresa Russell prometteva il più alto profilo possibile per il messaggio. In un certo senso rappresentava un riassunto dell'intera carriera di Einstein come attivista per la pace. Era un manifesto al mondo consegnato a nome dell'umanità che avrebbe sfidato le autorità politiche e gli opinionisti di tutto il mondo a prenderne atto.
E sembra che l'abbiano fatto. La dichiarazione fu inviata ai leader politici di diversi paesi e ampiamente commentata dai giornali. "Hundreds of letters and cables... came pouring in from all over the world", ricordava Józef Rotblat, fisico, attivista per la pace e l'unico scienziato del Progetto Manhattan a dimettersi per motivi di coscienza. Il quotidiano vaticano, l’Osservatore Romano, si chiese perché questi scienziati avessero attirato così tanta più attenzione di quanto non facesse il papa quando chiedeva la pace. Il manifesto, come notò il quotidiano francese Le Monde, gettava l'ombra di Einstein sul Vertice di Ginevra:
L'intero lascito del Manifesto Russell-Einstein era piuttosto a più lungo termine. Portò direttamente alla convocazione di una conferenza di scienziati per discutere le questioni sollevate nel Manifesto Russell-Einstein. Si unì alle proposte per una conferenza pianificata anche dalla FAS, dalla British Atomic Scientists Association e da altre organizzazioni. Il risultato fu un incontro nel luglio 1957 nella città di Pugwash, in Nuova Scozia, il primo nell'ambito di una serie di conferenze che stabilirono Pugwash nei successivi decenni come la più importante organizzazione internazionale per la discussione e l'attivismo nel campo della scienza e degli affari internazionali. Pugwash divenne sinonimo di idee innovative nel controllo degli armamenti.78 Fondamentalmente, nello spirito dell'attivismo pacifista di Einstein e delle aspirazioni universalistiche del Manifesto stesso, anche gli scienziati sovietici parteciparono a tali conferenze. Con l'istituzionalizzazione della corsa agli armamenti negli anni ’50, in Occidente si svilupparono movimenti antinucleari su base più ampia, tra cui la Campaign for Nuclear Disarmament in Gran Bretagna e organizzazioni simili negli Stati Uniti e in altri paesi. È impossibile sapere con precisione quale sarebbe stato l'atteggiamento di Einstein nei confronti di questi movimenti, ma possiamo presumere che non avrebbe rifiutato il suo appoggio. Per quanto fosse contrario a impegnarsi in movimenti politici, le questioni della pace e delle armi nucleari trascendevano la politica in senso stretto. Per lo stesso motivo fu sempre aperto all'idea del governo mondiale, che, come vedremo, costituiva un tipo di politica particolarmente apolitico.
Note
[modifica | modifica sorgente](Note e riferimenti a fine libro)
Per approfondire, vedi Serie delle interpretazioni, Serie dei sentimenti e Serie letteratura moderna. |