Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Sacrificio religioso

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"Consummatum Est", guazzo & grafite su carta di James Tissot, 1886-94

La separazione tra ebraismo e cristianesimo[modifica]

Il Sacrificio religioso[modifica]

In questo capitolo, esplorerò la questione di ciò che era in gioco culturalmente, religiosamente e psicologicamente nella separazione delle vie tra l'ebraismo e il paleocristianesimo. Poiché le questioni in gioco sono molteplici, ho scelto di concentrarmi principalmente sul sacrificio religioso. Credo che questo problema mostri simultaneamente elementi di continuità e discontinuità tra le due tradizioni.

Cominciamo con il racconto dell’Aqedah (ebr. הָעֲקֵידָה‎ Ha-Aqedah - "la legatura") nella Scrittura (Genesi 22:1-19). Come è noto, in uno dei giorni più sacri del calendario religioso ebraico, il secondo giorno di Rosh Hashanah, la lettura della Torah tratta principalmente dell’Aqedah, in cui ad Abramo viene comandato incondizionatamente: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò" (Genesi 22:2 [1]).

Questa è la storia di un infanticidio abortito richiesto da Dio. Secondo l'eminente studioso ebreo, il compianto Shalom Spiegel, "lo scopo principale della storia dell’Akedah potrebbe essere stato solo questo: attaccare a un vero pilastro del popolo e ad una venerata reputazione la nuova norma: abolire il sacrificio umano, sostituirci invece gli animali".[1] Sembrerebbe che la maggior parte, ma non tutti, gli studiosi ebrei moderni siano d'accordo con Spiegel.

C'è, tuttavia, un'opinione di minoranza espressa in modo convincente da Jon Levenson di Harvard, che "Gen. 22:1-19 è spaventosamente inequivocabile sull'ordine di YHWH a un padre di offrire il proprio figlio in sacrificio".[2] Condivido questa opinione. Sebbene Shalom Spiegel fosse il mio insegnante al Jewish Theological Seminary,[3] devo rispettosamente dissentire con lui.

Una ragione importante per questa divergenza di opinioni è che ci sono versetti nella Scrittura in cui il comando divino di sacrificare il primogenito maschio sembra essere incondizionato. Ad esempio, Esodo 13:1-2 stabilisce: "Il SIGNORE disse a Mosè: «Consacrami ogni primogenito tra i figli d'Israele, ogni primo parto, sia tra gli uomini, sia tra gli animali: esso appartiene a me»". Esodo 22:28-29 recita: "Non ritarderai l'offerta di ciò che riempie il tuo granaio e di ciò che stilla dal tuo frantoio. Il primogenito dei tuoi figli lo darai a Me. Così farai per il tuo bue e per il tuo bestiame minuto: sette giorni resterà con sua madre, l'ottavo giorno Me lo darai." In nessuno dei due versetti troviamo una qualificazione attenuante.

Altrove in Esodo, la Scrittura richiede un'offerta sostitutiva a rimpiazzare e redimere il primogenito maschio: "Quando il SIGNORE ti avrà fatto entrare nel paese dei Cananei... consacra al SIGNORE ogni primogenito e ogni primo parto del tuo bestiame. I maschi saranno del SIGNORE. Ma riscatta ogni primo parto dell'asino con un agnello; se non lo vuoi riscattare, spezzagli il collo. Riscatterai anche ogni primogenito di uomo fra i tuoi figli" (Esodo 13:11-13).

Ci sono anche testimonianze nella Scrittura che il sacrificio di bambini non solo era praticato in Israele, forse fino al 500 p.e.v., ma che poteva benissimo anche essere stato parte del culto ufficiale piuttosto che un'intrusione pagana. Il suggerimento più intrigante che tale fosse effettivamente il caso si trova nelle parole del profeta Ezechiele nel descrivere YHWH che monta un crescendo di accuse contro "Gerusalemme" culminante nella seguente condanna: "Prendesti inoltre i tuoi figli e le tue figlie, che Mi avevi partoriti, e li offristi loro in sacrificio, perché li divorassero. Non bastavano dunque le tue prostituzioni, perché tu avessi anche a scannare i Miei figli, e a darli loro facendoli passare per il fuoco?" (Ezechiele 16:20-21).

Inoltre, c'è un passaggio molto strano in Ezechiele in cui il profeta ammette apparentemente che i rituali che detesta erano effettivamente praticati da uomini e donne che li consideravano un'autentica espressione dello Yahwismo: "Diedi loro perfino delle leggi non buone e dei precetti per i quali non potevano vivere. Li contaminai con i loro doni, quando facevano passare per il fuoco ogni primogenito, per ridurli alla desolazione affinché conoscessero che Io sono il SIGNORE" (Ezechiele 20:25-26).

Ed Noort, uno studioso olandese, ha definito questo passaggio "la frase più peculiare sul ruolo della torah (sic) nella Bibbia ebraica", notando: "è lo stesso YHWH che fornisce le leggi che portano alla morte invece che alla vita. Permette a Israele di contaminare se stesso con il sacrificio del primogenito".[4] La descrizione di Ezechiele che YHWH dà a Israele "leggi che conducono alla morte" è coerente con l'opinione di Noort secondo cui, nella ricerca biblica contemporanea, "Il quadro delle opposizioni in bianco e nero tra il Baalismo e lo Yahwismo è scomparso."[5]

Potremmo essere in grado di imparare molto sul sacrificio di bambini nell'antico Israele dall'antica Cartagine. Fondata come colonia della città fenicia di Tiro, con la quale Giuda e Israele avevano importanti contatti commerciali e religiosi nei tempi antichi, "apparentemente c'era una stretta affinità tra la cultura israelita e quella fenicia o cananea ".[6] Antichi scrittori come Clitarco, Agatocle, Diodoro Siculo, Plutarco e il teologo cristiano Tertulliano (c.155-c.220) testimoniano tutti la pratica del sacrificio di bambini nel regno di Cartagine. Nel dicembre 1921, il più grande cimitero di bambini sacrificati nell'antico Vicino Oriente fu scoperto a Cartagine, ora un sobborgo turistico della città di Tunisi.[7] Esistono siti fenici simili e più piccoli in Sicilia, Sardegna e Tunisia.

Stele nel Tofet di Cartagine
Stele nel Tofet di Cartagine

Negli anni ’70, gli archeologi Lawrence E. Stager e Samuel R. Wolff scavarono un'area nella città di Cartagine stimata non inferiore ai "54.000 e oltre i 64.000 piedi quadrati" che chiamarono il "Tofet cartaginese". Si stima che fino a 20.000 urne funerarie contenenti le ossa di bambini piccoli siano state depositate nel sito tra il 400 p.e.v. e il 200 p.e.v. o, circa, un sacrificio di bambini ogni tre giorni.[8] Mescolate con le ossa dei bambini in alcune urne furono trovate anche urne contenenti le ossa carbonizzate di agnelli e capretti. Ne conclusero che "gli animali bruciati erano intesi come sacrifici sostitutivi dei bambini".[9] Devo tuttavia precisare che una minoranza di studiosi contesta l'idea che bambini vivi fossero sacrificati a Cartagine e sostengono che le prove letterarie di tali sacrifici non erano altro di una diffamazione di sangue diffusa da antagonisti stranieri.[10] Tuttavia, il consenso della maggioranza di studiosi è che le prove letterarie e archeologiche puntano in modo schiacciante alla pratica del sacrificio di bambini. Dovremmo anche notare che sebbene tali sacrifici fossero motivati ​​religiosamente, servivano una funzione sociologica di controllo della popolazione, proprio come l'aborto e l'infanticidio hanno in altre culture.

Sembrerebbe quindi esserci una chiara connessione tra agnelli e capretti nelle urne cartaginesi e l'ariete che prende il posto di Isacco nell’Aqedah (Genesi 22:13), come anche l'agnello richiesto per il riscatto al posto del primogenito israelita in Esodo 34:19-20 dove Dio è raffigurato mentre dichiara: "Ogni essere che nasce per primo dal seno materno è Mio: ogni tuo capo di bestiame maschio, primogenito del bestiame grosso e minuto. Il primogenito dell'asino riscatterai con un altro capo di bestiame e, se non lo vorrai riscattare, gli spaccherai la nuca. Ogni primogenito dei tuoi figli lo dovrai riscattare. Nessuno venga davanti a Me a mani vuote".

“Ogni primo discendente del grembo materno è Mio, da tutto il tuo bestiame che lascia cadere un maschio come primogenito, sia bestiame che pecora. Ma riscatterai il primogenito dell'asino con una pecora; se non lo riscatti, devi spezzargli il collo. E devi riscattare ogni primogenito tra i tuoi figli. Nessuno comparirà davanti a me a mani vuote ". Parimenti, sembrerebbe esserci una connessione tra i surrogati animali cartaginesi e l'agnello pasquale in Esodo 12-13. Pertanto, la Scrittura descrive Dio mentre comanda agli ebrei di mettere "del sangue" d'agnello sugli stipiti delle loro case e dichiara: "In quella notte Io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: Io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando Io colpirò il paese d'Egitto" (Esodo 12:12-13). Come per l'ariete dell’Aqedah, l'agnello pasquale è un'offerta sostitutiva al posto del primogenito ebreo. Il sangue fornisce la prova della sostituzione.

Come notato sopra, la maggior parte degli studiosi ebrei moderni ha sostenuto che la lezione fondamentale dell’Aqedah era che il sacrificio del primogenito non veniva più richiesto e che un animale era surrogato accettabile. Un tale giudizio può riflettere un pregiudizio culturale in cui la religione è vista come un'evoluzione dalle forme inferiori a quelle superiori. Pertanto, i pensatori ebrei riformati del diciannovesimo secolo tendevano ad eliminare le preghiere tradizionali per la restaurazione del Tempio di Gerusalemme e i suoi rituali di sacrificio animale ordinati secondo la Scrittura perché consideravano la preghiera una forma di adorazione "superiore" e più "spirituale" rispetto ai sacrifici animali cruenti. Tuttavia, Stager e Wolff ci informano che non ci fu cessazione di sacrifici umani a Cartagine nel corso dei secoli. Al contrario, riferiscono che la proporzione di ossa umane rispetto a quelle animali trovate nelle urne era di gran lunga maggiore nel "quarto e terzo secolo p.e.v., quando Cartagine aveva raggiunto l'apice dell'urbanità", rispetto ai secoli precedenti. Inoltre, le iscrizioni sui monumenti rivelano che una proporzione molto maggiore delle ossa era di figli di famiglie nobili e prospere piuttosto che di "comuni cartaginesi". Ci ricordano anche che i Fenici erano tra i popoli più civilizzati e cosmopoliti del Mediterraneo.[11] Ricordiamoci che Hiram, re di Tiro, inviò architetti, scalpellini e altri operai, oltre che legno di cedro, a Salomone per il costruzione del Primo Tempio di Gerusalemme.

Un motivo importante per la tenacia e anche per l'aumento del sacrificio umano può essere stato il pensiero che se i sacrifici animali erano efficaci, tanto più efficace sarebbe stata un'offerta maggiormente preziosa, il sacrificio dell'amato figlio.

"Pidyon HaBen": riscatto del primogenito

Inoltre, l'ebraismo non ha mai rifiutato del tutto l'idea che Dio richieda il sacrificio del figlio primogenito. Comunque valutiamo l'esistenza del sacrificio di bambini nell'antica Giuda, in Israele, in Canaan e nelle colonie di Canaan-Fenicia, è evidente che abbiamo a che fare con un Dio che esige la morte di bambini. Riflettendo sulla questione del sacrificio di bambini nell'ebraismo e nel cristianesimo, Levenson commenta, "il complesso mitico-rituale che chiamo ‘sacrificio di bambini’ non fu mai stato sradicato; fu solo trasformato".[12] Un primario esempio di questa trasformazione è il rituale pidyon haBen (פדיון הבן‎) in adempimento del comandamento già annotato: "Ogni primogenito dei tuoi figli lo dovrai riscattare. Nessuno venga davanti a Me a mani vuote" (Esodo 34:20). Nella cerimonia (ancor oggi) il padre presenta il suo figlio primogenito a un cohen o preposto sacerdote il trentesimo giorno dopo la sua nascita, dopodiché il sacerdote chiede al padre: "Quale preferisci, tuo figlio o il tuo denaro?" Il padre dichiara di preferire suo figlio e presenta al cohen cinque monete d'argento, l'equivalente simbolico di cinque sicli biblici, per "riscattare" suo figlio. Il sacerdote accetta le monete con la formula rituale: "Queste (monete) al posto di quello (il bambino). Questo in cambio di quello." Lo scopo fondamentale della cerimonia è di riconoscere subliminalmente le nostre tendenze infanticide e deviarne. A suo modo, questo motivo è operativo anche nel cristianesimo, poiché è Cristo, il Figlio, che viene sacrificato affinché gli altri possano essere redenti. Tuttavia capisco che, a un certo livello, il rituale ebraico riconosce che il potere sotterraneo dell'impulso infanticida non è mai del tutto scomparso. Oggi, la cerimonia è un'occasione familiare felice e pochi partecipanti, se non nessuno, sono consapevoli del suo significato più antico.

Non solo la tradizione ebraica continua ancor oggi la cerimonia del pidyon haBen, ma, come abbiamo visto, in uno dei giorni più sacri dell'ebraismo, agli ebrei viene ricordato che la morte del figlio primogenito del loro patriarca ancestrale fu scongiurata solo a causa dell'incondizionata obbedienza al terribile comando di Dio. Pertanto, la Scrittura descrive un "angelo del Signore" che dice ad Abrahamo: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio". (Gen. 22:12) Segue un secondo discorso angelico. Ad Abramo viene detto: "Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché tu hai ubbidito alla mia voce" (Genesi 22:18) Non solo il sacrificio è stato evitato a causa dell'obbedienza incondizionata di Abramo, ma l'Alleanza di Dio è stata conferita a lui e ai suoi discendenti a causa di tale stessa obbedienza. Inoltre, l'obbedienza di Abramo fu pari a quella di suo figlio. La Scrittura descrive Isacco mentre chiede a suo padre: "Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?" E Abramo risponde: "Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!". La Scrittura quindi riporta: "E proseguirono tutti e due insieme" (Genesi 22:7-8) indicando in tal modo la loro completa unità di risolutezza.[13] Alcune tradizioni si riferiscono alle "ceneri di Isacco" e affermano che Abramo compì il sacrificio ma che Isacco fu risorto.[14] Il poeta del XII secolo, Rabbi Efraim ben Jacob di Bonn (nato nel 1132), raffigurò Isacco mentre implorava Abramo così:

« Lega per me le mie mani e i miei piedi
Per non essere trovato ingrato e profano al sacrificio.
Ho paura del panico, mi preoccupo di onorarti,
La mia volontà è di onorarti grandemente.[15] »

Abramo quindi prepara il fuoco e la legna del sacrificio "nel giusto ordine", dopodiché:

« Con mani ferme lo sacrificò secondo il rito,
Nel giusto fu il macello. »

Il poeta poi racconta della risurrezione di Isacco e della determinazione di Abramo a completare il sacrificio:

« Giù su di lui cadde la rugiada di risurrezione, ed egli risuscitò.
Il padre (allora) lo afferrò per macellarlo ancora.
Scrittura, rendi testimonianza! Ben fondato è il fatto:
E il Signore chiamò Abramo, una seconda volta dal cielo. »

A quel punto, appare l'ariete "impigliato in un cespuglio vicino".

A causa dei massacri degli ebrei perpetrati dai Crociati nella Renania durante la vita del rabbino Ephraim, il poema ebbe un'intensità speciale. A quel tempo, molti padri ebrei sacrificarono i loro figli. Quando i Crociati invasero Bonn, Mainz, Wurms e altre comunità nel loro cammino verso la Terra Santa, diedero agli ebrei la scelta tra morte o conversione. A quei tempi gli ebrei preferivano morire e spesso uccidevano i loro figli per evitare che venissero sopraffatti da un momento di debolezza e si convertissero.

Come notato sopra, la maggior parte dei commentatori ebrei moderni vede la lezione dell’Aqedah come il rifiuto del sacrificio umano da parte di YHWH. Tuttavia, un'autorità religiosa così eminente quale il defunto rabbino Joseph Soloveitchik, probabilmente il più importante pensatore ortodosso dell'America del ventesimo secolo, rifiutò questa visione:

« Abramo attuò il sacrificio di Isacco non sul Monte Moria, ma nel profondo del suo cuore. Rinunciò a Isacco nello stesso istante in cui Dio si rivolse a lui e gli chiese di restituire il suo bene più prezioso al suo legittimo padrone e proprietario. Immediatamente, senza discutere o supplicare, Abramo rese Isacco. Vi rinunciò non appena fu emesso il comando "e offrilo là in olocausto" (Genesi 22:2). Dentro di sé, l'atto sacrificale fu consumato immediatamente. Isacco non appartenne più ad Abramo. Egli era morto per quanto concerneva Abramo.[16] »

Secondo Soloveitchik, a causa della volontà di Abramo di uccidere suo figlio e del fatto che egli provò il pieno orrore del sacrificio nell'istante stesso in cui gli fu dato il comando, "non ci fu bisogno del sacrificio fisico" e l'animale divenne un sostituto accettabile. Soloveitchik commenta ulteriormente che se Abramo non avesse "reso immediatamente Isacco, se non avesse provato l’Aqedah nella sua totale grandiosità e spaventosa impotenza, Dio non avrebbe mandato l'Angelo per impedire ad Abramo di attuare il comando. Abramo avrebbe perso Isacco fisicamente".[17]

Pertanto, Soloveitchik confuta chiaramente l'idea che lo scopo del racconto dell’Aqedah fosse quello di dimostrare il rifiuto di Dio del reale sacrificio di Isacco. L'interpretazione di Soloveitchik è coerente con la Scrittura che afferma chiaramente che non solo il sacrificio di Isacco fu scongiurato a causa dell'obbedienza incondizionata di Abramo, ma l'Alleanza di Dio fu concessa ad Abramo e alla sua progenie grazie a quella stessa obbedienza (Genesi 22:15-18).

Passiamo ora più direttamente a Gesù. Quali che siano le divergenze narrative esistenti tra i quattro Vangeli canonici, essi sono tutt'uno nel descrivere la morte di Gesù avvenuta durante la stagione della Pesach. Marco, con tutta probabilità il Vangelo più antico, offre la seguente descrizione dell'inizio della carriera pubblica di Gesù:

« In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto". »
(Marco 1:9-11[18])

Levenson vede echi del ruolo di Isacco nell’Aqedah per la designazione di Gesù come il Figlio prediletto di Dio, ma c'è una grande ironia in questa designazione. Essere il prediletto figlio di Dio o anche il figlio benamato nel complesso religioso israelita-cananeo-fenicio non è una promessa di felicità duratura. Troppo spesso il destino del benamato figlio era quello di subire una prova sacrificale suprema o ancor peggio. A Cartagine, le famiglie nobili spesso sacrificavano ciò che era più prezioso per loro, il loro bambino, come dono alla dea Taanit o al dio Baal Hammon. Inoltre, in una fase molto precoce, la neonata comunità cristiana arrivò a credere che il servo sofferente di Isaia 52:13-53:12 fosse collegato all'idea di Gesù come il Figlio prediletto di Dio. Ciò contribuì a trasformare la crocifissione da un'arma di morte dolorosa a una certezza di vita eterna.[19] Isacco, il servo sofferente di Isaia, e Gesù devono entrambi sottoporsi a un terribile confronto con la morte per compiacere il loro Padre celeste.[20]

Al primo incontro di Gesù e Giovanni Battista, il quarto Vangelo descrive il Battista che dichiara: "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!" (Giovanni 1:29). Queste parole sono state incorporate nella Messa latina come Agnus Dei qui tollis peccata mundi, "un'immagine che prefigura la prossima passione".[21] In realtà, questa doppia identificazione di Gesù come Figlio di Dio e Agnello di Dio potrebbe non indicare una reale differenza, in quanto il termine Figlio di Dio può anche indicare il ruolo di Gesù come vittima sacrificale.

Potrebbe esserci qualche domanda riguardante la veridicità storica della versione di Giovanni dell'incontro tra il Battista e Gesù. Tuttavia, poiché Giovanni descrive Gesù come uno straniero che discende da un regno celeste per un soggiorno temporaneo sulla terra, i dettagli storici riguardanti le attività terrene di Gesù erano meno preoccupanti per lui che non per Marco, Matteo e Luca. Quindi, almeno nel racconto riguardante il coinvolgimento delle autorità ebraiche nella morte di Gesù, Paula Fredricksen sostiene che Giovanni potrebbe in effetti preservare più dettagli storici di quanto non facciano gli scrittori evangelici successivi.[22]

Il primo racconto scritto su Gesù, le lettere di Paolo, identifica Gesù come l'Agnello Pasquale. Paolo non solo era a suo agio nell'usanza ebraica, ma il simbolismo e lo stato d'animo della Pasqua sono presenti in 1 Corinzi dove Paolo chiama Cristo "la nostra Pasqua" e usa come metafora l'usanza ebraica di purificare la casa da tutto il lievito prima della festività di Pesach per l'autopurificazione morale della Chiesa di Corinto (1 Corinzi 5:6-8).[23] La prima lettera di Paolo ai Corinzi è anche il più antico documento cristiano esistente sulla Cena del Signore.[24] Sebbene Paolo non abbia lasciato un'esposizione sistematica del significato dell'Eucaristia, egli discute in modo approfondito la Cena del Signore in due passaggi di tale epistola. In questi passaggi si riferisce alla Cena del Signore in connessione con i suoi sforzi per affrontare i problemi sorti a Corinto in sua assenza. Mettendo in guardia i credenti di Corinto dal comportamento immorale e idolatra, Paolo scrive:

« Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane... Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. »
(1 Corinzi 10:16-21)

Nel capitolo successivo, Paolo scrive:

« Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie (eucharistéō), lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. »
(1 Corinzi 11:23-26)
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"Ultima Cena" di Leonardo da Vinci (1495-1498)

Nella sua forma scritta, il racconto di Marco della Cena del Signore (Marco 14:12-26) è di alcuni anni più tardi di quello di Paolo, ma probabilmente riflette la stessa tradizione orale utilizzata da Paolo. Sebbene il racconto di Paolo differisca in qualche modo da quello di Marco nei dettagli, c'è un accordo fondamentale che suggerisce che la chiesa primitiva conservò un ricordo ben definito dell'ultimo pasto di Gesù con i suoi discepoli, in cui identificò il pane e il vino con il proprio corpo e sangue. In tal modo, Gesù aprì la possibilità allo sviluppo di un rituale sacrificale centrato nella propria persona. Tuttavia, l'Ultima Cena di Gesù non è ancora un pasto in cui Gesù stesso è la vittima sacrificale. Durante l'Ultima Cena, Gesù dichiarò ai suoi discepoli: "In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio" (Marco 14:25). Queste parole indicherebbero che l'Ultima Cena fu principalmente una festa di commiato e di speranza anticipatoria. Gesù attendeva con ansia il tempo in cui sarebbe stato di nuovo a mangiare in compagnia dei suoi discepoli "nel regno di Dio". È consenso dell'opinione accademica che la promessa di Gesù si riferisca alla futura festa messianica che il Messia godrà con i fedeli quando tutto sarà compiuto.

È molto probabile che la promessa di Gesù di tornare corrispondesse al desiderio più profondo dei suoi discepoli. Erano consapevoli della minaccia terminale che incombeva sulla vita del loro maestro e non era affatto certo che il gruppo potesse mantenersi e continuare senza di lui. In virtù dell'impatto assolutamente unico che Gesù aveva sui suoi seguaci, egli non poteva proprio essere sostituito. Con ogni probabilità, le sue parole di fiduciosa certezza che sarebbe tornato riflettevano la sua comprensione intuitiva di ciò che la sua perdita avrebbe significato per loro.

Oscar Cullmann ha commentato che i pasti condivisi dai discepoli subito dopo la morte di Gesù erano inizialmente pasti di gioia e di ringraziamento piuttosto che dolorose commemorazioni della crocifissione.[25] Secondo Atti, i discepoli "ogni giorno tutti insieme frequentavano il Tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con gioia e semplicità di cuore" (Atti 2:46). Se i pasti che condividevano avessero avuto un carattere spiccatamente sacrificale, enfatizzando la consumazione del corpo e del sangue di Cristo risorto, è improbabile che avrebbero continuato a incontrarsi "ogni giorno nel Tempio" dove venivano offerti i tradizionali sacrifici ebraici.

Forse il modo più utile per comprendere l'evoluzione dell'Eucaristia si trova nella distinzione di Oscar Cullmann tra i primi pasti sacri, in cui i discepoli mangiavano con Cristo, e il successivo Pasto del Signore, in cui Cristo fu mangiato.[26] I pasti gioiosi della comunione in cui Cristo risorto era presente ai suoi discepoli, erano pasti in cui i discepoli o mangiavano con Cristo o si aspettavano di mangiare con lui durante la festa messianica. Tuttavia, ci fu un momento in cui la speranza anticipata del ritorno di Cristo predominava sul sentimento della sua presenza. Le fonti descrivono Cristo come presente subito dopo la Risurrezione, ma, in breve tempo, i discepoli sono lasciati a continuare la loro opera senza di lui. È a questo punto che il loro desiderio del suo ritorno deve essersi intensificato. Questo desiderio è fortemente espresso nella liturgia eucaristica conservata nella Didaché, che la maggior parte degli studiosi data non più tardi del 150 e molti molto prima. Quando il pasto sacro si conclude, il leader prega: "Si avvicini la sua Grazia (cioè Cristo) e il mondo present passi via". La congregazione risponde: "Osanna all'Iddio di Davide". Leader: "Chi è santo, si avvicini. Chi non lo è, si ravveda". La congregazione conclude con il Maranatha: "O Signore, vieni presto. Amen."[27]

La versione Didaché dell'Eucaristia si basa sull'assicurazione di Gesù ai suoi discepoli che egli non avrebbe bevuto più vino fino a quando non lo avesse fatto nel regno di Dio. Questa versione esprime la nota di anticipazione e aspettativa che abbiamo già notato nelle prime forme del pasto sacro cristiano. Tuttavia, c'è un limite alla capacità umana di desiderio non corrisposto. In definitiva, gli uomini devono scegliere di abbandonare l'oggetto del desiderio e reinvestire la loro energia emotiva altrove oppure di trovare un modo per ricongiungersi all'oggetto perduto.

Tale modo fu trovato mediante l'identificazione con Cristo. Nel corso della sua vita, Paolo vide il problema fondamentale dell'umanità in questi termini: come possiamo ottenere il giusto rapporto con il nostro Creatore? Prima della conversione, la sua risposta era la classica risposta ebraica: gli esseri umani raggiungono il giusto rapporto tramite l'obbediente sottomissione alla volontà di Dio. Questa sottomissione era il motivo per cui l'ebraismo normativo è sempre stato la religione della Torah e dei suoi autorevoli interpreti. Dopo la conversione, Paolo trovò un altro modo per ottenere una relazione accettabile con Dio: l'identificazione con Cristo. L'identificazione è quindi una categoria cruciale in cui sia il mondo religioso che quello psicologico si intersecano nell'esperienza di Paolo e dei suoi eredi spirituali.

Sono in debito con l'importante studio di Albert Schweitzer per gran parte della mia interpretazione del ruolo d'identificazione nel pensiero e nell'esperienza religiosa di Paolo.[28] Prima di Schweitzer, gli studiosi protestanti del Nuovo Testamento tendevano a leggere Paolo attraverso gli occhi e l'esperienza di Martin Lutero, sottolineando la centralità della dottrina della giustificazione mediante la fede. Schweitzer sostenne che la dottrina della giustificazione per fede, anche se indubbiamente di grande importanza, era meno centrale nel pensiero di Paolo del suo "misticismo di Cristo" e della sua escatologia. Invece di considerare Paolo come un oppositore dell'ebraismo, come tendevano a fare i primi studiosi protestanti, Schweitzer lo interpretò come un ebreo leale convinto che il Cristo risorto avesse iniziato l'era messianica.[29] Secondo Schweitzer, Paolo capì il tipo di esistenza che i cristiani battezzati avrebbero goduto nell'era messianica sarebbe stata letteralmente quella della solidarietà corporale con il corpo glorificato e immortale del Cristo risorto. Schweitzer affermò che la concezione fondamentale del misticismo di Cristo proposta da Paolo è che gli eletti e Cristo partecipano a un'identità corporea comune.[30] Questa identificazione è espressa in modo più grafico nell'esclamazione di Paolo che, essendo stato crocifisso con Cristo, non è più lui che vive ma Cristo che vive in lui (Galati 2:20: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me"). Paolo descrisse che i cristiani si erano "rivestiti" di Cristo, e con questo intendeva dire che Cristo era il loro nuovo corpo celeste piuttosto che il loro nuovo abito (Galati 3:27; Romani 13:14; cfr. 2 Corinzi 5:3,4; Efesini 4:24; Colossesi 3:10).

Secondo Paolo, nel battesimo i cristiani si identificano sia con la morte di Cristo che con la sua risurrezione. Pertanto, in Romani 6:3-4 Paolo scrive: "O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova". E in Colossesi 2:12: "Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti".

L'idea che al battesimo i cristiani entrino in una nuova vita, in realtà la vera vita per la prima volta, fu centrale nel suo pensiero. Mise a confronto l'esistenza precristiana del convertito, nella migliore delle ipotesi una sorta di morte vivente che termina con la morte effettiva, con la sua vita cristiana, che era in procinto di diventare vita come era stata intesa da Dio prima del peccato di Adamo, la vita priva delle relative maledizioni del peccato e della mortalità (1 Corinzi 15:21-2; Romani 5:12-15). Paolo descrisse ripetutamente il cristiano battezzato come en Christo, "in Cristo", e insistette sul fatto che en Christo il cristiano diveniva un uomo nuovo. Scrisse ai Corinzi: "Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" (2 Corinzi 5:17). L'identità del cristiano è così radicalmente trasformata dalla sua esistenza in Cristo che Paolo poteva affermare della propria identità postbattesimale: "In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Galati 2:19-20).

Paolo usava spesso la metafora di spogliarsi del vecchio e indossare il nuovo per descrivere la morte del vecchio sé e la rinascita in Cristo (Efesini 4: 22-24: Col. 3: 9; vedere Rom. 13:12, Col. . 2:12). Il nuovo sé che il cristiano acquisisce annulla sia il vecchio sé che il mondo premessianico. Tutte le distinzioni cruciali che hanno maledetto l'umanità sono terminate, almeno in linea di principio, con il battesimo: "Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è né maschio né femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù." (Galati 3:27-28; cfr. 1 Corinzi 2:13). Se il termine "rinascita" è assente dalle lettere (confermate) di Paolo, la realtà spirituale e psicologica dell'esperienza del cristiano come nato nuovamente e veramente pervade comunque il suo pensiero.

Per comprendere la teologia di Paolo, nei decenni centrali del ventesimo secolo studiosi cristiani come W. D. Davies, Robin Scroggs e C. K. Barrett hanno studiato la rilevanza della speculazione rabbinica su Adamo. Scroggs, in particolare, ha sottolineato l'importanza della speculazione sia rabbinica che apocrifa (se davvero le due tendenze possono essere separate) sulla caduta di Adamo per una comprensione dell'interpretazione da parte di Paolo del ruolo di Cristo come "l'ultimo Adamo" che inverte la condanna arrecata al genere umano dal primo Adamo. Secondo Scroggs, la tradizione rabbinica sosteneva che 1) prima di peccare, Adamo godeva di prerogative regali su tutta la creazione: proprio come Dio è re in alto, il destino originale di Adamo era quello di essere re in basso; 2) Adamo originariamente possedeva una saggezza superlativa, di gran lunga superiore a quella degli angeli; 3) Adamo fu veramente creato a immagine (eikon) di Dio. Adamo quindi somigliava a Dio stesso piuttosto che agli angeli, che in origine erano inferiori a lui; 4) Adamo possedeva una natura gloriosa. "Il suo tallone brillava più del sole". Adamo partecipò così alla gloria stessa di Dio nella misura in cui era possibile per un essere creato; infine 5) Adamo possedeva dimensioni cosmiche e fu ridotto alle dimensioni degli uomini mortali solo dopo la sua disobbedienza.[31]

Le categorie di Scroggs riassumono convenientemente e accuratamente le speculazioni rabbiniche su Adamo prima della caduta. Concordo con la sua stima del significato di queste speculazioni: l'immagine rabbinico-apocrifa di Adamo prima della caduta somiglia all'immagine, secondo la tradizione, di come sarà l'uomo nel mondo a venire. L'esistenza senza morte, glorificata e felice di cui gode l'Adamo prelapsario è il tipo di esistenza che attende i giusti nel mondo a venire. Adamo originariamente godeva del tipo di esistenza che Dio voleva che tutti gli uomini potessero provare. Quando le corruzioni dell'era presente saranno finalmente annullate, la progenie di Adamo sarà riportata alla felice esistenza che il loro padre primordiale avrebbe dovuto godere. Sebbene ci sia un carattere sfuggente e ambiguo nella speculazione rabbinica sul mondo a venire, il che rende estremamente difficile affermare che qualsiasi dottrina rappresenti il consenso rabbinico, sembrerebbe che ci fosse almeno un accordo sul fatto che i morti sarebbero risorti e che quelli trovati accettabili da Dio avrebbero goduto di una sorta di beatitudine. La mia cautela nel suggerire qualcosa di più di ciò, riflette l'ammonimento implicito nel noto detto di Rabbi Johanan, un insegnante palestinese del II secolo: "R. Johanan ha detto: Ogni profeta ha profetizzato solo per i giorni del Messia, ma per quanto riguarda il Mondo a venire (cioè l'ultima era dopo il giudizio finale dell'umanità), ‘Nessuno aveva mai sentito né orecchio udito né occhio visto alcun DIO all'infuori di Te, che agisce per chi spera in Lui’ (Isaia 64:4)" (Berakhoth 34b). È possibile che il commento di Johanan riflettesse una reazione rabbinica al movimento cristiano sempre più dilagante. Tuttavia, c'era un collegamento nel mito rabbinico tra la felicità che attende i giusti e l'immortalità perduta da Adamo alla caduta. I rabbini usavano spesso il termine gan ‘eden, il giardino dell'Eden, per riferirsi al paradiso a venire. Anche la lingua italiana non può evitare una certa coincidenza linguistica in questo ideale: la stessa parola è usata sia per il paradiso da riconquistare che per il paradiso perduto. Sebbene nessuna singola riflessione rabbinica sul Mondo a venire possa essere considerata autorevole, c'è una dichiarazione di Rab, un'autorità rabbinica babilonese del terzo secolo, che può essere rilevante per il nostro studio di Paolo. Secondo Rab,

« Il Mondo a Venire non è come questo mondo. Nel Mondo a Venire non si mangia né si beve; non c'è procreazione di figli o affari; nessuna invidia, odio o conflitto; ma i giusti stanno sul trono con le loro corone sulle loro teste e godono dello splendore della Shekhinah, come sta scritto, "essi videro Dio, e mangiarono e bevvero" (Esodo 24:11) — furono soddisfatti dello splendore della Shekhinah di Dio; per loro era cibo e bevanda. »
(Berakhoth 17a)

Questo detto ricorda la risposta di Gesù ai Sadducei riguardo allo stato civile di una donna che aveva successivamente sposato diversi fratelli secondo la legge del matrimonio levirato. Gesù disse: "Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli" (Marco 12:25; cfr. Matteo 22:30, Luca 20:34-36). Dietro i detti di Johanan, Rab e Gesù, è possibile discernere una convinzione comune che l'ordine delle cose come lo conosciamo offre pochi indizi sull'esistenza nell'era a venire. Come vedremo, Paolo condivide questa convinzione (cfr. 1 Corinzi 15:46-50).

L'importanza suprema dell'obbedienza nella religione biblica è stata illustrata graficamente da Herman Melville in Moby Dick, nel sermone di Padre Mapple in cui il predicatore descrive il peccato di Giona ben Amittai:

« Come avviene per tutti gli uomini che peccano, il peccato di questo figlio di Amittai fu nella sua disubbidienza cosciente al comando di Dio (lasciamo stare per ora cosa fu quel comando e come venne impartito), un comando che egli trovò duro. Ma tutte le cose che Dio vuole da noi sono dure a farsi, ricordàtelo: è per questo che Egli ci comanda, il più delle volte, invece di tentare la persuasione. E se obbediamo a Dio dobbiamo disubbidire a noi stessi: ed è in questa disubbidienza a noi stessi che consiste la difficoltà di obbedire a Dio.[32] »

Alcuni sostengono che il Dio di Padre Mapple sia il Dio di una forma particolarmente rigida di Calvinismo e non il vero Dio della fede biblica.[33] Tuttavia, Padre Mapple ha ragione quando osserva che nella religione biblica il dovere principale dell'uomo è quello di subordinare le proprie inclinazioni alla volontà di Dio.

Ma non abbiamo mai sentito parlare della virtù salvifica dell'obbedienza? La Scrittura non ci ha detto forse che Abramo fu sollevato dal suo obbligo di sacrificare grazie alla sua obbedienza? Ricordiamoci le parole del primo Angelo di Dio: mentre Abramo solleva il coltello per sacrificare Isacco, l'Angelo lo chiama e gli dice di non uccidere il ragazzo: "Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo" (Genesi 22:12). Nel suo commento sull'autorevole Jewish Study Bible circa il termine "timor di Dio" come viene usato qui, Jon Levenson scrive che "nel Tanakh, il ‘timor di Dio’ denota un'attiva obbedienza alla volontà divina".[34] È a causa della sua obbedienza a Dio e della sua disobbedienza a se stesso che l'alleanza viene conferita ad Abramo e alla sua progenie. Inoltre, questo atto di obbedienza radicale è condiviso da Isacco che non oppone resistenza. Riguardo a padre e figlio, la Scrittura ripete "E proseguirono tutt'e due insieme" (Genesi 22:8).

La convinzione di Paolo che il mondo fosse stato trasformato, almeno per coloro che sono "in Cristo", nacque dalla sua fede incrollabile nella risurrezione di Cristo. Come i suoi insegnanti rabbinici e contemporanei, come Rabban Gamaliel, Paolo non vedeva la mortalità umana come necessariamente radicata nella biologia umana. Al contrario, vedevano la mortalità umana come originata dalla disobbedienza del progenitore originale dell'umanità, Adamo. Tuttavia, a differenza dei rabbini, dopo Damasco Paolo si convinse che i relativi difetti nella creazione, mortalità, disobbedienza umana e sottomissione del cosmo ai poteri elementali erano in procinto di essere superati. Espresso tale convinzione in molte occasioni. Quelle più rilevanti per il nostro problema sono le sue riflessioni sul primo e sull'ultimo Adamo in Romani 5 e 1 Corinzi 15. In Romani 5, Paolo inizia con una riflessione sull'origine della morte. "Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato" (Romani 5:12).

Pochi passaggi del Nuovo Testamento sono stati commentati così estensivamente. Come abbiamo visto, le duplici affermazioni di Paolo secondo cui la morte è il risultato del peccato e che il peccato è entrato nel mondo "tramite un uomo" sono del tutto in linea con le speculazioni dei suoi contemporanei ebrei. Romani 5:12 si basa in ultima analisi sull'autorità di Genesi 3:17-19. In questo brano in Romani, Paolo sembra sostenere che gli uomini muoiono perché replicano il peccato di Adamo, non a causa del peccato di Adamo. Tuttavia, i contemporanei ebrei di Paolo non avrebbero potuto essere d'accordo con Paolo mentre continuava la sua riflessione sui due Adami: "Adamo è figura di Colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini." (Romani 5:15).

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"Dio giudica Adamo", incisione a rilievo stampata a colori con inchiostro e acquerello su supporto cartaceo, di William Blake (1795)

Il "dono in abbondanza" che viene tramite Cristo è, ovviamente, la fine della mortalità. In questo versetto Adamo è raffigurato come l'antitipo di Gesù.[35] Proprio come il frutto del peccato di Adamo è la morte, così attraverso la giustizia superlativa di Cristo molti riceveranno la "grazia divina" come "dono in abbondanza" (Romani 5:16). Paolo elabora questo tema nel verso successivo: "Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo". Il "dono" che Cristo mette a disposizione è l'opposto della pena inflitta all'umanità dal suo antitipo. Adamo porta la morte; Gesù porta la vita eterna.

Paolo inoltre descrive Cristo che inverte la "condanna" provocata da Adamo e porta invece "la giustificazione" (Romani 5:16). La giustificazione ha un significato molto esplicito per Paolo. Quando Dio giustifica il peccatore indegno, Egli pronuncia su di lui un verdetto di assoluzione e gli concede il dono della vita eterna. Dal tempo di Martin Lutero fino all'inizio del ventesimo secolo, i protestanti hanno avuto la tendenza a considerare la dottrina della giustificazione per fede come il cuore e il centro della teologia di Paolo. Non voglio entrare nel dibattito su questo tema se non per dire che credo che un aspetto della dottrina della giustificazione per fede debba rimanere centrale per qualsiasi interpretazione di Paolo: non dobbiamo perdere di vista l'importanza decisiva della vita eterna come frutto della giustificazione da parte di Dio del peccatore, come intesa da Paolo. In Romani 6:23, Paolo contrappone i frutti del peccato e della giustificazione: "Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù". Adamo pagò il prezzo del peccato; per mezzo di Gesù viene concesso il dono immeritato della giustificazione.

La centralità della vita eterna come frutto della giustificazione è sottolineata con grande forza nella discussione di Paolo su Adamo e Cristo in 1 Corinzi 15. Scroggs ha osservato che i temi di Romani 5:12-21 e 1 Corinzi 15 "sono correlati ma non identici". In 1 Corinzi 15 l'interesse principale di Paolo è di rendere credibile agli scettici corinzi la speranza cristiana che coloro che sono "in Cristo" alla fine risorgeranno come risorse Gesù. Per risurrezione Paolo intendeva la risurrezione del corpo, così come lo intendevano i suoi contemporanei ebrei. Apparentemente c'era un notevole scetticismo a Corinto riguardo alla futura risurrezione dei corpi dei morti anche tra coloro che credevano nella risurrezione di Gesù. Paolo confrontò questo scetticismo sostenendo che "ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia (aparche) di coloro che dormono" (1 Corinzi 15:20). Secondo Jean Héring, la parola aparche è quasi sinonimo dell'ebraico arrabon, che è un pegno o un deposito.[36] Il significato di Paolo è che la risurrezione di Cristo anticipa la risurrezione dei suoi seguaci, che un giorno condivideranno il suo glorioso destino.

Dopo aver affermato che la risurrezione attende il credente, Paolo torna al tema del primo e dell'ultimo Adamo: "Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" (1 Corinzi 15:21-22). L'enfasi di Paolo in 1 Corinzi è sulla vita eterna e perfetta che attende il credente in Cristo. Non possiamo soffermarci sull'interpretazione di Paolo riguardo al tipo di esistenza corporea perfezionata in Cristo che il risorto godrà, se non per dire che la natura risorta di Cristo è quella di un soma pneumatikon, un "corpo spirituale", e che il corpo spirituale sia per Paolo che per i rabbini non è immateriale. Paolo inoltre ci dice che "la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità" (1 Corinzi 15:50) Quando avverrà la trasformazione, tutte le cose cambieranno. Il mondo deperibile sarà riscattato. La morte, la corruzione e il dominio demoniaco saranno sconfitti per sempre.

Le affermazioni di Paolo sullo straordinario potere di Cristo di redimere l'uomo e il cosmo portano alla domanda sul perché solo Cristo avesse il merito superlativo di essere la "primizia di coloro che dormono", nonché la fonte della vita eterna per un'umanità risorta. In un senso importante, sia Paolo che i suoi contemporanei ebrei erano convinti che la disobbedienza fosse l'unico peccato e che tutti gli altri peccati derivassero da quell'unica offesa. Poiché l'ebraismo considerava tutti i comandamenti come espressioni della volontà di Dio, ogni comandamento presentava agli uomini la scelta angosciosa di obbedienza o ribellione contro il Padre onnisciente e onnipotente. Non faceva differenza se un comandamento era ostico per la comprensione umana. Era un atto supremo di arroganza per un uomo giudicare da sé cosa obbedire e cosa non obbedire. Si potrebbe infatti sostenere che l'obbedienza a comandamenti apparentemente irrazionali o insignificanti fosse di maggiore importanza dell'obbedienza a comandamenti il ​​cui scopo poteva essere chiaramente compreso. Il vero problema era se un uomo si sottometteva o si ribellava al suo Creatore. Inoltre, il Creatore aveva sempre ragione poiché la struttura stessa della realtà era il frutto della Sua volontà. Nella religione biblica un uomo che decide da solo a quale dei comandamenti di Dio obbedirà, si mette al posto di Dio, affermando la priorità del proprio giudizio su quello di Dio. Egli giudica ciò che Dio solo può giudicare e, così facendo, si arroga una preminenza che Dio solo possiede giustamente.

Non c'è posto in questo sistema per l'ideale moderno dell'uomo autonomo che considera le proprie azioni come interamente di sua competenza etica. Paolo afferma che Adamo commise il peccato paradigmatico della religione biblica, la disobbedienza. Egli sostiene che a causa della disobbedienza di Adamo nel non adempiere a un singolo comandamento la morte entrò nel mondo. In contrasto, solo Cristo di tutti gli uomini era così perfettamente obbediente da considerare la sua stessa vita di nessuna importanza rispetto alla maestosa struttura della sapienza di Dio. Poiché Paolo considerava Adamo come l'uomo paradigmaticamente peccatore, egli vedeva Cristo come l'unico uomo veramente giusto — poiché l'obbedienza di Cristo si estendeva finanche alla straordinaria agonia della morte sulla croce come innocente senza macchia. Sebbene Paolo offra molti suggerimenti sul motivo per cui la morte di Cristo determinò la liberazione dell'umanità dalle conseguenze del peccato di Adamo, è molto esplicito nell'affermare che Cristo fu uno "spirito vivificante" grazie alla sua obbedienza: "Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti" (Romani 5:19).

Nella sua prima lettera ai Corinzi, Paolo ricordò alla chiesa che egli aveva trasmesso loro la buona notizia che aveva ricevuto: "Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati" (1 Corinzi 15:3). Questa è una delle prime affermazioni del kerygma cristiano. È stato spesso interpretato come un riferimento alla morte di Cristo come un'espiazione vicaria per i peccati dell'umanità. Ci sono pochi dubbi sul fatto che Paolo abbia sostenuto che la morte di Cristo fosse di carattere sacrificale (Rom. 3:21-28; 5:1-2; 1 Cor. 5:7). Tuttavia, anche se accettiamo la tesi che Paolo considerava la morte di Cristo come un'espiazione vicaria, dobbiamo comunque identificare il merito superlativo posseduto da Cristo che rese possibile tale espiazione. Altri sono morti senza un risultato così fortunato; cosa c'era di unico in Gesù? Paolo ha risposto a questa domanda nel passaggio che abbiamo citato, Romani 5:19: il merito di Cristo consisteva nella sua superlativa obbedienza. Cristo, nella sua innocenza, aveva più giustificazioni di qualsiasi altro uomo per ribellarsi contro il destino che gli era stato inflitto. Tuttavia si sottomise in perfetta obbedienza alla morte immeritata sulla croce. Secondo Paolo, solo Cristo fu senza macchia alcuna di ribellione contro il Padre.

La logica di Paolo era in linea con quella dei suoi contemporanei ebrei. C'era una diffusa speculazione ebraica secondo cui un uomo totalmente senza peccato, cioè perfettamente obbediente, non sarebbe stato condannato a morte.[37] A differenza dei suoi contemporanei ebrei, Paolo era convinto che ci fosse un uomo simile, Cristo, e che il merito della sua impeccabile obbedienza era sufficiente a donare la vita agli altri oltre che a se stesso.

Secondo Paolo, se Cristo fosse stato contaminato anche solo da una traccia di peccaminosità, le potenze sotto cui era caduto il dominio dopo la trasgressione di Adamo sarebbero state nel loro legittimo diritto di rivendicare Cristo come loro vittima. Secondo la Legge, la loro Legge, il salario del peccato è la morte. Fortunatamente per l'umanità, le potenze cosmiche non hanno riconosciuto Cristo come il Figlio di Dio obbediente senza peccato. Cristo ha permesso loro di superare la loro propria sfera quando lo hanno condannato alla crocifissione. Con la sua perfetta obbedienza al piano saggio e misterioso del Padre, Cristo ha ingannato i "dominatori di questo mondo " (hoi archontes tou aiōnos toutou) (1 Corinzi 2:8), e quindi li ha privati del loro dominio sull'umanità. Cristo ha così invertito ciò che Adamo aveva tristemente iniziato.

« Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo (hoi archontes tou aiōnos toutou) che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. »
(1 Corinzi 2:6-9)

Paolo vedeva questa unione di Cristo e cristiano come una vera unità. La chiesa è più di un insieme di individui uniti da credenze e speranze comuni. La chiesa è letteralmente il corpo di Cristo e i cristiani sono membri "viventi" di tale corpo (Efesini 5:30). Essere un membro della chiesa significa condividere un'identità comune con Cristo. Paolo chiese retoricamente ai Corinzi: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?" (1 Corinzi 6:15). Questa non è una semplice figura retorica. Più avanti, in 1 Corinzi, Paolo illustra il significato dell'esistenza del cristiano in Cristo per analogia con il corpo umano: "Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo" (1 Corinzi 12:12-13). "Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1 Corinzi 12:27). Il vescovo anglicano John A. T. Robinson ha osservato che il corpo che Paolo ha in mente qui non è quello di "un collettivo sovrapersonale" ma di un singolo individuo concreto.[38]

Una volta che la dipartita fisica di Cristo era finalmente diventata una realtà, le forze che avevano reso l'identificazione del cristiano con lui furono travolgenti. Cristo era diventato il cuore e il centro della vita dei discepoli sia in questo mondo che nel Mondo a venire. Come abbiamo notato, l'identificazione con Cristo diede ai cristiani i mezzi per raggiungere la più cruciale di tutte le relazioni, la giusta relazione con il Dio che teneva in equilibrio il destino delle loro anime. L'identificazione con Cristo fornì ai cristiani la loro speranza più straordinaria, la speranza di una via d'uscita dalla mortalità; inoltre fornì loro una comunità primaria, la chiesa, in cui condividere le loro paure, speranze e aspirazioni. Cristo era semplicemente troppo importante per perderlo o addirittura per rimanere un lontano oggetto di aspirazione. Doveva essere trovato un modo per assicurare alla chiesa primitiva che Cristo era una realtà presente, come lo era stato in quei primi giorni dopo la Risurrezione.

C'era più di un modo in cui Gesù poteva essere presente alle sacre mense della chiesa primitiva. Poteva essere, come era stato, con loro nello spirito; poteva anche stare con loro concretamente sia come alimento che alimentatore. L'azione di Gesù nell'offrire pane e vino con le parole: "Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue", contengono il messaggio implicito, "Io sono l'alimento come sono l'alimentatore". Se non era più possibile per i cristiani condividere il cibo con Gesù, era inevitabile che trovassero in queste parole un modo per stare con lui nel corpo.

Interpretando il pane e il vino del loro pasto sacro come il corpo e il sangue di Cristo, i cristiani ricorsero al modo più antico, più efficace e più crudamente fisico per diventare uno con l'oggetto amato, l'incorporazione fisica. L'Eucaristia era un atto letterale della strategia cristiana basilare per raggiungere il giusto rapporto con il Padre nei cieli, l'identificazione con il Figlio amato, che Paolo in un luogo chiama il "primogenito tra molti fratelli" (Romani 8:29). Trovando un modo per superare il divario che separava i discepoli privi di Cristo, un modo che era radicato nelle strategie più arcaiche, non verbali e sensuali dell'organismo umano, i cristiani primitivi preservarono sia l'integrità la loro comunità e il suo messaggio redentore. Seppero inoltre far fronte all'inevitabile tensione tra l'annuncio cristiano della speranza compiuta e la realtà cristiana della speranza differita. Prendendo parte a quella che consideravano la vera sostanza del Cristo risorto, periodicamente divennero "un solo corpo" con la sua gloria immortale, prevedendo di condividerla completamente alla fine dei giorni. Allo stesso tempo, si preparavano al ritmo di vita in cui la certezza della redenzione era costantemente contrastata dalle dure realtà dell'Impero Romano.

Sono proprio questi crudi aspetti fisici del Pasto del Signore, in cui Cristo è sia alimento sia alimentatore, che costituiscono il suo potere travolgente. Ovunque questo rito sia stato preso sul serio, e dovunque sia stata affermata la presenza reale di Cristo negli elementi del Pasto del Signore, la cristianità ha avuto un modo incomparabile di esprimere attraverso il rito religioso i suoi più profondi desideri, consci e inconsci, riguardanti la moralità umana, la fratellanza e la mortalità. In 1 Corinzi 10, l'insistenza di Paolo sul fatto che i Corinzi che partecipavano all'Eucaristia devono astenersi dai banchetti cultuali pagani, è un esempio del modo in cui i rituali sacrificali sono stati utilizzati ai fini di un controllo morale e religioso. Poiché nessun uomo può prendere parte al sacrificio se, agli occhi di Dio, per così dire, è moralmente o ritualmente inideoneo, il sacrificio stesso funge da barriera contro un comportamento improprio.

La peggiore offesa nella religione sacrificale è prendere parte al sacrificio quando si è moralmente o ritualmente indegni. Ciò viene meravigliosamente espresso nel Salmo 24: "Chi salirà al monte del SIGNORE? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, che non eleva l'animo a vanità e non giura con il proposito di ingannare" (Salmi 24:3-4). Si sale al monte del Signore per prendere parte al sacrificio. Il salmista definisce con la massima semplicità le condizioni in cui tale partecipazione è appropriata. Un altro aspetto di questa definizione è l'avvertimento implicito di non stare "nel suo luogo santo" a meno che non si abbiano "mani innocenti e cuore puro".[39]

Abbiamo notato che Paolo considerava il credente come avesse letteralmente consumato il corpo di Cristo. A causa della natura "spirituale" del corpo glorioso di Cristo risorto, c'è stata una certa confusione su questo punto. Tuttavia, se teniamo a mente i commenti di Héring e Käsemann che per Paolo lo spirituale non è immateriale ma "la sostanza della corporeità della risurrezione", capiremo che nel Pasto del Signore il cristiano si unisce al corpo di Cristo, che il cristiano considera l'unico vero corpo.[40] Poiché Cristo non è più soggetto a decadimento o morte, solo lui esiste veramente come Dio intendeva l'esistenza prima del peccato di Adamo.

Nel giro di pochi anni dalla morte di Paolo, Ignazio di Antiochia dichiarò che quando il comunicante prende il pane e il vino dell'Eucaristia, prende parte alla "medicina dell'immortalità e al rimedio sovrano con cui sfuggiamo alla morte e viviamo in Gesù Cristo per sempre".[41] Per Paolo, quando i cristiani partecipavano all'Eucaristia, la loro identificazione col Cristo risorto era altrettanto tangibile e concreta quanto lo erano le forme più antiche di consumare la vittima sacrificale, fosse essa umana o animale. C'era, tuttavia, una differenza importante: le vittime più anziane venivano consumate o durante il processo di macellazione o dopo essere state macellate. Solo Cristo viene consumato dopo essere passato attraverso la sacrificazione ed essere risorto per godere dell'unica esistenza veramente incorruttibile. Solo Cristo era quindi la vittima sacrificale per eccellenza a cui non può arrecarsi alcun danno.

C'è molto da scrivere sul Pasto del Signore, ma anche con questo breve resoconto, la dialettica della continuità e della discontinuità tra ebraismo e cristianesimo dovrebbe essere chiara. Senza tali elementi sacrificali nell'ebraismo – vedi la pretesa di Dio sul primogenito, la redenzione del primogenito, il sacrificio abortito di Isacco, la sostituzione dell'ariete con Isacco, l'agnello pasquale e l'aspersione del sangue dell'Agnello per redimere il primogenito israelita dal massacro che colpì il primogenito degli egiziani – è difficile immaginare che il cristianesimo sarebbe sorto in quel modo. Qualche nuova religione potrebbe di certo esser sorta dal tumulto che colpì l'ebraismo del I secolo, ma è improbabile che avrebbe assunto le forme che assunse. Similmente, senza la formazione esegetica che Paolo ricevette dai suoi insegnanti rabbinici, è difficile vedere come avrebbe potuto arrivare alle sue opinioni su Gesù e sul suo ruolo salvifico.

Quel che è certo è che le strade intraprese dall'ebraismo e dal cristianesimo per raggiungere l'importantissima relazione con Dio divennero radicalmente distinte. Anche nelle sue forme mistiche, l'ebraismo rifiutò l'unione con Dio. Si poteva raggiungere una certa vicinanza alla Gloria Divina, ma non si sarebbe mai potuto diventare una cosa sola con essa tramite l'identificazione. Date le sue rigide leggi alimentari, sarebbe stato impensabile per gli ebrei considerarsi tutt'uno con Dio attraverso un atto di consumazione, tuttavia questo è precisamente il modo in cui i credenti raggiungono quell'importantissima identificazione all'interno della tradizione cristiana. Uno degli aspetti più importanti delle leggi alimentari era il severo tabù sul consumo del sangue di un animale, ma nell'Eucaristia è il sangue di Cristo che viene offerto al credente come "la medicina di immortalità."

È facile vedere come la comprensione reciproca fosse difficile, se non impossibile, tra i seguaci delle due tradizioni. Non c'è nel cristianesimo nessun sostituto per Cristo e il suo ruolo di mediatore tra Dio Padre e l'umanità. Ciò fu chiaramente compreso dall'autore del Quarto Vangelo che raffigura Gesù nella sinagoga di Cafarnao che dice: {{q|In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.|Giovanni 6:53-58 Giovanni inoltre rappresenta Gesù nche afferma: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Giovanni 14:6).

Questi passaggi sono stati criticati come supersessionisti e radicalmente esclusivisti, ma in effetti esprimono la convinzione fondamentale del cristianesimo che la salvezza, il frutto del giusto rapporto con Dio, viene solo attraverso Gesù Cristo. Al contrario, sebbene i rabbini credessero nella Risurrezione, erano molto più preoccupati del tipo di vita che gli ebrei avrebbero vissuto qui e ora. Quindi, le loro promesse sul Mondo a venire erano considerevolmente più vaghe ed erano molto più interessati a come una comunità, specialmente una comunità minacciata, potesse sostenersi in questo mondo terreno. Pertanto, essi considerarono che l'assicurazione della vita eterna offerta dal cristianesimo promettesse troppo, mentre il mondo cristiano arrivò a considerare che l'insistenza ebraica sull'obbedienza alla Torah come la via per una giusta relazione con Dio offrisse troppo poco.

Sebbene il paragone non sia esplicito negli scritti di Paolo esistenti, la sua insistenza su Cristo come perfetta espiazione per i peccati dell'umanità suggerisce che per Paolo, così come per quei primi padri della chiesa che accettano esplicitamente il paragone, l’aqedah di Isacco è un Golgota abortito. Descrivono Gesù come il perfetto Isacco, e Isacco come privo della capacità di redimere l'umanità perché non è veramente morto sulla sua pira di legno.

Vorrei suggerire che il cristianesimo porta ad un'espressione manifesta molto di ciò che rimane latente nell'ebraismo e che ciò enuncia la differenza fondamentale nelle strategie religiose delle due tradizioni. Sebbene non sia stato in grado di trovare la fonte, la differenza è stata spiegata molto tempo fa nella seguente osservazione: ciò che è latet (latente) nell'ebraismo è patet (palese o manifesto) nel cristianesimo.

Così, la morte espiatoria di Gesù durante la stagione pasquale produce una convergenza di temi redentori: Gesù è l'agnello perfetto; è anche l'Isacco perfetto. Per Paolo, solo il suo sacrificio è efficace. Come la Legge, Isacco prevede la redenzione ma non può ottenerla. Gesù muore per tutti i peccati del genere umano, ma soprattutto per il peccato di Adamo. Gesù accetta la morte per annullare la totalità dell'ostilità infanticida di Dio verso l'umanità peccaminosa ed errante dal momento della prima disobbedienza catastrofica di Adamo alle piccole disobbedienze degli esseri umani comuni nell'era di Paolo.

Nel concludere questo Capitolo, potrei chiedermi: perché fu così importante identificare Gesù con l'agnello pasquale? Perché nessun altro sacrificio andava bene? La semplice risposta è che, a differenza degli altri sacrifici offerti nel Tempio di Gerusalemme, l'agnello pasquale era già servito come sostituto vicario, se non per tutto Israele, almeno per il primogenito d'Israele al tempo dell'esodo dall'Egitto. In quanto tale, svolgeva la stessa funzione dell'ariete dell’Aqedah. Era considerato un sostituto accettabile per gli esseri umani peccatori. Come surrogato, l'agnello viene offerto a Dio al posto di – o potrebbe essere, come se fosse – un essere umano. Potrebbe essere che in un momento molto antico nella storia degli antenati semitici di Israele sia stato offerto un essere umano ma in un momento successivo sia stato offerto un agnello come sostituto? Non dimentichiamo la pervasività del sacrificio umano nella Cartagine fenicia che continuò ad essere offerto fino a quando i Romani nel 146 p.e.v. non lo fermarono distruggendo Cartagine.

Se davvero fosse così, l'identificazione di Gesù con l'agnello pasquale costituirebbe il riaffiorare di un sacrificio molto arcaico. Inoltre, se si leggono i comandamenti biblici riguardanti il sacrificio pasquale originale, il suo carattere arcaico diventa evidente. Pertanto, nel racconto dell'Esodo: {{q|Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia... Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco.|Esodo 12:3-10 Teniamo inoltre presente che l'ingiunzione di offrire il Primogenito che abbiamo citato in precedenza, "ConsacraMi ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli Israeliti – di uomini o di animali – esso appartiene a Me". Esodo 13:2 è dato in relazione ai sacrifici pasquali.

Addendum[modifica]

Sigmund Freud e il mito del crimine primordiale[modifica]

Ho sostenuto che, almeno nel cristianesimo di Paolo di Tarso e dell'autore del Quarto Vangelo, mangiare il corpo e il sangue del Figlio di Dio è l'atto fondamentale del culto sacro. A prima vista, un'idea del genere sembrerebbe violare i canoni del buon senso. Tuttavia, questa forma di culto è stata mantenuta per due millenni dalla maggior parte delle persone religiose in tutto il mondo cristiano. Se Paolo non ha dato origine a questa concezione del culto cristiano, è stato di certo tra i primi ad affermarne la verità.

Nel ventesimo secolo, Sigmund Freud, un ebreo molto meno credente di Paolo, sostenne che la Cena del Signore, come intesa da Paolo, era in realtà una drammatica rievocazione della crisi morale con cui la religione, la moralità e la società umana ebbero i loro inizi e che ci fosse una profonda verità psicologica incorporata in queste idee.[42] Il tentativo di Freud di ricostruire le origini della religione attraverso il mito di un parricidio primordiale è enormemente illuminante senza necessariamente essere letteralmente vero.[43]

In breve, Freud sosteneva che prima che le istituzioni religiose e sociali umane si sviluppassero come le conosciamo, gli esseri umani abitavano in piccole orde costituite dal padre, dal suo harem e da alcuni dei figli maschi più giovani. Il maschio più anziano aveva il possesso sessuale esclusivo dell’harem, che consisteva di tutte le femmine del gruppo. I suoi diritti sessuali erano mantenuti con l'aggressione contro la sua stessa prole maschile, che egli riteneva essere rivale potenziale.[44] Nella narrativa di Freud non c'era in quel momento alcun tabù dell'incesto. Principalmente per espulsione, ma anche per infanticidio e castrazione, il padre impediva ai figli di rimpiazzarlo.

Secondo Freud, i figli espulsi erano spinti dal bisogno sessuale a trovare un modo per accedere alle femmine proibite. Lo facevano riunendosi e uccidendo il padre. Tuttavia, nonostante il loro odio invidioso per il padre, c'era molto di lui che ammiravano e desideravano emulare. Sebbene i giovani uomini cercassero la liberazione dal padre, volevano anche essere come lui, godendo soprattutto dei suoi privilegi sessuali. Inevitabilmente, le emozioni contraddittorie dell'odio e dell'amore si mescolarono nel primo parricidio.

Bisogna sottolineare che c'è un aspetto cannibalistico in tutti gli atti di identificazione nella misura in cui l'oggetto che apprezziamo viene accolto e diventa parte di noi.[45] La forma più cruda per diventare tutt'uno con un oggetto è consumarlo. Per Freud, il crimine primario dell'umanità era il divorare cannibalistico del padre da parte dei figli in modo che potessero contemporaneamente liberarsi di lui, diventare come lui e prendere possesso sessuale delle sue femmine.

Poiché nell'atto originale l'amore e l'odio si confondevano, i figli non erano in grado di sentirsi completamente gratificati dalla loro vittoria. Al contrario, Freud sosteneva che i loro sensi di colpa erano così forti da essere spinti a negare a se stessi che il padre era effettivamente morto o che avevano effettivamente commesso il crimine. Ciò non fece che peggiorare le cose. Negando il loro parricidio, i figli non potevano né cancellare il loro ricordo inconscio dell'atto né la loro paura dell'aggressione di rappresaglia della loro vittima. Secondo Freud, la negazione portò i figli ad attribuire un potere così straordinario al loro padre terreno che divenne per loro il Padre nei cieli. Di conseguenza, i figli furono condannati all'obbedienza interminabile alla volontà del padre morto come modo per placare la loro paura della sua rappresaglia. La definizione implicita di Dio presentata da Freud è sia paradossale che convincente: il Padre celeste è il primo oggetto della criminalità umana. Gli uomini si sentono obbligati a obbedire alla sua "legge" per il timore che lui si vendichi contro di loro.

Sebbene la trasgressione non fosse mai dimenticata, i figli non furono in grado di ammettere consapevolmente il loro atto. Pertanto, venivano interiormente costretti a ripetere l'atto in forma drammatica. La ripetizione prese la forma del sacrificio totemico arcaico, che Freud considerava "forse la celebrazione più antica dell'umanità". Normalmente, l'animale totem era considerato sacrosanto, ma in certe occasioni di festa l'intera tribù era costretta a macellare, consumare e piangere proprio l'animale che veneravano come antenato tribale. Secondo Freud, l'animale totem era in realtà un surrogato del padre assassinato. Indicò molti esempi di animali che erano stati identificati con eroi, antenati e dei.

Nei sogni, nella poesia, nel simbolismo religioso, nel mito e nelle nevrosi individuali, un simile processo di identificazione continua ancor oggi. Uno degli esempi più belli di questo tipo di identificazione nella storia dell'arte può essere visto nella grande pala d'altare di Jan van Eyck a Gand, "L’Adorazione dell'Agnello Mistico"vedi immagine supra in cui tutte le figure sono rivolte con riverenza verso la figura centrale, l'Agnello Mistico, che è ovviamente Cristo, "l'Agnello di Dio".

Il sacrificio totemico era sia una rievocazione che una confessione dell'atto ricordato inconsciamente. Rimorso e autoaffermazione si mescolavano nella rievocazione, come amore e odio erano stati nell'atto originale. Il sacrificio totemico offriva anche la possibilità di "obbedienza differita" al padre assassinato. I figli imparavano rapidamente che non potevano indulgere in una licenza sessuale illimitata con le donne del padre ucciso senza gravi conflitti tra di loro. Si imposero quindi il tabù dell'incesto, attribuendolo alla volontà del padre che nella loro mente era diventato onnipotente. Avendo commesso il parricidio per acquisire le donne, i figli si imposero volontariamente i tabù sessuali del padre per mantenere la coesione di gruppo e la solidarietà fraterna. Nessun uomo poteva prendere parte al sacrificio totemico, ripetendo così simbolicamente l'atto originale, se fosse stato colpevole di violare il tabù tribale contro l'incesto recentemente istituito.

Il sacrificio totemico divenne il punto focale della memoria tribale, della solidarietà e della moralità. Freud non respinse la confessione spesso proclamata che siamo tutti miserabili peccatori. Secondo Freud, la base originaria della solidarietà sociale era la complicità criminale nel parricidio inconsciamente ricordato. Tutti coloro che partecipavano alla consumazione dell'animale sacrificale erano considerati come un'unica sostanza sia con la vittima che con gli altri membri della tribù.

Sigmund Freud
W. Robertson Smith

L'interpretazione di Freud della sostanziale solidarietà di coloro che mangiano insieme dipendeva in parte dal lavoro dello studioso scozzese W. Robertson Smith (1846-1894).[46] Freud citò un esempio che Smith aveva dato dell'usanza beduina che rende uno straniero inviolabile per un certo periodo di tempo dopo aver mangiato con loro. Finché il cibo rimane nel suo corpo, i beduini considerano lo straniero come se avesse condiviso con loro una sostanza comune e quindi non dovesse essere danneggiato.

L'idea che le persone che condividono un pasto partecipino a un legame comune persiste ancora oggi, anche nelle forme secolarizzate. Pochi atti sono così ostili come il rifiuto di spezzare il pane. La vigorosa opposizione di Paolo a Pietro quando si ritirò dalla comunione a tavola con i cristiani gentili ad Antiochia indica che bisogna comprendere fino a che punto l'atto di condividere un pasto comune è una profonda espressione di solidarietà umana (Galati 2:11-16). Questa intuizione è esplicita nell'affermazione di Paolo che "poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1 Corinzi 10:17). L'unico pane a cui si riferisce Paolo è, ovviamente, il pane della Cena del Signore, il corpo di Cristo.

Inoltre, l'atto di ingerire è forse uno dei modi più antichi in cui ci confrontiamo col nostro ambiente. Molto prima che gli organismi viventi sviluppino la facoltà di percezione visiva, devono consumare una parte del loro ambiente. Il mangiare partecipa anche della più antica espressione d'amore: la madre dà della propria sostanza quando nutre il bambino. In origine, l'oggetto amato, l'alimento, e l'alimentatore sono una cosa sola per il bambino. Nel sacrificio totemico diventano di nuovo uno. Quando un dio viene consumato, è sia alimento che alimentatore. Coloro che prendono la sua sostanza diventano uno con lui, come fanno i cristiani con Cristo nella Santa Comunione.

Freud respinse la teoria secondo cui la vittima sacrificale è un dono della comunità adorante al suo dio. Egli considerava il sacrificio come dono uno sviluppo successivo sorto dopo l'istituzione della proprietà privata. Sottolineò invece la perenne centralità del sacrificio di Comunione come atto religioso decisivo. Il suo punto di vista è in conflitto con alcune tendenze razionalizzanti e moralizzatrici sia all'interno dell'ebraismo che del protestantesimo, che consideravano il sacrificio un'anticipazione "primitiva" di espressioni più "avanzate" del culto religioso come la preghiera personale. L'enfasi di Freud, tuttavia, non era affatto estranea al cattolicesimo romano, che ha sempre sottolineato la reale presenza del corpo e del sangue di Cristo negli elementi sacrificali della Messa.

Freud vide la differenza tra ebraismo e cristianesimo in termini di "ritorno del represso", vale a dire, ciò che era latente o represso nell'ebraismo si era manifestato nel cristianesimo, ad esempio, la cena del Signore. Da una prospettiva freudiana, la rievocazione sacrificale del crimine primordiale era stata trasformata nell'ebraismo in un sistema di sacrifici animali. Certamente, a parte l'agnello pasquale e il rituale della Redenzione del Primogenito, il sistema sacrificale ebraico conteneva poche tracce evidenti del carattere surrogato dei sacrifici animali. Tuttavia, come abbiamo visto, un'ampia conoscenza dei sistemi sacrificali cananei e di altri sistemi sacrificali del Vicino Oriente tende a corroborare l'ipotesi che molti dei sacrifici animali ordinati biblicamente avevano le loro radici nel sacrificio umano.[47]

Freud sostenne che il sacrificio arcaico di una vittima divino-umana fu infine ripreso nella Santa Comunione. Egli affermò che Cristo aveva redento l'uomo psicologicamente dal "peso del peccato originale", dando la propria vita in pagamento del crimine primordiale. Secondo Freud, il "peccato originale" dell'umanità non era il fatto che Adamo avesse mangiato la mela. La tradizione biblica censurava un'offesa ben più grave, il parricidio. Se gli uomini fossero stati colpevoli del crimine minore, asserì Freud, Dio sarebbe stato descritto che richiedeva una punizione molto meno severa, in conformità con il principio di misura-per-misura. La morte espiatoria di Cristo indica un'arcaica colpa di sangue.[48]

Freud sostenne anche che, offrendo se stesso sulla Croce, il "Figlio" ucciso prendeva il posto del "padre" originariamente ucciso come oggetto di adorazione umana. Di conseguenza, la religione del figlio (cristianesimo) prese il posto della religione del padre (ebraismo). Come segno dello spostamento del padre da parte del figlio, la festa del totem fu ripresa, ma ora la comunità dei fratelli (cioè la chiesa) mangiava il corpo e il sangue del figlio piuttosto che quello del padre o del suo animale surrogato. Il rito permetteva ai fratelli di identificarsi con il figlio nel modo più concreto, mangiando la sua sostanza. Ripeteva anche il crimine primordiale in una forma inedita: con la sua espiazione prefetta, il Figlio aveva fatto a modo suo ciò che il gruppo più anziano di fratelli aveva fatto a modo proprio: il Figlio aveva sostituito il Padre. Freud quindi concluse che l'Eucaristia era "essenzialmente una nuova eliminazione del padre, una ripetizione dell'atto colpevole".[49]

Credo che Freud abbia sbagliato quando interpreta il cristianesimo come una religione in cui il Padre è di nuovo rimpiazzato. Nessun spostamento del genere avviene nel cristianesimo paolino. Come notato, la strategia ebraica di obbedienza al Padre viene modificata con l'identificazione del fratello maggiore perfettamente obbediente che nel cristianesimo raggiunge un giusto rapporto col Padre. Tuttavia, la questione fondamentale rimane la stessa in entrambe le tradizioni: come fanno uomini e donne a raggiungere il giusto rapporto con il Padre? Secondo Paolo, i cristiani raggiungono il rapporto di perfetta obbedienza al Padre attraverso l'identificazione con il Figlio perfettamente obbediente. Siamo quindi costretti a cercare una comprensione alquanto diversa della Santa Comunione da quella suggerita da Freud, sebbene la nostra spiegazione sarà secondo le linee freudiane. Nella misura in cui la Santa Comunione è una ripetizione simbolica e una confessione del parricidio originale, offrendo il suo corpo ai discepoli nel pasto della Comunione, Cristo paga ancora una volta il prezzo del crimine originale al loro posto come loro surrogato. Tuttavia, mentre il sacrificio di Cristo consente una drammatica ripetizione del crimine, consumando Cristo nell'Eucaristia, i cristiani si identificano anche con la sua perfetta obbedienza nell'accettare una morte che non meritava perché era completamente senza peccato.

Cristo è quindi veramente una figura di mediazione. Egli media tra i fratelli e il Padre, offrendo al Padre un'obbedienza fino ad una morte di cui i fratelli sono incapaci, e prendendo su di sé la punizione di Dio per la disobbedienza dei fratelli. Egli fa da intermediario tra il Padre e i fratelli permettendo ai fratelli di diventare uno con lui piuttosto che con il Padre, liberandoli così dalla tentazione di commettere il peggiore di tutti i crimini, il deicidio contro il Padre, un crimine che possono liberamente attribuire agli ebrei, che hanno represso la memoria del crimine primordiale.

Il mito del crimine primordiale freudiano è stato liquidato da alcuni studiosi come speculazione infondata di uno studioso che ha oltrepassato i limiti della propria competenza.[50] Anche Freud ammise che il mito era una storia "fatta proprio così: una storia".[51] Tuttavia, sebbene il suo tentativo di ricostruzione possa difficilmente essere considerato come un fatto, Freud approfondisce la nostra comprensione della rivoluzione religiosa cristiana, di cui Paolo fu forse l'esponente decisivo dopo la crocifissione di Gesù, e ci aiuta a comprenderne la straordinaria potenza emotiva.

Sia Freud che Paolo accettarono la dottrina della "caduta dell'uomo". Entrambi convennero che la storia umana è iniziata con un atto di ribellione primordiale contro il Padre. Entrambi videro il ruolo fondamentale di Cristo come quello di annullare le conseguenze della ribellione primordiale. Nella narrativa di Paolo, il ruolo di Cristo come ultimo Adamo è quello di invertire il peccato del primo Adamo. Sia Paolo che Freud considerano il Pasto del Signore come il modo in cui il credente diventa tutt'uno con il fratello maggiore (Cristo). Entrambi prendono molto sul serio la "presenza reale" di Cristo all'interno degli elementi del Pasto del Signore, anche se per Freud la presenza di Cristo è solo psicologicamente "reale". Sia Paolo che Freud, per ragioni molto diverse, considerano futile la strategia ebraica di obbedienza al Padre, ed entrambi ritengono che Cristo scopra un livello più profondo del significato della controversia di Dio con l'uomo, che l'ebraismo aveva represso.

Ci furono, naturalmente, importanti aree di disaccordo tra Freud e Paolo, la più importante delle quali era la convinzione di Freud che la soluzione cristiana al problema religioso dell'umanità fosse in definitiva tanto illusoria quanto lo era la soluzione ebraica. Tuttavia, credo che ci sia molto valore nel midrash o mito di Freud. Nel semestre primaverile del 2009, tenni un corso su "The Age of the Enlightenment (L'Età dell'Illuminismo)" presso la mia università. Prese alla lettera, le dottrine di Paolo — come quella di diventare uno con Cristo nel pasto del Signore e Cristo come l'ultimo Adamo che cancella i peccati portati sull'umanità dal primo Adamo — furono considerate dall'Illuminismo con considerevole scetticismo. Tuttavia, come notato sopra, queste idee e i relativi riti avevano un senso e furono creduti da milioni di persone per duemila anni. Il midrash o mito di Freud mostra che ci sono profonde verità psicologiche incorporate in queste credenze e pratiche, e che hanno permesso a uomini e donne, sia ebrei che cristiani, ciascuno a modo suo, di superare le distruttive tentazioni intrafamiliari che erano così dolorosamente evidente anche in civiltà avanzate come la cartaginese, cananea, fenicia ed ebraica prima delle riforme di Giosia (649-609) e della "scoperta" da parte dei sacerdoti del Tempio del "Rotolo della Legge".

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche, Ebraicità del Cristo incarnato, Ecco l'uomo e Serie cristologica.
  1. Shalom Spiegel, The Last Trial, trad. (EN) Judah Goldin (New York: Schocken Books, 1969), 64.
  2. Jon D. Levenson, The Death and Resurrection of the Beloved Son (New Haven: Yale University Press, 1993), 12.
  3. Il Jewish Theological Seminary, conosciuto in ambiente ebraico semplicemente come JTS, è uno dei principali centri dell'Ebraismo conservatore fondato nel 1886 a New York City, su iniziativa del rabbino livornese Sabato Morais, come eredità del Seminario Teologico Ebraico di Breslavia.
  4. 3. Ed Noort, "Child Sacrifice in Ancient Israel: The Status Quaestionis", in Jan N. Bremmer, cur., The Strange World of Human Sacrifice (Leuwen: Peeters Publishers, 2006), 112-13.
  5. Noort, "Child Sacrifice", 104.
  6. evenson, The Death and Resurrection, 20.
  7. Malcolm W. Browne, "Relics of Carthage Show Brutality Among the Good Life", New York Times, 1 settembre 1987.
  8. Lawrence E. Stager e Samuel R. Wolff, "Child Sacrifice at Carthage-Religious Rite or Population Control?" Biblical Archaeology Review 10, no. 1 (gennaio-febbraio 1984): 31-51.
  9. Stager e Wolff, "Child Sacrifice".
  10. Si veda M’hamed Hassine Fantar, "Were Living Children Sacrificed to the Gods? No." Archaeology Odyssey 3, nr. 6 (novembre-dicembre 2000), e Joseph Greene e Lawrence E. Stager, "An Odyssey Debate: Were Living Children Sacrificed to the Gods? Yes." Archaeology Odyssey, 3, nr. 6 (novembre-dicembre 2000).
  11. Stager e Wolff, "Child Sacrifice".
  12. Levenson, The Death and Resurrection, 45.
  13. Si veda Levenson, The Death and Resurrection, 133-40.
  14. Si veda Levenson, The Death and Resurrection, 298-99.
  15. Una traduzione (EN) del poema si trova in Spiegel, The Last Trial, 143-52. La mia qui è una traduzione "libera".
  16. Joseph B. Soloveitchik, David Shatz, Joel B. Wolowelsky e Reuven Ziegler, curr., Abraham’s Journey: Reflections on the Life of the Founding Patriarch (New York: K’TSAV, 2008), 11-12.
  17. Soloveitchik et al., Abraham’s Journey.
  18. Cfr. Matteo 3:17, Luca 3:22, 2 Pietro 1:17
  19. Levenson, The Death and Resurrection, 200-01.
  20. Levenson, The Death and Resurrection, 202.
  21. Paula Fredricksen, From Jesus to Christ, II ediz. (New Haven: Yale University Press, 2000), 20.
  22. Fredricksen, From Jesus, 204.
  23. Richard L. Rubenstein, My Brother Paul (New York: Harper and Row, 1972), 91.
  24. Jean Hering, The First Epistle of Saint Paul to the Corinthians, trad. A. W. Heathcote e P. J. Allcock (Londra: Epsworth Press, 1962), 115.
  25. Oscar Cullmann, Early Christian Worship, trad. A. Stewart Todd e James B. Terrence (Londran: SCM Press, 1962), 10-15.
  26. Cullmann, Early Christian Worship, 19.
  27. Didache, trad. (EN) Maxwell Staniforth, in Early Christian Writings: The Apostolic Fathers (Harmondsworth, Middlesex: Penguin Books, 1968), 231-35.
  28. Albert Schweitzer, The Mysticism of Paul the Apostle, trad. (EN) William Montgomery (Londra: A &C Black, 1953); cfr. anche W. D. Davies, "Paul and Judaism Since Schweitzer", in Davies, Paul and Rabbinic Judaism: Some Rabbinic Elements in Pauline Thought (New York: Harper Torchbooks, 1967), vii-xv.
  29. Schweitzer, The Mysticism of Paul, 52-74.
  30. Schweitzer, The Mysticism of Paul, 116-25.
  31. Robin Scroggs, The Last Adam: A Study in Puline Anthropology (Philadelphia: Fortress Press, 1966), 46-50.
  32. Herman Melville, Moby-Dick, trad. (IT) online: <http://www.iloveroma.it/immagini/Moby%20Dick.pdf>.
  33. Henry A. Murray, "In Nomine Diaboli", in Melville, cur. Richard Chase (Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1962); publ. orig. in The New England Quarterly 24, nr. 4 (dicembre 1951): 435-52.
  34. Commentario di Jon D. Levenson a Genesi 22:12 in The Jewish Study Bible, cur. Adele Berlin e Marc Zvi Brettler (New York: Oxford University Press, 2004), 46.
  35. Esiste un certo dibattito tra studiosi riguardo al significato di "Colui che doveva venire". Secondo C. K. Barrett, "Colui che doveva venire" è il Cristo escatologico che verrà rivelato completamente nell'Ultimo Giorno. Cfr. C. K. Barrett, From First Adam to Last (Londra: A & C. Black, 1962), 92-119.
  36. Jean Héring, trad. (EN) The First Epistle of Saint Paul to the Corinthians, Wipf & Stock Publishers, 2008, ad hoc.
  37. Si veda Louis Ginzberg, The Legends of the Jews, vol. 5 (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1909-13), 128-131, n. 142; Richard L. Rubenstein, The Religious Imagination (Indianapolis: Bobbs-Merrill, 1968), 43-47.
  38. John A. T. Robinson, The Body: A Study in Pauline Theology (Londra: SCM Press, 1952), 51.
  39. Shalom Spiegel, "Prophetic Attestation of the Decalogue: Hosea 6:5. With Some Observations on Psalms 15 and 34", Harvard Theological Review 27, no. 2 (aprile 1934): 105-44.
  40. Cfr. int. al., Ernst Käsemann, Perspectives on Paul, Londra, SCM, 1971.
  41. Ignazio (di Antiochia), Ignatius: Epistle to the Ephesians, in Early Christian Writings: The Apostolic Fathers, curr. e tradd. (EN) Maxwell Staniforth e Andrew Louth (Londra: Penguin, 1987), 66.
  42. Sigmund Freud, Totem and Taboo, trad. (EN) James Strachey (New York: Norton, 1962).
  43. Richard L. Rubenstein, The Religious Imagination (Indianapolis: Bobb-Merrill, 1968), 1-21.
  44. Troviamo tuttora lo stesso comportamento negli animali, spec. mammiferi.
  45. Rubenstein, The Religious Imagination, 8-9.
  46. Si veda W. Robertson Smith, The Religion of the Semites: The Fundamental Institutions (New York: Meridian Press, 1956).
  47. Sul sacrificio cananeo, si vedano anche Theodore H. Gaster, "The Service of the Sanctuary: A Study in Hebrew Survivals", in Melanges Syrien offert a M. R. Dussaud (Parigi: Geuthner, 1939), 577-82; Roland de Vaux, Ancient Israel: Its Life and Institutions, trad. {{en}] John McHugh (New York: McGraw-Hill, 1961), 438-46.
  48. Sigmund Freud, Moses and Monotheism, trad. (EN) Katherine Jones (New York: Alfred A. Knopf, 1939), 174, e Totem and Taboo, 154.
  49. Freud, Totem and Taboo, 155.
  50. Si veda A. L. Kroeber, American Anthropologist, Nuova Serie 22 (1920), 48-55.
  51. Sigmund Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego (New York: Norton, 1989), 69.