Umorismo ebraico e storielle yiddish/Capitolo 10
La tradizione sovversiva delle donne comiche ebree
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"Let the fat girl do her stuff!" urlò il pubblico una sera quando una giovane Sophie Tucker stava salendo sul palco. Anche allora, Tucker sapeva che le dimensioni non contavano “if you could sing and make people laugh”.[1] Tucker è una delle sei comiche veterane descritte nel film documentario del Jewish Women's Archive, Making Trouble, che ha usato non solo il suo corpo ma anche il suo spirito ebraico sovversivo per far ridere la gente. Del gruppo, solo la scrittrice Wendy Wasserstein non è salita sul palco, ma si unisce alle altre donne umoriste in questo film grazie al suo lascito di personaggi femminili stimolanti e problematici. Come le altre, Wasserstein non ride tanto delle donne ma delle cose che le donne trovano strane e divertenti. Vuole dar loro dignità piuttosto che renderle caricature. Commenta Wasserstein:. "Women who shopped at S. Klein’s and Orbachs. Women who knew their moisturizer", come Gorgeous Teitelbaum, la sanguinosa matrona di The Sisters Rosensweig.[2]
Fanny Brice, Molly Picon e Gilda Radner che ti prendono in giro libidinosamente potrebbe non sembrare dignitoso, e certamente Joan Rivers che fa battute su vagine collassate che sembrano pantofole con coniglio non lo è certamente.[3] Ma le performance di queste comiche mostrano che le donne ebree possono essere orgogliose della tradizione comica in cui sono state pioniere. Mentre la predominanza degli ebrei nella commedia americana è ben nota (una statistica spesso citata è che la piccola percentuale di ebrei negli Stati Uniti costituiva l'ottanta per cento dell'industria comica), la commedia delle donne ebree è passata in gran parte inosservata.[4]
Eccezioni di spicco a questo fallimento critico includono Sarah Blacher Cohen, autrice dell'articolo del 1987, "The Unkosher Comediennes: From Sophie Tucker to Joan Rivers", e June Sochen, il cui saggio "Fanny Brice and Sophie Tucker: Blending the Particular with the Universal", appare nella raccolta di Cohen del 1983 sul teatro e il cinema ebraico.[5] Il pezzo di Cohen sulle “unkosher comediennes” presentava “brazen offenders of the faith” come Sophie Tucker, Belle Barth, Totie Fields e Joan Rivers, che violarono allegramente la concezione della modestia femminile presentata dalla Torah. Scrive Cohen: "As creatures of unclean lips, they make dirty, they sully, they corrupt, but they also shatter taboos and liberate their audiences".[6] Concentrandosi su Brice come anche su Tucker, Sochen ritrae il tema della “vittima” femminile in aggiunta al tipo “aggressivo” creato da Tucker e successivamente da vilde chayes, le “donne selvagge” di cui Cohen scrive nel suo articolo “unkosher”.[7]
Circa due decenni dopo, il film del Jewish Women's Archive, Making Trouble (già citato nel precedente Capitolo), mostra il percorso di tre generazioni di donne ebree comiche, tra cui Molly Picon, Gilda Radner e Brice dal lato più gentile dello spettro comico, e poi anche Tucker e Joan Rivers come le rappresentanti volgari. Inoltre, c'è la drammaturga Wasserstein, che si considerava una scrittrice di commedie, e sottolinea il ruolo significativo svolto dalle autrici ebree nello sviluppo dell'umorismo ebraico.
Adempiendo alla missione dell’archivio di raccontare e trasmettere la storia nascosta del contributo delle donne ebree alla storia e alla cultura americana, Making Trouble proclama che esiste un'autentica tradizione di umorismo delle donne ebree.[8] Dal teatro e dal cinema yiddish, al vaudeville e al burlesque, ai nightclub, ai club di improvvisazione e di cabaret, alla radio, alla televisione, al palcoscenico di Broadway e al cinema di Hollywood, le donne ebree ci hanno fatto ridere in una miriade di locali di spettacolo. In ciascuna di queste arene, sfidavano le modalità convenzionali dell'umorismo. Quando parlano, si agitano in piedi o addirittura si siedono (come le quattro comiche più giovani di Making Trouble – Judy Gold, Jackie Hoffman, Corey Kahaney e Jessica Kirson – che ci guidano lungo il film mentre chiacchierano nella famosa Katz's Delicatessen di New York), queste donne creano umorismo parlando tramite le loro sensibilità femminili. La scrittrice Anne Beatts, intervistata nel segmento di Gilda Radner in Making Trouble, scherzato dicendo che nessuno degli scrittori di Saturday Night Live (SNL) notava l'umorismo nella frase secondo cui a un personaggio mancavano pochi chiodi di garofano per finire un pomo d'ambra (pomander ball).[9] Nessuno degli uomini del SNL sapeva cosa fosse un chiodo di garofano (sebbene il produttore esecutivo Lorne Michaels immaginasse che fosse una spezia), tanto meno un pomo d'ambra, ma le due donne nello show trovavano umorismo in questo termine oscuro e un modo per scherzare su cose femminili in un mondo maschile.
Non è che l'apprezzamento dell'umorismo da parte delle donne ebree sia passato inosservato: si pensi a Sarah, che ride quando Dio la informa dell'imminente nascita di suo figlio nonostante la sua età avanzata. (E Sarah chiama questo figlio “Itzhak” o “Isaac” יִצְחָק, che significa “egli ha riso”).[10] Ma il ruolo della donna ebrea come comica professionista è stato ampiamente trascurato. Il badkhen, parola yiddish (בּדחן) che significa giullare o clown, che aveva intrattenuto gli ebrei in Europa per centinaia di anni con le sue spiritose rime, composte sul momento in occasione dei matrimoni, ebbe un'influenza formativa sui creatori del teatro yiddish e può essere visto come il precursore del cabarettista di oggi. Tuttavia, questa importante icona ebraica, così come l'importante tradizione da lui avviata, è stata sempre considerata interamente maschile.
Andare in America significava rompere il modello del Vecchio Mondo secondo cui gli uomini di solito recitavano in commedie, come rende chiaro Making Trouble. Le donne ebree divennero importanti artiste comiche nella generazione di immigrate, con talenti comici come Tucker, Brice e Picon. Le loro routine comiche esprimevano le esperienze e i desideri di molte ebree di seconda generazione mentre passavano al pubblico tradizionale. Gertrude Berg, che iniziò la sua lunga carriera televisiva alla radio NBC nel 1929, è un altro esempio di donna ebrea che intratteneva il pubblico con un umorismo particolarmente etnico.[11]
In ogni generazione successiva, le comiche ebree contribuirono a modellare i contorni della commedia americana. Queste pioniere comiche furono seguite da un nuovo gruppo, formatosi nell'accademia dei club di improvvisazione e liberato grazie al femminismo, che le portò a inventare nuove forme di commedia, più satiriche e apertamente ribelli rispetto alle loro predecessori. Elaine May, Joan Rivers, Gilda Radner, Roseanne Barr ed Elayne Boosler furono tra queste innovatrici.
Una terza generazione di comiche femminili ebraiche venne alla ribalta negli anni ’90 e riempie oggi i locali tradizionali e alternativi dello spettacolo comico. Queste donne, che sono emerse tramite club di cabaret e spesso appaiono in televisione a tarda notte, su HBO, Comedy Central e in film e teatro, sono più diversificate rispetto alle precedenti coorti di comiche femminili, e includono talenti come Susie Essman, Wendy Leibman, Rita Rudner, Sarah Bernhard, Rain Pryor, Carol Leifer, Lisa Kron, Amy Borkowsky, Page Hurwitz, Cathy Ladman, Sherry Davey, Julie Goldman, Betsy Salkind, Susannah Perlman, Cate Lazarus, Jesse Klein e Sarah Silverman. Queste comiche possono essere aggressive e oscene quanto i loro coetanei maschi, ma enfatizzano i punti di forza delle donne in modi che le distinguono da molte comiche precedenti.
Quando guardiamo la traiettoria storica delle donne comiche ebree, le troviamo in ogni generazione in ogni angolo della cultura americana. Come i comici ebrei maschi, le donne hanno dimostrato superbe abilità verbali e un uso magistrale dell'ironia, della satira e della presa in giro, compresa l'autoironia. La loro eredità di ebree – in particolare l'esperienza diasporica di vivere tra due mondi – ha dato loro un forte vantaggio critico e la capacità di esprimere le ansie e le debolezze della cultura contemporanea. Tuttavia, c'è qualcosa di unico nelle comiche ebree che le distingue dai coetanei maschi.
Come rivela la battuta del “pomander ball”, molte di queste comiche concentrano il loro umorismo su un punto di vista specificamente femminile – e spesso femminista – che mette in mostra questioni di particolare rilevanza per le donne. Sia che siano state esplicitamente oscene in routine sessualmente franche e spesso poco signorili alla maniera di Sophie Tucker, Belle Barth, Pearl Williams, Patsy Abbot, Bette Midler o Joan Rivers, o che abbiano presentato sfide più innocenti – pensiamo a Molly Picon, Fanny Brice, Gilda Radner e Goldie Hawn: queste comiche hanno ampliato i confini del pensiero convenzionale sulla commedia e sui ruoli di genere. La risata che suscitano è potente e sovversiva.
Forse è perché l'umorismo femminile spesso affronta le incongruenze e le ingiustizie di un mondo basato sulle distinzioni di genere. Quando le donne usano l'umorismo per esprimere e ridere delle loro visioni del mondo, non possono fare a meno di sfidare le strutture sociali che tengono le donne lontane da posizioni di potere. Alcune lo fanno esplicitamente, altre puntano i riflettori verso l'interno e le questioni di genere sono espresse in modi autoironici. Ma poiché le aspettative sono che gli uomini scherzino e le donne ricevano (o siano bersaglio di) umorismo, il fatto che le donne si limitino a prendere il microfono come interpreti comiche sconvolge le norme di ruolo.[12] Il loro umorismo sfida le strutture che tengono le donne lontane dal potere rivolgendo la nostra attenzione alle cose che contano per le donne. La comica Kate Clinton ha definito le umoriste femministe “fumerists”, un termine che cattura l'idea di essere divertenti e allo stesso tempo di voler bruciar casa.[13] Nella sua influente opera del 1976, The Laugh of the Medusa, la teorica francese (ebrea) Hélène Cixous parlò del potenziale rivoluzionario dell'umorismo femminile, esortandole “to break up the ‘truth’ with laughter . . . in order to smash everything, to shatter the framework of institutions, to blow up the law”.[14]
Le comiche ebree sono riuscite ad ampliare i confini della commedia convenzionale e dei ruoli di genere. Dice June Sochen: "A performing Jewish woman is a force to be reckoned with, and possibly feared".[15] Non sono state semplicemente divertenti, ma trasformative.
Molly Picon
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Molly Picon, nata Margaret Pyekoon nel Lower East Side di New York City nel 1898, iniziò la sua carriera teatrale esibendosi con una compagnia di repertorio yiddish a Filadelfia, dove sua madre si trasferì dopo che suo padre aveva abbandonato la famiglia. Picon divenne la prima grande star internazionale del teatro yiddish.[16] Quando presentava interpretazioni umoristiche della difficile situazione degli immigrati ebrei di prima e seconda generazione, il pubblico riconosceva “in her highly magnified or distorted humor the stuff which makes up their own lives.”.[17] Minuta (1,50m) ma vivace (all'età di ottant'anni faceva ancora le capriole), Picon recitò in una varietà di locali e nel teatro yiddish: radio, televisione, Broadway, film yiddish e americani.
Molto spesso la Picon interpretava giovani ragazze che si vestivano o si comportavano come ragazzini, parti scritte per lei dal marito, regista e produttore immigrato polacco Jacob ("Yonkel") Kalich, che sposò nel 1919. Kalich la convinse a intraprendere una carriera nel teatro yiddish piuttosto che sul palcoscenico di Broadway, al quale aspirava, e la portò nei grandi teatri yiddish d'Europa, "to perfect my Yiddish, to get my star legs". Esibendosi in tutto il continente in opere originali di Kalich, Picon venne lanciata verso la celebrità nel ruolo del tredicenne Yonkele, nell'opera omonima prodotta da Kalich a Vienna nel 1921. Tra il 1922 e il 1925, interpretò personaggi simili in commedie yiddish come "Tzipke", "Shmendrik" [Loser], "Gypsy Girl", "Molly Dolly", "Little Devil", "Mamale" [Mommy], "Raizele", "Oy is Dus A Madel" "[What a Girl] e "The Circus Girl".[18] Anche nella mezza età, Picon continuò a reinventare il suo personaggio trasgressivo e maschiaccio, amato dal pubblico. Il suo film più famoso fu Yidl Mitn Fidl (Yiddle With His Fiddle) del 1936, in cui l'attrice trentottenne interpretava una ragazza travestita da adolescente in modo che lei e suo padre potessero guadagnarsi da vivere come musicisti itineranti. Infatti, disse Picon, interpretò il ruolo di “Yonkele” almeno “3 000 volte”: "Deep down within me, I was Yankele [sic]. I still am".[19]
Fanny Brice
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Fanny Brice (nata Fania Borach) è stata "one of the great, great clowns of all time", secondo l'opinione del famoso regista George Cukor.[20] Apparendo in burlesque, vaudeville, drammi, film, riviste musicali (tra cui nove Ziegfeld Follies tra il 1910 e il 1936) e alla radio (aveva il suo programma radiofonico Baby Snooks dal 1944 fino alla sua morte nel 1951), Brice ha avuto una carriera durata più di quattro decenni. La biografa Barbara Grossman osserva che la star costruì la sua carriera su "manic mimicry and exuberant buffoonery", entrambe radicate nella parodia yiddish. Quando all'inizio della sua carriera Brice andò dal cantautore di Tin Pan Alley, Irving Berlin, questi le diede un nuovo testo, "Sadie Salome", con le parole "With your face, you should sing this song", e la esortò ad adattarvi un accento yiddish. Brice imparò l'accento soprattutto per la parte – la più riuscita di tutte le sue apparizioni teatrali – e diventò un marchio di fabbrica delle sue routine nel burlesque e nella commedia musicale.[21] Subito dopo aver iniziato ad apparire sul palco Ziegfeld, e sebbene Brice non si conformasse agli standard di bellezza femminile, le Follies si rivelarono un meraviglioso veicolo per il suo talento parodico. Dice Grossman: "If she could not be the prettiest girl on the stage, she would be the funniest".[22]
L'ampio umorismo fisico e la mimica di Brice differivano dall'ingenuità dei ruoli di bambina/donna di Molly Picon. La Brice si specializzava nella rappresentazione dell'incongruenza: interpretò la ragazza ebrea/indioamericana Rosie Rosenstein; un'evangelista e neofita nudista, entrambe con accento yiddish; una ragazza ebrea, Sascha, diventata moglie di un sultano; e la signora Cohen in “Mrs. Cohen at the Beach", una "consummate yenta" che tormentava i suoi figli.[23] Che fosse indiana, araba o qualsiasi altro personaggio etnico, con il suo accento e dialetto yiddish, Brice usciva costantemente dal personaggio, commentando le assurdità dell'azione in corso. E annunciava di essere ebrea.
C'era un lato serio nella commedia della Brice. Con numeri come "Second-Hand Rose", "My Man" e "Oy, How I Hate that Fellow Nathan", derideva l'inaffidabilità degli uomini e anche se stessa. Il pubblico si ritrovavano nelle sue argute critiche agli uomini e al matrimonio o alle espressioni di delusione e infelicità perché sapevano che questi ritratti provenivano dalla vita di Brice. Affermava: "In anything Jewish I ever did, I wasn’t standing apart, making fun of the race. I was the race, and what happened to me on the stage is what could happen to them".[24]
Combining a "‘traditional’ feminine concern for others, albeit in a funny vein with a style and persona rooted in her Jewish environment", la Brice attingeva alle questioni attuali relative a tutte le persone, nonostante la sua pronunciata etnicità.[25] Tuttavia, nel 1923, volle interpretare ruoli più universali e si sottopose a un lavoro al naso per alterare il suo aspetto, un evento che finì sulla prima pagina del New York Times. Ma le parti desiderate non si materializzarono mai: a quanto pare Brice si era "cut off her nose to spite her race", scherzò Dorothy Parker, il tutto inutilmente.[26] Apparentemente il pubblico la preferiva così com'era: una comica ebrea talentuosa, scandalosamente divertente e di buon umore. Disse la Brice una volta: "If you are a comic, you have to be nice. And the audience has to like you. You have to have a softness about you because if you do comedy and you are harsh, there is something offensive about it".[27] E June Sochen asserisce:
Sophie Tucker
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Sophie Tucker (al secolo Sonya Abuza) occupa un posto speciale nella tradizione della commedia femminile ebraica per la longevità con cui è stata al centro dell'attenzione – oltre sessant'anni nel settore, era chiamata la “Queen of Show Business” – ma anche per la sua tipica trasgressività.[28] Usando umorismo e autoironia, Tucker cantava canzoni “hot” con titoli come “Nobody Loves a Fat Girl But How A Fat Girl Can Love”, “That Lovin’ Soul Kiss”, “Everybody Shimmies Now”, “Vamp, Vamp, Vamp" e "Who Paid the Rent for Mrs. Rip Van Winkle when Rip Van Winkle Was Away". Il suo messaggio era che tutte le donne, anche quelle “grandi e brutte”, hanno bisogno di sesso e amore.
Proprio nel momento in cui il vaudeville e il burlesque stavano diventando sempre più attenuati mentre raggiungevano un pubblico familiare più ampio, Tucker riuscì a eludere la censura dell'intrattenimento di massa; la sua presunta "ugliness" e le sue dimensioni le permisero di sfidare le norme sociali della femminilità e del comportamento da "brava ragazza". Eddie Cantor scherzò dicendo che Sophie Tucker "sings the words we used to write on the sidewalks of New York".
Tucker non aveva intenzione di diventare una comica. Se ne andò di casa a diciassette anni, lasciando il suo bambino di un anno con sua madre, Jenny, a Hartford, per una carriera nel mondo dello spettacolo come cantante. I vicini di Hartford rimasero scioccati: "they said only a bad woman would do such a thing. I must be a bad woman – a whore, in the unvarnished language of the Scriptures".
Lentamente, Tucker costruì la sua carriera, cantando nei Rathskellers, diventando una famosa "coon singer" dalla faccia nera, una delle poche donne a dipingersi di nero alla maniera di Eddie Cantor e Al Jolson. Ma si sentiva a disagio con la faccia nera perché mascherava la sua vera identità. A volte Tucker si toglieva un guanto per mostrare che era bianca, e c'era un sussulto sorpreso, "then a howl of laughter". Avrebbe anche aggiunto alcune parole yiddish "to give the audience a kick" e per dimostrare che era bianca ed ebrea.
L'idea di diventare un'attrice comica venne alla Tucker per caso. Un giorno un direttore di teatro la mandò avanti senza la faccia nera, dicendole che il suo baule era andato perduto. La sera, vestita con un abito nero da principessa strettamente allacciato ("like a baloney in mourning", disse), con un lungo strascico di volant di chiffon rosso, scivolò durante un inchino e si impigliò il tallone tra le volant del vestito. "Down I went on my fanny like a ton of bricks", ricordò. Gli applausi furono assordanti; anche il cast strillava dalle risate. Era nata Sophie la comedienne.
Non fu solo nei panni della volgare “Red Hot Mama” che Tucker raggiunse le vette della celebrità. La sua canzone più famosa fu infatti "My Yiddishe Mama", introdotta nel suo repertorio dopo la morte di sua madre, Jennie Abuza, nel 1925. Jennie morì mentre Tucker stava attraversando l'Atlantico, di ritorno da uno spettacolo a Londra. La sua morte fu profondamente traumatica per la cantante, che rimase “paralizzata” mentre si esibiva ad una serata di beneficenza per la Jewish Theatrical Guild alla Manhattan Opera House. Portata giù dal palco, rimase a letto per settimane, senza più fiducia in se stessa. Dopo un certo tempo, il suo accompagnatore di lunga data scrisse per lei “My Yiddishe Momme” e l'effetto fu catartico. Successivamente Tucker cantò "My Yiddishe Momme" al Palace Theatre e al Winter Garden di New York, dove "there wasn’t a dry eye in the house". Successivamente la cantò in giro per gli Stati Uniti e in tutta Europa, dove ebbe sempre un successo.
Sophie Tucker fu un'efficace "Red Hot Mama" proprio perché il pubblico credeva che dicesse la verità sulle proprie esperienze. Parte di questa autenticità risiedeva nella rivelazione emotiva di Sophie riguardo al suo background yiddish/ebraico e nel suo profondo amore per la sua yiddishe mama. Naturalmente, questa Yiddishe Mama era una costruzione tanto quanto lo era la “Red Hot Mama”, dal momento che Jennie Abuza non sedeva mai a casa, piangendo in silenzio i giorni che passavano, ma piuttosto era un'attivista dinamica che gestiva il ristorante di famiglia ed era la leader della comunità filantropica ebraica di Hartford.
Una generazione di giovani americani crebbe ascoltando in segreto i dischi della Tucker, spesso proibiti dai genitori; altri andavano alle sue esibizioni dal vivo nei nightclub. Era una delle preferite in Inghilterra, anche tra i reali. ("Hi ya, king!" Tucker scherzava in modo irriverente con uno dei suoi fan più accaniti, il re.) "The Last of the ‘Red Hot Mamas’" morì nel 1966. Sebbene non fosse una "nice Jewish girl" per gli standard della generazione di sua madre, fu una delle prime femministe della "popular culture" americana e tra le voci comiche ebraiche più celebrate.
Con la morte di Sophie Tucker e la fine della lunga serie di commedie “Goldberg” di Gertrude Berg un decennio prima, il testimone passò a una nuova generazione di comiche femminili. Un nuovo stile di commedia ebraica femminile, frenetica, alla moda e profondamente satirica, emerse a sostituire le comiche femminili pionieristiche della generazione precedente.
Il nuovo stile di commedia venne inaugurato da un gruppo di talentuosi autori satirici, uomini e donne: Lenny Bruce, Mort Sahl, Shelley Berman e gli straordinari Mike Nichols ed Elaine May. Sebbene Nichols e May si esibissero solo per quattro anni, terminando la loro collaborazione nel 1961, lasciarono il segno nella commedia per gli anni a venire.
Le comiche femminili ebraiche che emersero attraverso il percorso di Second City — Elaine May, Joan Rivers e Gilda Radner — raggiunsero l'apice negli anni ’60 -’70. A questa ondata comica si unì un altro gruppo di comiche ebree incoraggiate dal movimento femminista, in particolare durante gli anni ’80, quando la maggiore fiducia nel femminismo permise alle donne di ridere di se stesse in modi nuovi e di ridere degli altri.
Joan Rivers
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"I am not the ideal Jewish woman", ammette Joan Rivers in una commedia girata in Making Trouble. Dice: "I love to take [my audience] to the edge. I love to get them upset and ruin their value system".[29] Conosciuta per la sua aggressività e il suo stile spinto "unkosher", secondo le parole di Sarah Cohen, Rivers (nata Joan Molinsky), laureata al Phi Beta Kappa Barnard College e figlia di un medico ebreo di Brooklyn, si esibì per oltre quarant'anni. Facendo il suo debutto televisivo al Tonight Show di Johnny Carson nel 1965, continuò a condurre un talk show diurno, divenne la prima conduttrice ospite solista del Tonight Show e nel 1986 ebbe il suo spettacolo a tarda notte sulla nuova rete Fox. Nel 1990 Rivers vinse un Emmy come Outstanding Talk Show Host. Fu anche autrice di due libri di successo, Having A Baby Can Be A Scream (1975) e Life and Times of Heidi Abromowitz (1984), e scrisse e interpretò un dramma di Broadway ben recensito, basato sulla vita della madre di Lenny Bruce, Sally Marr and Her Escorts (1994).[30]
La Rivers lottò a lungo per trovare il suo stile comico. Fece fiasco nelle Catskills, sentendosi non "ethnic enough" e non le piaceva il modello seguito dalle pioniere comiche dell'epoca, come Phyllis Diller, "basically doing a woman’s version of men’s acts".[31] Lavorando con la sua “anima gemella” comica, la scrittrice Treva Silverman, che appare nel segmento di Rivers in Making Trouble, Rivers iniziò gradualmente a trovare la sua voce comica. Elaine May fu un modello per entrambe le donne: "an assertive woman with a marvelous, fast mind and, at the same time, pretty and feminine. We did not know any other women like that".[32]
La svolta di Rivers arrivò a Second City, dove iniziò nel 1961: "the best girl since Elaine May". Ma Rivers non era la tipica ragazza “compliant” e “uncompetitive” di Second City, e trovava profondamente preoccupante la riluttanza della troupe a trattarla da pari a pari. Ciononostante, sente di essere “born as a comedian” a Second City: “No Second City, no Joan Rivers”.[33] Vedere Lenny Bruce esibirsi per la prima volta al Greenwich Village fu un altro punto di svolta. Da Bruce imparò che "personal truth can be the foundation of comedy, that outrageousness can be cleaning and healthy. I had found the key. My comedy could flow from the poor, venerable schlepp Joan Molinsky."[34]
Rivers creò un personaggio di nome Rita, "the urban ethnic loser girl who cannot get married", che secondo lei sarebbe diventato il segreto del suo successo, permettendo a Rivers "to turn autobiography into comedy and touch all women". Rita era Joan Rivers in tutta la sua disperazione: "I’m not married and life is awful, so what’s wrong with me? And finally, I’m married: Why is everything still wrong?... Rita worked because people recognize insecurity and respond to it, because everybody is like me".[35]
Rivers capì di far parte di una nuova generazione di commedie di transizione che si stava lasciando alle spalle la litania di battute di una riga delle comiche tradizionali. Nichols e May erano stati i pionieri del nuovo stile — "a much more personal comedy that described humor behavior by describing our own behavior". La Rivers usò questo stile per parlare apertamente dei suoi travagli emotivi e anche del sesso. "I was becoming a nice Jewish girl in stockings and pumps saying on stage what people thought but never said aloud in polite society."[36] Menzionare la parola “tamponi”, diceva, fu la sfida più grande della sua carriera. Ma mentre Sophie Tucker (insieme alla sfacciata volgarità di Pearl Williams, Belle Barth e Patsy Abbot) si esibiva nello spazio limitato dei nightclub e degli LP comici, Rivers realizzava le sue parodie sulla TV nazionale, testando i limiti del medium. Nonostante la sua routine spigolosa, non minimizzò mai la sua ebraicità, anche se il suo agente spesso la avvertiva che era “too Jewish” e “too New York” per gran parte del paese.[37]
Lo stile autoironico che divenne il marchio di fabbrica della Rivers coesiste con un umorismo molto più aggressivo che prende di mira gli altri, spesso con grande crudeltà. Sarah Blacher Cohen ritiene che Rivers assomigli alla tradizionale yente, "a woman of low origins or vulgar manners, a scandal-spreader and rumormonger", sebbene il suo pungente sarcasmo non sia indiscriminato ma diretto alle celebrità e alle "persone di alto rango".[38] Ma Rivers offre un contrasto con queste routine attraverso il suo personaggio di Heidi Abromowitz – "her comically spiteful portrayal of the nice Jewish girl’s direct opposite . . . the sexual transgressor . . . the whore with the heart of gold. Devoid of moral constraints, she can take the lid off her id and fly away on the wings of an ego. And we, who are grounded by our multiple repressions, are temporarily seduced into flying away with her".[39] Nel corso della sua lunga carriera, la Rivers introdusse anche personaggi femministi, con battute ostili rivolte ai ginecologi e ad altri esponenti della struttura del potere maschile che umiliavano le donne.[40]
Quale che sia la routine, Rivers sputa battute beffarde e nervose che Cohen vede come piene di "unkosher chutzpah". Per i suoi critici, tuttavia, è semplicemente “abrasive, tasteless, profane”. La Rivers si difende da tali accuse e afferma: "You have to be abrasive to be a current comic. If you don’t offend someone you become pap".[41] Per Rivers, l’umorismo funge da “medium of revenge” attraverso il quale le comiche "deflate and punish rejection".[42] E aggiunge: "Comedy is power. The only weapon more formidable than humor is a gun".[43]
Gilda Radner
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Gilda Radner (il nome della famiglia originariamente era Ratkowsky) decise di essere divertente da adolescente, quando si rese conto che "she wasn’t going to make it on her looks".[44] Tredici anni più giovane della Rivers, Radner utilizzava un umorismo molto diverso da quello del suo predecessore, sebbene anche lei avesse iniziato alla Second City (la compagnia di Toronto).
Con i suoi compagni attori di Second City, Radner era un membro dei Not Ready for Primetime Players, che divenne il primo cast di Saturday Night Live (SNL), debuttando con recensioni entusiastiche nel 1975. Radner divenne una delle preferite del pubblico con i suoi personaggi femminili ingegnosi e adorabili — tra cui, la sciatta insegnante Emily Litella; l'adolescente stupida Lisa Loopner; le brillanti giornaliste Roseanne Roseannadanna e "Baba Wawa" (Barbara Walters); e Rhonda Reiss, una "Jewish princess" di Long Island.
Autoproclamatasi "total child of television", cresciuta ammirando le comiche di un'età precedente, Radner forniva un nuovo modello per le comiche femminili. Descritta come una "thirty-three-year old who had a band-aid on her knee", Radner combinava l'innocenza di una ragazzina con una fresca follia satirica alla moda che incantava sia il pubblico che i suoi compagni attori. Di lei dice Steve Martin: "She was so happy on camera; she was the sweetest, kindest, funniest person... You really came to love her".
L'autenticità nelle interpretazioni della Radner non sta nel fatto che interpreta se stessa, ma nel fatto che la vulnerabilità di tutti i suoi personaggi – una vera parte dell'essenza di Gilda Radner – traspare. Non c'era niente di ostile in lei. Piuttosto, eccelleva nella commedia fisica alla maniera di una Fanny Brice, e la versatilità delle sue interpretazioni ricordava la sua eroina, Lucille Ball.
Radner non esitava a interpretare personaggi ebrei, anche se alcuni, come la sua famosa parodia pubblicitaria "Jewish Jeans", crearono polemiche. Con frasi come "she shops the sales for designer clothes/she got designer nails and a designer nose", alcuni pensavano che fosse "troppo ebrea", troppo "Jappy" (acronimo derogatorio di Jewish American Princess (JAP/JAPPY)). Ma in Making Trouble, la scrittrice Marilyn Suzanne Miller nota che è Radner, la ragazza dei jeans ebrea della parodia, che le altre cantanti multiculturali aspirano ad essere: lei è il loro obiettivo, la donna ebrea ha trionfato. Come le altre comiche del film, Radner non ha paura di strizzare l'occhio al pubblico, proclamando la sua ebraicità. Si riferiva sempre a se stessa come "this Jewish girl from Detroit".
Radner odiava l'idea, tuttavia, che “if you were Jewish and a comedian, you had to be unattractive”. Combattè la propria battaglia contro la bulimia per gran parte della sua vita, ma insisette, come chiarisce il film, di essere una "beautiful girl with great legs and I am also funny: Live with it!"[45]
Wendy Wasserstein
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La drammaturga vincitrice del Premio Pulitzer Wendy Wasserstein, la prima donna a vincere un Tony per un'opera di un solo autore, può sembrare una scelta insolita da includere in un film sulle comiche ebree. Ma Wasserstein si è sempre considerata una scrittrice di commedie, intendendo la commedia come “a broader category than just fun and jokes”.[46] La sua voce comica è stentorea nei suoi drammi, e le piaceva scrivere anche per serie comiche televisive e saggi umoristici. In Making Trouble, Wasserstein rappresenta tutte le scrittrici ebree che hanno creato commedie, tra cui Ann Beatts, Rosie Schuster, Treva Silverman e Marilyn Suzanne Miller, che appaiono tutte nel film.
Nata a Brooklyn, Wasserstein frequentò brevemente la Yeshivah di Flatbush prima di passare a un'esclusiva scuola privata per ragazze di Manhattan. Si laureò al Mt. Holyoke College, attingendo alle incongruenze della sua esperienza in questa scuola WASP di alto livello, tutta al femminile, nella sua prima opera teatrale, Uncommon Women and Others, prodotta off-Broadway nel 1977. Seguì Isn’t It Romantic? nel 1981; The Heidi Chronicles, vincitore del Premio Pulitzer, di un Tony Award e di numerosi altri premi, nel 1988; e The Sisters Rosensweig nel 1992.[47]
The Sisters Rosensweig, l'opera più esplicitamente ebraica di Wasserstein, preoccupava i colleghi che pensavano che avrebbe potuto non funzionare bene nel Middle America. "Believe it or not, I’ve heard there are sisters beyond the Mississippi", rispose l'autore, mantenendo il titolo e il focus dell'opera.[48] The Sisters Rosensweig racconta la storia di tre sorelle, che somigliano molto a Wasserstein e alle sue due sorelle, che trascorrono un fine settimana a Londra per festeggiare il compleanno della maggiore. Sara, fredda e controllata, espatriata e atea, è una potente banchiera internazionale che ha rinunciato a ogni possibilità di romanticismo mentre entra nel suo cinquantaquattresimo anno. La "funsy", attenta ai vestiti, loquace Gorgeous, leggermente più giovane, è una casalinga, madre e membra del tempio della periferia di Boston, dove è una personalità di talk-show. Pfeni, single e quarantenne, è l'"ebreo errante" della famiglia, una giornalista itinerante che vaga per il mondo alla ricerca di cause e storie.
Quando lo spettacolo finisce, le identità che la drammaturga stabilisce per le sorelle evaporano e vengono rivelate in modi sorprendenti. Wasserstein ci porta dentro il materialismo apparentemente superficiale di Gorgeous, mostrando tanta compassione per le sue lotte quanto per quelle delle sue sorelle più intellettuali e orientate al successo. Afferma Wasserstein: "I grew up with the Dr. Gorgeous’ of the world. I loved them".[49] Lei e Madeline Kahn, la talentuosa comica ebrea che interpretava il ruolo a Broadway, credevano che il pubblico si sarebbe identificato con il personaggio: molti di loro erano Gorgeous, pensava Wasserstein. (Il personaggio in realtà si ispirava a sua madre, Lola, e a sua sorella, soprannominata “Gorgeous”.) Gorgeous non sarebbe certo stata “a joke”, non l'estrema JAP resa da tante altre scrittrici umoriste, ma un personaggio con tratti ebraici familiari, finalmente reso con empatia.[50]
La Wasserstein dovrebbe essere vista come una vera “reformer” sociale, come sostiene June Sochen nel caso di comiche come Tucker e Brice. Tramite la loro commedia, queste donne hanno offerto al pubblico “unpopular views in a popular mode, aspiring to change their audience’s... values".[51] E sebbene Sarah Blacher Cohen fosse preoccupata che il femminismo e la commedia potessero escludersi a vicenda – il femminismo avrebbe potuto portare a un “rigid sense of political correctness that has a dampening spirit on humor”, pensava – le opere di Wasserstein mostrano invece la compatibilità della commedia e del pensiero femminista.[52]
Il potenziale radicale dell'umorismo: donne comiche ebree contemporanee
[modifica | modifica sorgente]Le umoriste ebree sono oggi più ampiamente accettate che mai. Il documentario The Aristocrats, in cui a 100 comici viene chiesto di interpretare la stessa barzelletta oscena, è dominato dagli ebrei. Sebbene ci siano relativamente poche comiche nel film, molte di loro sono ebree: Wendy Leibman, Susie Essman, Rita Rudner, Judy Gold, Cathy Ladman e la sexy, sorniona e sardonica Sarah Silverman. Oltre a queste, le comiche ebree che si esibiscono oggi includono Jackie Hoffman, Cory Kahaney, Sarah Bernhard, Rain Pryor, Carol Leifer, Lisa Kron, Amy Borkowsky, Jessica Kirson, Sherry Davey, Julie Goldman, Betsy Salkind, Cate Lazarus, Susannah Perlman e Jesse Klein.
Perché le comiche ebree sono così importanti oggi? Perché sembra essercene così tante e perché sono ovunque?
Un fattore è l'enorme crescita dei comedy club avvenuta dopo la fine degli anni ’80. Ai comedy club si è aggiunta un'ampia rete di piccoli teatri e sale comiche underground, alternative, "hipster" e spazi-club in cui possono esibirsi cabarettisti, commedianti-sketch e gruppi di improvvisazione. Inoltre, c'è il percorso del festival per lo stand-up, l'improvvisazione, la sketch comedy e i cortometraggi.
Questo mondo interattivo consente a molte comiche più giovani di prender piede nel mondo della commedia. Le opportunità nel mondo televisivo, in particolare nella televisione via cavo, dove le giovani comiche vengono reclutate per cabaret, sketch comedy e spettacoli improvvisati come artiste e scrittrici, hanno ampliato le possibilità per le comici. Lavorando in più generi, le comiche fortunate oggi possono essere sperimentali e avere successo commerciale.
Un secondo fattore è che oggi le donne hanno molti più modelli di riferimento che mai. Nell'era postfemminista, le donne sono diventate prominenti in tutte le professioni: negli affari, nel diritto e nella medicina; come registi, produttrici teatrali e attrici; e a tutti gli effetti nella televisione, in particolare nella televisione via cavo, e nella performance art. Le comiche giovani vedono davanti a loro una pletora di modelli comici femminili. Un quarto di secolo di comiche del Saturday Night Live e di comiche femminili di tutte le etnie altamente visibili hanno ampliato i tipi teatrali interpretati dalle donne. Ciò contrasta con l'esperienza delle prime comiche d'improvvisazione, per le quali gli unici modelli di ruolo erano le donne che interpretavano “angeli in casa”, “madri” e “puttane” o erano stravaganti svitate alla Lucille Ball, zitelle austere come Eve Arden, o, dal punto di vista di Joan Rivers, donne comiche che si comportavano troppo come gli uomini.
Anche il fiorire della cultura gay ha stimolato la commedia femminile: oggi ci sono molte comiche lesbiche, comprese le comiche lesbiche ebree, e queste donne hanno innovato materiale fresco e potente. Secondo Susie Essman, che interpreta la sboccata Suzy Green in Curb Your Enthusiasm, "really good lesbian stand-ups... are happier with power, not like straight [comedians] trying to be nice young ladies".[53]
Infine, c'è l'importanza della commedia stessa nel mondo di oggi. Il grande successo di The Daily Show di Jon Stewart, di The Colbert Report e del canale Comedy Central sottolinea il ruolo centrale che la commedia ora gioca: molte persone credono che questi programmi siano l'unico posto dove possono ottenere le loro notizie e la verità.
Tutti questi fattori hanno dato potere alle comiche contemporanee, incluse molte umoriste ebree, e hanno contribuito a catapultarle verso il successo comico.
Le carriere delle quattro comiche di "Katz’s Deli" in Making Trouble suggeriscono il tipo di problemi e gli stili di performance che caratterizzano le comiche ebree contemporanee. Rivelano anche che, nonostante le molte nuove arene per le commediennes femminili, resta il fatto che essere ebrea e donna nello “all boys club” della commedia può ancora essere scoraggiante. Alla comica del Katz’s, Cory Kahaney, è stato spesso detto di mantenere i suoi atti "Jew-free", ma non ha mai nascosto la sua identità ebraica.[54] Osserva Jackie Hoffman nel film: "It’s a very big thing among Jews when someone’s Jewish. So whatever comic or whoever in the performing world was Jewish, it was a huge deal". Le pioniere di Making Trouble hanno aiutato queste donne a trovare la loro voce e il loro stile comico.
Judy Gold
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Judy Gold (en) e Judy Gold (es). |
Judy Gold ha vinto due Emmy Awards per aver scritto e prodotto The Rosie O'Donnell Show, un Cable Ace Award per il suo speciale HBO, ed è stata nominata due volte come cabarettista più divertente dagli American Comedy Awards. Più recentemente ha tenuto show personali di successo, "25 Questions for a Jewish Mother" e "Mommy Queerest".[55]
Spesso le esibizioni di Gold sono poco più che un flusso di battute su madri ebree: "My mother is the most annoying person on the face of the earth, a miserable human being... You can say something to her and she cannot only make it negative, she makes it about herself. What are you having for New Year’s, filet mignon? I’ll be eating shit". (L'autobiografia appena pubblicata di sua madre, ha scherzato, si intitola I Came, I Saw, I Criticized.) Lesbica che sta crescendo due figli con il suo ex compagno, Gold spesso scherza dicendo che le dispiace per i suoi figli perché loro hanno due madri ebree. Scherza dicendo che da bambina, ogni volta che usciva di casa, sua madre temeva che le succedesse qualcosa; quando una volta tornò a casa con quarantacinque minuti di ritardo, sua madre aveva già chiamato la polizia e stava servendo loro i suoi rugelach fatti in casa nel suo salotto. I ritardi di Gold portò sua madre ad attaccarle un timer alla cintura per ricordarle di tornare a casa in tempo. Niente giochi e divertimenti in questa famiglia: la storia preferita di Mrs. Gold da leggere ad alta voce alla bambina era la versione pop-up del Diario di Anne Frank.
Essendo uno shtick ebraico facilmente riconoscibile, la routine di Gold ha un successo immediato, suscitando una risposta riflessa che consente agli spettatori di ridere di questo umorismo “insider”. Gold crede che il suo umorismo sfidi piuttosto che reificare gli stereotipi, mettendo in luce le vere donne dietro di essi. Il pubblico risponde alle battute sulla madre ebrea perché in effetti sono stereotipi. Rendere eccessivi gli stereotipi mediante l'umorismo insultante può effettivamente farli esplodere, rivelando attraverso l'esagerazione che, nonostante il nocciolo di verità che può nascondersi al loro interno, la caricatura è anacronistica e errata.
Dice la Gold: "To be a great stand-up, you have to tell the truth and you have to draw upon your own experience... Otherwise there’s no passion"”. E le comediennes spesso devono adottare stili di umorismo aggressivi che sono i punti fermi del circuito dei comedy-club. Gold spiega: "Stand-up comedy is not a feminine profession at all... it’s very aggressively male". Susie Essman, protagonista dello show della HBO Curb Your Enthusiasm, sostiene che lo stand-up è molto più aggressivo delle sit-com. E osserva: "Joan Rivers had to be self-deprecating, because you couldn’t be an attractive, funny woman. It was too threatening". Gold fa eco al suo pensiero: "There’s nothing more threatening to a man than a female comic".[56] Anche oggi.
Ma i tempi stanno cambiando. Essman crede che comiche come Judy Gold li stiano cambiando e forse anche "younger guys [audiences and comedians] are nowhere near as sexist, maybe because their moms are out in the workplace". E le donne comiche si sentono sempre più a loro agio con il potere della commedia. Afferma la Gold: "However confrontational, when you’re standing on stage alone with the mike–the phallus symbol... it is incredibly powerful".[57]
Jackie Hoffman
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Jackie Hoffman. |
Jackie Hoffman è una veterana di otto anni del gruppo di improvvisazione Second City di Chicago, vincitrice di un Obie Award come migliore attrice e molto acclamata per la sua interpretazione della collega incinta, Joan, nel film Kissing Jessica Stein. La Hoffman ha anche vinto premi per la sua interpretazione in Hairspray ed è anche un'attrice fissa in programmi televisivi e commedie late-night. Ha realizzato molti spettacoli personali, spesso con temi ebraici – ad esempio "The Kvetching Continues", "Jackie Hoffman's Hanukkah", "Jackie's Kosher Khristmas" – e ha anche partecipato a The Sisters Rosensweig e nel musical rock Xanadu.
Come Gold, la Hoffman usa routine di madri ebree nei suoi spettacoli. Poiché ogni parola rivolta a un genitore anziano potrebbe essere l'ultima, dice che spesso termina le sue telefonate dicendo a sua madre che le vuole bene. Anche sua madre la chiama, lasciando messaggi frenetici di preoccupazione ogni volta che Jackie non risponde immediatamente. Quindi chiama la polizia per descrivere la figlia scomparsa. "She’s not married. She has a filthy mouth. If she took her hair out of her eyes she’d be a beautiful girl". In un'altra battuta, Hoffman descrive i nastri linguistici che sentiva per imparare lo yiddish. Piuttosto che le frasi standard per l'insegnamento della lingua, questi nastri trasmettevano frasi chiave della vita ebraica: "Her daughter gives her heartache. I feel sick." Come la madre di Gold, la madre di Hoffman è solidale, nonostante le battute che sembrano ostili. “She always says, ‘If it weren’t for me, you wouldn’t have any material.’ My mom’s mantra is ‘Don’t give up the paycheck!’”[58]
Cory Kahaney – JAP: Jewish Princesses of Comedy
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Principessa ebrea statunitense e Jewish Princess (en). |
Cory Kahaney è una famosa comica di New York che ha creato lo spettacolo multimediale di successo, JAP: Jewish Princesses of Comedy, un tributo alle "regine" comiche ebraiche – Belle Barth, Pearl Williams, Betty Walker, Jean Carroll e Totie Fields – che hanno aperto la strada un modo per “all females in comedy”, secondo Kahaney.[59] Le clip delle leggendarie regine sono combinate con set individuali di commediennes contemporanee, tra cui Jessica Kirson e Jackie Hoffman di Making Trouble. Kahaney è stata una delle finaliste di Last Comic Standing della NBC ed è apparsa in molti speciali comici su Comedy Central e HBO. Kahaney ha anche ideato e sviluppato The Radio Ritas, un talk show radiofonico sindacato a livello nazionale per Greenstone Media, una società creata da Gloria Steinem e Jane Fonda per fornire programmi radiofonici per donne.
Kahaney ammette di essere stata ispirata a far commedie dalle imitazioni umoristiche di sua madre ebrea e dai viaggi regolari della sua famiglia a Grossingers, dove adoravano le commedie. Una delle sue routine tipiche prende in giro il modo in cui è stata genitoriale alla figlia adolescente, che ha cresciuto come madre single: "The other day, she emptied the dishwasher, which is like an annual act. And she asks, ‘Do I get a cell phone now?’ And I said: ‘What happens when you take out the garbage? Do you get a Mercedes?’"[60]
Jessica Kirson
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Jessica Kirson. |
La più giovane delle comiche di Katz’s in Making Trouble, Jessica Kirson, assistente sociale dal New Jersey prima di dedicarsi alla commedia, è apparsa su Comedy Central, Nickelodeon, Tonight Show e Logo Network. Kirson va in tournée con il suo spettacolo personale, My Cookie's Gone – la sua risposta a un senzatetto che le chiede del cibo ("Do I look like I have leftovers?") – e prende in giro le ragazze "grasse e brutte" come lei che si lamentano di essere prese in giro. Come le altre, anche Kirson scherza sulla madre: "My mother is a therapist. She had clients in the house, so I always had to be quiet. I was like Anne Frank in my own house". Le sue battute hanno un ritmo frenetico: sembra "out of control, like a more sarcastic version of early-career Robin Williams", ha scritto un recensore di Variety, e "she subverts some of standup’s biggest cliches about marriage, beauty, sex, ethnicity, and race: ‘I’m an angry Jew, and you’ll get to hear about it’, she tells her audiences. ‘But I feel like an angry black woman’."[61]
Conclusione
[modifica | modifica sorgente]Non tutte le pioniere di Making Trouble o le quattro “deli guides” più giovani avrebbero etichettato la loro commedia “femminista”. Ma attingendo alle proprie esperienze per far umorismo, hanno riflesso e contribuito a modellare le prospettive su questioni di interesse per le donne. Le donne hanno segreti speciali e legami condivisi che ci raccontano, come i pomi d'ambra; le diete e le purificazioni intime; i travagli e le gioie degli appuntamenti, del matrimonio e del sesso; l'essere madri e figlie. Gran parte di ciò che definisce la loro autenticità è legato anche alle loro esperienze come ebree, e la doppia enfasi sul loro background ebraico e sulle identità femminili le ha rese distintive nel mondo della commedia. Le loro lotte riempiono lo schermo in Making Trouble, insieme ai loro numerosi trionfi, e non mancano mai le barzellette. Impariamo che la risata fornisce un modo non solo per affrontare le tensioni e i conflitti della vita quotidiana, ma anche per trascenderli.
Il dono della comicità che emana da queste donne ebree è stato quello di farci trascendere anche la nostra vita quotidiana e di vedere, attraverso l'umorismo, visioni alternative di chi potremmo essere se anche noi avessimo il coraggio di sfidare – e deridere – le restrizioni sociali che ci trattengono.
Note
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Serie delle interpretazioni, Serie dei sentimenti e Serie letteratura moderna. |
- ↑ Sophie Tucker, Some of These Days (New York: Doubleday, 1945), 11.
- ↑ Le citazioni sono prese dal documentario del Jewish Women’s Archive, Making Trouble: Three Generations of Jewish Women in Comedy (2006), Rachel Talbot, director; Gail Reimer, executive producer.
- ↑ Joan Rivers in Making Trouble.
- ↑ “Behavior: Analyzing Jewish Comics,” Time (2 ottobre 1978); Samuel S. Janus, “The Great Jewish-American Comedians‘ Identity Crisis,” American Journal of Psychoanalysis 40:3 (settembre 1980): 259-65. Tra le mote opere sulla commedia ebraica, cfr. Lawrence J. Epstein, The Haunted Smile: The Story of Jewish Comedians in America (New York: Public Affairs, 2001); Esther Romeyn e Jack Kugelmass, Let There Be Laughter: Jewish Humor in America (Chicago: Spertus Press, 1997); Sarah Blacher Cohen, cur., Jewish Wry: Essays On Jewish Humor (Detroit: Wayne State University Press, 1987), 141- 57.Si veda anche Gerald Nachman, Seriously Funny: The Rebel Comedians of the 1950s and 1960s (New York: Pantheon, 2003).
- ↑ Cfr. Sarah Blacher Cohen, “The Unkosher Comediennes: From Sophie Tucker to Joan Rivers,” in Cohen, cur., Jewish Wry, 105-24; June Sochen, “Fanny Brice and Sophie Tucker: Blending the Particular with the Universal,” in Sara Blacher Cohen, cur., From Hester Street to Hollywood: The Jewish-American Stage and Screen (Bloomington: Indiana University Press, 1983), 44-57; e June Sochen, From Mae to Madonna: Women Entertainers in Twentieth-Century America (Lexington: University of Kentucky Press, 1999); June Sochen, cur., Women’s Comic Visions (Detroit: Wayne State University Press, 1991). Cfr. anche June Sochen, “From Sophie Tucker to Barbra Streisand: Jewish Women Entertainers as Reformers,” in Talking Back: Images of Jewish Women in American Popular Culture (cur. Joyce Antler; Hanover: Brandeis/University of New England Press, 1998), 68-84.
- ↑ Cohen, “The Unkosher Comediennes,” 105-07.
- ↑ Sochen stabilisce la tipologia di “prey” e “predator.” Sulle donne ebree e la commedia, cfr. anche Michael Bronski, “Funny Girls Talk Dirty: ‘Shut Your Hole Honey, Mine’s Making Money,’” Boston Phoenix (15-21 agosto 2003).
- ↑ Si consulti <http://jwa.org> per informazioni sui progetti del Jewish Women’s Archive.
- ↑ JWA, Making Trouble.
- ↑ Come la sua omonima, la studiosa e drammaturga Sarah Blacher Cohen (1936-2008) amava far ridere la gente. Anche le sue presentazioni accademiche erano piene di battute, alcune delle quali sorprendentemente audaci: le piaceva offrire al pubblico la scelta tra "the most vulgar or the least vulgar" delle sue versioni. Cfr. Irwin Richman, “11th Annual Conference Recap,” The Catskills Institute (27-28 August 2005).
- ↑ Sulla Berg, cfr. Glenn D. Smith, Something on My Own: Gertrude Berg and American Broadcasting, 1929-1956 (Syracuse: Syracuse University Press, 2007); Joyce Antler, You Never Call! You Never Write! A History of the Jewish Mother (New York: Oxford University Press, 2007), cap. 2.
- ↑ Come osserva la teorica dell’umorismo Nancy Walker, le donne usavano l'umorismo per connettersi tra loro e per condividere preoccupazioni sulla loro oppressione. Cfr., ad esempio, Nancy Walker, “Women’s Humor and Group Identity”, in Sochen, Women’s Comic Visions, 57-81.
- ↑ Gina Barreca, ”Real stories, real laughter, real women,” Ms. (Summer 2004): 38-40.
- ↑ Hélène Cixous, “The Laugh of the Medusa,” in New French Feminisms (curr. Elaine Marks e Isabelle de Courtivron; New York: Schocken Books, 1981), 258.
- ↑ Sochen, “From Sophie Tucker to Barbra Streisand,” 69.
- ↑ Joanne Greene, “Molly Picon,” in Jewish Women: A Comprehensive Historical Encyclopedia, Jewish Women’s Archive: “JWA—Jewish Women in Comedy—Molly Picon.”
- ↑ Citato in Romeyn e Kugelmass, Let There Be Laughter!, 27.
- ↑ Jewish Women’s Archive: Women of Valor exhibit.
- ↑ Greene, “Molly Picon”; “Molly Picon,” <http://jwa.org>.
- ↑ Barbara Grossman, Funny Woman: The Life and Times of Fanny Brice (Bloomington: Indiana University Press, 1991), xi.
- ↑ Grossman, Making Trouble; Grossman, Funny Woman; Antler, The Journey Home, 147-50.
- ↑ Grossman, Making Trouble, e Grossman, “Fanny Brice.” Jewish Women: A Comprehensive Historical Encyclopedia (11 marzo 2009). Jewish Women’s Archive (1 gennaio 2010).
- ↑ Cfr. Antler, The Journey Home, 147-50; Grossman, Funny Woman, 27-29, 99, 170-72, 201, 208, 226.
- ↑ Citato in Sochen, “From Sophie Tucker to Barbra Streisand,” 72-73.
- ↑ Ibid., 73.
- ↑ Grossman, Funny Woman, 149.
- ↑ Citato in Norman Katlov, The Fabulous Fanny.
- ↑ Questo resoconto della Tucker è preso da Antler, The Journey Home, 137-43; Antler, You Never Call! You Never Write!, 17-21; e i commenti di Antler in Making Trouble.
- ↑ Rivers, Making Trouble. Si veda anche la filmografia della Rivers: Joan Rivers filmography.
- ↑ Sulla Rivers, cfr. Cohen, “The Unkosher Comediennes,” 105-24; Nachman, Seriously Funny, 591-625.
- ↑ Rivers, Enter Talking, 293.
- ↑ Nachman, Seriously Funny, 601.
- ↑ Ibid., 268-69, 274.
- ↑ Ibid., 608.
- ↑ Ibid., 276-78, 298-99.
- ↑ Rivers, Enter Talking, 341-42.
- ↑ Rivers, Making Trouble.
- ↑ Cohen, “The Unkosher Comediennes,” 118.
- ↑ Ibid., 120-21.
- ↑ Ibid., 122.
- ↑ Ibid., 119.
- ↑ Nachman, Seriously Funny, 600.
- ↑ Rivers, Enter Talking, 23-24.
- ↑ Su Gilda Radner, cfr. Lauren Antler, “Gilda Radner,” in Notable American Women: A Biographical Dictionary, Completing the Twentieth Century (cur. Susan Ware; Cambridge: Harvard University Press, 2004), 534-35.
- ↑ Radner, Making Trouble.
- ↑ Ibid.
- ↑ Cfr. Antler, The Journey Home, 325-26, e Antler, You Never Call! You Never Write!, 193-95.
- ↑ Wasserstein, Making Trouble.
- ↑ Ibid.
- ↑ Ibid.
- ↑ Sochen, “From Sophie Tucker to Barbra Streisand,” 68-84.
- ↑ Citato in Andrew Wallenstein, “From This She Makes A Living?,” Hadassah Magazine (giugno/luglio 2006).
- ↑ Susie Essman, citato in Dan Friedman, “High School Reunion: The Actress and Editor Visit Mt. Vernon High, 36 Years Later,” Forward (21 ottobre 2009).
- ↑ Ibid.
- ↑ Questa discussione di Judy Gold è estratta da Antler, You Never Call! You Never Write!, 249-52.
- ↑ Citato in Debra Nussbaum Cohen, “Funny Girls: Gorgeous, Female and Profane—That’s Today’s Successful Female Stand-up Jewish Comics,” Jewish Women International (2006).
- ↑ Ibid.
- ↑ “So Laugh A Little,” Jewish Women’s Archive, Performance at Copacabana, New York City (14 marzo 2005); Antler, You Never Call! You Never Write!, 248.
- ↑ Cfr. <https://corykahaney.com/>.
- ↑ Antler, You Never Call, You Never Write!, 253-54.
- ↑ Mark Blankenship, “The J.A.P. Show,” Variety (18 aprile 2007); Kirson videos: “Mom,” “My Cookie‘s Gone,” “The Jessy K Show,” YouTube.