Umorismo ebraico e storielle yiddish/Capitolo 9

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Donne ebree celebrano la bandiera israeliana presso il Muro Occidentale

Le cattivone della commedia ebraica: genere, classe, assimilazione e colore nell'America del dopoguerra[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Donne nell'ebraismo.

Tra la fine degli anni ’50 e l'inizio degli anni ’60, l'umorismo licenzioso di Belle Barth, Pearl Williams e Patsy Abbott, un trio di cabarettiste ebree della classe operaia, godette di enorme popolarità negli Stati Uniti. Oggi in gran parte dimenticate o sorpassate, pubblicarono LP bestseller conosciuti all'epoca come "party records", che, sebbene destinati a consumatori rispettabili della classe media, venivano spesso venduti sottobanco e banditi dalla trasmissioni radiofoniche. Con la loro sensibilità terrena e da vecchio mondo e l'uso strategico dello yiddish, queste artiste di mezza età si scagliavano contro i costumi sociali che dicevan loro di star zitte, d'essere educate e sessualmente passive. Durante il periodo in cui fiorirono queste comiche, molti ebrei della classe operaia sperimentarono la mobilità ascendente e la suburbanizzazione, l'accettazione come bianchi e pressioni sostanziali per assimilarsi nella cultura americana tradizionale. Questo Capitolo esplora il modo in cui queste comiche hanno posto l'identità ebraica e argomenti altamente sessuali al centro del loro umorismo e, così facendo, hanno gestito le questioni di genere, etnia ebraica, classe e colore negli anni ’50.

Nel loro periodo di massimo splendore, gli album registrati da queste comiche si rivelarono enormemente popolari tra il pubblico americano in tutto il paese. Belle Barth, che pubblicò undici LP con titoli sessualmente allusivi come If I Embarrass You, Tell Your Friends, I Don’t Mean to Be Vulgar, But It’s Profitable e This Next Story Is a Little Risqué avrebbe venduto due milioni di dischi nel corso della sua carriera, mentre Pearl Williams, che pubblicò sette album tra cui A Trip around the World Is Not a Cruise, Bagels and Lox e Pearl Williams Goes All the Way, vendette oltre un milione di copie, o anche di più, data l'abitudine delle case discografiche di sottostimare le vendite per evitare di pagare le tasse e condividere i profitti con gli artisti.[1] La meno prolifica del gruppo, Patsy Abbott, registrò solo due album, Suck Up, Your Behind e Have I Had You Before.[2] Secondo le stime prudenti del critico Michael Bronski, "the three performers may have released... more than five million records".[3] All'apice della loro carriera, queste comiche si esibivano davanti a un pubblico tutto esaurito nei migliori locali della nazione. Barth era la stella della Carnegie Hall, del Caesars Palace e El Morocco e possedeva il suo proprio club, chiamato Belle Barth’s Pub. Williams, che aveva uno stipendio settimanale di 7 500 dollari, si esibiva regolarmente in hotel di lusso e club alla moda come il Foutainebleau, il Maxine's, l'Hotel Windsor, lo Chez Paris e Place Pigalle.[4] Dopo una carriera di successo come cantante comica sul palco e nel circuito dei club in tutto il paese, nel 1958 Abbott aprì il suo locale, Patsy’s Place.

Il trio si esibì regolarmente negli Stati Uniti e in Canada durante i primi decenni della loro carriera, ma il pubblico degli anni ’60 li associava più strettamente a Miami, e il loro successo in questa città era direttamente legato alle trasformazioni sociali della vita ebraica americana avvenute dopo la Seconda guerra mondiale. Durante questo periodo, oltre 100 000 ebrei emigrarono a Miami, che scherzosamente soprannominarono la “Southern Borscht Belt”; e molti altri vi si recavano per le vacanze.[5] Nella capitale del turismo della Florida, il trio trovò un lavoro redditizio intrattenendo gli ebrei suburbani in vacanza, gli ebrei in pensione alla ricerca di sole, e gli ebrei trapiantati di seconda e terza generazione che desideravano con nostalgia le case che si erano lasciati alle spalle.

Non furono solo le loro esibizioni nei nightclub a collegare il trio a queste trasformazioni sociali; anche il genere emergente dell'"LP delle feste" fece lo stesso. Dopo la guerra, un numero crescente di militari ebrei di ritorno con competenze specializzate in campi tecnici o gestionali si trasferì nei sobborghi. Trasmettendo i suoni, le immagini e le narrazioni della più antica cultura ebraica della classe operaia direttamente nei nuovi salotti suburbani, i party records acquistati da molti di questi ex soldati recentemente sposati offrivano nuove rappresentazioni dell'ebraicità e della vita americana. Gli ascoltatori erano lontani dalle enclavi etniche della loro infanzia, e molti trovavano in questi dischi un modo di sentirsi legati alla loro vecchia comunità. Ascoltati in casa ma in situazioni sociali non del tutto private, tali album incoraggiavano il pubblico a pensare alle transizioni culturali tra l'etnico e il mainstream, l'urbano e il suburbano, il pubblico e il privato. Così, sul palco di un nightclub o nello stereo del salotto, l'umorismo di Barth, Williams e Abbott affrontava atteggiamenti contrastanti riguardo al genere, al sesso, alle relazioni tra gruppi, alla politica dei "bianchi" e all'integrazione etnica nella società americana del secondo dopoguerra.

Belle Barth[modifica]

Per approfondire, vedi Belle Barth.

Sebbene non così ampiamente riconosciuta come le altre comiche della sua epoca, Barth ebbe un'enorme influenza sulle comiche che la seguirono. Secondo Linda Martin e Kerry Seagrave, "she was the first to use the format of short jokes, as opposed to the monologues of [Beatrice] Herford and [Ruth] Draper".[6] Nata Annabelle Salzman a New York City nel 1911, Barth, che prese il nome del suo primo marito, iniziò la sua carriera imitando "Al Jolson, George Jessel e ‘devastanti e divertenti imitazioni’ delle spogliarelliste Lili St. Cyr e Gypsy Rose Lee."[7] Divenne progressivamente più libertina dagli anni ’30 in poi, realizzando canzoni sempre più osé e materiale X-rated. Chiamata "la donna Lenny Bruce", anche se lo aveva preceduto, Barth combatteva periodicamente le leggi sull'oscenità in tribunale. Bandita dalla radio e dalla televisione, trascorse gran parte della sua carriera esibendosi in discoteche e hotel, fino alla sua morte nel 1971.

In molti modi la Barth, oscena e irriverente, emulava lo stile e l'atteggiamento delle artiste di vaudeville che aveva visto al B. F. Keith Theatre mentre cresceva a East Harlem negli anni ’20. Soprannominata "Hildegard of the Underworld" e "Doyenne of the Dirty Ditty", Barth suonava il piano e cantava con una voce roca. Mescolando lo stile rovente di artisti come Sophie Tucker con quello di intrattenitrici più pudiche come Carol Channing, spesso punteggiava le sue battute sessualmente esplicite con un modo di parlare infantile che ricordava Betty Boop.[8] Gli LP live di Barth contenevano battute scatologiche e sessuali e trattavano argomenti come emorroidi, esami rettali, feci del bambino, irrigazioni intime, masturbazione e rapporti sessuali. Estratti dal suo album I Don’t Mean to Be Vulgar, But It’s Profitable danno un'idea dello stile e del contenuto della sua commedia. Descrivendo il caos che si verifica quando un pollo kosher viene introdotto di nascosto nei film, Barth diceva:

There was a woman, she was so kosher that she didn’t trust the cook in the kitchen. She sent her husband to a poultry market to bring her a live chicken. She wanted to kill it herself. On the way to the kitchen, he puts it under his arm, then he wanted to go to the movies, so he stuck it in his pants. You know, the chicken had to breathe. Two women sat next to him. One nudged the other, she said, “Sadie, what’s doing?” Sadie, referring to the bulge in his pants says, “What are you so nervous. You’ve seen one, you’ve seen them all.” The other says, “But this one is eating my potato chips.”

In un'altra barzelletta dello stesso LP, uno sfortunato incidente di caccia diventa ancora più assurdo per il consiglio medico dato alla vittima.

Here is a story about two men who went hunting. One was [a] little cross-eyed hunter. Shotgun went off, hit the guy in the citriolle—it’s Italian for cucumber. He had nine holes in it. He ran to the doctor. The doctor got scared and says, “I think I’ll send you to Schwartz.” The guy says, “Who’s Schwartz, a specialist?” Doctor says, “No, he’s a piccolo player, who’ll show you how to finger it.”

In materiale come questo, Barth trasgredisce i confini del decoro femminile, eseguendo il tipo di assurde gag sessuali solitamente riservate ai comici maschili, e l'identità ebraica viene introdotta con un tocco leggero e abile. Nella battuta sul pollo, le leggi alimentari ebraiche forniscono l'impulso che mette in moto la situazione comica. Similmente, Barth permette alla battuta del cacciatore di fare un sottile riferimento alle tensioni che circondano la mobilità etnica verso l'alto dando l'impressione che Schwartz, che porta un nome iconicamente ebraico, ricopra l'importante professione di medico specialista, quando in realtà è un umile musicista.

Sebbene Barth abbia riempito il suo repertorio comico con battute assurdamente sessuali o scatologiche, come la battuta sul bambino precoce che si lamenta "having to share a breast with a cigar smoker", intervalla le sue routine spinte con materiale che affronta direttamente questioni di discriminazione e assimilazione. In I Don’t Mean to Be Vulgar, But It’s Profitable, dice:

[This is a story] about the Jewish man who wanted to check into the Kennelberry [Kennelworth] Hotel in Miami Beach, and the clerk says, “It’s restricted.” The guy says, [with Yiddish accent] “Who’s a Jew?” “If you’re not a Jew, you wouldn’t mind answering three questions,” the guy says. “Fire away.” [The clerk] said, “Who was our Lord?” He says, “Jesus Christ.” “Where was He born?” “In a stable.” “Why was he born in a stable?” He says, “Because a rat bastard like you wouldn’t rent him a room.”

Barth poi continua: "Think if I get a nose job, I can work in the Kennelworth?" Nell'album, il pubblico dal vivo del nightclub applaudisce in modo aggressivo all'osservazione e un fan risponde: "Touché". Barth allora aggiunge: "You know what kills me, the rich Jews never know what I’m talking about [with that joke]. Yeah, you want to hear that, go to Miami Beach. ‘Very wealthy,’ she [a rich Jew, with a Yiddish accent] says. ‘I’m very sorry, I don’t know what you’re talking [about].’ I says, ‘Where did you get the accent?’ She [the rich Jew] says, ‘I travel.’"

Qui, Barth trasmetteva un commento inequivocabile sull'amnesia culturale alla quale avevano ceduto alcuni ebrei in ascesa: anche se attaccava l'antisemitismo dell'epoca, infilzava comunque quegli ebrei ricchi che abbandonavano con entusiasmo il loro passato di immigrati. In questa parte, sviluppa un ricco personaggio ebreo che cerca di oscurare le sue radici di classe operaia. Il suo accento, sostiene questa donna, non deriva da qualcosa di così basso come l'immigrazione, a lungo segno di emarginazione per gli ebrei diasporizzati, ma dalla forma archetipica di attività della classe ricreativa, il turismo.

Pearl Williams[modifica]

Per approfondire, vedi Pearl Williams.

Figlia di un sarto immigrato russo, Pearl Williams (nata Pearl Wolfe) nacque nel 1914 nella Lower East Side di Manhattan. Ex stenografa legale, divenne una comica aggressiva, zaftig (yid., prosperosa), dalla voce roca, che suona il pianoforte con un debole per i doppi sensi e le storie cattive.[9] Secondo il giornalista del Miami Herald, Andres S. Viglucci, la ventitreenne Williams, che all'epoca aspirava a diventare avvocato, ottenne inaspettatamente una grande occasione molto diversa nel 1938 durante l'ora di pranzo, quando suonava il piano per l'audizione di canto della sua amica. Apparentemente l'agente era così preso dal suo talento musicale che la assunse immediatamente, e "that same night she went on stage at the Famous Door, on 53rd Street, opposite Louis Prima’s Band".[10] Sebbene non avesse intenzione di dedicarsi allo spettacolo, il salario settimanale di 50 dollari che le pagava per esibirsi era quasi tre volte superiore a quello che guadagnava come segretaria legale. Williams, che proveniva da una famiglia povera, trovava la remunerazione troppo allettante per rifiutarla.[11]

Alla fine Williams passò dall'esibirsi al Maxine's nel Bronx all'Aladdin come headliner e al Castaway Hotel di Las Vegas, come anche in numerosi club a Detroit, Chicago, Toronto e Montreal. Dopo aver fatto regolarmente concerti invernali a Miami, Williams alla fine acquistò una casa a North Beach Miami; lì, trascorse gli ultimi diciotto anni della sua carriera come attrazione principale esibendosi in locali pieni di pensionati ebrei provenienti dai ricchi condomini vicini.[12] Dopo quarantasei anni di intrattenimento senza sosta, la Williams si ritirò definitivamente all'età di settant'anni e morì nel 1991 in seguito a malattia cardiaca.

Il repertorio di battute della Williams spaziava da docile a osé a sessualmente esplicito, e in molti dei suoi album, battute lievi coesistevano direttamente accanto al materiale vietato ai minori. Come Barth, Williams affrontava argomenti non consentiti in televisione: seni, peli pubici, eiaculazione, lavande vaginali, knish [vagina], shlong [pene] e cunnilingus. Appropriandosi e invertendo abilmente il genere canonico della battuta sulla moglie così comune tra i comici maschili del Catskill del periodo, Williams spesso faceva dell'uomo il bersaglio del suo umorismo. In A Trip around the World Is Not a Cruise, dice con nonchalance: "There’s a woman ironing her brassiere, and her husband says, ‘What the hell are you ironing that for. You don’t have anything to put in it.’ The wife replies, ‘I iron your shorts, don’t I?’"

Nella sua forma più volgare, la Williams poteva competere con qualsiasi comico maschio: in Second Trip around the World, dice: "Did you hear about the broad who walked into a hardware store to buy a hinge and the clerk says, ‘Madame, would you like a screw for this hinge,’ and she says, ‘No, but I’d blow you for the toaster up there.’"[13]Nel suo album A Trip around the World Is Not a Cruise, scherza: "Tonight I think I’ll go home and douche with Crest. It will reduce my cavity by forty percent". Elogiando l'abilità sessuale degli uomini franco-canadesi in Bagels and Lox, dice: "Are[n’t] those French-Canadian men gorgeous? They’re the only guys who know what your belly is for. That’s where they leave their gum on the way down. Oh that’s nothing, then they put ice in your knish; they eat you on the rocks".

Durante l'esecuzione, la Williams in genere sottolineava le sue battute finali con brevi intermezzi di pianoforte e brani riconoscibili canticchiati, come Hava Nagila. I suoi aneddoti più spinti, tuttavia, erano ironicamente delimitati da sospiri pudici e da una risata nasale, quasi innocente. In effetti, il suo sentimentalismo ironico e le sue interpretazioni melodrammatiche delle canzoni popolari ebraiche standard, dei giochi di parole osceni e degli energici intermezzi musicali capitalizzavano ampiamente la sua identità ebraica-americana – “con trattino” – e l'ampio umorismo del teatro yiddish degli anni ’30 e dei tummlers [direttori sociali] del Borscht Belt. Il suo kit di strumenti comici conteneva una serie di battute "definizione" ("Definition of indecent? If it’s long enough, hard enough, far enough, then it’s in decent”") e rime sessualmente allusive ("[sings] By the sea, by the sea [C-]U-N-T").[14]

Williams riempiva le sue narrazioni comiche con personaggi ebrei frustrati che parlavano con accenti forti e distribuivano con gioia il proprio marchio di giustizia sociale. Una parte di Second Trip around the World inizia con un personaggio ebreo che fa una telefonata interurbana:

All of sudden, in the middle of his conversation—he’s talkin’ about a half a minute—he’s cut off. [Yiddish accent] “Hello operator, give me back the party.” She says, “I’m sorry sir, you’ll have to make the call over again.” [He says], “Operator, I’m entitled to three minutes. I was only talkin’ half a minute. Give me back the party.” She says, “I’m sorry, sir, you’ll have to make the call all over again.” He says, “Operator, vhat do you want for my life? . . . I got no money, I’m broke, give me back the party.” She says, “I’m sorry, sir, you’ll have to make the call over again.” He says, “Operator, you know vhat, take the telephone and shove it you know vhere,” and he hangs up.

Later, two large men from the phone company arrive and tell him that they will take away his phone if he does not call and apologize to the operator. He makes the call, saying:

“Give me Operator 28. Hello operator, remember me? Two days ago I insulted you. I told you, take the telephone.” And she says, “Yeah.” He says, “Well get ready. They’re bringin’ it to you.”

Registrazione di "Cohen at the Telephone" del 1916

Per gli ebrei di mezza età degli anni ’50, questa narrazione comica della resistenza della classe operaia avrebbe risuonato con i famosi album "Cohen", una serie estremamente popolare di dischi comici pubblicati da Joe Hayman negli anni ’10 e ’20. Nella routine di Williams, la frustrazione dell'ebreo si trasforma in punizione retributiva, e la vergogna della cattiva pronuncia dell'inglese diventa un'icona uditiva di tenacia e astuzia.

Gli oppressori gentili spesso assumevano la forma di bellicosi texani nelle storie di Williams, e questi illustrano adeguatamente lo stile aggressivo della commedia a cui la coorte venne associata. In una storia di Second Trip around the World, un esausto venditore ambulante ebreo ha la fortuna di ottenere l'ultima stanza in un albergo. Poco dopo, un grosso uomo texano lo costringe a rinunciare alla stanza. Mentre l'ebreo lascia la hall dell'hotel, giura che otterrà la sua vendetta...

The next day, the Texan wakes up with a big heavy load on his chest. He takes a look. There’s a manhole [cover] on his chest. He starts laughing and says, “Ah the little Jew wanted to get even with me.” Gets up out of bed, picks up the manhole cover, walks up over to the window of the twenty-second floor, flings it out of the window. He’s walking back to the bed, laughing. He gets back to the bed. There’s a big note waiting for him on the bed. It says, “And now, you big bastard, you have fifteen seconds to untie the cord that’s attached to your beardzall [testicles].”

Come ha fatto con la narrativa di “Operator 28”, Williams attinge a noti stereotipi comici per invertire simbolicamente i rapporti di potere della società americana. Qui, il massiccio texano rappresenta l'arroganza dell’America bianca tradizionale, e la figura emarginata dell'esile ebreo usa l'astuzia per sconfiggerlo ed evirarlo.

Patsy Abbott[modifica]

Per approfondire, vedi Patsy Abbott.

Cresciuta nel Bronx, Patsy Abbott, nata Goldie Schwartz, nacque nel 1921 e iniziò la sua carriera come cantante con la Teddy King Orchestra. La giornalista Gail Meadows riferisce che Abbott attribuì la sua formazione al tempo trascorso nei resort dei Catskills, dove gli intrattenitori presentavano nuovi spettacoli ogni sera. All'inizio della sua carriera, "she sang popular songs to tourists, gamblers, and mobsters at the Paddock Club in New York, and she performed for the military with the USO during the war".[15] Sebbene il suo ruolo da coprotagonista nel musical di successo The Borscht Capades la rese un successo di Broadway nel 1951, una serie di malattie interruppe bruscamente la sua ascesa alla celebrità. Mentre si riprendeva a Miami, iniziò a fare spettacoli da sola negli hotel resort, e alla fine decise di acquistare il suo proprio nightclub, che chiamò Patsy's Place e che gestì dal 1958 al 1965. Dopo aver subito due ictus, Abbott si ritirò definitivamente dal mondo dello spettacolo, ma continuò a lavorare a livello locale come istruttrice teatrale. Nel 1988, "she wowed the crowds again with [the show] ‘The Golden Girls of Music and Comedy’ . . . which became the longest, continuously running musical revue in South Florida’s history".[16] Morì al Miami Jewish Home and Hospital nel 2001, giorni prima di mettere in scena uno spettacolo con gli altri residenti.

Sia Have I Had You Before che Suck Up, Your Behind catturavano l'orecchio della comica per i dialetti, il talento improvvisato per una battuta salace e il gusto di cantare numeri musicali spensierati e vigorosi. Nel suo spettacolo teatrale, la Abbott dispensava calorosamente saggezza filosofica con una finta voce di alta classe e sfoggiava i suoi scintillanti abiti da sera. Faceva spesso domande imbarazzanti alle giovani coppie sposate. Nel suo primo party album, registrato dal vivo al Patsy's Place, chiede a una sposa:

“How long have you been married?” The woman replied, “A week.” “May I ask you a personal question?” Abbott then asked, “Is it nice?” and, when the woman answered, “Yes,” Abbott asked, “What do you have to compare it to?”

Le sue battute riguardavano le coppie sposate prive di eccitazione sessuale, le limitazioni imposte dalle festività ebraiche, l'infedeltà, il controllo delle nascite.[17] Parla della noia coniugale in Have I Had You Before:

“There’s a couple married for fifteen years. . . . Wedded boredom––but you know, bored or not you got to make hay. Comes time to make hay, and they’re in bed, one hour. Nothing happens. Finally she looks at him and says, ‘What happened, you can’t think of anybody either?’”

Commentando le restrizioni ebraiche sul matrimonio in Have I Had You Before, Abbott dice:

In [the] Jewish religion, you can’t get married when you want to, right? See, you just go through the holiday. They got you by the holidays. Now they just go through Tishabov. That holiday you can’t get married. And you can’t go swimming. It’s ridiculous that you can’t get married, and you can’t get wet. It is. Then you have a holiday like Pesach and Shavues where you can’t get married, and you can’t have any music played. And you can’t get married without an organ. And if you’re not Jewish, darling, it’s Lent, right, and you can’t get married. You gotta borrow somebody else’s. That’s why they got you by the holiday.

Insinuare il tema del sesso in una discussione sulle pratiche delle festività religiose era proprio un vero tabù, e il comportamento elegante e l'accento intellettuale di Abbott rendevano il trattamento schietto dei piaceri corporei terreni particolarmente divertente.

Le routine di Abbott evocavano una pletora di personaggi ebrei riconoscibili, che pronunciavano malapropismi o raccontavano storie ammonitrici sul contare le proprie benedizioni, anche in tempi di difficoltà economiche. La seguente storia di Suck Up, Your Behind richiama alla mente il carattere ebraico del kvetch, o piagnone:

People are complaining with two loaves of bread under one arm. I hear a man goes to temple every single day, and he’s praying to God, and he says [in a Yiddish accent], “God, I’m here every day. Every day, I’m here. I know you by your first name. God. Got no second name. Every day, I’m here. I want you to know I don’t have a job, and my children starving, and my vife is sick. But I don’t mind, mind you. I don’t mind, mind you. But why you see Feldman down the street who doesn’t go to temple, don’t go to church. He’s gotta a mansion, with a Cadillac, with a Jaguar, [stuttering] hees vife with minks, with chinchillas. Why he got? Why I ain’t got? Why? Why? Why should he have when I ain’t got? Why? Tell me why!” All of sudden there is bolt of lighting and the voice out of the blue says, “‘Cause your nudging me. That means you bug me, man.”[18]

Come molte delle storie del trio, questa battuta segue la lunga tradizione di ciò che i folkloristi chiamano “scherzi dialettali”. Proprio come tale umorismo può riflettere l'ansia degli immigrati riguardo all'uso della lingua e all'esclusione sociale, può anche consentire alle etnie di terza e quarta generazione di enfatizzare la propria mobilità sociale e prendere le distanze da quelle della generazione più anziana che erano meno assimilate.[19] La barzelletta citata è un esempio particolarmente lampante del genere: invertendo lo stigma tradizionale associato al kvetch con accento yiddish, la battuta definisce l'oratore dal forte accento come un perdente tradizionale, solo per rivelare che l'inglese di Dio stesso è costellato di yiddishismi alla moda.

Considerazioni conclusive[modifica]

Nei nightclub pieni di fumo dell'ultimo, ultimissimo spettacolo, Barth, Williams e Abbott parlavano apertamente di sesso, imprecavano in yiddish e criticavano apertamente quelli che vedevano come valori ipocriti della cultura borghese. Queste donne tenaci con radici nella classe operaia non solo condannarono le oppressive ideologie di genere degli anni ’50, ma evidenziarono anche le crescenti tensioni che esistevano sia all'interno della comunità ebraica che tra ebrei e non-ebrei. I dischi irriverenti del trio offrivano ai consumatori dell'America suburbana l'opportunità di godersi l'atmosfera eccitante e senza censure dei nightclub mentre si sistemavano al sicuro nella privacy dei propri salotti. Le registrazioni rappresentavano un'alternativa alle forme di intrattenimento tradizionali, che raramente riconoscevano l'esistenza di atteggiamenti conflittuali nei confronti del genere, del sesso e delle relazioni tra gruppi o toccavano la politica dell'integrazione etnica. In un certo senso, queste comiche possono essere viste come mettessero in scena della loro differenza etnica per un mercato di massa e un contributo a rendere l'ebraicità più assimilabile per i non-ebrei. Ma in quel momento di transizione in cui gli ebrei si trovarono accettati nella corrente principale americana, tali manifestazioni di conoscenza esoterica servirono anche a riaffermare i confini etnici. Avvertivano gli ebrei di resistere all'ondata di assimilazione culturale e di non cadere vittime di un falso senso di sicurezza.

Durante il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, gli ebrei sperimentarono sia la mobilità verso l'alto che una ridefinizione della natura della loro identità come etnia bianca. Come ha dimostrato Mathew Frye Jacobson, gli ebrei e gli europei del sud furono, nel corso del tempo, sempre più visti dagli americani tradizionali come bianchi caratterizzati da un'etnia o una religione distintiva e non tradizionale, piuttosto che come un gruppo razziale “meno bianco” rispetto agli americani di origine inglese tuttavia “più bianchi” degli afroamericani, dei nativi americani o degli asiatici americani.[20] Questo spostamento era direttamente legato ai cambiamenti nelle istituzioni americane su larga scala. Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, la nozione di nazionalismo inclusivo di Franklin Roosevelt permise agli ebrei di iniziare a ottenere l'ammissione nel settore pubblico e nel governo, e il crescente antisemitismo del periodo portò gli ebrei a mettere in discussione le definizioni di carattere ebraico basate sulla razza.[21] Con la riduzione delle politiche restrittive di ammissione alle università e l'aumento dell'accesso a professioni basate sul merito e sugli esami come l'insegnamento, la medicina e il diritto, gli ebrei entrarono in numero sempre maggiore nella classe media.

Come osserva Karen Brodkin Sacks, l'“imbiancamento” degli ebrei continuò dopo la Seconda guerra mondiale; ad esempio, i programmi di assistenza federale offrivano mutui immobiliari a basso costo ai veterani ebrei di ritorno, e il G.I. Bill consentiva loro di perseguire un'istruzione superiore e quindi di sviluppare competenze in occupazioni specializzate dalle quali erano stati esclusi e che erano molto richieste dopo la guerra.[22] Sebbene questi programmi governativi sembrino parlare di questioni di classe piuttosto che di razza ed etnia, la discriminazione pervasiva dell'epoca garantiva il collegamento di queste forme di identità. Gli afroamericani continuarono a sperimentare l'esclusione negli alloggi, nell'istruzione e nel lavoro, mentre tali barriere cominciarono a cadere per gli ebrei. Di conseguenza, gli ebrei videro nuove opportunità di mobilità ascendente che non erano disponibili per altri gruppi nonbianchi, e con questa mobilità ascendente arrivò un nuovo clima sociopolitico, rafforzando la definizione di ebrei come gruppo etnico piuttosto che razziale.

Sebbene le comiche non discutessero spesso esplicitamente della razza nelle loro routine, proietteremmo le nozioni contemporanee di razza nell'America degli anni ’50 se comprendessimo la politica intergruppo dell'umorismo del trio esclusivamente in termini di classe ed etnia. In un periodo in cui le nozioni di razza venivano contestate, il trio e il loro pubblico, suggerisco, negoziavano la bianchezza ogni volta che l'etnia e la classe erano in discussione.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che la classe non fosse al centro di gran parte del loro umorismo. Veloce nel rinfrescare la memoria degli ebrei di successo desiderosi di dimenticare la durezza del loro passato di immigrati della classe operaia, Patsy Abbott usava comunemente "You don’t remember?" come coda alle sue battute. Ecco un esempio dal suo secondo album, Suck Up, Your Behind:

You pick up the paper, you want to throw up. It’s better [in] the old days. We took the paper, and we put it on the kitchen floor. Remember? Remember when we had wall-to-wall papers? You don’t remember the good old days? You had nothing to eat. Go ahead, remember. The only good thing about the good old days is a bad memory. We used to have a toilet. We used to have a toilet in the hall. Remember the toilet in the hall . . . ? You don’t remember? You was always rich? . . . There’s a man that had a toilet in the hall for years, and he vowed himself that someday he’d make enough money to have a bathroom in the house. Today he’s a millionaire in Miami Beach. Got three toilets in the house. Ken nisht geyt. [To one particular audience member:] That means he can’t have a B.M. He can’t go to the bathroom. I’m explaining, honey. If you listen to me, darling, I’ll explain everything. But if he’s [to another audience member:] busy explaining to you, then you won’t hear me explaining either. Understand? Thank you.

Qui, Abbott ricorda aspramente agli ebrei che, come ha affermato Eric L. Goldstein, "despite the social and [economic] benefits whiteness has conferred upon them, [they will never] feel the kind of freedom whiteness is supposed to offer—the freedom to be utterly unselfconscious about one’s cultural or ethnic background".[23] Sappiamo dalle registrazioni che altri gruppi etnici europei assistevano alle esibizioni del trio, e per molti versi il messaggio anti-assimilazionista delle donne poteva essere visto come una sorta di protomulticulturalismo per coloro che avevano recentemente oltrepassato la linea del colore, come gli italoamericani.

Sebbene alcuni ebrei americani di seconda e terza generazione possano essersi identificati nostalgicamente con il mondo evocato da queste comiche, molti dei non-ebrei tra il pubblico vedevano gli ebrei come esotici. Le donne ebree rappresentavano un “altro” culturale femminile le cui manifestazioni di identità più assertive potevano fiorire solo nell'atmosfera emarginata dei nightclub after-hour e delle etichette discografiche underground, anche se i loro colleghi ebrei maschi domavano le loro routine e capitalizzavano i loro privilegi di genere per ottenere maggiore accesso alla radio, alla televisione e al cinema. Di fronte a media sempre più sterilizzati in cui agli artisti ebrei era consentito l'ingresso solo a patto che attenuassero le espressioni della loro identità etnica, i party records orientati agli adulti contribuirono a colmare un divario culturale fornendo un'arena per l'espressione di un controdiscorso etnicamente assertivo. Attingendo a un bisogno poco soddisfatto dei consumatori, il trio aiutò etichette come Chess, Laff, Surprise, Riot, Roulette e After Hours a ritagliarsi una nicchia di mercato redditizia. Così facendo, diventarono inavvertitamente quelle che Joel Foreman avrebbe chiamto “agents of cultural subversion” e aprirono la strada alla produzione e alla diffusione di prodotti mediatici a basso costo che si discostavano dalla norma.[24]

Sebbene molte donne ebree in età fertile nel dopoguerra cercassero di realizzarsi attraverso la vita domestica e fossero alle prese con quello che l'autrice femminista ebrea Betty Friedan chiamava “the problem that has no name” — il persistente antisemitismo e la crescente denigrazione delle donne ebree in quanto materialiste — chi cercava fama e successo inducendo sensi di colpa colorivano l'esperienza.[25] In una tale epoca di esclusione sociale etnica e di capri espiatori femminili, queste sfacciate donne comiche offrirono alle ebree una tregua dai valori puritani dei loro vicini suburbani della classe media, i cui atteggiamenti le spingevano a sopprimere la propria ebraicità e il desiderio di essere qualcosa di diverso da una semplice casalinga. Invece, queste comiche anticonformiste e a voce alta non esitarono a essere “troppo ebree”. Anche se sfidavano i principi religiosi della raffinatezza e della purezza femminile ebraica – edelkeit e kashrut[26] – le loro scelte non ortodosse di carriera riflettevano altre tradizioni ebraiche di schiettezza femminile, come i valori di genere più egualitari della società dell'Europa orientale, che “reinforced the acceptance of female participation in the world of work and politics”.[27] Queste “ragazze del ghetto” mature trasformarono “vulgar, garish, uncultivated . . . plebian ways” in emblemi d'onore.[28]

E la loro ambiguità razziale diede loro la licenza di affrontare argomenti proibiti. Come rivela il lavoro di Ruth Frankenberg sulla "whiteness", sebbene le donne ebree siano relegate ai confini della bianchezza o contrassegnate come “altre” razziali, non sono mai viste come “constitutive of the cultural norm”.[29] È interessante notare che anche la loro controparte afroamericana Moms Mabley, una nonna spiritosa che desiderava giovani uomini, godeva di un enorme seguito. A differenza del trio, Mabley fece, al culmine del movimento per i diritti civili, una transizione di successo alla televisione, apparendo negli slot pomeridiani e serali del Merv Griffin Show, dello Smothers Brothers Show e del Flip Wilson Show, come anche in una serie di specials condotti da celebrità famose come Harry Belafonte.

Con un umorismo più politicamente assertivo e più schietto nei contenuti, il trio aveva poche possibilità di ottenere il successo mainstream di cui godeva Mabley. Il ruolo piuttosto non convenzionale, anche se affabile, della nonna che Mabley interpretava sul palco era molto meno minaccioso per gli spettatori televisivi americani rispetto all'umorismo aggressivo e osceno del trio.

Ma infine, in un'epoca in cui gli stereotipi tradizionali rappresentavano le donne ebree come consumatrici avide che dominavano i loro mariti e figli, perché questo trio di donne schiette esercitava un tale fascino? Se gli uomini ebrei dell'epoca temevano il potere evirante di mogli e madri ebree, tuttavia molti frequentavano questi spettacoli di donne che incarnavano molte delle qualità di cui gli uomini si risentivano.[30] In un'epoca in cui molti ebrei godevano di un successo finanziario senza precedenti ma di una limitata accettazione sociale, le battute a spese dei non-ebrei, tema centrale nel repertorio di queste comiche, fornivano uno sbocco alle frustrazioni che gli ebrei maschi e femmine dovevano affrontare. E, più in generale, anche se le routine sull'impotenza o sui donnaioli potevano sgonfiare l'ego maschile, queste comiche erano motivate meno dal desiderio di castrare gli uomini che dal piacere di “shock[ing] the audience with their naughty Jewish girl act”.[31] Inoltre, queste comediennes schernivano sia gli uomini ebrei che le donne ebree; il disagio maschile causato dalle battute sul pene veniva rapidamente mitigato dalle battute sulle avventure sessuali delle donne, sulle knish cavernose che minacciano di inghiottire gli uomini e sulle mogli ebree nouveau riche che cercano di nascondere la loro etnia dietro costosi visoni. In questi scenari, sia gli uomini che le donne venivano ridicolizzati e tutti accusavano colpi.

La negoziazione da parte delle donne di genere, etnia e classe si intreccia con il loro ruolo di figure trasgressive e simili a imbroglione. Trasmettendo il loro umorismo nel nightclub, un luogo associato all'indiscrezione degli adulti, con spettacoli fino a mezzanotte o addirittura alle quattro del mattino, destinati al pubblico che si godeva la vacanza annuale a Miami, le esibizioni delle donne si svolgevano in spazi liminali che incoraggiavano sia la trasgressione che il tipo di schietta riflessività culturale che non sarebbe stata appropriata nelle sedi tradizionali. Inoltre, commentando di riflesso le proprie performance con frasi come “I know I’m weird”, le tre comiche si contrassegnavano anche come liminali. I riferimenti scatologici servivano inoltre a inquadrare le loro performance come una rottura dei confini. Ciò contribuiva a preparare il pubblico alle scandalose trasgressioni di genere e sessualità e alle riflessioni occasionalmente dolorose sull'etnia e sulla classe a cui facevano riferimento le loro barzellette.

Indisciplinate “red hot mamas”, il trio incarnava palesemente il carnevalesco, e nell'atmosfera carica di erotismo della discoteca sostenevano i principi del caos, del disordine e dell'eccesso, sia oralmente che visivamente. Confrontandosi con l'ideologia di genere conservatrice del secondo dopoguerra, espressero il loro rifiuto di nascondersi in casa. Usavano aspetti della loro identità che erano stati repressi – caratteristiche come la flagrante ebraicità etnica e la sessualità delle donne – come armi per deridere le norme sociali. Queste donne vigorose, carnose, ovviamente in menopausa, con abiti di paillettes e sopracciglia dipinte, ostentavano la loro carnosità per mitigare la minaccia delle loro battute. Mentre le principali riviste degli anni Cinquanta descrivevano un mondo di rapporti sessuali normativi e di vita familiare borghese, l'emergere di Playboy (pubblicato per la prima volta nel 1953) e l'uscita dei Kinsey Reports (nel 1948 e nel 1953) complicarono il discorso pubblico su genere e sessualità.[32] Così, lungi dall'essere bellezze classiche dall'aspetto elegante, queste artiste scandalosamente impudiche e sessualmente schiette toccavano ovviamente un nervo scoperto con molti spettatori della classe media che desideravano sfuggire all'indiscussa insipidezza della loro esistenza da colletti bianchi e al clima di conformità culturale.

Relegata nello spazio liminale dello spettacolo notturno, Belle Barth, l'autodefinita "maven on drek", e la sua coorte offrirono a molti avventori della classe media dei bassifondi l'opportunità di godersi la turbolenza del "lower-class leisure" senza danni evidenti alla loro reputazione.[33] Come le abiette funzioni corporee da cui la società educata distoglie lo sguardo, gli ebrei nei sobborghi bianchi dell'America degli anni ’50 dovettero nascondere le loro radici di classe operaia e ripulire la loro etnicità e differenza. Dato questo contesto, l'umorismo scatologico del trio, così come i loro dialetti di classe operaia o l'onnipresente yiddishismo, servivano da metafora per il ritorno della cultura etnica e della classe operaia che gli ebrei assimilanti avevano represso. Come i narratori di barzellette di cui Simon Bronner parla nel suo lavoro sull'umorismo anale nella cultura olandese della Pennsylvania, queste comiche si impegnano in "act[s] of verbal aggression, [symbolically] hurling ‘shit,’ at the establishment that ‘looks down’ upon them like dirt."[34]

Denudando il sesso dalla sua serietà e ponendo una prospettiva unicamente femminile sull'argomento, queste comiche sfacciate alla fine sfidarono le visioni maschiliste della sessualità femminile che dominavano il vaudeville, il burlesque e il Borscht Belt. Il trio sostituì "the badgering mother-in-laws, homely naggers, ball and chain wives, or dumb bombshells that dominated male comedians’ routines with strong-minded, willful women always ready to offset their opponent with a cheeky remark".[35] Piuttosto che interpretare le sventurate vittime degli scherzi del comico maschile, il trio si propone come istigatore di umorismo e caos.

Nel loro mondo sottosopra, gli uomini fastidiosi vengono provocati da ghiandole mammarie minacciosamente traboccanti o da quelle knish che consumano tutto. Qui, infatti, parti esagerate del corpo femminile (seni, glutei e vagine sovradimensionati) cospiravano per ridicolizzare gli uomini e renderli impotenti. Giocando sulle paure maschili riguardo alla sessualità femminile e attingendo a strumenti comici storicamente utilizzati dai comici maschili per sminuire le donne, queste comiche impiegarono strategicamente gli strumenti del loro mestiere dominato dagli uomini per evidenziare le asimmetrie che esistevano tra i sessi. Nel lavoro di queste talentuose artiste, le allusioni agli orifizi e agli attributi sovrabbondanti associati alla forma femminile diventano una fonte di forza, piuttosto che di imbarazzo, e i termini che erano stati usati per oggettivare e mettere a tacere il godimento sessuale delle donne servivano a destabilizzare il potere e il privilegio esercitati dagli uomini sulla scena pubblica e nella più ampia cultura patriarcale.

Le performance di Barth, Williams e Abbott offrono spunti potenti non solo sull'identità ebraica ma anche sulla classe, sull'assimilazione e sulla whiteness. Anche se queste donne evidenziarono le differenze culturali reali e represse degli ebrei negli anni del dopoguerra, i loro atti esagerati denudarono anche la costruzione delle identità etniche e razziali. In altre parole, l'umorismo delle tre comiche si concentrava sulle tensioni tra l'essere ebrea, con tutta la distanza dalla cultura americana tradizionale che ciò implicava, e interpretare l'ebrea, essere bianca e interpretare la bianca, essere classe media e interpretare la classe media.[36] Certamente, il trio non mise in scena alcun tipo di identità ebraica realistica che avrebbero abbracciato fuori dal palco: non sarebbero state d’accordo sul fatto che le ebree fossero o dovessero essere ipersessuali, rumorose e rozze. Al contrario, le parodie fatte da queste donne sull’identità etnica della classe operaia rispecchiavano le rappresentazioni quotidiane, a volte forzate, di bianchezza che vedevano messe in scena da certi ebrei in ascesa sociale nelle periferie ricche e assimilate. Il trio vide con grande perspicacia la costruzione di un'identità bianca propria della classe media sia per gli ebrei che per i non-ebrei.

Proiettando le loro voci nel soggiorno, il trio ricordava ai nuovi abitanti delle periferie ebraiche dove erano stati e portava alla luce le parti della vita del pubblico che i membri di tale pubblico trovavano difficile esprimere ai loro vicini. Queste comiche trasportavano le tensioni della vita privata ebraica nello spazio pubblico emarginato del palcoscenico comico notturno, per poi riportare quel discorso pubblico nel reame domestico dello stereo nel soggiorno, dove poteva essere tranquillamente riconosciuto e accettato. A dire il vero, le loro routine erano in sintonia con le pressioni che gli ebrei dovettero affrontare nell'ambiente etnico e di classe dell'epoca. Anche se il loro umorismo smascherava la costruzione del bianco e dell'ebraicità, le tre riconoscevano calorosamente i dilemmi sociali che il loro pubblico doveva affrontare. Viste in questa luce, la loro rappresentazione dal vivo e registrata dell'identità etnica della classe operaia metteva in luce la rappresentazione quotidiana della bianchezza di cui si impegnavano gli ebrei, anche se non più degli stessi bianchi anglosassoni protestanti.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie delle interpretazioni, Serie dei sentimenti e Serie letteratura moderna.
  1. Ronald L. Smith, Comedy on Record: The Complete Critical Discography (New York: Garland, 1998).
  2. Patsy Abbott, Suck Up, Your Behind, Abbott LP 1000; e Have I Had You Before, Chess LP 1450.
  3. Michael Bronski, “Funny Girls Talk Dirty,” Boston Phoenix (15-21 agosto 2003).
  4. Andres S. Viglucci, “Pearl Leaves Her Setting,” Miami Herald (29 marzo 1984).
  5. Deborah Dash Moore, “Jewish Migration in Postwar America: The Case of Miami and Los Angeles,” in A New Jewry? America since the Second World War (cur. Peter Y. Medding; New York: Oxford University Press, 1992), 105–09.
  6. Linda Martin e Kerry Seagrave, Women in Comedy: The Funny Ladies from the Turn of the Century to the Present (Syracuse: Citadel Press, 1986), 141.
  7. Ibid.
  8. Sebbene Barth, Williams e Abbott debbano molto al personaggio sessualmente assertivo e autoironico della "red-hot mama" che l'intrattenitrice ebrea Sophie Tucker rese famosa agli inizi del 1900, i testi delle canzoni e le battute di Tucker, sebbene allusivi, non erano né apertamente spinti né sessualmente aggressivi come quelli del trio. Sebbene anche le "mamme roventi" interpretassero donne anziane esuberanti e dalla mentalità indipendente con corpi voluttuosi e sani appetiti sessuali, e sebbene usassero lo yiddishismo per ottenere effetti comici, il trio era considerevolmente più grafico. Il trio aiutò anche a contribuire e sviluppare la tradizione della Borscht Belt, molto spesso legata ai comici maschili ebrei del Catskill, commedia caratterizzata da insulti, battute frenetiche e aneddoti divertenti su piagnucoloni e perdenti profondamente imperfetti che avrebbero perseverato, nonostante varie forme di vittimizzazione, autoinflitte o imposte dall'esterno. Anche se queste comiche non sono associate al cabaret di moda, nuovo, ribelle e antiestablishment emerso nei club intimi di New York, Chicago e San Francisco all'inizio degli anni ’60, in molti modi ne hanno aperto la strada. .
  9. Marjorie Valbrun, “Pearl Williams, Well-Known Singer, Comedienne,” Miami Herald (20 September 1991).
  10. Viglucci, “Pearl Leaves Her Setting.”
  11. Ibid.
  12. Ibid.; Valbrun, “Pearl Williams.”
  13. Pearl Williams, Second Trip around the World, Surprise Records 75. Questa mi ha fatto ridere forte mentre la scrivevo... e mia moglie mi ha guardato perplessa!
  14. Entrambi gli esempi sono estratti da A Trip around the World Is Not a Cruise.
  15. Gail Meadows, “Patsy Abbott, Miami Beach Entertainer, Impresario,” Miami Herald (3 agosto 2001); Irene Lacher, “At Patsy’s Place, There Was Always a Party Going On,” Miami Herald (6 ottobre 1985); Borscht Capades Playbill (24 settembre 1951) Zan T282, Borscht Capades Clip File, The New York Public Library for the Performing Arts, 26.
  16. Meadows, “Patsy Abbott.”
  17. Particolarmente rilevante qui è un passaggio dall'album di Pearl Williams, Pearl Williams at Las Vegas: “She's Doin' What Comes Naturally” (Riot R303), in cui la comica ingaggia un dialogo con Barth, che è tra il pubblico, parte della folla. Descrivendo il danno che lacomica e “sua madre” Barth avrebbero potuto scatenare contro televisione conservatrice dei loro tempi, Williams urla sarcasticamente: “We’re doing The Bad Girls of Jewish Comedy: Gender, Class, Assimilation, and Whiteness in Postwar America 153 the Tonight Show. We really are, honey. Don’t get hysterical. We’re going on television. We’re gonna blow the entire network. She’ll take one end, I’ll take the other end. We’ll bring back radio.”. Quando un membro del pubblico menziona Patsy Abbott, Williams liquida Abbott semplicemente definendola una “brava ragazza”. Il semplice fatto che venisse menzionata, però, dimostra come queste tre fossero collegate nell’immaginario pubblico.
  18. Sebbene tali battute dialettali fossero spesso viste come offensive nei confronti degli ebrei immigrati, come sottolinea Dan Ben-Amos nel suo articolo del 1973 “The ‘Myth’ of Jewish Humor” (Western Folklore 81: 129–30), "the fact that Jews tell jokes about each other demonstrates not so much [Jews’ alleged] self-hatred as perhaps the internal segmentation of their society... The recurrent themes of these anecdotes are indicative of areas of tensions within the Jewish society itself, rather than the relations with outside groups".
  19. Simon J. Bronner, “Dialect Story,” in Encyclopedia of American Folklife (cur. Bronner; Armonk: M. E. Sharpe, 2006), 307 –10; Ben-Amos, “The ‘Myth’ of Jewish Humor”; cfr. anche James P. Leary, “Dialect Story,” in American Folklore: An Encyclopedia (cur. Jan Harold Brunvand; New York: Garland, 1998), 200–01; e Stanley Brandes, “Jewish-American Dialect Jokes and Jewish-American Identity,” Jewish Social Studies 45 (1983): 233–40.
  20. Mathew Frye Jacobson, Whiteness of a Different Color: European Immigrants and the Alchemy of Race (Cambridge: Harvard University Press, 1998). Per prospettive correlate su questa problematica, cfr. Eric L. Goldstein, The Price of Whiteness: Jews, Race, and American Identity (Princeton: Princeton University Press, 2006); Karen Brodkin Sacks, “How Did Jews Become White Folk?,” in Race (curr. Steven Gregory e Roger Sanjek; New Brunswick: Rutgers University Press, 1994), 78–102; e Eli Lederhendler, New York Jews and the Decline of Urban Ethnicity, 1950–1970 (Syracuse: Syracuse University Press, 2001).
  21. Goldstein, The Price of Whiteness, 189.
  22. Brodkin Sachs, “How Did Jews Become White Folk?” 97.
  23. Goldstein, The Price of Whiteness, 236.
  24. Joel Foreman, The Other Fifties: Interrogating Midcentury American Icons (Urbana: University of Illinois Press, 1997), 10.
  25. Cfr. Riv-Ellen Prell, “Rage and Representations: Jewish Gender Stereotypes in American Culture,” in Uncertain Terms: Negotiating Gender in American Culture (curr. Faye Ginsburg e Anna Lownhaupt Tsing; Boston: Beacon Press, 1990), 248–66; e Prell, Fighting to Become Americans: Assimilation and the Trouble between Jewish Women and Jewish Men (Boston: Beacon Press, 1999).
  26. Sarah Blacker Cohen, “Unkosher Comediennes: From Sophie Tucker to Joan Rivers,” in Jewish Wry: Essays on Jewish Humor (ed. Cohen; Detroit: Wayne State University Press, 1987), 105–24.
  27. Paula E. Hyman, Gender and Assimilation in Modern Jewish History: The Roles and Representation of Women (Seattle: University of Washington Press, 1995), 111–13.
  28. Prell, Fighting to Become Americans, 23.
  29. Ruth Frankenberg, White Women, Race Matters: The Social Construction of Whiteness (Minneapolis: University of Minnesota Press, 1993), 224.
  30. Svariati studiosi hanno esaminato la rappresentazione delle donne ebree nell'America del secondo dopoguerra come avide, inducenti sensi di colpa, prepotenti e sessualmente aggressive. Cfr. per esempio, Roberta Mock, “Female Jewish Comedian,” New Theater Quarterly 58 (1999): 154 Jews and Humor 99–109; Joyce Antler, You Never Call! You Never Write!: A History of the Jewish Mother (New York: Oxford University Press, 2007); Prell, “Rage and Representations”; Alan Dundes, “The J.A.P. and the J.A.M. in American Folklore,” Journal of American Folklore 98 (1985): 456–75.
  31. Cohen, “Unkosher Comediennes,” 112.
  32. Sulla complessa realtà del sessismo e della relativa resistenza delle donne nell’America degli anni ’50, cfr. Joanne Meyorwitz, Not June Cleaver: Women and Gender in Postwar America, 1945–1960 (Philadelphia: Temple University Press, 1994).
  33. Kathleen Spies, “‘Girls and Gags’: Sexual Display and Humor in Reginald Marsh’s Burlesque Images,” American Art (Summer 2004): 33–57.
  34. Simon J. Bronner, “Analyzing the Ethnic Self: The Hinkel Dreck Theme in the Pennsylvania-German Folk Narrative,” Columbia Journal of American Studies 8 (2007): 34.
  35. Spies, “Girls and Gags,” 45.
  36. In Acting Jewish: Negotiating etnicon on the American Stage and Screen (Ann Arbor: University of Michigan Press, 2006), Henry Bial esplora il modo in cui gli artisti ebrei gestiscono la loro identità etnica facendo riferimento a una serie di segnali uditivi e visivi, segnali che sono “a doppio codice” ” (destinato ad essere letto in modo diverso da un pubblico di diverse origini etniche). In una situazione del genere, l’ebraicità non è una questione di affiliazioni etniche o religiose, ma un insieme di comportamenti, gesti e maniere messi in atto per gli spettatori che possono o non possono, rispettivamente, prestare attenzione a messaggi che esprimono conoscenza esoterica o exoterica.