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Dietro il coding/Primo Intermezzo: che significa opensource?

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Indice del libro

Tutti i programmi che usiamo (da quelli sugli smartphone a quelli sul web) e che ci forniscono servizi (dalla gestione del traffico telefonico al controllo dei satelliti) sono simili: sono insiemi di istruzioni che i computer eseguono. Come ricette o sceneggiature.

La versione del programma che viene eseguita dai computer è, di solito, ottimizzata per essere veloce e senza errori. Questo processo (che si chiama "compilazione") genera una versione del programma che può essere letto dai computer, ma non dagli esseri umani.

Ma ogni programma è stato in origine scritto da qualcuno, in un certo linguaggio di programmazione (ce ne sono migliaia, come lingue umane). La prima versione del programma, quella originale, non ottimizzata, si chiama "codice sorgente". E' un testo, e come tutti i testi in teoria si può leggere – avendo le competenze per farlo -, modificare, copiare. Ma non necessariamente queste operazioni sono permesse dall'autore, o meglio da chi detiene il copyright sul programma. Normalmente, insieme al programma si riceve una licenza che specifica cosa non si può fare con esso: non si può copiare, non si può analizzare, non si può modificare. E' il caso, ad esempio, di Microsoft Windows o di MS Office, ma anche della maggior parte delle app sui nostri smartphone, anche su quelli Android.

Alcuni programmi invece sono distribuiti con una licenza che permette esplicitamente di fare queste operazioni. Sono i programmi con licenza "aperta". Un esempio è Linux, che è un sistema operativo come Windows, o Libre Office, che è l'omologo di Microsoft Office.

Quando si parla di software libero si fa spesso confusione tra concetti diversi, come per esempio la gratuità e la libertà.

Avrete senz’altro letto da qualche parte il termine Creative Commons (ad esempio, i materiali didattici di Code.org sono rilasciati con questa licenza).

Creative Commons è una licenza che si applica a documenti (testi, audio, immagini, video). E' un idea nata all'inizio di questo millennio da Lawrence Lessing, un professore di diritto dell'Università di Stanford, e si ispira ai "commons", cioè ai terreni che nella tradizione normativa anglosassone sono "comuni", dove tutti possono pascolare o tagliare legna. Questo concetto è trasferito dalla terra all'informazione.

L'altra caratteristica delle licenze CC è che sono modulari, cioè l'autore può decidere quali diritti concede all'utilizzatore.

GPL (General Public License), BSD, MIT, Apache, Mozilla, EUPL etc sono invece licenze che si applicano principalmente al codice sorgente. All'interno delle licenze aperte per il codice sorgente ci sono due grandi classi: le licenze ufficialmente approvate dalla Open Source Initiative e quelle che soddisfano i requisiti della Free Software Foundation (vedi sotto).

Public Domain si riferisce a software (o a contenuti) che non hanno un autore conosciuto, o per cui l'autore ha rinunciato ai propri diritti.

Freeware invece si riferisce esclusivamente a software gratuito, ma non dice nulla sulla licenza o sulla disponibilità del codice sorgente. Molti programmi didattici sono freeware, ma non hanno una licenza "open". Significa che sono gratuiti, ma non che sono aperti. Se fossero stati rilasciati con licenza GPL qualcuno avrebbe potuto migliorarli o tradurli in altri linguaggi, per altri sistemi operativi.

Ma anche un linguaggio può essere "open"?

Si, se:

  • La sua grammatica e il suo lessico sono disponibili per lo studio
  • L'interprete e/o il compilatore sono aperti e modificabili (rilasciati con una licenza che lo permette)
  • Non si richiedono programmi non liberi per il suo utilizzo