Ebrei e Gentili/Israelita

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Indice del libro
Arthur Szyk: "Haggadah", 1935, Łódź, Polonia
Arthur Szyk: "Haggadah", 1935, Łódź, Polonia
Usate della vostra ragione e potrete distinguere ciò che è stato detto allegoricamente, in senso figurato, a mo' d'iperbole, da ciò che va inteso nel senso letterale. Comprenderete allora tutte le profezie, imparerete a ritener i principi razionali di fede, e sarete graditi agli occhi di Dio che si compiace sommamente della verità e sdegna in sommo grado la falsità; la vostra mente e il vostro cuore non dovranno più sforzarsi a credere e ad accettare come Legge ciò che è falso o inverosimile; mentre la Legge, quando sia rettamente intesa, è sempre perfettamente vera.
(Maimonide)

Chi è un "Israelita"?[modifica]

Applicando tutto questo al testo mishnaico, "Tutti gli Israeliti hanno una porzione nel Mondo a venire", vediamo che Maimonide può essere interpretato come se alludesse al fatto che il termine "IUsraelita" e "uno che ha una porzione nel Mondo a venire" sono coestensivi; dopo tutto, ci sono tante persone la cui carta d'identità, per così dire, dice "Israelita" ma che non hanno una porzione nel Mondo a venire (a causa di errori riguardo a Dio, come abbiamo già detto). Nel qual caso, il termine "Israelita" non può essere coestensivo con la frase "discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe", poiché, come Maimonide insegna qui esplicitamente, ci sono discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe che sono esclusi (o meglio: si escludono) dal Mondo a venire.[1]

Il punto qui proposto può essere meglio compreso se pensiamo in termini di diagrammi booleani. Maimonide l'elitario intellettuale viene spesso compreso come se affermasse che ci sono due cerchi, uno dentro l'altro. Il cerchio più largo consiste dei discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il cerchio più piccolo, completamente contenuto dentro il primo e quindi un suo sottoinsieme, consiste di quei discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe che comprendono correttamente i Tredici Principi (o, secondo la mia interpretazione di Maimonide, quei discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe che comprendono correttamente i primi cinque dei Tredici Principi). Come lo interpreto, Maimonide in effetti sostiene che ci sono due cerchi che in parte si sovrappongono: un cerchio consiste dei discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe ed il secondo consiste di individui che comprendono correttamente i primi cinque principi. Secondo questo quadro, ci sono discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe che non comprendono correttamente i cinque principi e pertanto non hanno una porzione nel Mondo a venire (anche se essi accettano gli ultimi otto principi e fanno del loro meglio per adempiere ai comandamenti), e ci sono individui che non discendono da Abramo, Isacco e Giacobbe (e che potrebbero anche non aver mai sentito dell'esistenza della Torah o dei suoi insegnamenti) che accettano correttamente il contenuto dei primi cinque principi e hanno quindi una porzione nel Mondo a venire.

Dato l'approfondito universalismo di Maimonide, mi sembra probabile che egli fosse consapevole di questa implicazione del suo pensiero.[2] C'è però un'altra implicazione di cui egli potrebbe essere stato ignaro; se lo avesse saputo, sono convinto che egli ne sarebbe stato infelice. Dalla sua posizione qui accennata ne consegue, quando associata con un'altra nozione, che un discendente di Abramo, Isacco e Giacobbe che non osserva i comandamenti della Torah, ma che, nonostante ciò, ottiene la necessaria perfezione intellettuale, avrà una porzione nel Mondo a venire. Il rabbino in Maimonide è difficile sarebbe stato felice di una tale conclusione, ma non vedo come possa essere evitata.[3]

Per comprendere meglio il punto appena fatto, dobbiamo brevemente ricordarci di cosa comporti l'halakhah. Per Maimonide "halakhah" (הלכה) è il nome dato ad una serie di regole che creano un'istituzione chiamata (nella nostra lingua ma non, mi rendo conto, in quella di Maimonide) "ebraismo". Queste regole sono contingenti – nel senso che potrebbero essere state differenti – non perché non esprimono la saggezza e la benevolenza di Dio, ma perché riflettono circostanze storiche contingenti. Violazioni di queste regole possono avere serie conseguenze a livello psicosociale, che comportano e includono la pena di morte, ma non hanno conseguenze dirette a livello ontologico. Che questa sia veramente la posizione di Maimonide può constatarsi dal suo trattamento della materia dei sacrifici, che egli presenta come concessione divina alla natura primitiva degli Israeliti in Egitto e non parte di un qualche piano divino primordiale preordinato. Per Maimonide, l'obbedienza ai comandamenti è sicuramente degna di lode, ma non comporta il guadagno di un'effettiva ricompensa; la violazione dei comandamenti è di certo riprovevole, ma non comporta l'incorrere in una punizione effettiva.[4]

L'argomentazione qui proposta è che Maimonide distingue ebrei da non ebrei in base a ciò che credono e ciò che fanno, e non per ciò che sono. Secondo Maimonide, abbiamo un gruppo di individui costituiti come gruppo nazionale grazie alla loro discendenza da Abramo; un gruppo religioso costituito dalla propria adesione alla Torah; un terzo gruppo, aderenti filosofici agli insegnamenti essenziali della Torah che non sono discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe. Steven S. Schwarzschild chiama tali individui "non-ebrei ebrei".[5]

Ma, ritornando finalmente al nocciolo di questo capitolo, se tutto ciò che è qui esposto è vero, allora è chiaro che Maimonide non attribuisce (non può attribuire) all'ebreo in quanto tale una qualche statura ontologica che lo separi dai non-ebrei. Per Maimonide, molto importante, gli esseri umani sono divisi, non tra ebrei e non ebrei, ma tra coloro che attualizzano il proprio potenziale umano (e quindi ottengono una porzione nel Mondo a venire) e coloro che non lo fanno (e quindi cessano di esistere al momento della morte). Nell'insieme, Maimonide era convinto che nell'era pre-messianica molti ebrei più che non-ebrei sarebbero riusciti ad attualizzare il loro potenziale umano, grazie all'adesione alla Torah, uno strumento dato da Dio e destinato a tale preciso scopo. Ma, in tutta serietà, questa è soltanto una tecnicità. I non-ebrei che ottengono l'autocontrollo necessario e la perfezione morale che renda possibile la perfezione intellettuale, ottengono lo stesso livello di perfezione umana degli ebrei.[6]
Vero? Esiste un famoso testo di Maimonide che sembra confutare tale affermazione.

Proseguiamo...

Note[modifica]

  1. Da notare inoltre che nel suo commento a Mishnah San. 10:2 (citato appresso), Maimonide esplicitamente nota che ci sono persone che non sono discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe che hanno porzioni nel Mondo a venire.
  2. Si trova un supporto per questa posizione nel passo appena citato nelle prec. pagg., di Guida i.54 (p. 123). Qui Maimonide ci informa che rituali religiosi (presumibilmente ebraici) come digiuno e preghiera da soli non ci portano più vicini a Dio, ma la conoscenza sì. Non sembra esserci nessun modo per cui egli possda limitare (o desideri limitare) tale conoscenza ai soli ebrei.
  3. Per un resoconto convincente di come Maimonide possa aver ritenuto i comandamenti sempre vincolanti, anche se riflettono eventi antichi e antiche realtà, si veda J. Stern, "Maimonides on Education", 118. Kenneth Seeskin propone un'argomentazione simile in No Other Gods, 13-49.
  4. Per questo si veda Kellner, Must a Jew Believe in Anything? (II ediz.), Appendice 1, 149-63.
  5. Si vedano Schwarzschild, "An Agenda", 116; Daniel J. Lasker, "Proselyte Judaism"; Kellner, Maimonides on Judaism and the Jewish People, 82.
  6. Si tenga nota di L. Kaplan, "Maimonides on the Singularity". Sulla base di un'analisi di MT "Leggi dell'Idolatria", Kaplan arriva a conclusioni simile ma non identiche a quelle proposte in questo studio.