Tarantino/Prefazione: storia e classificazione

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Storia[modifica]

Come tutte le lingue romanze, il dialetto tarantino è il risultato dell'evoluzione della lingua latina diffusa nell'area tarantina a partire dal 272 a.C., anno della conquista della città da parte dei Romani in seguito alle Guerre pirriche. La specifica evoluzione del tarantino ha risentito dell'opera sia di sostrati precedenti la latinizzazione dell'area, sia di adstrati intervenuti nei secoli successivi.

Ad agire da sostrato fu soprattutto il greco parlato nella Magna Grecia: fondata, secondo la tradizione, nel 706 a.C. come colonia spartana (Τάρας), la città emerse come uno dei principali centri politici, culturali, poetici e teatrali tra le colonie Magna Grecia. Il sostrato greco ha lasciato un notevole influsso linguistico sul tarantino, sia dal punto di vista lessicale sia da quello morfo-sintattico, nonché un particolarissimo accento che secondo gli studiosi doveva corrispondere all'antica cadenza dorica. Questi influssi sono ancora oggi notabili in parole di origine greca[1]. Nel 272 a.C. la città diventò dominio romano e il latino soppiantò gli idiomi di sostrato; nel tarantino sono presenti vocaboli di origine latino volgare non conservati in italiano[2], nonché la circonlocuzione verbale con il verbo scére + gerundio (dal latino ire iendo), e l'affievolimento delle -i- atone.

Successivamente, sulla varietà tarantina di latino volgare iniziarono ad agire le lingue di adstrato che si succedettero nell'area nel corso dei secoli. Durante il periodo bizantino e longobardo, la lingua tarantina acquistò un carattere molto originale per l'epoca: le /o/ dittongarono in /ue/[3], le /e/ in /ie/[3] (esito condizionato dalla presenza nella sillaba finale di /i/ o /u/[4][5][6]) ed il vocabolario si arricchì di nuovi vocaboli[7].

Nel IX secolo la città divenne dominio saraceno con la conseguente introduzione di vocaboli arabi[8].

Con l'arrivo dei Normanni nel 1071 e degli Angioini nel 1266, la lingua tarantina perse buona parte dei suoi tratti orientali e venne influenzata da elementi francesi[9], francoprovenzali e gallo-italici, come la /e/ muta finale. Nel 1502 Taranto cadde sotto il dominio degli Aragonesi; per tre secoli lo spagnolo fu la lingua ufficiale della città, e attraverso di esso entrarono a far parte del vocabolario tarantino altri vocaboli[10].

Dal 1801 la città fu per breve tempo di nuovo sotto il dominio delle truppe francesi, che lasciarono un'ulteriore impronta linguistica francese.

È da ricordare che Taranto ha fatto parte del Regno di Napoli, il che spiegherebbe alcuni termini in comune con il napoletano. Le influenze arabe, unite a quelle francesi, hanno portato ad una massiccia desonorizzazione delle vocali, trasformandole in /e/ semimute, causando così un notevole aumento fonetico dei nessi consonantici. Oggi, la particolare chiusura vocalica e l'allungamento delle "vocali dure", hanno dato al dialetto tarantino una cadenza che ricorda molto un "dialetto arabo", se pur con qualche accenno alle sonorità doriche arcaiche.

Classificazione[modifica]

Negli ultimi due secoli, il dialetto tarantino è stato oggetto di continui studi, non solo per capirne la complessità fonetica e morfologica, ma soprattutto per riuscire a dargli una collocazione definiva in mezzo agli innumerevoli dialetti meridionali. Il dilemma è sempre stato se fosse stato più opportuno classificare il dialetto tarantino tra i dialetti pugliesi o tra quelli salentini.

Il primo a notare una notevole divergenza fonetica con gli altri dialetti del Salento fu Michele De Noto che, nel suo saggio Appunti di fonetica del dialetto di Taranto, getta le prime basi per lo studio del vocalismo e del consonantismo dialettale. Anche Rosa Anna Greco nel suo contributo Ricerca sul verbo nel dialetto tarentino, affronta apertamete la tematica dialettale tarantina, cercando di dimostrare l'appertenenza all'area linguistica pugliese. Greco nota come nel tarantino, oltre alla metafonia e al dittongamento condizionato, vi sia anche un turbamento delle vocali toniche in sillaba libera: 'nzòre [sposo], pròche [seppellisco], náte [nuoto] e la pronuncia indistinta delle vocali atone, cosa che manca nell'area brindisina e in quelle adiacenti.

Un paio di anni dopo, Giovan Battista Mancarella scrive Nuovi contributi per la storia della lingua a Taranto, dove appoggia la tesi di Greco. Tramite inchieste e sondaggi, egli elenca tutta una serie di particolarità tipiche delle parlate pugliesi:

  • le postnasali -NT-,-MP-, -NC-, -NS- hanno subito tutte la sonorizzazione;
  • le vocali e e o hanno suono stretto in sillaba libera e un suono allargato in sillaba chiusa.

Per la morfologia verbale, si vanno confermando alcune oscillazioni tipiche dell'area pugliese, come gli infiniti apocopati, le doppie desinenze per l'indicativo imperfetto ed il perfetto e le desinenze -àmme e -èmme.

Ma Mancarella offre anche un'ampia serie di particolarità che potrebbero far rientrare il tarantino tra i dialetti salentini:

  • la scomparsa delle doppie desinenze forti -abbe e -ibbe per il perfetto (ancora in uso nell'area barese e materana);
  • la presenza tipica del brindisino-orientano di dittongazioni metafologiche, come i verbi appartenente alla seconda classe in ó che danno sempre u, e quelli in é che si distinguino in due gruppi, uno che dà un i e l'altro che dà in ie.

Successivamente è Giancinto Peluso a voler risollevare la questione di appartenenza del diletto tarantino all'area pugliese. In Ajère e ôsce - Alle radici del dialetto tarantino, conferma le ricerche effettuate da Greco e da Mancarella con altri punti di contatto tra il tarantino e il pugliese:

  • la tendenza a turbare le vocali toniche in sillaba libera o in direzione palatale (máne, cápe) o in direzione velare (vóce, buóno), mentre i dialetti salentini hanno vocali toniche ben distinte (càpu, vòce);
  • la riduzione di tutte le atone finali ed interne, al contrario del sistema salentino che articolare sempre tutte le atone;
  • la sonorizzazione del postnasali, che in salentino rimangono intatte;
  • le desinenze dell'imperfetto -áve e -íve, che in salentino sono -aa e -ii, e le desinenze del perfetto in -éve e -íve, che in salentino sono -ai e -ii;
  • il sistema del possessivo tipico pugliese a due forme (maschile e plurale, e femminile) contro quello salentino ad una forma soltanto;
  • l'uso del congiuntivo nell'ipotetica irreale, mentre il salentino continua ad usare l'indicativo.

A sostenere invece la tesi secondo la quale in dialetto tarantino appartenga all'area salentino, sono soprattutto gli studiosi Heinrich Lausberg e Gerhard Rohlfs. Lausberg nota una concordanza tra il tarantino e il brindisino nell'esito fonetico che accomuna i continuatori e ed o stretti e aperti, confluiti sempre in suono aperto (cuèdde, strètte, pònde), mentre Rohlfs mette in evidenza l'uso della congiunzione cu + presente indicativo per tradurre l'infinito ed il congiuntivo, costrutto tipico dei dialetti salentini. Nel Vocabolario dei dialetti salentini di Rohlfs si contano più di tredicimila voci latine, oltre ventiquattromila greche e circa trecentoquaranta tra spagnole, portoghesi, catalane, provenzali, celtiche, còrse, germaniche, inglesi, turche, albanesi, dalmate, serbe, rumene, ebraiche, bèrbere ed arabe.

Oltre ad alcune similitudini morfo-sintattiche con i dialetti salentini, il tarantino vanta anche numerosissimi vocaboli in comune col Salento, tanto da farlo includere da Rohlfs nel suo Vocabolario dei dialetti salentini, e collocandolo soltanto dal punto di vista lessicale, tra i dialetti calabresi e siciliani. Tuttavia, le divergenze fonetiche con i dialetti salentini nonché il numero elevato di vocaboli e particolarità che sono originali tarantine, fanno vacillare questa tesi, mettendo in difficoltà gli studiosi.

Di sicuro il sostrato greco è ancora ben visibile, con numerosi derivati sia lessicali sia sintattici. Si prenda ad esempio la frase "ecco il taxi" e si confrontino le traduzioni in greco e tarantino:

  • να το ταξί [na to taxì];
  • nà 'u taxí.

Come si può ben vedere, le due frasi sono somiglianti (να το - nà 'u), e questo non è che solo uno dei tanti esempi di similitudine col greco. Un tipico costrutto ereditato è costituito da un particolare tipo di periodo ipotetico, dove la costruzione italiana "se avessi, ti darei" è resa in tarantino con la forma greca "ce avéve, te dáve". Altro grecismo puro è la perdita dell'infinito dopo i verbi che esprimono un desiderio o un ordine: vògghie cu vvóche [voglio andare (lett. voglio che vado)], o un ordine: dìlle cu accàtte [digli di comprare]. Anche in ambito fonetico i residui del solstrato greco sono ben visibili:

  • la sonorizzazione delle postnasali (come avviene nel greco moderno per i nessi ντ e μπ);
  • la tendenza ad accentuare i monosillabi e i bisillabi sull'ultima vocale;
  • l'esito nelle voci posteriori di -o- in -u-: sckamunére > gr. σκαμόνιον [skammónion].

Gli studiosi che si cimentano con lo studio del dialetto tarantino, non possono non tener conto di questi importantissimi dati, che escluderebbero a priori la possibile appartenenza ad un gruppo pugliese. Oggi il dibattito sulla classificazione di questo dialetto è ancora aperto, e studiosi e linguisti continuano a discutere sulla sua filogenesi.

Note[modifica]

  1. Vocaboli di origine greca:
    • celóne > χελώνη (kelóne) [tartaruga];
    • cèndre > κέντρον (kèntron) [chiodo];
    • ceráse > κεράσιον (keròsion) [ciliegia];
    • mesále > μεσάλον (mesálon) [tovaglia];
    • àpule > απαλός (apalós) [molle];
    • tràscene > δράκαινα (drákaina) [tipo di pesce].
  2. Vocaboli di origine latino volgare:
    • dìleche > delicus [mingherlino];
    • descetáre > oscitare [svegliare];
    • gramáre > clamare [lamentarsi];
    • 'mbise > impensa [cattivo, malvagio];
    • sdevacáre > devacare [svuotare];
    • aláre > halare [sbadigliare].
  3. 3,0 3,1 Walter Wartburg, Die Entstehung der romanischen (p. 139), Tubingen, 1951.
  4. AA.VV., L'Italia linguistica odierna e le invasioni barbariche in "Rendiconti Cl. di Sc. Mor. e st. della Regia Accademia d'Italia" (7.3 pp. 63-72 e ss.), 1941.
  5. Benvenuto Aronne Terracini, Italia dialettale di ieri e di oggi, Torino, 1958.
  6. Giuliano Bonfante, Latini e Germani in Italia (pp.50-51), Brescia, 1965.
  7. Vocaboli di origine longobarda:
    • sckife > skif [piccola barca];
    • ualáne > gualane [bifolco];
    • chiaràzze > chiarazz [pianta di campo].
  8. Vocaboli di origine araba:
    • masckaráte > mascharat [risata].
  9. Vocaboli di origine francese:
    • fesciùdde > fichu [coprispalle];
    • accattáre > achater [comprare];
    • pote > poche [tasca];
    • 'ndráme > entrailles [interiora].
  10. Vocaboli di origine spagnola:
    • marànge > naranja [arancia];
    • suste > susto [tedio, uggia].