I due mondi dell'ebraismo/Capitolo 2
Guerrieri, Mogli e Sapienza: Questo Mondo e il Mondo a venire negli Apocrifi
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Antologia ebraica. |
La vasta raccolta di testi religiosi del tardo periodo del Secondo Tempio, scritti sotto la pressione della dominazione imperiale e dell'autogoverno asmoneo, offre allo studioso moderno una finestra aperta sul tumultuoso mondo della Giudea del periodo del Secondo Tempio, testimoniando le varie risposte alle sfide politiche e culturali di quei tempi. Certo, le ostilità reali e percepite del mondo ellenistico non potevano fare a meno di suscitare reali preoccupazioni negli abitanti della Giudea, sollevando domande esistenziali su cosa potesse significare, in definitiva, essere ebreo.
La maggior parte di questi scritti testimoniano corsi di pensiero e di azione che nascono all'interno di una gamma di accomodamenti di fronte alle strutture di potere, sospesi tra estremi di resistenza da un lato e completa assimilazione dall'altro. Nel loro insieme, la letteratura testimonia la completa assenza di qualsiasi ortodossia dogmatica tra gli ebrei vissuti nei quattro secoli successivi ad Alessandro Magno (333 AEV) e culminati con la distruzione del Tempio (70 EV). I loro scenari spesso testimoniano contesti sociali angoscianti, perfino precari, ed è per questo che tra tali scritti si trova una varietà di prospettive riguardanti il mondo presente [olam ha-zeh] e il mondo a venire [olam ha-ba], a volte in competizione tra loro all'interno di un unico libro. Queste prospettive sfidano gli studiosi della Bibbia a mettere i testi antichi in dialogo con i rispettivi mondi travagliati, offrendo allo stesso tempo ai teologi l'opportunità di esplorare i processi coinvolti nella produzione e nello sviluppo delle teodicee. Per questi autori la speculazione sul rapporto tra questo mondo e il mondo a venire è più che una fantasia passeggera. Nasce dalla terribile preoccupazione di dare un senso al mondo alla luce delle sfide minacciose che lo attendono.
Il presente Capitolo si concentrerà sull'identificazione di alcuni tra i diversi scenari distinti del mondo presente/mondo futuro contenuti nel corpus deuterocanonico, evidenziando punti di contrasto che dimostrano l'ampia gamma di speculazioni intrattenute dai rispettivi autori. Sebbene i deuterocanonici siano testi ebraici che furono ufficialmente abbandonati dai rabbini poco dopo la distruzione del Secondo Tempio, rimangono autorevoli per le tradizioni bibliche e liturgiche cattoliche romane, ortodosse orientali e ortodosse orientali.[1] Essendo circolati con la Septuaginta (LXX), sono considerati canonici dalla Chiesa occidentale, però solo secondariamente (per cui, deutero-). La loro canonicità non è mai stata in discussione tra le Chiese d'Oriente.[2] È spesso necessario ricordare ai cristiani che, come lo stesso Antico Testamento, questi testi sono ereditati dall'ebraismo, cioè scritti da ebrei per ebrei che vivevano in tutto il mondo greco-romano. Alla fine emarginati sia dalle tradizioni rabbiniche che da quelle protestanti, hanno avuto un significato modesto per gli studiosi della Bibbia fino a tempi recenti.
Dato il numero di testi a disposizione, qui può essere presentato solo un campione rappresentativo di modelli di speculazione ebraica sui mondi presenti e futuri: modelli che vanno da una visione del mondo biblica tradizionale mantenuta dall’élite conservatrice privilegiata (in particolare il partito dei sadducei al potere), agli scenari radicalmente apocalittici della resistenza, come anche di altri gruppi che si sentivano sotto assedio. I cristiani, che spesso ascoltano brani di questi testi letti ad alta voce in contesti liturgici, potrebbero acquisire una comprensione più profonda degli inizi della loro stessa tradizione, radicata com'è nel vivaio dell'ebraismo del periodo del Secondo Tempio. Sebbene non facciano più parte del canone ebraico, il loro valore deriva dalla visione che forniscono sulla diversità delle speculazioni ebraiche sul mondo in cui vivevano, così come su qualsiasi mondo a venire. Poiché molti di questi testi contengono elementi teologici che attiravano i cristiani, servono anche a far riacquistare al cristianesimo le sue radici (ebraiche).
Risoluzione del Mondo attuale
[modifica | modifica sorgente]La prima categoria comprende gli scenari del mondo attuale che presuppongono la liberazione divina attraverso l'intervento di guerrieri umani giusti, il cui coraggio personale e zelo per Israele e per la Torah superano i nemici della nazione. Stando nella tradizione della visione delle ossa secche di Ezechiele 37, che parla di una futura rivitalizzazione della nazione e della ricostruzione del Tempio di Salomone, e del famoso oracolo di Isaia "spade in vomeri/lance in falci" (Isaia 2:1-5), alcuni testi deuterocanonici affermano il ripristino della giustizia in questo mondo in modo collettivo e non individualizzato. Come nei libri profetici [Nevi’im], la giustizia divina viene distribuita nella temibile era degli imperi, in attesa della piena risoluzione nel prossimo futuro di un mondo presente caratterizzato da pace e benessere [shalom].
Nei testi deuterocanonici di questa categoria, potenti forze terrene minacciano la sicurezza e il benessere nazionale di Israele, determinando la necessità che un agente di liberazione divina sorga e metta a posto il mondo. La risoluzione (salvezza) è corporativa e nazionale, non personale. Ad esempio, in 1 Maccabei, la morte di Giuda, Gionata e Simone viene presentata in modo pratico come sacrifici necessari per una causa più grande, piuttosto che come martiri o tragedie personali. Per questo motivo, la teodicea di questa visione del mondo rimane tradizionalmente biblica. Non ci sono riferimenti ad una vita ultraterrena, inclusa qualsiasi sorta di risurrezione individualizzata, corporea o di altro tipo, che nonostante la sua centralità nella tradizione cristiana, è una nozione apparsa relativamente tardi nel periodo del Secondo Tempio.[3]
1 Maccabei
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Libri dei Maccabei. |
Il Primo libro dei Maccabei è un testo della fine del II secolo che racconta gli eventi dalla morte di Alessandro Magno all'insediamento di Giovanni Ircano, autoproclamato re e sommo sacerdote della Giudea, quasi esattamente due secoli dopo. Il suo autore interpreta gli eventi attuali in un modo che sostiene la legittimità della prima dinastia sacerdotale asmonea, i cui fondatori, gli eroici Maccabei, posero fine alle persecuzioni antiochene, stabilirono l'indipendenza nazionale e ripristinarono il dominio della Torah. In contrasto con i molti testi nati dal crogiuolo della sofferenza e della persecuzione, qui i giusti celebrano la vittoria attraverso il trionfo dei Maccabei, in particolare da parte di Giuda, guerriero per eccellenza, le cui azioni coraggiose sono annunciate come troppo numerose per essere registrate (1 Maccabei 9:22)
È interessante notare che l'autore di questo testo celebrativo non registra la violenza e la corruzione egoistica che sarebbero derivate sotto la guida degli Asmonei. Anche se il libro testimonia un periodo travagliato per molti anni, sembra che l'autore non sia stato influenzato negativamente da questi eventi e probabilmente fosse un sostenitore della famiglia regnante.[4] In ogni caso, la teodicea rimane legata alla terra e radicata nel presente, in consonanza con la visione del mondo della Bibbia ebraica, in cui l'azione umana si svolge sulla faccia della terra, con Dio e le Sue schiere celesti nei cieli di sopra e il reame delle ombre dei morti di sotto (Sheol).[5]
Libro di Giuditta
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Libro di Giuditta. |
Il Libro di Giuditta racconta la storia di una vedova pia e bella che libera il suo villaggio da un assedio assiro. Sebbene i personaggi, il tempo e le trame siano radicalmente diversi e influenzati da ruoli e linguaggio ellenistici specifici del genere, alcuni studiosi suggeriscono che il personaggio di Giuditta potrebbe essere stato ispirato dalle imprese guerriere di Giuda Maccabeo; quindi ci si potrebbe aspettare temi e prospettive simili.[6] Altri ancora hanno suggerito che il Libro di Giuditta sia stato composto da un membro del partito dei Farisei e che il libro, pieno di ricca ironia, sia cripticamente anti-asmoneo. Se questi studiosi hanno ragione,[7] allora il punto centrale di questo racconto ironico si basa quasi certamente sull'implicazione che Giuda e i suoi fratelli avrebbero dovuto emulare Giuditta tornando alla vita privata dopo la liberazione del loro popolo, invece di acquisire il potere per se stessi e alla fine diventare corrotti. Pertanto, il Libro di Giuditta proietta una storia alternativa in cui la crudele tirannia del dominio asmoneo non si sarebbe mai verificata.
La storia di Giuditta che tratta di seduzione, inganno e assassinio, si svolge in un passato storico abilmente riconfigurato e fuso, in cui la conquista assira è guidata dal re babilonese Nabucodonosor che conquistò Giuda all'inizio del VI secolo AEV. Tali apparenti inesattezze storiche non sono errori, poiché segnalano al lettore di prestare attenzione ai dettagli, che richiamano l'attuale situazione mondiale in cui le cose vengono messe a posto da un agente mortale di liberazione divina. Anche se non vi è alcuna indicazione che gli abitanti di Bethulia siano persone particolarmente giuste, sono comunque liberati dalla formidabile bellezza e dalla ferocia guerriera di Giuditta, timorata di Dio: lei incarna attivamente la giustizia di Dio sulla terra. Quindi, ancora una volta, la liberazione arriva per mano di un agente umano di tipo guerriero che porta la liberazione collettiva alla nazione.[8]
Risoluzione personale del Mondo attuale
[modifica | modifica sorgente]Come i testi precedenti, queste narrazioni riflettono una visione del mondo consonante con quella del Tanakh in generale, vale a dire, quella in cui l'attività umana dalla nascita alla morte si svolge in un'arena inserita tra i cieli [ha-shammaim] e la tomba (Sheol). Qualunque cosa accada sulla faccia della terra, l'Altissimo veglia su di essa e vi prende decisioni davanti agli occhi di tutti i soggetti coinvolti – specialmente i giusti – ma anche per il loro bene, a volte anche dei malvagi meritevoli di punizione. Questa prospettiva è radicata nella tradizionale visione del mondo deuteronomista, esplicitamente esposta in Deuteronomio 28, che afferma che la giustizia di Dio in relazione alla fedeltà pattizia si realizza nella vita presente.
Sebbene questa visione del mondo sia radicata in un'interpretazione collettiva di liberazione, non si può fare a meno di notare le implicazioni anche per la vita personale. Vivere la propria vita secondo la Torah porta salute personale, ricchezza e vita abbondante, mentre abbandonare la Torah porta a malattie, sfortuna e morte. Pertanto, per alcuni testi deuterocanonici, i giusti godono del favore divino nel mondo presente anche se sperimentano grandi difficoltà. Tale favore include la possibilità di vedere la rovina dei loro oppressori, che a loro volta vedono il ristabilimento della giustizia nella rivendicazione dei giusti. Questi testi si basano sulla convinzione di fondo che la volontà divina per l'esistenza umana è la modalità predefinita per la realtà ultima, vista solo dai saggi e giusti. Dato che la saggezza biblica è definita come “timore del SIGNORE”, tali storie sono giustamente chiamate racconti di sapienza.[9]
Susanna
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Storia di Susanna e Libro di Daniele. |
La storia di Susanna venne a circolare con il Libro di Daniele. Letta durante la quinta settimana di Quaresima nella tradizione latina, tratta di una pia donna che viene sessualmente compromessa da due anziani della sua stessa comunità. Gli anziani spiano Susannah, timorata di Dio mentre fa il bagno e poi minacciano di accusarla pubblicamente di adulterio con uno sconosciuto – un'azione punibile con la morte – se si fosse rifiutata di acconsentire alle loro avances salaci. La giusta Susanna non ha altra scelta che invocare la liberazione da parte di Dio, che immediatamente risveglia lo spirito del giovane profeta Daniele. In quello che alcuni hanno definito il primo dramma giudiziario al mondo, Daniele interroga gli anziani; ma questo non è il solito controinterrogatorio, poiché Daniele come profeta (e maestro dei giochi di parole, si dovrebbe aggiungere) è in grado di condannare prima un anziano e poi l'altro solo sulla base delle loro testimonianze individuali.
La storia della persecuzione e della rivendicazione di Susanna richiama alla mente le storie di Daniele davanti al re babilonese nei capitoli 3 e 6, ma qui Susanna è semplicemente una normale persona timorata di Dio. Inoltre, il suo nemico non è un imperatore malvagio, ma i leader presumibilmente rispettati della sua stessa comunità. A differenza di altri racconti deuterocanonici, la narrazione è ambientata in un villaggio che non sembra essere disturbato da estranei; tuttavia, si potrebbe sostenere che le azioni di questi subdoli anziani, antitetiche alla vita della Torah, rappresentano una minaccia per la vita interiore della comunità pari o maggiore di quella di qualsiasi despota straniero. In ogni caso, pronto a liberare i giusti, l'Altissimo salva Susanna da morte certa e la rivendica nel mondo presente.
Tobia
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Libro di Tobia. |
Il Libro di Tobia, di cui si leggono ampie porzioni nel lezionario della chiesa, offre un altro mondo presente, una risoluzione della vita attuale, solo che qui l'agente della giustizia divina non è un agente umano come il profeta Daniele, ma un essere angelico di nome Raffaele. Ambientato nell'esilio assiro alla fine dell'VIII secolo AEV, il Libro di Tobia è un racconto di saggezza incentrato sulle lotte dei giusti di fronte a potenti forze umane e soprannaturali. Piena di ricca ironia e umorismo, la storia risolve tutte le lotte dei suoi personaggi virtuosi in un lieto fine nel mondo presente.
Tobia, l'omonimo protagonista, è perseguitato dal re assiro Sennacherib per aver seppellito i cadaveri esposti dei suoi compagni israeliti: una mitzvah della morte [met mitzvah] che lo porta a ripetuti contatti con quella che le fonti rabbiniche chiamano la "madre di tutte le impurità", comportando la necessità di ripetuti rituali di ripurificazione. Ad un certo punto, le sofferenze di Tobia si aggravano quando dorme fuori casa durante il processo di ripurificazione. Mentre dorme, i passeri gli defecano sugli occhi e lo rendono cieco. Nel frattempo, nella lontana Ecbatana, una lontana cugina di nome Sarah sta soffrendo per mano del demone Asmodeo, il cui geloso desiderio per lei lo porta a uccidere sette mariti in successione prima che uno qualsiasi dei suoi matrimoni possa essere consumato.
Sia Tobia che Sarah sono israeliti giusti che soffrono difficoltà per mano di potenze malevole, umane e sovrumane; entrambi subiscono il rimprovero da parte delle persone che li circondano, ed entrambi ricorrono alla preghiera in mezzo alla loro disperazione. Le loro sofferenze parallele vengono riunite e risolte in un terzo ciclo, in cui Dio invia l'arcangelo Raffaele, travestito da lontano parente, ad accompagnare Tobia, il figlio omonimo di Tobia, in un viaggio per reclamare del denaro depositato in un fondo. Durante il viaggio si fermano presso il fiume Tigri per rinfrescarsi, quando all'improvviso salta fuori un grosso pesce. L'angelo ordina a Tobia di afferrare il pesce e di assicurarne la cistifellea, il cuore e il fegato, organi che in seguito diventeranno il mezzo attraverso il quale il demone verrà scacciato e gli occhi di Tobia guariti (6:1–8), determinando un lieto fine.
Il mondo narrativo del Libro di Tobia è pieno di difficoltà e i giusti sembrano soffrire a causa della loro rettitudine. Tuttavia, i giusti non sono mai lontani dalla vista dell'Altissimo, che concede le ricompense della loro fedele perseveranza nella vita presente. Tobia diventa molto rispettato nella sua comunità. Muore pacificamente all'età di 112 anni ed è sepolto a Ninive con grande onore (14:2). Il figlio di Tobia godrà di ricchezza e onore ancora maggiori e vive fino alla veneranda età di 117 anni, tre anni al di sotto del limite stabilito da Dio per i mortali (Genesi 6:3). Poco prima della sua morte, Tobia riceve la notizia della distruzione di Ninive, per la quale si rallegra. Lodando Dio per il ripristino della giustizia per la quale suo padre aveva pregato, Tobia ora va alla tomba in pace, una conclusione benedetta per una vita retta.
L'istruzione di Ben Sira
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Ben Sira e Siracide. |
Passando ora dal racconto di sapienza al discorso di sapienza, il Libro del Siracide (noto anche come "Sapienza di Sirach" e per i cristiani come "Ecclesiastico") afferma che una vita dedicata alla sapienza è una ricompensa in sé. Una vita del genere è caratterizzata da un linguaggio prudente, da una rettitudine incrollabile e da una reputazione onorevole. Alla fine della vita, sia il saggio che il peccatore incontrano inevitabilmente vermi e putrefazione (10:11,38:21); tuttavia, il primo, la cui vita è vissuta nel timore di Dio (cioè, tremenda riverenza), gode di una fine felice e prospera (1:13,2:3), mentre la sua virtù e i suoi atti di giustizia continuano nel tempo. In contrasto con i libri di Susannah e Tobia, Ben Sira afferma che anche una fine felice e prospera non è necessariamente priva di dolore e sofferenza; ma finanche in mezzo alla persecuzione che porta alla morte, la vita di saggezza porta ricompensa e soddisfazione agli occhi offuscati:
Risoluzioni personali dell'Altro Mondo
[modifica | modifica sorgente]Alcuni testi deuterocanonici immaginano un mondo irrimediabilmente corrotto e del tutto irrecuperabile, che necessita di una sorta di ripristino cosmico. Per alcuni scrittori, la visione di Trito-Isaia di un nuovo cielo e una nuova terra (Isaia 65:17) ispirò una speranza apocalittica tra i gruppi che percepivano il mondo in questo modo. Probabilmente influenzata dal pessimismo orfico, questa visione ispira la speranza per una nuova creazione – un nuovo cielo e una nuova terra – separati da un mondo che non vale più la pena salvare. Supportati da Daniele 12:2, i giusti perseguitati trovano la speranza di un'esistenza trasformata, liberandoli dal tempo e dal luogo dell'attuale angoscia:
Altri materiali grezzi per la fede nella risurrezione dai morti [tĕḥîyat hamētîm][11] furono tratti da Ezechiele 37:1-14 e Isaia 26:19. Si vede così che le credenze apocalittiche emergono da una radicale intensificazione delle convinzioni espresse nella letteratura profetica.[12] La novità è che la fede nella risurrezione dei morti, un tempo speranza per la rinascita della nazione, diventa ora personale.
2 Maccabei 7
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Secondo libro dei Maccabei. |
I testi deuterocanonici offrono una varietà di teodicee mondiali presenti e future; tuttavia, 2 Maccabei riesce a offrire diversi aspetti della liberazione divina all'interno di un unico testo. La narrazione è ambientata in un mondo dominato dal malvagio re seleucide Antioco IV, che nel capitolo 2 Maccabei 7 presiede alla raccapricciante tortura di una famiglia di ebrei rispettosi della Torah. La storia richiama alla mente la vicenda di Taxo e dei suoi sette figli nel Testamento di Mosè 9, entrambe le quali si collocano nella tradizione di persecuzione e rivendicazione in Daniele 3 e 6. Ma per la madre e i suoi figli – molto diversamente dalle storie di Susannah e Tobia – la liberazione segue una morte agonizzante e tortuosa. In un certo senso, le immagini richiamano alla mente Isaia 65:17-25, in cui ai giusti viene promessa una lunga vita in un nuovo cielo e una nuova terra, mentre Dio giudica e uccide i malvagi, lasciando esposti i loro cadaveri (66:15-17); tuttavia, qui sono i cadaveri dei giusti sofferenti che rimangono esposti. Tuttavia, la rivendicazione avviene sotto forma di risurrezione a nuova vita.
Questo martirologio della pia donna e dei suoi sette figli presenta una situazione in cui la morte imminente e inevitabile deriva dal vivere una vita secondo la Torah, poiché è la fedeltà della famiglia alla Torah che suscita l'ira del re e alimenta la sua motivazione primaria di aver ordinato la loro tortura e morte. La loro scelta è chiara, ma antitetica rispetto a qualsiasi precedente comprensione di come dovrebbe funzionare il mondo. Nonostante la loro orrenda agonia, vengono espresse diverse convinzioni piene di speranza:
- Dio vede la loro grave situazione e ha compassione di loro (v.6)
- Dio risusciterà i giusti a una vita eterna (v.9)
- Le parti del corpo recise verranno restaurate (v. 11; cfr. anche Razis, 14:30ss)
- Non ci sarà alcuna risurrezione per il re malvagio (v. 14)
- Dio torturerà il re malvagio e i suoi discendenti (vv.16-17)
- La calamità in definitiva non è nel potere del re di realizzarla, ma è il risultato dei peccati di Israele contro Dio (v.18)
La loro situazione crea una sorta di dissonanza cognitiva in cui la convinzione intrinseca che la fedeltà alla Torah porta la vita, viene messa in discussione dalla realtà che l'aggrapparsi alla Torah ora comporta certe torture e morte. Sottolineate dalla convinzione che l'Altissimo è onnipotente, onnisciente, compassionevole e giusto, all'improvviso tutte le prove si sono spostate verso il contrario. Qualcosa deve succedere. L'attività di spostamento forzata dalla dissonanza cognitiva in questo scontro di realtà riafferma che la giustizia di Dio è certa; quindi, se la giustizia non viene realizzata nel mondo presente, allora deve aver luogo altrove. Pertanto le nozioni tradizionali riguardanti la definitività della morte vengono riscritte per accogliere la convinzione che la fine non è la fine.
Sapienza di Salomone
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Libro della Sapienza. |
Una situazione in qualche modo simile si riscontra nella Sapienza di Salomone, vale a dire che la fedeltà alla Torah porta alla persecuzione e alla morte; solo qui la distinzione classica tra immortalità e resurrezione corporea sembra confusa. Con parole che affermano chiaramente la preesistenza delle anime, l'autore scrive: "Da bambino ero naturalmente dotato, e mi toccò un'anima buona; anzi, essendo buono, sono entrato in un corpo senza macchia" (8:20); tuttavia, la rivendicazione del protagonista giusto implica chiaramente la resurrezione [anastasis] dai morti.
Come Ben Sira, l'autore della Sapienza di Salomone riconosce la realtà della morte e afferma che la rettitudine è immortale. Insiste sul fatto che Dio non ha creato la morte (1:13), ma che la morte viene provocata dalle azioni dei malvagi (v. 16). Il discorso attribuito ai malvagi riflette una visione del mondo epicurea che nega l'esistenza di qualsiasi vita ultraterrena personale. I malvagi sono in agguato per uccidere i giusti, ma quando lo fanno, i giusti sembrano solo essere morti. Le loro anime sono infatti nelle mani di Dio, afferma l'autore, dove i tormenti del mondo presente non le toccheranno mai (3:1-2).
In contrasto con l'idea deuteronomistica secondo cui la rettitudine porta lunga vita e prosperità, l'autore della Sapienza di Salomone spiega la morte prematura dei giusti affermando che le loro anime perfette erano gradite a Dio, quindi le strappò dalla malvagità terrena (4:14). Al contrario, i malvagi possono godere di una vita lunga e proficua (il che è contrario alla visione deuteronomica), ma dopo la morte risorgeranno giusto il tempo necessario per vedere l'errore delle loro vie ed essere giudicati dai giusti che avevano condannato. Ironicamente, la visione distorta che avevano del mondo attuale diventa una profezia che si autoavvera, poiché il paradossale capovolgimento delle fortune nel Giorno del Giudizio li costringe a vedere i giusti che hanno ucciso stare alla destra di Dio per condannarli. Di conseguenza, i malvagi sopportano acuti morsi di paura e angoscia prima di svanire nell'oblio, dimenticati come se non fossero mai nati.[13]
Conclusione
[modifica | modifica sorgente]Nonostante un'ampia gamma di prospettive e risultati, i testi deuterocanonici condividono tutti una convinzione fondamentale: che l’Altissimo è unico (Deuteronomio 6:4: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo"), onnipotente, onnisciente e provvidenzialmente giusto: un Dio unico e potente di costante benevolenza amorevole [chesed חֶסֶד] disposto e in grado di agire per stabilire e mantenere la giustizia e la rettitudine [mishpat ve-zedekah] nel governare l'universo. Anche una lettura superficiale di questi testi mostra un ampio spettro di speculazioni su come la Divinità potrebbe agire nel rivendicare i giusti e nel correggere i torti terreni. Particolari convinzioni sul Mondo a venire si basano sulla situazione del mondo presente, poiché gli oppressi guardano disperatamente al divino per chiedere aiuto.[14]
Emergono da particolari contesti sociali e in nessun momento presumono di avere una portata dogmatica o universale. In quanto tali, non ci si può aspettare che questi testi abbiano la chiarezza e la risoluzione della teologia sistematica, quindi spesso rimangono ambiguamente grezzi, non sviluppati e distinti dal corpus nel suo insieme. Tuttavia un confronto approfondito di questi testi porta ad un grande apprezzamento del ricco spettro di luce rifratto attraverso il prisma di una convinzione condivisa riguardo alla costante benevolenza amorevole divina [chesed] manifestata attraverso l'amministrazione cosmica della giustizia e della rettitudine [mishpat vezedekah].
Note
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico, Serie delle interpretazioni e Serie maimonidea. |
- ↑ Il canone ampliato dei libri ispirati nella metà occidentale dell'Impero Romano fu promulgato da papa Damaso al Sinodo di Roma (382) e riaffermato dai successivi concili regionali di Ippona (393) e Cartagine (397, 419). Il Concilio di Trento (1545–1563) affermò l'infallibilità di questi libri come Scrittura. La canonicità di questi testi non è mai stata ufficialmente messa in discussione tra le chiese d'Oriente.
- ↑ Cfr. Eugen Pentiuc, The Old Testament in Eastern Orthodox Tradition (Oxford: Oxford University Press, 2014), 101–35.
- ↑ James Charlesworth, et al., eds., Resurrection: The Origin and Future of a Biblical Doctrine (New York: T & T Clark, 2006), 223.
- ↑ Per ulteriori informazioni, cfr. George W. E. Nickelsburg, Jewish Literature Between the Bible and the Mishnah (Philadelphia: Fortress Press, 1981, 2005), 102–6.
- ↑ La visione del mondo è in netto contrasto con quella di 2 Maccabei, dove Giuda e i suoi compagni pregano per le anime dei loro compagni caduti, affinché possano essere assolti dai loro peccati (2 Maccabei 12:43-46). Ciò concorda con il punto di vista del partito dei Saduccee, che denigrò qualsiasi fede nella risurrezione (cfr. Matteo 22:23; Marco 12:18; Luca 20:27; Atti 23:6-10; inoltre Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 2.165 e Ant. 18.16).
- ↑ Si può considerare che Giuditta sia stata modellata su un certo numero di eroine ebraiche, in particolare Deborah e Jael, ma anche Miriam e la donna di Abel-beth-Maacha (2 Samuele 20:14-22); cfr. Nickelsburg, Jewish Literature, 100.
- ↑ Cfr. anche Nicolae Roddy, “The Way It Wasn’t: The Book of Judith as Anti-Hasmonean Propaganda”, Studia Hebraica 8 (2008): 269–77.
- ↑ Per ulteriori informazioni, cfr. Nickelsburg, Jewish Literature, 97–102.
- ↑ È quasi certo che il Deuteronomista non aveva in realtà una visione così ingenua del mondo; tuttavia, l’idea che il peccato porti alla rovina (e il suo contrario, che la rovina sia il risultato del peccato) si offriva come una spiegazione plausibile per ciò che era andato così terribilmente storto in quanto Dio aveva permesso che Gerusalemme e il suo Tempio fossero distrutti.
- ↑ La fede nella trasformazione corporea, in questo caso risplendente come le stelle, può riferirsi a una sorta di stato angelico dell'essere. Cfr. 1 Enoch 39:7, 58:1–4; Salmi di Salomone 3:15; 2 Esdra 7.55; e 2 Baruch 50:10; cfr. anche Matteo 13:43.
- ↑ Il primo riferimento postbiblico databile è il Libro Enochico degli Osservatori (1 En 1-36). Cfr. George Nickelsburg, Resurrection, Immortality, and Eternal Life in Intertestamental Judaism and Early Christianity (Expanded edition; Cambridge: Harvard University Press, 2006), 5. Cfr. anche George Nickelsburg, 1 Enoch 1: A Commentary on the Book of Enoch, Chapters 1–36; 81–108 (Minneapolis: Fortress Press, 2001), 315–16. Per uno studio generale sulla risurrezione, cfr. Charlesworth, The Origin and Future.
- ↑ Paul D. Hanson, The Dawn of Apocalyptic: The Historical and Sociological Roots of Jewish Apocalyptic Eschatology (Philadelphia: Fortress Press, 1979), 35–36.
- ↑ Si noti che il destino dei malvagi è in contrasto con la concezione classica dell'eterno fuoco dell'inferno radicata nel libro di Enoch e implicita nei Vangeli.
- ↑ Situazioni così disperate non potevano fare a meno di richiamare alla mente diversi salmi, ad esempio Salmi 18,22,28, in cui si dice che il Signore è "mia forza, mia rocca, mia fortezza, mio liberatore; il mio Dio, la mia rupe, in cui mi rifugio, il mio scudo, il mio potente salvatore, il mio alto rifugio"... e così via.