Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Salmo 22

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"Jésus monte seul sur une montagne pour prier", guazzo & grafite su carta di James Tissot, 1886-94


« 1 Al maestro del coro. Sull'aria: «Cerva dell'aurora».
Salmo. Di Davide.

2 «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.
3 Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.

4 Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
5 In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
6 a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.

7 Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
8 Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
9 «Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico».

10 Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
11 Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
12 Da me non stare lontano,
poiché l'angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.

13 Mi circondano tori numerosi,
mi assediano forti tori di Basan.
14 Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
15 Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
16 E' arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.

17 Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
18 posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
19 si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.

20 Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
21 Salva la mia anima dalla spada,
il mio unico dal potere del cane.
22 Salvami dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali.
23 Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.

24 Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
25 perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.

26 Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27 I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
«Viva il loro cuore per sempre».
28 Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
29 Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
30 A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.

E io vivrò per lui,
31 lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32 annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l'opera del Signore!». »
(Salmo 22)

Salmo 22 in Pesiqta Rabbati e la sofferenza del Messia ebreo[modifica]

Il Salmo 22 è citato in diversi passaggi critici del Nuovo Testamento; al confronto, il Salmo 22 è raramente citato nella letteratura rabbinica. In particolare, il Salmo 22 è usato come espressione di sofferenza personale dagli scrittori neotestamentari nelle scene della crocifissione che raccontano la sofferenza di Gesù. Nella letteratura rabbinica, il Salmo 22 è anche citato anche in relazione alle afflizioni di un Messia ebreo. Il principale brano rabbinico che affronta l'argomento di un Messia sofferente si trova in Pesiqta Rabbati, un'opera omiletica rabbinica che contiene numerosi passaggi messianici, così come quattro intere omelie che presentano visioni messianiche apocalittiche, che si concentrano principalmente sul Messia Ephraim (Pesiqta Rabbati 34, 35, 36, 37). La premessa principale di questo mio Capitolo è che il carattere unico di questi passaggi in Pesiqta Rabbati si basa su un’inversione ideologica di Gesù. Questa rappresentazione in Pesiqta Rabbati risponde alla visione cristiana secondo cui Gesù era l'unica figura messianica che soffrì e morì nel dolore mentre portava la salvezza ai giusti. Questo testo rabbinico dimostra che ci sarà (a venire) un Messia ebreo che adempie lo stesso paradigma.

Nella Bibbia ebraica, il Salmo 22 è un Salmo di lamento in prima persona singolare che esprime la lamentazione di questa persona per essere stata abbandonata da Dio mentre cercava una risposta divina.[1] Questo Salmo è una composizione che drammatizza la sofferenza dell'oratore.[2] L'oratore, che si intende essere il re Davide, esprime i suoi sentimenti di abbandono mentre racconta le volte in cui Dio ha ascoltato ed è intervenuto a favore dei suoi antenati; è addolorato che Dio non stia ascoltando né lui né Israele. L'individuo citato in questo Salmo è stato identificato in molti modi diversi e questa trasformazione e il suo riferimento apre i lemmi nel Salmo all'uso personale, comunitario e liturgico.[3] Il Salmo 22 può essere suddiviso in diverse sezioni: invocazione a Dio direttamente (2-3); ricordo delle precedenti liberazioni (4-6, 10-11); la rappresentazione del comportamento contraddittorio (7-9, 13-14, 17-19); descrizione del dolore estremo (15-16, 18); e preghiere per chiedere aiuto (12, 20-22). Altre sezioni includono il riconoscimento della regalità di Dio da parte delle nazioni. Tutte queste sezioni forniscono un linguaggio per narrazioni messianiche e apocalittiche. La caratteristica semiotica di questo testo aperto e ampiamente fruibile ha consentito ai testi midrashici di offrire diverse figure di salvatori che occupano la posizione di re Davide. Inoltre, le sezioni di questo Salmo forniscono un copione per un'agiografia o una narrativa storica della salvezza.

Aseneth getta gli idoli dalla Torre (Brussels 1490-1500)

Il Salmo 22 è raramente citato o menzionato nella letteratura ebraica del periodo del Secondo Tempio. Poche tracce che potrebbero aver utilizzato il Salmo 22 riguardo a una figura salvifica si trovano nei testi pseudepigrafici di Giuseppe e Aseneth, in particolare in alcuni manoscritti, e nella Sapienza di Salomone.[4] Nella confessione di Aseneth (Giuseppe e Aseneth 12:9-11), viene menzionato un leone, che si pensa sia simile al Salmo 22:14.[5] A mio parere è più significativo che Aseneth si riferisca al suo comportamento ascetico invocando la secchezza della sua bocca e un coccio, che deriva da Salmo 22:16:

« Ed ecco, per sette giorni e sette notti non ho mangiato pane né bevuto acqua; e la mia bocca è secca come un tamburo e la mia lingua come un corno, e le mie labbra come un coccio, e la mia faccia si è avvizzita, e i miei occhi vengono meno a causa delle mie incessanti lacrime. »
(JosAs 12:8)

Il Salmo 22:16 è indicato come prova scritturale della sofferenza, che riappare nelle fonti cristiane ed ebraiche discusse di seguito. Questa interpretazione del Salmo 22 non si trova nei testi ebraici esistenti prima dell'era del cristianesimo.[6] L'interpretazione del Salmo 22 fu espansa nella letteratura rabbinica dopo che l'interpretazione cristiana rese il Salmo applicabile a Gesù. Un altro testo pseudepigrafico, la Sapienza di Salomone, potrebbe avere alcune affinità con Salmo 22:9 e Salmo 22:20. I testi dei Mar Morto contengono anche il Salmo 22, in particolare alcuni lemmati negli Hodayot (ebr. הוֹדָיוֹת‎), inni ringraziamento, lode o insegnamento. Heike Omerzu afferma che principalmente la parte di lamentazione del Salmo 22 si trova quando il Salmo funge da possibile ipotesto.[7] Questo caso è significativo, poiché sia il Nuovo Testamento che la letteratura rabbinica si concentrano anche sulla sezione della lamentazione.

Due frammenti[8] contenenti Salmo 22:17, "Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi; afferrano le mie mani e i miei piedi come un leone", sono stati scoperti tra i documenti del Mar Morto. Nel primo frammento (4Q88 = 4QPsf), la parola tradotta con "come un leone" non è conservata. Nel secondo frammento (5/6HevPs), l'ultima lettera del termine sembra essere la lettera י (yod) un po' allungata, quasi simile alla lettera ו (vav). Pertanto, la lettura di questa parola sarebbe rispettivamente כארי (ka’ari) o כארו (ka’aru). Queste due interpretazioni del termine[9] sono state al centro di molte controversie, perché i cristiani interpretano la parola chiave come "forato" e la applicano a Gesù sulla croce.[10] La parola ka’aru è stata interpretata da leggersi כרו (karu), che ha il significato "[essi] scavarono" (ad esempio, Genesi 26:25) o "trafissero". Tuttavia, questo verbo non è mai usato nel contesto di "forare" nella Bibbia ebraica. Un confronto delle versioni rivela una grande discrepanza nelle interpretazioni del termine in diversi testi ipobiblici.[11] Il lemma, "afferrano le mie mani e i miei piedi come un leone", Salmo 22:17 (numerazione cristiana: 22:16), è stato tradotto con "hanno forato/trafitto le mie mani e i miei piedi", uno dei versetti più frequenti a cui fanno riferimento i cristiani quando affermano che la crocifissione di Gesù era stata predetta.

Le diverse interpretazioni nei succitati testi possono aver costretto i primi creatori dei testi rabbinici a basare i loro argomenti su una convenzione di lettura, "come un leone", che poi divenne cristallizzata nel testo masoretico della Bibbia ebraica. I cristiani, a cominciare da alcuni Padri della Chiesa,[12] selezionarono "hanno forato/trafitto" tra le tradizioni greche e le versioni del testo biblico al fine di creare una base di testo coerente, che venne utilizzata nelle loro interpretazioni di adempimento. Questo basarsi su testi divergenti nelle tradizioni cristiane ed ebraiche, la Bibbia ebraica, la Septuaginta, o una miscela di entrambi, contribuì notevolmente allo scisma tra cristianesimo ed ebraismo rabbinico.

Il Salmo 22 è raramente citato nella letteratura tannaitica, e questo evitamento può suggerire una reazione contro l'uso cristiano di questo Salmo. Alcune delle tradizioni di Pesiqta Rabbati – che successivamente discuterò a lungo – riflettono strati tannaitici, il che li renderebbe approssimativamente contemporanei ai testi del Nuovo Testamento. In particolare, un passaggio messianico in Pesiqta Rabbati 36:9[13] utilizza il termine "i rabbini insegnarono", che potrebbe riferirsi a un insegnamento tannaitico.[14]

Prima dell'attestazione nel Nuovo Testamento, non ci sono prove che il Salmo 22 sia stato usato in un contesto messianico ebraico. Questo Salmo divenne il fulcro preferito dell'interpretazione dell'adempimento cristiano riguardo al Messia cristiano morente, mentre nell'ebraismo si cominciò a considerare singoli lemmi del Salmo come aventi un potenziale salvifico, culminando nel descrivere l'afflizione di un Messia ebreo.

Poiché la Bibbia ebraica attribuisce il Salmo 22 al re Davide, questo Salmo è applicabile alla figura messianica che secondo la tradizione ebraica è un discendente del re Davide. Le interpretazioni ebraiche del Salmo identificano l'individuo nel Salmo con una figura regale, interpretata in alternativa da re Davide, re Ezechia o la regina Ester. Nel cristianesimo, la figura del salvatore nel Salmo 22 è Gesù. Questo uso mostra una correlazione di tale Salmo con le preghiere di altri personaggi, che sono regali o messianici o entrambi. Il pronome personale "Io" che si riferisce a Davide nel Salmo è quindi inteso come pronunciato da un'altra figura.

Inoltre, il Salmo 22 è stato trasformato dai Padri della Chiesa da un testo che indica l'afflizione di un individuo in un testo di Salmo messianico. I primi Padri della Chiesa erano contemporanei alla letteratura tannaitica.[15] Giustino martire (c. 100-165 e.v.) Apol. 35[16] scrive:

« E ancora, in altre parole, tramite un altro profeta, Egli dice: "Hanno trafitto le mie mani ei miei piedi [Sal. 22:17], sul mio vestito gettano la sorte". [Sal. 22:19]. E infatti Davide, il re e profeta, che pronunciò queste cose, non ne soffrì; ma Gesù Cristo stese le mani, essendo crocifisso dai Giudei che parlavano contro di Lui e negavano che Egli fosse il Cristo. E mentre il profeta parlava, Lo tormentarono, Lo misero sul seggio del giudizio e dissero: Giudicaci. E l'espressione: "Mi hanno trafitto le mani ei piedi", [Sal. 22:17] fu usato in riferimento ai chiodi della croce che furono fissati nelle Sue mani e nei Suoi piedi. E dopo che fu crocifisso tirarono a sorte la Sua veste [Sal. 22:19], e quelli che Lo crocifissero se la divisero tra loro. »

Judith Lieu sostiene in modo convincente che Giustino fu probabilmente il primo a sostenere che l'intero Salmo si riferisse a Gesù (Dialogo 99).[17] Lo scopo dell'interpretazione di Giustino era quello di dimostrare che Gesù chiese di essere salvato dalla morte e che divenne un essere umano nella sua sofferenza, nonché quello di identificare gli avversari di Gesù. Il Gesù di Giustino fu consapevole della sofferenza che avrebbe dovuto subire; Giustino inoltre identificò gli avversari di Gesù come ebrei, immettendo così altre personae nel dramma in evoluzione del Salmo 22, da una prospettiva polemica cristiana.[18] In Giustino abbiamo probabilmente la prima interpretazione cristologica rintracciabile del Salmo 22, applicata a Gesù nel Nuovo Testamento.[19]

Immagini di animali nel Salmo 22[modifica]

Il Salmo 22 si riferisce a numerosi animali che servono come metafore salienti[20] per la sofferenza o la messa in pericolo di re Davide. La maggior parte degli animali citati si riferisce a un mondo pieno di pericolosi avversari: un branco di cani mi circonda; mi assedia una banda di malvagi; afferrano le mie mani e i miei piedi come un leone (Sal. 22:17). Il lemma "assemblea", tradotto come "synagogé" nella Septuaginta, rendeva il versetto applicabile a "sinagoga", cioè gli ebrei malvagi circondarono Gesù nella mente polemica dei primi cristiani. I cristiani avevano bisogno di dissociarsi come gruppo distinto dall'ebraismo. Inoltre, "Un branco di cani mi circonda" è citato in tutti i racconti evangelici relativi a Gesù sofferente.

Il motivo dei cani è indicato anche nell'interpretazione midrashica. Poiché gli animali nei testi apocalittici e in altri testi spesso si riferiscono a regni o nazioni, questo potrebbe essere il caso del midrash. Nel Talmud babilonese, Megillah 15b, il re Assuero di Persia viene identificato come il "cane" in Salmo 22:21; tale identificazione avviene nella preghiera di Ester. Inoltre, le schiere di Assuero sono chiamate "tori" (Sal. 22:13), e i figli o discendenti di Aman sono presentati come "forti tori di Basan" (Sal. 22:13). Quando Ester viene violentata da Assuero, si riferisce a lui come a un "leone" (Sal. 22:14), come nel testo seguente:

« Talmud babilonese, Megillah 15b: e si presentò nel cortile interno della casa del re (Ester 5:1f.) Rabbi Levi disse: Quando raggiunse la camera degli idoli, la Presenza divina la lasciò. Ella disse, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Sal. 22:2) È possibile che Tu punisca il peccato involontario come quello presuntuoso, o quello commesso per forza come uno commesso volontariamente? O è perché ho chiamato [Assuero] "cane", come si dice Salva la mia anima dalla spada, dal potere del cane il mio unico? (Sal. 22:21) Ella ritrattò immediatamente e lo chiamò "leone", come si dice. Salvami dalla bocca del leone (Sal. 22:22). »

La regina Ester occupa la posizione paradigmatica di una figura di salvatore che pronuncia i lemmi del Salmo 22 per invocare l'aiuto di Dio nella sua situazione personale e per il salvataggio dell'intera popolazione ebraica. In un'interpretazione di Rabbi Judah (II secolo) del termine ka’ari (Sal. 22:17) trovato in Midrash Tehillim 22, Ester afferma di essere stata fatta apparire ripugnante. Tuttavia, Rabbi Nehemia deriva ka’ari da una parola greca in prestito, χαρά ("gioia"); quindi, Ester in questa interpretazione è gioiosa. Spiegare un termine critico facendo riferimento a una parola dal suono simile in un'altra lingua è una tecnica midrashica comune. Lemmi dal Salmo 22 sono utilizzati anche per descrivere le azioni dei nemici di Israele. Il leone come avversario si trova anche in 1 Pietro 5:8, che si riferisce al diavolo. Il motivo del cane non mostra solo la minaccia mortale per il corpo, ma anche una minaccia di idolatria. Mentre nel Nuovo Testamento i cani sono gli avversari di Gesù, nei testi rabbinici i "cani" nel Salmo 22 mettono in pericolo la continuazione dell'ebraismo. Questo esemplifica l'attenzione divergente nelle interpretazioni del Salmo 22.

L'interpretazione del verso Salva la mia anima dalla spada, yehidati [il mio unico] dal potere del cane (Sal. 22:21) non si concentra solo sul lemma "cane", ma anche sul "mio unico". Genesi Rabba 46:7 (cfr. Sifre Deuteronomio 313) contiene un'interpretazione che collega questo Salmo all’Aqedah, il sacrificio di Isacco. L'ermeneutica rabbinica colloca il Salmo 22:21 nel contesto del sacrificio di un figlio. Il tuo unico figlio (Genesi 22:12) è implicito e giustapposto a il mio unico (Sal. 22:21); il testo afferma che Dio disse ad Abramo: "Ti do merito, come se ti avessi chiesto di sacrificar te stesso e tu non ti fosti rifiutato". Il mio unico in questo caso indicherebbe che Dio ha riconosciuto la disponibilità di Abramo a sacrificare suo figlio. In un altro midrash, Numeri Rabba 17: 2, un lemma della Genesi Il tuo unico figlio, riferito a Isacco, è cambiato in "la tua anima", il testo di riprova è Salmo 22:21. Il montone sacrificato salva non solo Isacco, ma anche Abramo. Questi brani mostrano un nesso tra Salmo 22:21 e Isacco, il "figlio unico" di Abramo. Il passaggio problematico della Genesi che ignora l'altro figlio di Abramo, Ismaele, è chiarito attraverso questa interpretazione del Salmo 22:21. La seconda parte del versetto contenente il motivo del cane è implicita. Il motivo del cane potrebbe riferirsi al biblico Moloch che richiedeva il sacrificio di bambini,[21] il che rendeva il sacrificio di bambini una pratica idolatra.

Considerando che il leone è un simbolo di forza e regalità, e il cane un simbolo di meschinità e idolatria, il verme è visto come la più umile delle creature nei testi antichi. Israele è considerato umile davanti a Dio; c'è una connessione tra l'abbondante amore di Dio e l'umiltà del popolo ebraico. Il riferimento a un verme come metafora per le persone si trova anche in Isaia che paragona il popolo ebraico a un verme.[22] Nei Salmi 22:7 il re Davide usa questa metafora mentre scrive sulla difficile situazione del suo popolo. Il Talmud babilonese, Hullin 89a, afferma che Dio disse agli Israeliti che li amava perché, anche quando concesse loro grandezza, essi si umiliavano davanti a Lui. Un esempio di una persona umile citata è il re Davide; il testo di prova è "Ma io sono verme, non uomo" (Sal 22:7). In contrasto con la qualità positiva dell'umiltà, questa metafora illustra l'umiliazione del corpo disumanizzato mentre il sofferente sopporta grande dolore. In un contesto messianico, i momenti finali di un Messia sono indicati da questo stato animalesco di sofferenza come un verme. Clemente di Roma[23] ha citò il lemma del Salmo 22:7 come pronunciato da Gesù:

« Prima lettera ai Corinzi 16: E di nuovo Egli dice: "Io sono un verme e non un uomo; [Sal. 22:7] obbrobrio degli uomini e disprezzo del popolo. Tutti quelli che Mi vedono mi scherniscono, parlano tra le labbra e scuotono il capo [Sal. 22:8]: [dicendo] Egli ha sperato in Dio, Lui lo liberi, Lui lo salvi se lo vuole" [Sal. 22:9]. »

Tuttavia, questa condizione umile viene invertita e il Messia viene trasformato in una posizione divina o regale, quando viene elevato a guidare Israele.

Salmo 22 (LXX Ψ 21)[24] e la crocifissione di Gesù[modifica]

Per approfondire, vedi Eli Eli Lama Sabachthani e Ecco l'uomo.
Eli, Eli lama sabactani?
guazzo & grafite su carta di James Tissot, 1886-94

L'uso esplicito del Salmo 22:2 nei Vangeli si trova nella scena della crocifissione, Matteo 27:46 e Marco 15:34.[25] Matteo e Marco descrivono la supplica agonizzante di Gesù dalla croce:

« E, verso l'ora nona, Gesù gridò a gran voce: "Elì/Eloi, Elì/Eloi, lamà sabactàni?" (Ηλι ηλι λαμα σαβαχθανι), cioè: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" »

Le parole iniziali del Salmo 22:2 compaiono in una trascrizione dell'ebraico-aramaico prima di essere tradotte in greco. Gesù che parla in ebraico-aramaico conferisce autenticità alla resa delle sue ultime parole; l'espressione delle ultime parole è paragonabile a numerose scene sul letto di morte nella letteratura postbiblica.[26] Matteo e Marco collocano questa citazione nel momento culminante appena prima della morte di Gesù. Nella versione greca Matteo è più vicino alla versione ebraica, sebbene la traduzione greca di questo lemma dal Salmo 22:2 che si trova nei Vangeli differisca dalla traduzione della Septuaginta dello stesso verso. La versione evangelica dei lemmi del Salmo 22:2 è la più vicina al Targum dei Salmi.[27] Il Nuovo Testamento ha sabachthani nella frase pronunciata da Gesù invece di azavtani nella Bibbia ebraica. Il problema è stato da tempo riconosciuto se sabachthani abbia lo stesso significato di azavtani. Il verbo azavtani deriva da azav (abbandonare, rinunciare, lasciare), mentre la parola sabachthani dei Vangeli non è presente nei primi testi ebraici. Il termine ebraico-aramaico più vicino sarebbe il costrutto artificiale zevahtani. Il termine sabachthani potrebbe forse essere derivato da zavah (sacrificare, macellare [un animale sacrificale]), che si trova nella Bibbia ebraica e nella letteratura rabbinica,[28] ma non nella forma indicata dal brano evangelico (zevahtani). Questo costrutto artificiale non si trova negli antichi testi ebraici; nessun animale sacrificale parla di se stesso. Sulla base dell'associazione con zavah, la frase potrebbe essere resa con "Dio mio, Dio mio, perché mi hai sacrificato?" Se questa interpretazione è corretta, si potrebbe ipotizzare che l'uso di sabachthani nei due Vangeli sia stato progettato apparentemente per rappresentare la scena della Passione come un'offerta sacrificale,[29] correlandola al sacrificio pasquale. L'utilizzo del lemma del Salmo 22:2 come "sacrificato o macellato" nelle Scritture cristiane collegherebbe il termine a Isaia 53:7, che è stato applicato alla morte di Gesù. Il "servo sofferente" in Deutero-Isaia sarebbe stato macellato in futuro come sacrificio: Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca (Isaia 53:7).

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Matt. 27:46; Marco 15:34) è attribuito a Davide in Salmo 22:2. Gli scrittori dei Vangeli capirono che le parole di Davide riguardanti la sua situazione si applicavano alla sofferenza di Gesù ed erano un'espressione di abbandono. In un testo rabbinico che può essere tannaitico, questo cruciale lemma del Salmo è usato per supplicare la misericordia di Dio. Mekhilta, Shirata 3: Mio Dio, mio ​​Dio perché mi hai abbandonato (Sal 22:2) spiega il lemma "Mio Dio (eli)" come indicasse la misura della misericordia (middat ha-rahamim) di Dio. Questo testo in Mekhilta è coerente con l'interpretazione tipologica rabbinica: ogni volta che Dio viene chiamato "El" s'intende la natura compassionevole di Dio, che giudica le persone con la misura della misericordia divina.[30] Ad esempio, Salmo 22:2 appare come la preghiera di Ester nel suo tentativo per salvare gli ebrei di Persia dalla distruzione.[31] L'afflizione espressa nel Salmo è utilizzata per evocare la sofferenza degli ebrei in Persia. Questa sofferenza è invertita dall'intervento divino in risposta alla preghiera di Ester.

Midrash Tehillim 22 contiene la trattazione più ampia del Salmo 22 e della figura del salvatore, la regina Ester. Tra le altre scene della storia del popolo ebraico, questo testo midrashico raffigura Mosè e gli israeliti durante l'esodo al Mar Rosso, come anche il re Ezechia e il profeta Isaia durante l'assedio di Gerusalemme. L'interpretazione midrashica dei primi due versetti del Salmo 22 sottolinea la salvezza del popolo ebraico. Il lemma nel Salmo 22:16 "la mia forza כחי" è letto come "il mio palato, gola" (attraverso la traduzione della metatesi חכי). Salmo 22:16 è applicato alla regina Ester in questo midrash, quando afferma che Ester ha una "gola" secca a causa di un digiuno severo, e in secondo luogo, quando si interpreta che ella è stata costretta a rinunciare alla Torah Orale e Scritta. Questo brano intreccia la domanda su chi offrirebbe lodi a Dio, se Israele dovesse essere distrutto. Il lemma Mio Dio, mio ​​Dio, perché mi hai abbandonato? è sottoposto a decostruzione, per cui ogni segmento è correlato a diverse esperienze umane durante il processo di digiuno. Il versetto è mappato sui tre diversi giorni del digiuno di Ester. La sua pietà si esprime nella sofferenza autoinflitta, simile al digiuno di Aseneth (JosAs 12:8). Mentre il dolore del digiuno e della gola secca è autoinflitto nell'ebraismo, nel contesto cristiano il lemma del Salmo 22 è usato per esprimere il dolore inflitto dal governo romano.

Lemmi significativi del Salmo 22 nell'interpretazione neotestamentaria e rabbinica[modifica]

Oltre alle citazioni dirette del Salmo 22, ci sono numerose allusioni a questo Salmo nel Nuovo Testamento,[32] per esempio: Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico» (Sal 22:8-9). Matteo, Marco e Luca utilizzano lo stesso tema per descrivere le azioni dei nemici di Gesù nei loro racconti della Passione: schernendolo, scuotendo la testa e dicendogli di salvarsi, poiché affermava di essere il figlio di Dio (Matteo 27:39-44; Marco 15:29-32; Luca 23:35-39). Questo adattamento dei lemmi biblici è un'illustrazione di scrittura midrashica con la Scrittura nel Nuovo Testamento. In particolare, Origene, De Principii, Anima 8:1[33] vede l'intero Salmo come un racconto della Passione:

« E nel ventiduesimo Salmo, riguardo a Cristo — poiché è certo, come testimonia il Vangelo, che questo Salmo parla di lui... »

In tutti e quattro i Vangeli: Matteo 27:35; Marco 15:24; Luca 23:34 e Giovanni 19:23-24 — il tirare a sorte e la spartizione delle vesti di Gesù corrispondono al versetto 19 del Salmo:

« I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così. »
(Giovanni 19:23-25)

Il Vangelo di Giovanni afferma che questo versetto era un passaggio profetico e fu adempiuto dai soldati che dividevano i vestiti di Gesù in quattro parti e tiravano a sorte la sua tunica; Giovanni citava il Salmo della Septuaginta come testo di prova per la narrazione. Questo è un altro esempio che illustra come il cristianesimo abbia adattato le parole di Davide per applicarle a Gesù, Salmo 22:19: Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte. I Vangeli sviluppano le metafore e le scene riguardanti le vesti di Gesù alla crocifissione contestualizzando il Salmo nella passione.

Giustino martire, Prima apologia, 38, ampliò la narrazione prima che il Nuovo Testamento canonizzato fosse stabilito:

« E di nuovo quando dice: "Essi gettarono la sorte sulla mia veste e mi traforarono piedi e mani [Sal. 22:19, 17]. Ma io mi coricai e dormii, e mi rialzai, poiché il Signore mi ricevette". Ed ancora quando dice: "Mormorarono con le labbra scossero il capo [Sal. 22:8] dicendo: 'Liberi se stesso'" [Sal. 22:9]. Voi potete conoscere che tutto questo fu operato contro Cristo per opera dei Giudei. Infatti, dopo averlo crocifisso, muovevano le labbra e scuotevano il capo [Sal. 22:8] dicendo: "Egli che ha risuscitato i morti, liberi se stesso"! »

Il versetto precedente, Salmo 22:18, è fondamentale per comprendere il cotesto del Salmo 22:19. La persona i cui vestiti venivano divisi viene descritta che conta le sue ossa, mentre quelli che prendono le sue vesti lo fissano. Quest'uomo affamato è così emaciato che le sue ossa sono visibili. La "voce" qui è ancora il re Davide, come lo è in tutto il Salmo, e usa l'atto di prendere e dividere le sue vesti come riferimento metaforico ai desideri dei suoi nemici per togliergli il mantello della regalità e appropriarsene. Nel cristianesimo, la figura del salvatore che è stata sostituita da re Davide nel Salmo 22 è Gesù.

Il Salmo 22:19 ha una connotazione molto diversa nei testi rabbinici; le vesti sono i possedimenti di Dio che vengono divisi fra le nazioni. Esther Rabbah 1:13 afferma che Israele fu punito e la sua sovranità gli fu tolta e data alle nazioni del mondo. In futuro, quando Israele si pentirà, Dio porterà via il regno dalle nazioni e lo restituirà a Israele; il testo di riprova è Abdia 1:21: Allora dei liberatori saliranno sul monte Sion per giudicare le montagne di Esaù, e il regno sarà del Signore. Come commentato in precedenza, il Salmo 22 ha la caratteristica semiotica di un testo aperto, che porta a molteplici identità delle sue metafore e personae, e le azioni descritte nel Salmo possono quindi avere molteplici applicazioni. Nei testi midrashici possono essere scambiate diverse figure di salvatori; nella corrispondente mossa esegetica viene analizzata un'agiografia o una narrativa storica della salvezza.

Uso liturgico[modifica]

Liturgicamente, il Salmo 22 fa parte del servizio commemorativo di Purim nell'ebraismo[34] e fa parte della liturgia del Venerdì Santo nel cristianesimo. Tracce di un uso liturgico del Salmo 22 e delle sue interpretazioni che presentano una figura salvifica si trovano in testi omiletici rabbinici, come il Midrash Esther nel Talmud babilonese, Midrash Tehillim e Pesiqta Rabbati. Questo uso liturgico dovrebbe essere visto come avvenisse all'interno del trasferimento culturale e della migrazione culturale di idee tra ebraismo e cristianesimo. L'applicazione dei lemmi critici del Salmo 22 a Ester e al Messia Ephraim nei testi omiletici è forse una reazione critica, postneotestamentaria, alla sua applicazione cristiana a Gesù. Per quanto riguarda gli usi liturgici del Salmo 22, è significativo che il Salmo faccia parte della preghiera di Ester, come anche della preghiera di un uomo giusto (Talmud babilonese, Yoma 29a).

In questi due casi l'impostazione della preghiera coinvolge un individuo sotto enorme stress. Diversi passaggi midrashici che interpretano il Salmo 22 potrebbero aver riflesso la liturgia della sinagoga. Menn[35] nota che i passaggi di apertura, petihot (proemi) in Midrash Tehillim sono introduzioni omiletiche a passaggi scritturali letti liturgicamente nel servizio della sinagoga. I vv. 22:1-2 servono da versi introduttivi, i cosiddetti versi petiha, nella maggior parte di questi proemi. Ad esempio, Ester è la "Cerva dell'aurora", la trasposizione midrashica delle lettere ebraiche cambia "cerva" (איילת) nella "forza" (אילותי) di Ester (Sal. 22:20). Potrebbero esserci state occasioni liturgiche per l'uso di Pesiqta Rabbati,[36] che contiene omelie scritte e anche benedizioni (ad esempio, Pesiqta Rabbati 37:9).

Pesiqta Rabbati[modifica]

Ephraim, olio di Francesco Hayez (1844)

Le omelie di Pesiqta Rabbati contengono numerose reinterpretazioni midrashiche dei messia che si basano sui passaggi messianici nella Bibbia ebraica, che sono passaggi chiave nella "teologia dell'adempimento" cristiana, come evidente in Giustino martire:

« Prima Apologia, 35: Che tutto questo sia veramente accaduto, potete apprenderlo dagli Atti redatti sotto Ponzio Pilato. A prova che era stato veramente vaticinato il fatto che si sarebbe seduto su un puledro di asina e sarebbe entrato in Gerusalemme, citeremo le parole della profezia di un altro Profeta, Sofonia [recte: Zacc.]. Eccole: "Gioisci fortemente, figlia di Sion, annunzia, figlia di Gerusalemme; ecco viene a te, mansueto, il tuo re, cavalcando un'asina ed un asinello, puledro di una giumenta". [Zacc. 9:9][37] »

Zaccaria 9:9 è applicato al Messia in Pesiqta Rabbati 34,[38] un midrash omiletico che descrive l'era messianica. È basato sulla lettura Haftarah del quinto Sabbath di Consolazione dopo il Nove di Av, Zaccaria 9:9: "Esulta grandemente, o figlia di Sion! Manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo Re; Egli è giusto e porta salvezza, umile e cavalca un asino, un puledro, figlio d'asina".

Pesiqta Rabbati 34:8

Egli è giusto e redento (Zaccaria 9:9): — [questo è] il Messia che giustifica [il] giudizio [ricevuto da] lui per il bene di Israele mentre siede nella casa d'afflizione [prigione]. E se è chiamato "giusto" [tsaddiq], perché è chiamato "redento [salvato]"? Perché giustificò il giudizio [ricevuto da] lui a causa loro. Disse loro: Siete tutti condannati, tuttavia sarete tutti redenti [salvati] per la compassione del Santo, Benedetto sia Lui.
Afflitto e cavalca un asino (Zaccaria 9:9): — questo è il Messia, perché viene chiamato "afflitto"? Perché fu afflitto durante tutti quegli anni in prigione e perché i trasgressori d'Israele risero di lui [Sal. 22:8].
Cavalca un asino (Zacc. 9:9): — a causa dei trasgressori. Colui che non ha alcun merito andrà e riceverà il merito dei Padri alla presenza di Dio. Il Santo, Benedetto Egli sia, li proteggerà per il merito del Messia in modo diretto, ed Egli vi salverà, poiché sta scritto: Verranno piangendo, li condurrò con suppliche. Li farò camminare lungo corsi d'acqua, per una via diritta sulla quale non inciamperanno, poiché Io sono un Padre per Israele, ed Ephraim è il mio primogenito (31:9).

L'omelia di cui sopra è la prima di una serie di omelie messianiche nella Pesiqta Rabbati. Questa mia sezione stabilisce che i versetti utilizzati dai cristiani riguardo a Gesù furono usati dagli ebrei riguardo all'adempimento del versetto da un Messia di nome Ephraim. Ciò che è particolarmente preoccupante nel testo di cui sopra è l'implicazione che Ephraim, il primogenito di Dio, sia usato in un contesto rabbinico messianico, sebbene sia chiaro nella Bibbia ebraica che Ephraim si riferisce a Israele. L'interpretazione messianica del Salmo 22 traspare in Pesiqta Rabbati 36 e 37.[39] In Pesiqta Rabbati 36 questo Salmo è citato in un'omelia basata su Alzati, risplendi, perché viene la tua luce, la gloria del SIGNORE si è levata su di te. (Isaia 60:1). Questa è una lettura Haftarah per il sesto Sabbath di Consolazione dopo Tisha b’Av (il Nove di Av).

Pesiqta Rabbati, come altri testi rabbinici, collega la sofferenza personale dell'individuo nel Salmo 22 con una figura specifica. Ciò è reso possibile dal ricco linguaggio metaforico del Salmo che, dal punto di vista linguistico, ne consente l'applicazione ad altre figure. In questa omelia, Pesiqta Rabbati 36, si afferma che Il re Davide compose il Salmo 22 per conto del "figlio di Davide", il Messia che avrebbe sofferto per i peccati degli altri. Questa narrazione include le dinamiche della relazione critica tra il salvatore individuale e i giusti. Il futuro trionfo del Messia è raccontato in Pesiqta Rabbati 36:3, che cita Salmi 89:23,24,26. Il passo midrashico segue inoltre la narrazione inscritta del Salmo 22, una progressione di abbandono, minaccia, sofferenza e restaurazione iniziata divinamente. Il Salmo, quindi, fornisce la matrice del racconto messianico in questa omelia rabbinica; simile alla Passione del Nuovo Testamento, il racconto del Messia rabbinico è ancorato alla Scrittura.

Pesiqta Rabbati 36:4

[Dio] cominciò a parlare dei termini con lui [Ephraim], dicendogli: In futuro i peccati di quelli che sono stati nascosti con te, ti porteranno sotto un giogo di ferro. Ti fanno come un vitello i cui occhi si offuscano; e soffocheranno il tuo spirito con il [tuo] giogo; e a causa dei loro peccati la tua lingua si attaccherà al palato (Sal. 22:16) Sei disposto [a sopportare] questo?
Il Messia ha detto alla Presenza [di Dio]: Questa sofferenza [durerà] per molti anni?
Il Santo gli disse: Per la tua vita e per la vita della Mia testa! Ho decretato per te una settimana [sette anni]. Se la tua anima è rattristata, li bandirò immediatamente [le anime peccaminose nascoste con te].
[Il Messia] disse alla Sua presenza: Maestro dell'universo, prenderò questo su di me con un'anima gioiosa e un cuore lieto, a condizione che nessuna [persona] in Israele perisca; [che] non solo coloro che sono vivi debbano essere salvati ai miei giorni, ma che anche coloro che sono morti, che sono morti dai [giorni] del primo essere umano fino ad ora debbano essere salvati [al tempo della salvezza] ai miei giorni {ed. pr.: ma anche quelli abortiti};[40] [compresi] coloro che Tu pensavi di creare, ma che non furono creati. Tali [sono le cose] che io desidero, e per questo sono pronto a prendere [tutto ciò] su di me. {ed. pr.: Allo stesso tempo il Santo, che Egli sia benedetto, nominerà per il Messia le quattro creature che porteranno il trono di gloria del Messia.}

Il testo di cui sopra inizia con: "In futuro i peccati di quelli che sono stati nascosti con te, ti porteranno sotto un giogo di ferro". Pertanto, il Messia Ephraim soffrirà per i peccati degli altri. Inoltre, tutte le "anime" saranno salvate. Per inciso, va notato che Ephraim è anche conosciuto come il "figlio di Giuseppe" in altri testi; non è una coincidenza che il Messia ebreo sia chiamato figlio di Giuseppe, poiché Gesù a un livello era "un figlio di Giuseppe". In Pesiqta Rabbati 36 Ephraim è indicato come il vero Messia, che lo collega al concetto di trionfo sulle nazioni. È ovvio che può esserci un solo vero Messia e questo brano può essere visto come una reazione al concetto di un Messia cristiano. Le iniquità dell'umanità faranno sì che la lingua di Ephraim si incolli al palato in base al Salmo 22:16.[41] Gli autori cristiani interpretarono questo lemma come riferito al silenzio di Gesù durante il suo processo o alla sua sete mentre era crocifisso.[42] Questa "sete", come notato sopra, potrebbe essere una traiettoria del digiuno di Aseneth. In Pesiqta Rabbati Dio predice un periodo di sofferenza di una "settimana", linguaggio apocalittico che si riferisce a un periodo di sette anni. Dopo questo periodo il Messia griderà e implorerà Dio di porre fine alla sua sofferenza, poiché la sua carne e il suo spirito non possono più sopportarla. Il passaggio seguente descrive anche le sofferenze del Messia Ephraim.

Pesiqta Rabbati 36:6

Durante la settimana [periodo di sette anni] in cui [Ephraim][43] verrà, porteranno travi di ferro[44] e gliele metteranno al collo finché il corpo del Messia non sarà piegato. Griderà e piangerà e la sua voce salirà all'alto [dei cieli]. Dirà in Sua presenza: Signore dell'universo, quanto possono sopportare le mie membra? Quanto il mio spirito? Non sono io solo carne e sangue? Fu in questo momento che Davide si lamentò, dicendo: La mia forza si è prosciugata come un coccio (Sal. 22:16). In quell'ora il Santo dice loro {ed. pr.: lui}: Ephraim, Mio ​​giusto Messia, Tu hai già accettato [questa sofferenza] dai sei giorni della Creazione. Ora la tua sofferenza è come la Mia sofferenza, dal giorno in cui il malvagio Nabucodonosor distrusse il Mio Tempio e bruciò il Mio santuario ed esiliò i Miei figli tra le nazioni del mondo, per la tua vita e la vita della Mia testa! Non mi sono seduto sul Mio trono. E se non credi, guarda la rugiada che è sul Mio capo, il Mio capo è pieno di rugiada, [i Miei riccioli di gocce della notte] (Cantico 5:2). In quell'ora, [il Messia] dirà in Sua presenza: Signore dell'universo, ora la mia mente è a riposo, perché è sufficiente che il servo sia come il suo Signore.
Rabbi Levi disse: In quell'ora in cui il Santo dice alla congregazione di Israele: Alzati, risplendi, perché la tua luce è giunta (Isaia 60:1), [Israele] dirà: Signore dell'universo, in futuro Tu ci guidi. A quell'ora il Santo si girerà e riconoscerà [ciò] e le dirà [a Israele]: Figlia mia, hai parlato bene, poiché si dice: Ora parla il mio diletto e mi dice: [Alzati, amor mio, mia bella, e vieni!] (Cantico 2:10).

Il suddetto passaggio sottolinea la sofferenza di Ephraim; la sua sofferenza fu determinata al momento della creazione. Il Salmo 22:16 è usato come testo di riprova quando il Messia si lamenta della sua sofferenza; è confortato da Dio. Il passaggio si basa su tropi che descrivono Dio, che ha sofferto perché il Suo Tempio è stato distrutto. Questo passaggio è posto all'interno dell'interpretazione più ampia del Salmo 36:9: Tu sei la fonte della vita, intesa come Dio che è la fonte della risurrezione. Cantico 5:2 menziona la "rugiada" sul capo di Dio, che nei testi rabbinici indica la risurrezione.[45] Questo ritratto messianico presenta il Messia come la luce di Dio; questa luce è nascosta fino alla fine dei tempi quando risplenderà per Israele.[46] Questo racconto in Pesiqta Rabbati si evolve come una storia raccontata dal darshan (il compositore dell'omelia) sul Messia; le idee sul Messia in Pesiqta Rabbati 36 definiscono la sofferenza del Messia e i compiti che svolgerà alla fine dei tempi. Quando il Messia si rivelerà come re, ogni israelita avrà numerosi discepoli dalle nazioni.

Il primo testo rabbinico medievale che sembra citare questo materiale di Pesiqta Rabbati si trova in Moshe di Narbonne (XI secolo), indicato anche come Moshe Ha-Darshan (il predicatore). Egli presenta un dialogo in cui al Messia viene chiesto da Dio se accetti la sua sofferenza:

Midrash Bereshit Rabbati, Gen. 1:3: I tuoi occhi non vedranno la luce, ma le tue orecchie udranno il grande rimprovero delle nazioni del mondo... la tua lingua si incollerà al palato [Sal. 22:16], la tua pelle si attaccherà alle tue ossa [Sal. 22:18], e il tuo corpo sarà consumato dall'angoscia e dai gemiti.

Il brano appare come un commento a Genesi 1:3; si concentra sul lemma "luce". Allude al Salmo 22 e Isaia 53, il passaggio del Servo Sofferente, citato come prova che il Messia soffrirà.

Un'altra opera rabbinica medievale è Yalqut Shim`oni; in Tehillim 686, che è uno dei pochi brani tardivi che descrivono un Messia sofferente, Shimon Ha-Darshan si riferisce a un figlio sofferente di un re. Il re è inteso come Dio; e l'intero passaggio è un commento al Salmo 60:1-3, che menziona una vittoria del re Davide. Il passaggio è probabilmente volutamente ellittico. Il termine "affidarsi" può anche essere tradotto come "far rotolare qualcosa" [verso Dio] o "gettare un peso" [su Dio].[47]

Si è affidato [gol] al Signore] [Sal. 22:9] tramite una parabola del figlio di un re: Gli fecero portare l'estremità pesante della trave [traversa]. Suo padre guardò e lo vide. Disse loro: Fatemi avere ciò che desiderate e io lo porterò. Così disse il Santo, Benedetto Egli sia, gettate [gol] i vostri peccati su di Me e Io li porterò.

Alcuni brani rabbinici medievali, come anche citazioni nell'opera cristiana Pugio Fidei (di Raimundus Martinus, c. 1280), riflettono l'idea di un Messia sofferente, che porta i peccati di Israele. Arnold Goldberg[48] e Michael Fishbane[49] basandosi su Goldberg, sostengono che il Pugio Fidei[50] contiene brani estratti da Pesiqta Rabbati 36. A mio parere, sono solo parzialmente corretti, poiché uno sguardo ravvicinato alla sezione in discussione in Pugio Fidei rivela un testo combinato basato sia su Pesiqta Rabbati 36 e sia Pesiqta Rabbati 37, nonché il testo sopra citato di Moshe di Narbonne.

Pugio Fidei, 598: Coloro che sono nascosti con te, i loro peccati ti piegheranno (porteranno) sotto un pesante giogo; i tuoi occhi non vedranno la luce, le tue orecchie udranno grandi insulti dalle nazioni del mondo [Sal. 22:7-8], il tuo naso odorerà fetore, la tua bocca avrà un sapore amaro, la tua lingua si attaccherà al palato [Sal. 22:16], la tua pelle si seccherà sulle tue ossa [Sal. 22:18], la tua anima spirerà tra lamenti e sospiri.

Azaria de' Rossi (Mantova, XVI secolo), in Me’or Enayim, capitolo 19,[51] suggerì che i passaggi del Messia sofferente furono aggiunti a Pesiqta Rabbatisotto l'influenza cristiana nel Medioevo. Non è chiaro quando sia emerso questa contesa col cristianesimo, poiché Pesiqta Rabbati ha materiale del I, III e V secolo e fu successivamente editata nel Medioevo.

L’editio princeps di Pesiqta Rabbati (Praga, 1653 o 1657) ha le citazioni più estese dal Salmo 22; come discusso in precedenza, questo Salmo era stato fondamentale nella prima teologia dell'adempimento cristiano. Il precedente Manoscritto di Parma (MS 3122, XIII secolo) cita il Salmo 22:16 e potrebbe alludere ad altri lemmi del Salmo 22; tuttavia, cita principalmente versetti dalle Lamentazioni per fornire la prova scritturale del Messia. Ciononostante, i versetti delle Lamentazioni supportano gli argomenti del testo, perché sono molto simili al Salmo 22. Potremmo avere un caso di referenzialità scritturale o intertestualità non marcata nel manoscritto di Parma della Pesiqta Rabbati. Questo è tipico del midrash che spesso segue la sequenza degli eventi in un testo biblico senza citare l'intero passaggio. Per quanto riguarda i riferimenti cristiani o la loro inversione nella narrazione del Messia sofferente di Pesiqta Rabbati, troviamo che questo testo rabbinico interagisce con riferimenti e allusioni provenienti dalla sfera culturale. Vernon Robbins ha osservato che un testo interagisce "con tradizioni che sono beni ‘culturali’ che chiunque conosca una particolare cultura può utilizzare".[52]

Il Messia ebreo nascosto si riferisce a un essere celeste preesistente, risplendente, maestoso e seduto sul Trono di Gloria. Allo stesso modo, la descrizione cristiana di Gesù, a volte indicata come la "Parola" (Giovanni 1:1,14), afferma che il Messia cristiano era con Dio all'inizio della creazione. Il concetto del Messia nascosto continua nella letteratura mistica midrashica, come il Midrash Konen, raffigurante un Messia nascosto che risiede nel Giardino dell'Eden.[53]

In queste sezioni di Pesiqta Rabbati troviamo reinterpretazioni dei tropi cristiani che riflettono la trasformazione da un Messia celeste a un Messia terreno, che tornerà alla fine dei tempi. Il Messia in Pesiqta Rabbati 36 combina elementi di apocalitticismo e mondanità. Dopo la vittoria in una battaglia apocalittica, il Messia è raffigurato in piedi sul tetto del Tempio (Pesiqta Rabbati 36:9).[54] Questo è uno dei brani messianici più difficili di Pesiqta Rabbati; è indeterminato se questo passo rifletta pensieri esistenti prima della distruzione del Secondo Tempio (70 e.v., da parte dei Romani) o se sottintende che il Tempio distrutto sarà ricostruito quando verrà il Messia. Tuttavia, penso che sia significativo che questo stralcio sia presentato come tannaitico, il che lo collocherebbe in stretta vicinanza temporale al cristianesimo primitivo, quando il Tempio di Gerusalemme era ancora in piedi.

Il compito di Ephraim in Pesiqta Rabbati è di redimere Israele; le sue azioni sono ancorate ai lemmi biblici, che egli adempie. Nell'ermeneutica rabbinica questo adempimento equivale ad un'attuazione dei lemmi. Il testo contiene dialoghi tra Dio e satana e tra Dio e gli angeli delle nazioni. Alla fine, il Messia trionfa su satana. Le nazioni fanno una serie di domande riguardo al Messia. Questa costruzione di risposta alle domande dei gentili consente al darshan di presentare la sua versione del Messia ebraico in risposta al Messia cristiano. Il formato di domande e risposte indica probabilmente la polemica in corso tra i due gruppi.

L'epiteto צדקינו משיח (Pesiqta Rabbati 36 e 37) può essere inteso in due modi: "il nostro vero Messia" o "Messia di giustizia"; questo epiteto compare anche nel siddur, il libro di preghiere. Poiché una frase simile riguardante il Messia si trova in Apocalisse 3:14,19:11, "fedele e veritiero", qui potremmo avere una retorica della redenzione; entrambe le tradizioni rivendicano il loro Messia come il "Verace". Come ha dimostrato Reuven Kimelman, c'era una tale retorica nellAmidah (le Diciotto Benedizioni).[55]

Pesiqta Rabbati 37 continua l'interpretazione di Isaia iniziata in Pesiqta Rabbati 36; questa interpretazione serializzata può essere dovuta all'uso consecutivo delle due omelie in diversi Sabbath di Consolazione. Pesiqta Rabbati 37, basato sul lemma Io gioisco pienamente (Is. 61:10), אשיש שוש contiene benedizioni ripetitive, serializzate, quasi liturgiche. Il Messia Ephraim è rappresentato come il figlio di Dio. Pesiqta Rabbati 37 descrive il Messia seduto in prigione e le nazioni del mondo che lo attaccano e non gli offrono altro che disprezzo. Il Messia Ephraim è preparato per la sua missione e vestito con abiti speciali da Dio. In contrasto con Gesù, le vesti di Ephraim non vengono rubate o spartite. Diversi lemmi del Salmo 22 vengono applicati al Messia e alle battaglie alla fine dei giorni; troviamo i vv. 22:7-8, 22:14-15 e 22:16,18 citati come testi di riprova, come anche numerose allusioni a tale Salmo. Nei seguenti tre passaggi consecutivi, il Messia viene riconosciuto dai risorti Patriarchi di Israele:[56]

Pesiqta Rabbati 37:2: Questo insegna che in futuro, nel mese di Nisan, i Padri del Mondo [Patriarchi] si alzeranno e gli diranno: Ephraim, nostro [vero] Messia giusto, anche se siamo tuoi padri, tu sei più grande di noi, perché hai sofferto [per] le iniquità dei nostri figli e terribili prove si sono abbattute su di te, come mai si verificarono sulle [generazioni] precedenti o successive. Per amore di Israele hai [subito] angoscia, derisione e scherno tra le nazioni del mondo [Sal. 22:7-8]. Ti sedesti nelle tenebre (Michea 7:8) e nell'oscurità, i tuoi occhi non videro luce e la tua pelle si attaccò alle tue ossa [Sal. 22:18], e il tuo corpo era asciutto come un pezzo di legno; e i tuoi occhi non videro la luce e la tua pelle si raggrinzì sulle tue ossa (Lam. 4:8) [Sal 22:18], e il tuo corpo si seccò come il legno e i tuoi occhi si offuscarono per il digiuno – la tua forza si è seccata come un coccio (Sal. 22:16) – tutte queste [afflizioni avvennero] a causa delle iniquità del nostro figli. È tua volontà [di beneficiare] i tuoi figli tramite quella bontà, che il Santo concederà a Israele. Può essere a causa della massima angoscia, che hai sofferto per loro in prigione, che la tua mente è scontenta di loro. Egli disse loro: Padri del Mondo, tutto ciò che ho fatto l'ho fatto solo per il vostro bene e per il bene dei vostri figli e per il vostro onore e l'onore dei vostri figli che trarranno beneficio dalla bontà che il Santo conferirà a Israele. Dissero: Ephraim, nostro giusto Messia, possa la tua mente riposare, poiché hai messo a riposo la mente del tuo Creatore e le nostre menti.
Pesiqta Rabbati 37:3: Rabbi Simeon b. Pazzi[57] disse: In quell'ora il Santo innalzerà il Messia fino al cielo dei cieli, e lo avvolgerà in [qualcosa] del Suo splendore a causa delle nazioni del mondo, a causa dei malvagi Persiani. Egli [Dio] gli disse: Ephraim, Mio vero Messia, sii il giudice di questi e fa' di loro come desidera la tua anima, poiché le nazioni sarebbero state da tempo distrutte da te in un istante se le Mie misericordie non fossero state estremamente potenti per conto tuo, siccome si dice: Non è forse Ephraim un figlio caro per Me, un Mio fanciullo prediletto? [Infatti, anche dopo aver parlato contro di lui, Me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le Mie viscere si commuovono per lui, e avrò certamente compassione di lui] dice il Signore (Geremia 31:20).
Pesiqta Rabbati 37:4: [Perché il versetto menziona] due volte misericordia: Nella misericordia avrò misericordia di lui (Ger. 31:20)? Una misericordia si riferisce all'ora in cui è in prigione, poiché le nazioni del mondo digrigneranno i denti, sbatteranno gli occhi, scuoteranno la testa, apriranno le labbra, poiché si dice: Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo (Sal. 22:8); {ed. pr.: È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto (Sal. 22:16).} Gli ruggiscono contro come leoni e vogliono divorarlo [Sal. 22:14], poiché si dice: Tutti i nostri nemici hanno spalancato la bocca contro di noi (Lament. 3:46). {ed. pr .: come un leone ruggente che sbrana la preda (Ezec. 22:25) Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere (Sal. 22:15). E ruggiscono contro di lui come leoni e immaginano di divorarlo [Sal. 22:14], poiché si dice: Tutti i nostri nemici hanno spalancato la bocca contro di noi.Ci sono venuti addosso il terrore, la fossa, la desolazione e la rovina (Lament. 3:46-47)}. Nella misericordia avrò misericordia di lui (Ger. 31:20) – [riferendosi al]l'ora in cui [Ephraim] lascerà la prigione, poiché le nazioni del mondo lo disprezzeranno. Non c'è un regno o due o tre regni che verranno contro di lui, ma centoquaranta regni lo circonderanno. Il Santo gli dirà: Ephraim, Messia della mia giustizia, non aver paura di loro, perché tutti moriranno dall'afflato della tua bocca, poiché si dice: e con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio (Isaia 11:4).[58]

La data menzionata nel succitato racconto è Nisan; questo è il mese durante il quale ricorre la Pesach (Pasqua), la festa della redenzione dall'Egitto. Elia dovrebbe annunciare l'arrivo del Messia a Nisan. Il 14° giorno di Nisan è la Pasqua biblica, quando gli israeliti macellarono un agnello e ne usarono il sangue come protezione. Lasciarono l'Egitto la sera seguente, il 15 di Nisan, per iniziare l'Esodo. In memoria di questo evento, la Festa degli Azzimi inizia in questo giorno e viene celebrata per sette giorni, suggestivo dei sette giorni del piano universale di Dio. Secondo Giovanni 19:14, Gesù fu crocifisso il giorno prima della celebrazione della Pasqua, precisamente quando gli agnelli furono macellati. Ai giorni di Gesù, per tradizione degli anziani (Giovanni 18:28), si celebrava la cena pasquale il 15 di Nisan. Secondo Marco 14:12-16, Gesù consumò la cena pasquale con i suoi discepoli e fu messo sulla croce la mattina successiva, il giorno di Pesach. Si ipotizza che il mese di Nisan appaia in questi passaggi messianici in Pesiqta Rabbati in risposta alla morte di Gesù. Secondo Rabbi Joshua, il mondo fu creato a Nisan e i Patriarchi nacquero a Nisan.[59] Pesiqta Rabbati collega l'idea di creazione alla redenzione e resurrezione finale, indipendentemente da qualsiasi riferimento cristologico.

Conclusione[modifica]

Un Salmo di sofferenza (Salmo 22) viene applicato al Messia Ephraim in Pesiqta Rabbati e viene creata una narrazione di salvezza. La spiegazione dei lemmi biblici come narrazione è un approccio ermeneutico di alcuni testi midrashici; questo è spesso il caso delle opere omiletiche che creano una narrazione per gli ascoltatori. Pesiqta Rabbati contiene la cristallizzazione rabbinica nel creare una narrazione descrittiva di un Messia ebreo mediante il Salmo 22 e le sue metafore di angoscia. Le allusioni a questo Salmo sono profondamente radicate nella narrativa di Pesiqta Rabbati. Questa storia fa parte di un'agiografia, che assomiglia leggermente ad altre narrazioni di martiri nei testi rabbinici. Inoltre, la narrativa messianica è in qualche modo simile nella costruzione alla narrativa di Gesù nei Vangeli e agli scritti extratestamentari dei Padri della Chiesa. Pesiqta Rabbati applica il Salmo 22 per sostenere il concetto della sofferenza del Messia Ephraim per l'umanità; nel Nuovo Testamento, i lemmi di questo Salmo sono applicati alla Passione.[60] Il Salmo fornisce il linguaggio biblico e il copione drammatico per la descrizione della sofferenza per il Messia ebreo e quello cristiano. In Pesiqta Rabbati emerge un'interpretazione notevole: il Messia soffre per i peccati di Israele e del mondo; Dio fa un accordo con il Messia che sia afflitto per amore dei peccatori.

Dopo un periodo di sofferenza, seguito dalla sua umiliazione e dalla battaglia escatologica finale, il Messia è coinvolto nel Giudizio finale e nella risurrezione dei giusti. Altri testi rabbinici interpretano i lemmi per combinare il Salmo 22 e l’Aqedah, il Sacrificio di Isacco.

Mentre l'influenza diretta dell'interpretazione cristiana del Salmo 22, riferendosi al Gesù sofferente sulla croce, sull'interpretazione ebraica in Pesiqta Rabbati è una questione aperta, l'interpretazione midrashica può essere una reazione polemica all'interpretazione cristiana. L'evidenza della connessione cristiana tra il Salmo 22 e Gesù sulla croce precede l'associazione di questo Salmo con il Messia nell'ebraismo. In entrambe le tradizioni, il Salmo è identificato con una figura centrale che procura la salvezza finale alla fine dei giorni. Il Salmo 22 è fondamentale per la teoria dell'adempimento cristiano, che culmina con l'interpretazione cristologica di tale Salmo. La risposta ebraica a un Messia sofferente inverte l'interpretazione cristiana rendendo il Salmo 22 applicabile a un futuro Messia, Ephraim. Il Salmo 22 divenne fondamentale per i primi cristiani, forse perché forniva la struttura narrativa per un dramma in evoluzione di una persona sofferente che viene salvata. Alcuni aspetti del Salmo lo collegano a tradizioni riguardanti un figlio di Dio, un erede di Davide, un servo del Signore, un profeta, una persona giusta (zaddiq); questi aspetti fornirono il potenziale canale affinché il Salmo 22 diventasse essenziale tra i primi cristiani. Il Salmo 22 fu costruito ermeneuticamente dalla prima interpretazione biblica cristiana ad affermare che esso doveva essere interpretato come un testo profetico riguardo ad un erede davidico, cioè Gesù. In contrasto, l'interpretazione rabbinica in Pesiqta Rabbati applica la sofferenza del re Davide nel Salmo 22 al futuro Messia Ephraim (figlio di Giuseppe), che non è visto come un discendente del re Davide.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche, Ebraicità del Cristo incarnato e Serie cristologica.
  1. Per i riferimenti specifici al Salmo, si veda il testo riportato supra, basato sul testo masoretico con variazioni (CEI, Nuova Diodati, Nuova Riveduta, ecc.)
  2. Theodor Lescow, "Psalm 22 und Psalm 88: Komposition und Dramaturgie", Zeitschrift für die Alttestamentliche Wissenschaft 117 (2005): 217-31.
  3. Fritz Stolz, "Psalm 22: Alttestamentliches Reden vom Menschen und neutestamentliches Reden von Jesus", Zeitschrift für Theologie und Kirche 77 (1980): 129-48.
  4. Si veda Heike Omerzu, "Die Rezeption von Psalm 22 im Judentum zur Zeit des Zweiten Tempels", in Dieter Sänger, cur., Psalm 22 und die Passionsgeschichten der Evangelien (Neukirchen Vluyn: Neukirchener Verlag, 2007), 33-76. La data di Giuseppe e Aseneth è tuttora dibattuta: proviene probabilmente dal I secolo e.v., si veda John Collins, "Joseph and Aseneth: Jewish or Christian?" Journal for the Study of the Pseudepigrapha 14 (2005): 97-112, che conferma l'origine di questa opera nell'ebraismo egiziano, prima della rivolta sotto Traiano.
  5. Non sono d'accordo con questa premessa perché il "leone" in questo passaggio ha una connotazione egiziana ben definita.
  6. Mark G. Vitalis Hoffman, Psalm 22 and the Crucifixion of Jesus (Yale University, 1996), 320, esprime un'idea simile. Catherine Brown Tkacz, "Esther, Jesus, and Psalm 22", Catholic Biblical Quarterly 70 (2008), 709-28; 714, nota 27 si riferisce alla letteratura che asserisce che il Salmo 22 fu iniziaqlmente applicato a Ester e poi a Gesù. Si veda il mio Eli Eli Lama Sabachthani?, Wikibooks 2020.
  7. Omerzu, "Die Rezeption", 58.
  8. James Sanders, The Psalms Scroll of Qumran Cave 11 [11QPsa] (DJD 4) (Oxford: Clarendon, 1965).
  9. Kristin Swenson, "Psalm 22:17 Circling around the Problem Again", Journal of Biblical Literature 123 (2004): 637-48. La traduzione greca "hanno scavato le mie mani e i miei piedi" portò all'interpretazione cristiana "hanno forato le mie mani e i miei piedi" (638); Swenson conclude che il testo consonantico "proposta dai Masoreti" sia il migliore. James R. Linville, "Psalm 22:17B: A New Guess", Journal of Biblical Literature 124 (2005): 733-44; 739, suggerisce "hanno consumato" poiché le versioni antiche presuppongono un verbo in questo passo.
  10. Gregory Vall, "Psalm 22:17B: The Old Guess", Journal of Biblical Literature 116 (1997): 45-56. Michael Barré, "The Crux of Psalm 22:17c: Solved Long Last?" in Bernard F. Batto e Kathryn Roberts, curr., David and Zion: Biblical Studies in Honor of J.J.M. Roberts (Winona Lake, IN: Eisenbrauns, 2004), 287-306; 305 vede 17b e 18a come interconnessi e basati su linguaggi affini; suggerisce la lettura: "le mani vengono a mancare" e "le ossa intonano un lamento funebre", che preserverebbe la struttura chiastica del Salmo.
  11. Si vedano le appendici in Hoffman e la tabella in Conrad R. Gren, "Piercing the Ambiguities of Psalm 22:16 and the Messiah’s Mission", Journal of the Evangelical Theological Society 48 (2005): 283-99, 292.
  12. Un trattato che riguarda la prima interpretazione cristiana si trova in Giustino martire, Dialogo con Trifone 103.8; 99-107.
  13. In questo Capitolo cito da Rivka Ulmer, A Synoptic Edition Of Pesiqta Rabbati Based Upon All Extant Hebrew Manuscripts And The Editio Princeps, vol. 1 (Atlanta: Scholars Press, 1997); vol. 2 (Atlanta: Scholars Press, 1999); vol. 3 e indice (Lanham, MD: University Press of America, 2002); rist. voll. 1-3, 2009. A mia volta ritraduco in (IT) dall'ingl. di Rivka Ulmer. Il simbolo [] indica aggiunte del redattore o allusioni ai versetti; il simbolo {} indica varianti testuali.
  14. Il problema di baraitot fittizie fu riconosciuto da Louis Jacobs, "Are there Fictitious Baraitot in the Babylonian Talmud?" HUCA 42 (1971): 186-96.
  15. Judith M. Lieu, "Justin Martyr and the Transformation of Psalm 22", in Charlotte Hempel e Judith M. Lieu, curr., Biblical Traditions in Transmission, Supplement Journal for the Study of Judaism (Leiden: Brill, 2006), 195-211.
  16. Phillip Schaff, Ante-Nicene Fathers, vol. 1 (Peabody, MA: Hendrickson, 1994), 174-75.
  17. Lieu, "Justin Martyr", 197.
  18. Naomi Koltun-Fromm ha ricercato questo sviluppo in "Psalm 22’s Christological Interpretive Tradition in Light of Anti-Jewish Polemic", Journal of Early Christian Studies 6 (1998): 37-57, 55.
  19. Lieu, "Justin Martyr", 209.
  20. Philip Nel, "Animal Imagery in Psalm 22", Journal of Northwest Semitic Languages 31 (2005): 75-88, 81.
  21. Si veda 2 Re 3:21-27; 16:1-4; 21:1-8; 23:4-11.
  22. Non temere, o Giacobbe, vermiciattolo, o residuo d’Israele. "Io ti aiuto", dice il Signore e tuo Redentore, il Santo d’Israele (Isaia 41:14); Bildad il Suchita, uno degli amici di Giobbe, utilizza lo stesso paragone: Quanto meno l’uomo, che è un verme, il figlio d’uomo che è un bruco! (Giobbe 25:6).
  23. Philip Schaff, The Apostolic Fathers (Peabody, MA: Hendrickson, 1994), 9.
  24. Va notato che la numerazione dei Salmi è leggermente deviante nella Septuaginta; ad esempio, le soprascritte (usualm. in corsivo) non fanno parte della numerazione nella LXX.
  25. Stolz, "Psalm 22,", 146, elenca la distribuzione dei lemmi dal Salmo 222 in Marco.
  26. I testamenti nei Pseudepigrapha.
  27. Per ulteriori dettagli, si veda Esther Menn, "Nor Ordinary Lament: Relecture and the Identity of the Distressed in Psalm 22", Harvard Theological Review 93 (2000): 301-41, 330.
  28. Tra la moltitudine di esempi, si veda Mekhilta, Pisha, 4; Mishnah, Menahot 7:6; Bavli, Pesahim 70b.
  29. Targum Yonathan riporta Eli, Eli, metul mah shevaqtani. Il verbo shevaqtani deriva dall'aramaico shevaq [lasciare, abbandonare]. Il testo greco non è preciso o consistente nella sua traslitterazione dall'aramaico; potrebbe quindi essere lontanamente possibile che l'aramaico shevaqtani fosse diventato sabachthani nel processo di traslitterazione.
  30. Per esempio, Midrash Sekhel Tov, Shemot 15, cita Salmo 22:2; si veda anche Yalqut Shim`oni Beshallah, 244.
  31. Menn riassume alcune delle interpretazioni rabbiniche di lemmi singoli dal Salmo 22 nel corpus rabbinico; si veda anche Brown Tkacz, che considera la Regina Ester come messia femminile, 710-11.
  32. Una tabella di questi passi si trova in Hoffman, 392.
  33. Philip Schaff, Fathers of the Third Century: Tertullian, Part Fourth; Minucius Felix; Commodian; Origen, Parts First and Second (Peabody, MA: Hendrickson, 1994), 287
  34. Ismar Elbogen (tr. Raymond Scheindlin), Jewish Liturgy: A Comprehensive History (Philadelphia: The Jewish Publication Society, 1993), 110-11.
  35. Menn, "Nor Ordinary Lament", 318.
  36. Ulmer, A Synoptic Edition, xix-xxii.
  37. Phillip Schaff, Ante-Nicene Fathers, vol. 1 (Peabody, Mass.: Hendrickson, 1994), 174-75.
  38. Citato in Yalqut Shim’oni, Sofonia 567.
  39. Pesiqta Rabbati 36 viene parzialmente citata in Yalqut Shim’oni, Isaia 494, 499 e Pesiqta Rabbati 37 in Yalqut Shim’oni Geremia 515.
  40. Ed. pr. (editio princeps) si riferisce alla prima edizione stampata.
  41. Hoffman, Psalm 22, 165, evidenzia le letture varianti nelle prime traduzioni bibliche, tra cui gola, laringe e mascella.
  42. Hoffman, Psalm 22, 360.
  43. Il testo contiene "ben David", sebbene continui con il "Messia Ephraim". Ciò può indicare la fusione di idee messianiche in Pesiqta Rabbati; in alternativa, potrebbe essere dovuto a uno dei numerosi errori di scrittura nel manoscritto di Parma.
  44. In Apocalisse 19:15 la figura messianica ritorna a regnare con una "verga di ferro"; questo termine è un simbolo di potenza. Pesiqta Rabbati applica il termine alla potenza del governare. Nei Salmi di Salomone la figura messianica è un re ad immagine di Davide (Salmi Salom. 17:21); egli abbatterà gli oppressori gentili di Gerusalemme con una verga di ferro.
  45. Si veda Rivka Ulmer, "Consistency and Change in Rabbinic Literature as Reflected in the Terms ‘Rain’ and ‘Dew’", Journal for the Study of Judaism 26 (1995): 55-75.
  46. Il Messia quale luce del mondo si trova nel Talmud babilonese (Bavli), Shabbat 116b; simile in Genesi Rabbah 2:4.
  47. Dörte Bester, Körperbilder in den Psalmen, FAT, 2, 54; (Tübingen: Mohr/Siebeck, 2007), 57.
  48. Arnold Goldberg, Erlösung durch Leiden: Drei rabbinische Homilien über die Trauernden Zions und den leidenden Messias Efraim (Pesiqta Rabbati 34.36.37), Frankfurter Judaistische Studien, 4 (Frankfurt am Main, 1978), 261; e Ich komme und wohne in deiner Mitte: Eine rabbinische Homilie zu Sacharja 2,14 (Pesiqta Rabbati 35), Frankfurter Judaistische Studien, 3 (Frankfurt am Main, 1977).
  49. Michael A. Fishbane, "Midrash and Messianism: Some Theologies of Suffering and Salvation", in Peter Schäfer & Mark Cohen, curr., Toward the Millennium: Expectations from the Bible to Waco (Leiden: Brill, 1998), 57-71.
  50. Benedikt Carpzov, cur., Raimundus Martinus, Pugio Fidei (Leipzig: Johannis Wittegau, 1687, rist. facsimile Farnborough: Gregg Press, 1967), 416.
  51. Me’or Enayim (Vilna, 1863-66, rist. Gerusalemme: Maqor, 1970), 250; Joanna Weinberg, cur., Azariah de’ Rossi Meor Eynaim: The Light of the Eyes. Trad. dall'ebr. (New Haven: Yale University Press, 2001). Questa opera potrebbe essere una risposta parziale alla polemica cristiana contro le idee rabbiniche.
  52. Vernon K. Robbins, Exploring the Texture of Texts: A Guide to Socio-rhetorical Interpretation (Valley Forge, PA: Trinity Press, 1996), 58. Per esempio, un'allusione diegetica è citata in Luca 1:1.
  53. "La quinta camera: [qui è dove] dimorano il Messia ben David, Elia e il Messia Ephraim. Elia gli tiene la testa e la lascia appoggiare sul suo petto. Lo incoraggia e gli dice: sopporta il tormento e il giudizio del tuo Signore mentre Egli ti punisce per il peccato di Israele, poiché la Scrittura dice: È trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità (Isaia 53:5) fino al tempo in cui arriva la fine. Ogni lunedì, giovedì, Shabbat e giorno di festività gli antichi Patriarchi, Mosè, Aronne, Davide, Salomone, l'intera linea regale, i profeti e i pii vengono a salutarlo [il Messia] e a piangere insieme a lui. Gli esprimono gratitudine e gli dicono: Sopporta il giudizio del tuo Signore, perché la fine è quasi arrivata, e le catene che sono sul tuo collo saranno spezzate e te ne andrai in libertà". Jellinek, BHM, 2:29.20-33, simile in 2:50.5-9. Qui Isaia 53:5 si applica al Messia ebreo.
  54. In Matteo 4:5, è il diavolo che pone Gesù sul pinnacolo del Tempio; Pesiqta Rabbati 36:9 può riflettere un processo in cui un elemento di un'altra cultura viene incorporato, sebbene modificato, il che poi si traduce in una risposta invertita alle forze apocalittiche del male nel suo riferimento al Messia sul tetto del Tempio.
  55. Reuven Kimelman, "The Literary Structure of the Amidah and the Rhetoric of Redemption", in Dever, W.G. e Wright, J.E., curr., The Echoes of Many Texts: Reflections on Jewish and Christian Traditions. Essays in Honor of Lou H. Silberman, BJSt 313 (Atlanta: Scholars Press, 1997), 171-218.
  56. Il dialogo tra i Padri ed il Messia è citato in Pirqe Mashiah (BHM 3:73, basato su Pesiqta Rabbati).
  57. Babilonia, III secolo.
  58. Si veda Yalqut Shim`oni, Isaia 56: "Questa è la luce del Messia, poiché sta scritto nel Salmo (36:9): Per la Tua luce noi vediamo la luce".
  59. Talmud babilonese, Rosh Ha-Shanah 11a.
  60. Le parole d'apertura sono citate in Matteo 27:46 e Marco 15:34.