Filosofia dell'informazione/Interazione uomo-computer
Interazione uomo-computer
[modifica | modifica sorgente]La nozione di "comunicazione" nelle CMC combina punti di vista filosofici e di comunicazione. Shank e Cunningham affermano però che bisogna abbandonare le vecchie visioni, come quella cartesiana, e affidarsi ad un approccio che sottolinei l'intersoggettività e la semiotica di Peirce. Egli è un importante punto di dialogo tra filosofi e teorici delle CMC. David Kolb si è focalizzato su come le tecnologie ipertestuali possano influire in un dominio che è sia ipertestuale che apparentemente segnato da maggiore uguaglianza e partecipazione nei confronti delle culture letterate e stampate. Mentre la corrente postmoderna condannava l'ipertesto, considerandolo un rovesciamento radicale del modo di ragionare, Kolb sostiene che l'ipertesto faciliti, addirittura, i modelli dialettici hegeliani e nietzschiani.
Herbert Hrachovec ha esplorato la CMC come un potenziale "spazio della ragione", innalzando l'ipertesto come forma rivoluzionaria, come superamento delle forme tradizionali di conoscenza argomento e ragione. Alcuni studi, però, hanno portato alla luce conseguenze negative correlate ad una sostanziale partecipazione al cyberspazio. Questo aspetto negativo comporta delle domande, dei dubbi, ad esempio, se viviamo sempre più in uno stile multitasking con un'attenzione parziale, quanto saranno valide le teorie filosofiche le quali richiedono, da sempre, un'attenzione sostenuta?
Ed è proprio da qui che nasce un dibattito modernista-postmodernista, dibattito che risulterebbe irrilevante se sapessimo immergerci nel cyberspazio con i sé decentrati e frammentati, i quali non attirerebbero nessuna attenzione. Se così fosse, tali sé rappresenterebbero solo una profezia che si autoavvera, cioè il risultato dell'adozione di tali tecnologie. La posta in gioco, nel dibattito, è trovare la nostra concezione del sé, il significato dell'essere un essere umano; concezione troppo importante e non da sottovalutare attraverso profezie che si autoavviano.
L’affermazione più importante divulgata dalle tecnologie CMC è che esse determineranno maggiore libertà ed uguaglianza, a livello globale, eliminando ogni gerarchia. Libertà e uguaglianza sono entrambi valori liberali e postmodernisti, Habermas sostiene fortemente questi due valori, protagonisti della democrazia, ma viene accusato da femministe e da postmodernisti, i quali credono che usi questi due valori per poi arrivare ad una forma di potere totalitario. Un recente dibattito tra Habermas e Niklas Luhmann porta alla luce i limiti teorici della concezione della democrazia e della sfera pubblica parziale.
La concezione di Habermas sopravvive: il dibattito razionale critico deve avvenire su argomentazioni pubbliche(a tutti gli effetti su internet) ma da persone private. Non è facile però che ciò avvenga, difatti Habermas ci parla di una sfera pubblica parziale che si riesce ad ottenere tramite l'aiuto delle CMC, che ne costituiscono il mezzo. Le CMC diventano una vera e propria tecnologia democratizzante ma sono messe in discussione continuamente, ad esempio per il loro essere raggiungibili da chiunque. La commercializzazione e la mercificazione funzionano contro l'effetto di democratizzazione. Bolin descrive la commodification of the lifeworld (mercificazione del mondo vitale), basandosi su Habermas, per capire come le CMC nelle Filippine minacciano di scavalcare i valori culturali locali, fenomeno presente anche in India. Studi recenti, però, sostengono che le culture locali, nonostante tutto, resistano a questa violenta deturpazione.
Le tecnologie CMC non invaderanno ogni valore o cultura e ne è la prova la Thailandia, paese dove la nuova cultura non è di intralcio alla tradizione. Inoltre, non bisogna pensare solo ad un'alienazione culturale, bensì le tecnologie CMC apportando un "sottile" processo di globalizzazione, favorirebbero la comunicazione ed arricchirebbero in ambito educativo civiltà poco evolute.
La filosofia può solo amplificare e sfidare le storie, le cornici concettuali della CMC. La tecnologia ricorre alla filosofia per non cadere in errori epistemologici, culturali ed etici. Sandbothe riprende la speranza di Rorty: i nuovi media porteranno ad una comunicazione transculturale. Essi contribuiranno alla creazione di un dialogo globale, un dialogo autentico tra le culture. Per quanto riguarda l'aspetto educativo di un villaggio globale interculturale, i filosofi possono contribuire nel fornire un tipo specifico di educazione ai popoli. La metafora della caverna di Platone rimane ancora una metafora vitale, sia a livello filosofico che educativo. Cees Hamelink, per la democratizzazione delle scelte tecnologiche, chiede un'educazione Socratica, un'educazione non basata sull'ignoranza ma sulla consapevolezza di ciò che accade, un'educazione basata sul dialogo, in modo da poter deliberare e riflettere sulle scelte necessarie per l'interesse comune. Attingendo a John Dewey e Martha Nussbaum, Hamelink ritiene che tale educazione sia di vitale importanza, in una società democratica, per qualsiasi speranza di dialogo. L'educazione filosofica nei valori interculturali ha contribuito a un nuovo Rinascimento.
La comunicazione mediata dal computer (CMC : Computer-mediated Communication) e l’interazione uomo-computer (HCI: Human-computer Interaction)
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A partire da Anassimandro, passando per Kant, i filosofi hanno spesso formulato gnoseologie per cui la conoscenza di una cosa implica il riconoscimento dei suoi limiti: tanto i confini del suo essere, quanto quelli del suo non-essere. Con l’avvento delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT: Information and Computing Technologies), l’intelligenza naturale si trova a confrontarsi con quella artificiale, tanto che i filosofi sono costretti a riconsiderare i confini, per istanza, dell’essere-uomo, nonché della sua politicità. Questioni a lungo dibattute come se siamo capaci di un governo democratico o se necessitiamo di un controllo autoritario o i diritti "naturali" dell’uomo, possono – grazie alla CMC e alla HCI – essere rivalutati dal punto di vista empirico, alla luce dei tentativi atti ad incrementare questi presupposti nella prassi dell’interazione uomo-macchina e negli effetti potenzialmente democratizzanti della CMC.
Per capire ciò, dobbiamo ridiscutere i termini fondamentali dell’ordinaria visione del mondo e quindi parlare di ontologia, epistemologia (inclusi la semiotica, l’ipertesto e la logica), di identità e stato di persona (inclusi i problemi di genere e personificazione) e di valori etici e politici (specialmente dei nuovi diritti che queste tecnologie potrebbero portare nel senso di una rinnovata, globale democrazia o dei danni a loro correlati nella commercializzazione e nella colonizzazione mediata dal computer). E, ancora, proporre i potenziali contributi che una "filosofia mediata dal computer" possa apportare in vista di un’inchiesta filosofica orientata verso nuovi tipi di teorie e sempre più floridi dialoghi interdisciplinari. Forse – più significativamente – i filosofi potrebbero contribuire a una nuova educazione che sembra richiedere il nuovo apparato culturale facilitato dalla CMC.
La CMC può essere definita come una comunicazione interattiva tra due o più agenti intelligenti che fanno affidamento sulle ICT – di solito i personal computer e i network – come proprio mezzo primario. Esempi sono: e-mail, chatroom, newsgroup USENET, i MUD e i MOO, i listserv, i servizi di messaggistica istantanea (ICQ, AOL Instant Messager, ecc.), audio – e video – teleconferenze condivise su sistemi di realtà virtuale e gli altri modi di condividere file e informazioni via network e internet, inclusi i trasferimenti di file peer-to-peer e la comunicazione multimediale del web (ad esempio homepage personali, condivisione di cartelle e link via backflip, condivisione di file fotografici su server commerciali, e così via).
Questa definizione ci porta alla possibilità di una comunicazione umana con agenti intelligenti artificiali via computer e network e, così, verso il concetto stesso di Intelligenza Artificiale (IA). La CMC si riferisce a una qualsiasi comunicazione tra agenti artificiali mediata dai computer e una tale comunicazione presuppone interazioni di successo tra agenti umani e le tecnologie di mediazione. L’interazione, a sua volta, richiede la progettazione di un’interfaccia che, idealmente, permette una comunicazione "intuitiva" e "senza interruzioni" tra umano e macchina. Il disegno di questa interfaccia, e le successive indagini sulle capacità degli umani e delle macchine, sulle loro abilità cognitive e su possibili vie di interazione tra il "nostro" mondo e un mondo "altro" costituiscono il tema di discussione della HCI. Come le tecnologie informatiche si diffondono, così cresce il bisogno di disegnare un’interfaccia più "di facile utilizzo", perciò si richiede una maggiore attenzione agli sbocchi HCI. Infine, come Carleen Maitland (2001) segnala, la ricerca di un lavoro cooperativo assistito dal computer (CSCW: Computer Supported Cooperative Work) potrebbe essere inclusa come una sotto-area delle CMC/HCI.
Nella letteratura scolastica e popolare, la CMC, la HCI e il CSCW non toccano confini propriamente "informatici", ma si sviluppano a partire da presupposti "umani", intersecando temi di ergonomia, teoria della comunicazione, studi culturali, sociali, antropologici, etnografici e psicologici e - nel caso del CSCW – di psicologia sociale del lavoro di gruppo. Diverse teorie filosofiche, invece, sfruttano i risultati della psicologia cognitiva e delle scienze cognitive in genere, passando per concetti tipicamente informatici, come l’IA, per approdare a quesiti filosofici. Alcuni teoreti della comunicazione ci propongono un dialogo esplicito tra CMC e HCI e temi filosofici: Chesebro e Bertenson sviluppano la teorie di Innis, Einstein, McLuhan e Ong, che vedono la comunicazione come una tecnologia che anzitutto e centralmente definisce la cultura. Questo, in ordine di un esplicito indirizzo filosofico, interessa epistemologia, ontologia, ragionamento critico, etica e politica (inclusi temi come la natura e la validità del vero e della realtà, la definizione di umano e questioni di ordine giuridico e democratico).
Il termine "ontologia" va qui inteso in senso ampio, così da comprendere anche la metafisica tradizionale: un’ontologia che interessi sia le realtà interne (sé, spirito), sia quelle esteriori, un mondo o mondi esterni, incluse le persone e gli enti trascendentali, e causali e altre possibili relazioni. Tra i più notevoli interessi ontologici della CMC e della HCI, inoltre, troviamo questioni sulla natura umana e il sé. Le basi per il disegno della HCI, sono state fornite, negli anni ‘50 del Novecento, a partire da due diverse visioni filosofiche. La prima, rappresentata da Douglas Engelbart, proponeva in modo umanistico – su basi illuministico/cartesiane – di guardare alle tecnologie come strumenti per implementare e non sostituire l’intelligenza umana; la seconda, originariamente più popolare, guardava invece all’Intelligenza Artificiale come un proposto superiore sostituto dell’uomo. Per cui la prima visione sottolineava il bisogno di modellare la macchina sull’uomo, a partire dal riconoscimento delle distanze che intercorrono tra essa e l’essere umano: il linguaggio binario e i processi simbolici che non si abbinano perfettamente al "naturale" linguaggio dell’uomo; e l’ "interfaccia" umana come "mente incarnata". Mentre la seconda suggeriva una tale "incarnazione" per cui la macchina si sarebbe rivoltata in una serie di dispositivi fisici (il più famoso, il mouse di Engelbart) e sensi multipli. Se da una parte la simbiosi uomo-macchina era quindi vista come uno stadio intermedio alla sopraffazione dell’umano, l’approccio "coevoluzionario" di Engelbart - influenzato dal linguista Benjamin Whorf in quanto al riconoscimento di un linguaggio "naturale" - si fondava su un equo dialogo tra discipline.
Winograd e Flores si diedero poi più esplicitamente alle dimensioni filosofiche dello spaccato in HCI tra IA e Engelbart, chiarendo che « nel disegnare strumenti stiamo disegnando modi di essere » (1986). Gli strumenti, cioè, sono progettati per facilitare determinate azioni e processi, ricoprendo un certo raggio di assunzioni ed escludendone altre; nel fare ciò, quindi, influenzano gli utenti in specifiche direzioni, dando forma alle nostre possibili vie d’essere. Winograd e Flores cercarono di correggere questa « particolare insensibilità circa la natura dei pensieri e del linguaggio umano» per sottolineare come il linguaggio e i pensieri dipendano dall’interazione sociale e per riscoprire un’indubbia ma tacita conoscenza di sottofondo dei designer di computer riguardo a cosa significhi essere uomo, lasciando spazio a nuove questioni sullo stato di persona e sull’identità, calcate anche in letteratura. Il "Manifesto cyborg" di Donna Haraway (1990), ad esempio, propone le donne come creature incarnate e, quindi, incastrate in un mondo reale di oppressione patriarcale, demonizzate in quanto a corpo e sensualità. Per cui le donne (e gli uomini) possono trovare una genuina parità e la liberazione solo come menti prive di corpo in un cyberspazio, cioè come cyborg liberati, piuttosto che disumanizzati, attraverso la tecnologia.
I filosofi leggeranno nella visione di Haraway della liberazione mediata tecnologicamente un dualismo che riecheggia la scissione cartesiana mente-corpo. E, come Katherine Hayles (1999) ha documentato, questo dualismo emerge nei presupposti fondamentali della cibernetica e in una concezione di una razionalità formalistica nell’AI. Di qui, una delle conclusioni più famose è nella speranza di Hans Moravec che gli umani saranno presto capaci di scaricare le loro coscienze in corpi robotici che vivranno per sempre (1988).
Questo dualismo, inoltre, può essere rivisto nella relativamente precoce celebrazione dell’ipertesto e della CMC come marchi di una scissione culturale rivoluzionaria, al pari della macchina da stampa. Cioè per enfatizzare la differenza radicale tra la cultura della stampa e quella che Ong ha definito l’ "orazione secondaria" dei media e della cultura elettronica (1988), stabilendo una dualistica opposizione tra due fasi culturali: modernità e postmodernità.
Un esempio più recente di questa svolta è nella versione di Hayles sul "postumano" come caratterizzato da un esplicito programma epistemologico: «l’epistemologia riflessiva rimpiazza l’oggettivismo […] l’incarnazione rimpiazza un corpo visto come un sistema di supporto per la mente; e una relazione dinamica tra umani e macchine intelligenti […] manifesta il destino del soggetto di dominare e controllare la natura» (199: 288). Così, Hayles sottolinea la divisione da una epistemologia oggettivista, basata su una dualistica separazione di soggetto e oggetto e enfatizza l’inevitabile interazione tra i due termini nel modellare la nostra conoscenza del mondo. Nello stesso modo, Hayles si focalizza più precisamente sul significato di incarnazione, in cui molti oggi vedono una possibile comprensione post-cartesiana del "mente-e-corpo" nel cyberspazio.
Il cyberspazio apre inoltre una discussione per cui le nostre ordinarie concezioni non possono applicarsi pienamente alla nuova sorta di spazio individuale e sociale abilitati dalle nuove tecnologie. Similarmente, Mike Sandbothe (1999), affidandosi in parte a Rortry e Deridda, ha argomentato che internet e il web minano al "naturale" senso del tempo, facendolo collassare nel "virtualmente istantaneo" e perciò rendendo l’esperienza del tempo come plasmata dai singoli utenti. Il tempo e lo spazio possono diventare così nostre proprie creazioni, il risultato di scelte estetiche e della nostra immaginazione narrativa e cooperativa. Dall’altro lato, il cyberspazio rinnova l’ accento sulle connessioni ontologiche/epistemologiche tra mente e mondo e le relative responsabilità etiche e politiche, nel modo in cui queste connessioni sono autorizzate, di contro al chiaramente transnazionale carattere del web e del Net, nei limiti sociali e nazionali, osservati, nel cyberspazio (Halavais 2000), con potenziali conseguenze imperialistiche.