Yeshua e i Goyim/Capitolo 1

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Salvator Mundi, di Antoon van Dyck (1650 ca.)
Indice del libro

INTRODUZIONE[modifica]

Gesù e i gentili: quali sono i problemi?[modifica]

Lo scopo di questo studio è di contribuire alla nostra comprensione dell'atteggiamento di Gesù verso i non-ebrei, cioè i gentili (ebr. גוים goyim).[1] Non solo esaminerò i detti e le azioni che collegano Gesù ai gentili, ma evidenzierò anche il contesto del primo secolo, il tempo di Gesù. Con l'aiuto dei risultati archeologici e illuminati dalle antiche fonti scritte come le opere di Flavio Giuseppe, esamineremo il mondo sociologico, storico, religioso ed etnico di Gesù. Domande cruciali riguardano la Galilea: quanto era ebrea e quanto gentile? Qual era l'atteggiamento generale degli ebrei galilei e giudei nei confronti dei gentili? Gesù incontrava i gentili ogni giorno quando guidava la sua missione nelle città e nei villaggi della Galilea?

Uno sguardo superficiale ai quattro Vangeli produce un'immagine di Gesù la cui missione era geograficamente centrata in Galilea e mirata soprattutto al popolo ebraico che viveva lì. I gentili avevano solo un posto marginale nella missione di Gesù.[2] Sanders elenca come uno degli otto "fatti quasi indiscutibili" che "Gesù confinava la sua attività in Israele".[3] Secondo Matteo 10:5-6 e 15:24 Gesù limitò l'attività sua e dei suoi discepoli agli ebrei. La missione di Gesù, così afferma il Vangelo di Matteo, era per la pecora smarrita della casa d'Israele. Luca sottolinea che Gesù cercò e guarì gli ebrei malati perché erano figli e figlie di Abramo (Luca 13:16;19:9). Anche Paolo, l'apostolo delle genti, ammette che Gesù "si è fatto servitore dei circoncisi", Romani 15:8. Queste nozioni suggeriscono che la missione di Gesù fosse incentrata sugli ebrei, ma ci chiederemo ulteriormente se Gesù escludesse intenzionalmente i gentili dalla sfera della sua missione, e in caso affermativo, per quale motivo. Inoltre, il Vangelo di Giovanni non menziona che Gesù guarisse finanche un solo gentile, mentre i sinottici attribuiscono a Gesù il merito di aver aiutato occasionalmente anche alcuni gentili. Allo stesso tempo dobbiamo notare che tutti i Vangeli sembrano sostenere la missione ai gentili. Nei racconti della risurrezione i discepoli sono incaricati di una missione per tutte le nazioni e per il mondo intero (Matteo 28:16-20; Luca 24:46-49).

I sinottici indicano che Gesù aiutò la figlia della donna cananea (Marco 7:24-30; Matteo 15:21-28) e il servo del centurione (Matteo 8:5-10; Luca 7:1-10). Anche la storia dell'indemoniato gerasene è molto probabilmente da intendersi come riguardante un uomo gentile (Marco 5:1-20; Matteo 8:28-34; Luca 8:26-39). Queste tre storie sono prove valide per l'affermazione che di tanto in tanto Gesù effettivamente, anche se di rado, aiutò certi gentili che chiedevano il suo aiuto. Nonostante queste occasioni concrete, è da notare che secondo i sinottici Gesù non prese mai l'iniziativa di aiutare i gentili. Non visitò mai le aree dei gentili per portare la sua missione ai gentili. Tutte le narrazioni rilevanti nei sinottici indicano che alcuni gentili occasionalmente presero l'iniziativa di chiedere aiuto a Gesù. Gesù, secondo i Vangeli, con esitazione rispose positivamente al loro bisogno. Da sottolineare che, nel caso della donna cananea e del centurione di Cafarnao, si dice che Gesù abbia operato la guarigione a distanza. Gesù non andò incontro al paziente gentile, né entrò nella sua casa. Leggendo i Vangeli per quello che sono di primo acchito, diventa evidente che Gesù rimase distante dai gentili e guidò la sua missione tra gli ebrei.

Marco 3:8, Matteo 4:25 e Luca 6:17 dicono che moltitudini vennero ad ascoltare Gesù e per essere guarite da lui. Queste moltitudini, come affermano i versetti elencati in precedenza, includevano persone del lato orientale della Giordania, dell'Idumea, della Decapoli, dei distretti di Tiro e Sidone. Tuttavia, non è scontato che i molti provenienti dalle terre straniere fossero gentili. Naturalmente Marco può aver insinuato che tra quelli provenienti da regioni straniere come Tiro e Sidone, alcuni fossero gentili. La nota interpretativa del redattore in Matteo 12:17-18,21 supporta tale conclusione. Il materiale sinottico dei detti, che sono attribuiti a Gesù, contiene alcune parole positive riguardo ai gentili. Nella ricerca neotestamentaria, il detto sul grande banchetto è stato considerato essenziale perché gli studiosi lo hanno spesso interpretato come contenente un riferimento ai gentili che entreranno nel regno di Dio/Cieli nel futuro escatologico. Nel banchetto escatologico del regno di Dio i gentili ceneranno in compagnia di Abramo, Isacco e Giacobbe (Matteo 8:11-12/Luca 13:28-29). Si ricorda che Gesù abbia paragonato "questa generazione" e gli abitanti di Cafarnao, Betsaida e Corazin con i gentili del passato biblico di Israele. Questi confronti sono sempre fatti a vantaggio dei gentili: Tiro, Sidone, Sodoma, il popolo di Ninive e la Regina di Saba (Matteo 11:20-24; Luca 10:13-15; Matteo 12:39-42; Luca 11:29-32). Alla luce di questi detti, i peggiori dei gentili, i Sodomiti, saranno più tollerati durante il Giorno del Giudizio rispetto alle città della Galilea, nelle quali si dice che Gesù avesse centrato la sua missione.

Sulla base dei racconti, dei detti e delle parabole dei Vangeli si potrebbe avere l'impressione che Gesù avesse limitato la sua missione agli ebrei, ma che si aspettasse che nel futuro escatologico, durante il Giorno del Giudizio e quando il banchetto nel regno dei cieli sarebbe stato servito, si sarebbe avuto un capovolgimento escatologico. In questo capovolgimento i peggiori dei gentili, come i Sodomiti, e i molti popoli provenienti da tutte le direzioni ("molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli" Matteo 8:11-12), sarebbero stati più tollerati dei contemporanei ebrei di Gesù, i membri di "questa generazione" e gli abitanti di Cafarnao, Corazin e Betsaida. Nonostante questi accenni positivi per i gentili, dobbiamo riconoscere che il materiale dei detti, attribuiti a Gesù, contiene solo pochi e minimi riferimenti a un Gesù che esorta, spera o predice che i suoi discepoli avrebbero svolto una missione tra i gentili – cioè predicare ai gentili – nel futuro escatologico (Marco 13:10;14:9). Inoltre non ci sono chiari accenni di Gesù che dà consigli ai suoi discepoli riguardo a come dovrebbero relazionarsi con quei gentili che alla fine sarebbero diventati credenti in Cristo: i gentili che credono in Cristo devono essere accettati come discepoli di Gesù e come cristiani? E se è così, devono essere circoncisi e obbligati a seguire la Torah? Tali questioni, divenute urgenti e centrali per i primi cristiani negli anni 40 (Atti 15; Galati 2), non sono affrontate nei Vangeli.

Quando studiamo l'atteggiamento di Gesù verso i gentili, non dobbiamo limitarci solo ai detti e alle pratiche concrete che li riguardano direttamente. In accordo con l'ebraismo del Secondo Tempio, la restaurazione escatologica e la sua consumazione hanno sempre influenzato in qualche modo i gentili e le nazioni. A causa di questo fatto,Yeshua l'Ebreo, se la sua missione deve essere vista in un contesto di restaurazione escatologica, molto probabilmente aveva una sorta di visione dei gentili per se. In accordo con questa linea di ragionamento, le azioni e le parole di Gesù, che dovrebbero essere viste come escatologiche in un certo senso, possono implicare un messaggio per i gentili. Certamente è difficile spiegare la missione ai gentili dei primi cristiani negli anni 40 facendo riferimento alle poche occasioni in cui Gesù guarì con esitazione i singoli pagani. Si può sostenere, forse in modo più credibile, che il ruolo escatologico nella missione di Gesù abbia dato origine alla convinzione dei primi ebrei-cristiani che il messaggio di Cristo dovesse essere proclamato anche ai non-ebrei.

Possibili ragioni della missione ai gentili[modifica]

La missione ai gentili della Chiesa primitiva richiede spiegazioni storiche. Come si può spiegare che un movimento, incentrato su un uomo ebreo che aveva una missione per gli ebrei palestinesi, sia arrivato a sfociare in una forte missione per i gentili? Tutti i discepoli di Gesù erano ebrei. Secondo i Vangeli, Gesù, durante la sua missione terrena, non commissionò né predisse esplicitamente la missione ai gentili della Chiesa primitiva. I Vangeli raccontano che Gesù guidò la sua missione sul suolo dell'antico Israele. Non ci viene detto che egli viaggasse nella Diaspora, dove di fatto visse la maggior parte degli ebrei durante il I secolo e.v.[4] Da questi fattori, riscontrati nei Vangeli, è molto sorprendente che la Chiesa paleocristiana sentisse che il superamento dei confini etici fino ai gentili fosse una "estensione naturale" della sua missione.[5] In che modo Gesù, con le sue radici ebraiche, arrivò a lanciare un movimento, che crebbe in un suo futuro gentile? La Chiesa, passando ai gentili, negò e abbandonò le sue radici ebraiche in Gesù? Se la missione ai gentili dei primi cristiani fosse o meno una "estensione naturale" in linea con le visioni di Gesù è rimasta una questione controversa tra gli studiosi moderni.

Ad esempio J. P. Meier sostiene che la missione ai gentili divise i ranghi dei primi cristiani perché la diffusione dei gentili e la predicazione del Vangelo per i gentili era qualcosa che non poteva essere associato alla missione o alla volontà del Gesù storico. Meier insiste, affermando quanto segue:

« ...The programmatic mission to the gentiles during the course of this present world was a wrenching departure for the early church and caused so much controversy in the first Christian generation. Neither the actions nor the words of the historical Jesus had given precise and detailed instructions for such an initiative. »
(Meier, 1994, 315)

Sanders e molti altri studiosi come Fredriksen, Bird e Theissen, sostengono che non vi è alcun supporto per l'affermazione che un gruppo cristiano si opponesse alla missione dei gentili in quanto tale.[6] Paolo, come osserva Bird, ebbe grandi controversie riguardo al suo Vangelo fuori dalla Legge (Galati 1:6-12;2:1-15), che predicò ai gentili, ma dalle sue lettere non sappiamo di alcuna disputa sulla legittimità della missione ai gentili in quanto tale.[7] La lettera di Paolo ai Galati rivela che c'erano controversie su come i gentili potessero volgersi verso Cristo e Dio. Insomma, la posta in gioco erano le domande se i gentili, che si erano convertiti a Cristo, dovessero essere circoncisi e obbligati a seguire la Torah (Atti 15:1,5; Galati 5:2) o meno. Dovevano diventare ebrei per potersi rivolgere a Gesù Cristo? Evidentemente, per quanto ne sappiamo sulla base delle nostre fonti, nessuno si oppose all'idea che i gentili dovessero diventare parte del movimento di Cristo. Ma durante gli anni 40 e 50 alcuni ebrei-cristiani conservatori insistettero sul fatto che i gentili che divennivano cristiani dovessero essere circoncisi e obbligati a seguire la Torah. In considerazione di ciò, la domanda diventa ancora più pressante: su quali basi la Chiesa primitiva estese in modo così unanime e apparentemente così naturale la sua missione anche ai gentili?

Sono emerse diverse risposte per spiegare la missione ai gentili dei primi cristiani. Si potrebbe sostenere che gli ebrei-cristiani iniziarono con la missione ai gentili perché il loro messaggio non veniva accettato dagli ebrei (Atti 13:46). Questa spiegazione propone che il passaggio ai gentili sia stato motivato da una ragione pratica: i gentili erano pronti ad accettare il Vangelo, mentre gli Ebrei come popolo non lo erano. Potrebbe essere che la Chiesa primitiva avesse semplicemente adottato la presunta pratica missionaria e la visione universale degli ebrei del periodo del Secondo Tempio? Questa spiegazione non è convincente perché le prove non supportano l'affermazione che l'ebraismo fosse una religione missionaria durante il I secolo p.e.v. Non ci sono segni convincenti del fatto che gli ebrei praticassero un impegno missionario organizzato per i gentili, e che potesse essere credibilmente paragonato alla missione ai gentili dei primi cristiani guidata da Paolo e altri.[8] Affronteremo la complessa questione se l'ebraismo fosse una religione missionaria nel Capitolo 2.4. Nella loro "missione gentile", i primi cristiani furono piuttosto singolari: fecero parte della formazione della prima vera religione missionaria nel mondo antico.

C'è la possibilità che le visioni escatologiche e cristologiche della Chiesa primitiva abbiano portato i cristiani alla convinzione che fosse arrivata la salvezza per i gentili. Come abbiamo notato, secondo le visioni escatologiche ebraiche la salvezza o la dannazione dei gentili apparteneva chiaramente all'era escatologica. Sanders, così come Fredriksen, spiegano la missione ai gentili dei primi cristiani sottolineando la consapevolezza escatologica sia di Gesù che dei primi cristiani e la loro convinzione che la fine dei tempi fosse arrivata. Sanders afferma quanto segue:

« One of the surest proofs that Jesus’ career is to be seen within the general context of Jewish eschatological expectations is that the movement which he initiated spawned a gentile mission. »
(Sanders, 1985, 212)

La missione di Gesù era intesa dalla Chiesa primitiva come adempimento delle speranze escatologiche: era arrivata la fine dei giorni (Romani 13:11-12; 1 Corinzi 7:29). Il fatto che la Chiesa primitiva fosse centrata a Gerusalemme supporta la sua autocomprensione escatologica. Fredriksen sottolinea il fatto che i primi cristiani avevano la loro posizione di leader a Gerusalemme e che la città era considerata importante (Galati 1:17; Atti 1-8;11:22;15:4; Romani 15:25-27). Come scrive Paolo, le "colonne" (στὗλοι), cioè Giacobbe, Cefa e Giovanni (Galati 2:9), erano di stanza a Gerusalemme almeno durante la prima storia del movimento cristiano. Non sarebbe stato ovvio che i dodici discepoli originali di Gesù avessero scelto Gerusalemme come loro centro. Dopotutto la missione di Gesù era centrata nelle città rurali della Galilea come Cafarnao, e nessuno dei Dodici era di Gerusalemme. A servizio della missione ai gentili e a vantaggio della comunità della Diaspora ci si poteva aspettare che il centro delle "colonne" fosse ad esempio [[w:Cesarea marittima|Cesarea marittima, che era la capitale romana della procura giudaica. Inoltre Cesarea marittima aveva un grande porto e per la sua posizione era al centro del crocevia dei traffici internazionali e quindi una polis cosmopolita e internazionale con una consistente popolazione gentile. Fredriksen sostiene[9] in modo credibile che gli apostoli come Pietro scelsero Gerusalemme come centro principale per la Chiesa primitiva a causa del ruolo mitico della città nell'adempimento delle aspettative escatologiche. La parola di Dio sarebbe uscita da Sion come predice Isaia 2:2-4: "da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore". È pur vero che le credenze dei primi cristiani in un'escatologia realizzata avrebbe potuto portare al loro interesse per la salvezza dei gentili e della città di Gerusalemme. La salvezza dei gentili sarebbe stata un segno che l'era escatologica era giunta. Nei suoi studi recenti Michael F. Bird è giunto alla seguente conclusione:

« The primitive Christian mission arose principally out of a concoction of eschatology and Christology and reading the Jewish Scriptures in light of new perspectives in these areas. »
(Bird, 2010, 12)

Una possibile ragione e spiegazione per la missione ai gentili è che Gesù l'avesse effettivamente, in qualche modo, affidata ai suoi seguaci. Gli studiosi si sono opposti tradizionalmente e anche di recente a questa spiegazione. È opinione diffusa che Gesù non abbia lanciato una missione ai gentili e che non abbia predetto o sperato che i suoi discepoli sarebbero stati impegnati nella predicazione del Vangelo ai gentili. Per esempio, Meier afferma che Gesù "non considerava né se stesso né i suoi discepoli come incaricati di intraprendere una missione presso i gentili mentre questo mondo attuale faceva il suo corso".[10] Secondo la mia posizione, Meier non riesce a offrire una spiegazione storica credibile per la missione ai gentili dei primi cristiani. Martin Hengel, d'altra parte, è più realistico nella sua affermazione. Hengel afferma quanto segue:

« It is worth noting that the Jewish-Messianic movement in the early church was able to go beyond the geographic borders of Eretz Israel and the religious borders of strict Judaism so quickly, in relatively few years. This chain of events is without parallel in the history of Palestinian Judaism and must have its roots, finally, in the actions of Jesus himself. The promises uttered by the prophets concerning the end times that were to come with the appearance of the Messiah included the fact that membership in the people of God would be opened to the gentiles. »
(Hengel, 2010, 53)

Uno sguardo alle ricerche precedenti fino ad oggi[modifica]

Joachim Jeremias pubblicò il suo Jesu Verheissung für die Völker nel 1956. Il libro di Jeremias è l'opera scientifica più influente sull'atteggiamento di Gesù nei confronti dei gentili. Secondo Jeremias Gesù non intendeva che egli stesso o i suoi discepoli praticassero una missione ai gentili. Nonostante ciò, Jeremias affermò che Gesù anticipò il compimento del pellegrinaggio escatologico dei gentili sul Monte Sion o nel regno di Dio secondo passi come Isaia 2:2-4 e Tobia 13-14. Le tesi principali di Jeremias sono seguite da diversi studiosi attuali. Nel 2006, Michael Bird ha scritto la sua monografia Jesus and the Origins of the gentile Mission. Bird sosteneva che la missione di Gesù riguardava soprattutto Israele e gli ebrei nel contesto del compimento della restaurazione escatologica di Israele. Bird concluse che, poiché l'adempimento escatologico era già in uno stato di realizzazione parziale, anche il culmine escatologico, la salvezza dei gentili, stava diventando una realtà. Bird afferma che i pochi gentili che furono guariti da Gesù prefiguravano la futura salvezza per tutti i gentili.[11] In contrasto con Jeremias, Bird ammette che Gesù avrebbe previsto che i suoi discepoli annunciassero il Vangelo ai gentili, perché Dio, pur operando sovranamente, spesso agisce attraverso agenti – Israele e gli individui – al fine di realizzare i suoi piani.[12] Nella visione di Bird, lo zelo del primo movimento di Gesù per convertire i gentili trova la sua spiegazione nella missione escatologica di Gesù di restaurare Israele e nelle implicazioni cristologiche attribuite a Gesù.[13]

Oltre a Jeremias e Bird, non ci sono altre monografie così estese su questo argomento. Nella cosiddetta Terza Ricerca del Gesù storico è stata sottolineata l'ebraicità di Gesù e della sua missione. Soprattutto nella Terza Ricerca, alcuni studiosi hanno proposto che Gesù limitasse la sua missione e quella dei suoi discepoli esclusivamente agli ebrei e che non affrontasse in modo chiaro la questione della salvezza dei gentili. Per quanto riguarda i sinottici e le tradizioni di Gesù, Allison afferma che "non affrontano la questione della circoncisione e non hanno quasi nulla – forse proprio nulla – da dire sui gentili e sul loro posto nella comunità della salvezza".[14] Diversi studiosi della Terza Ricerca sostengono che molto probabilmente Gesù si aspettava – in linea con la maggior parte degli ebrei palestinesi dell'inizio del I secolo – che nell'eschaton alcuni gentili si sarebbero salvati e avrebbero fatto pellegrinaggio alla Sion restaurata.[15] Questa idea differisce dalla posizione di Jeremias nel senso che Jeremias affermò che Gesù aveva una visione abbastanza chiara della salvezza dei gentili. Tale visione era fedele a un modello storico di salvezza: prima gli ebrei, poi i gentili. Inoltre, secondo Jeremias, Gesù si aspettava che la salvezza dei gentili seguisse un pellegrinaggio di gentili in cinque fasi, e che i discepoli sarebbero stati totalmente passivi in ​​questo processo. L'idea che Gesù non avrebbe né pensato né parlato delle implicazioni universali del suo messaggio è alquanto poco plausibile perché le visioni escatologiche ebraiche – pur essendo centrate su Sion e su Israele – trattavano sempre la questione dei gentili e del mondo. Ad esempio, possiamo notare che nella comunità strettamente particolaristica e nazionalista di Qumran le speranze escatologiche contenevano visioni dei Kittim e delle nazioni.[16] Se Gesù è considerato una figura escatologica – un profeta o il Messia – nel contesto della restaurazione escatologica di Israele, allora è presumibile che abbia affrontato in qualche modo la questione dei gentili.

Considerazioni metodologiche[modifica]

Per giungere al Gesù storico faremo uso dei criteri della storicità: cioè del criterio dell'imbarazzo (o della contraddizione), della discontinuità, dell'attestazione multipla, della plausibilità, della coerenza, e il criterio del rigetto e dell'esecuzione. Sottolineeremo anche l'ambiente e il contesto palestinesi.[17] Con buone ragioni, Allison dubita che i criteri di storicità conducano gli studiosi a una verità oggettiva riguardo a particolari detti e atti di Gesù. I criteri devono essere intesi come strumenti da usare con cautela, perché, spesso, i criteri non formano la visione dello studioso su Gesù, ma piuttosto i criteri sono usati dallo studioso per supportare la sua visione di Gesù. Allison afferma che i criteri di "dissomiglianza, attestazione multipla, coerenza e imbarazzo sono stati usati per inventare molti tipi diversi di figure". Sono d'accordo con Allison sul punto che nessun criterio raffinato ha portato o porterà gli studiosi a un consenso autentico su aspetti particolari delle azioni e dei detti di Gesù.[18] La volontà dello studioso è evidentemente più forte dei criteri, e quindi i criteri non superano la nostra soggettività.[19] Pur ammettendo che siamo sempre di parte, la discussione accademica non è imperfetta e inutile. Ogni criterio deve essere criticato e dobbiamo lottare per l'obiettività usando il ragionamento accademico. Vanno utilizzati i criteri della storicità, ma bisogna riconoscere che essi non portano automaticamente lo studioso a un corretto discernimento dell'autenticità dei singoli detti e atti.[20]

Gli studi su Gesù non sono scienze esatte, e quindi risultati esatti riguardanti l'autenticità di particolari detti e azioni non sono i più cruciali quando si mira a raggiungere Gesù di Nazareth. I detti e le azioni di Gesù, la sua persona, hanno lasciato impressioni nella memoria dei suoi discepoli, e queste impressioni e ricordi, molti dei quali si trovano nei Vangeli, sono trasmessi nella tradizione di Gesù. Che un certo detto e un'azione siano coerenti con una grande mole di materiale supporta la conclusione che Gesù molto probabilmente disse e fece qualcosa del genere.[21] La certezza nei detti individuali e specifici è difficile da ottenere, ma nondimeno possiamo avere una ragionevole certezza nei motivi e temi più grandi della missione di Gesù – cioè egli proclamò il regno di Dio, chiamò Dio padre, fu conosciuto dalle sue guarigioni ed escorcismi.[22] Dopo la sua morte, Gesù rimase nella memoria dei suoi discepoli. Naturalmente, per un breve periodo la memoria a breve termine ne custodì i dettagli, ma la memoria a lungo termine rimase salda nelle impressioni e nel quadro generale della missione di Gesù. Possiamo presumere che le tradizioni dei Vangeli su Gesù riflettano più o meno correttamente le impressioni che Gesù lasciò nella memoria a lungo termine dei discepoli – alcuni dettagli potrebbero essere sbagliati, ad esempio una frase, ma ciò non significa che il quadro generale sia errato. Allison afferma:

« We should proceed not by looking at individual units microscopically but by gathering what may be called macro samples of material. We might even find that colletives display features or a Gestalt not discernible in their individual components. »
(Allison, 2011, 22–25[23])

In questo studio mi concentrerò sul contesto ebraico palestinese di Gesù. Per quanto riguarda i passi accurati, una domanda importante sarà se hanno un Sitz im Leben plausibile nel contesto palestinese della missione di Gesù, o se si adattano meglio al contesto e alla realtà della Chiesa primitiva. Nonostante il fatto che il paleocristianesimo avesse la sua base in Palestina, è chiaro che il Gesù storico e i primi cristiani avevano una missione diversa soprattutto quando si trattava dei gentili. Diversi studiosi hanno suggerito che le affermazioni e le azioni positive riguardanti i gentili attribuite a Gesù nei Vangeli, siano in realtà riflessi delle opinioni e delle pratiche della Chiesa. Il collegamento tra Gesù e i Vangeli è complicato soprattutto a questo punto. Se un detto o un'azione attribuiti a Gesù contraddice la pratica e le credenze della Chiesa primitiva, allora, con l'aiuto della discontinuità dei criteri, la sua autenticità può essere sostenuta. Ovviamente dobbiamo essere cauti nel trarre conclusioni troppo rapidamente quando applichiamo i criteri agli studi su Gesù. Le azioni e i detti di Gesù sono più credibili se sono plausibili nel suo contesto ebraico palestinese della prima metà del primo secolo.[24] Ma Gesù ha lasciato un impatto sui suoi discepoli, e quindi la tradizione, la sua memoria vivente, ha certamente plasmato le credenze, pratiche e convinzioni dei suoi discepoli. In questo studio ci concentreremo principalmente sul contesto di Gesù nella Palestina del I secolo. Questo contesto è rivelato nelle fonti testuali del periodo del Secondo Tempio e negli scavi archeologici.

Il termine "ambiente palestinese" è vago e può includere un vasto numero di significati. Lo intendo come riferito al contesto palestinese, che è formato da fattori fisici e culturali, religiosi e politici, storici ed economici. Il contesto palestinese è in parte rivelato dagli scritti ebraici del periodo del Secondo Tempio e anche in parte dalla letteratura tannaitica, che ovviamente deve essere usata con cautela poiché la Mishnah fu composta solo intorno al 200 p.e.v. Farò un uso critico degli Pseudepigrapha – inclusi i Testamenti dei Dodici Patriarchi – perché quest'opera contiene probabilmente del materiale ebraico del periodo del Secondo Tempio. Tra i Rotoli del Mar Morto (= DSS: Dead Sea Scrolls) sono stati scoperti testi aramaici di 1 Enoch e Tobia, e testi ebraici dei Giubilei e Siracide, oltre ad altre opere annoverate tra gli Pseudepigrahpa e gli Apocrifi dell'Antico Testamento. Di conseguenza la scoperta dei DSS ha conferito maggiore credibilità agli Pseudepigrapha come scritti ebraici del periodo del Secondo Tempio.[25] Le opere di Flavio Giuseppe non sono, in senso stretto, scritti del periodo del Secondo Tempio, ma sono di primaria importanza quando si studia la storia di quel periodo. Naturalmente l'Antico Testamento in quanto tale, poiché costituisce in gran parte la base per gli scritti e le idee religiose dell'ebraismo del Secondo Tempio, non deve essere trascurato. Il contesto palestinese non può essere rivelato solo dalle fonti scritte, quindi oltre alle fonti scritte farò un uso considerevole dei risultati archeologici della Galilea del I secolo.

I particolari detti, aforismi e parabole devono essere visti e valutati nel contesto storico della missione di Gesù, e quindi il contesto palestinese è di cruciale importanza per comprendere Gesù. Il contesto fornisce spesso indizi importanti per il significato dei detti particolari. Sostengo con Horsley:

« Jesus cannot possibly be understood except as embedded in both the movement he catalysed and the broader context of Roman imperial Palestine. »
(Horsley, 2006, 38)

Le fonti dei Vangeli[modifica]

Secondo l'ipotesi delle due fonti, il Vangelo secondo Matteo e il Vangelo secondo Luca furono scritti indipendentemente, ciascuno usando il Vangelo secondo Marco come base più un altro documento, detto "Fonte Q", per il materiale comune ai due vangeli ma non presente in Marco

██ Marco

██ Q

██ Matteo (materiale esclusivo)

██ Luca (materiale esclusivo)

Tradizionalmente gli studiosi di Gesù hanno trovato le loro fonti nei Sinottici: Marco, Matteo e Luca. L'ipotesi delle due fonti predomina negli studi attuali: Marco e Q sono le fonti principali.[26] Queste fonti sono usate da Matteo e Luca. La datazione della composizione dei Vangeli è un compito difficile, ma gli studiosi hanno generalmente concluso che Marco è stato scritto intorno all'anno 70, Matteo ca. 80 e.v., Luca ca. 90 e.v. e Giovanni ca. 100 e.v.[27] Marco, il primo Vangelo, è scritto e composto sulla base di fonti orali e/o scritte. Luca e Matteo avevano le loro tradizioni speciali.[28] La questione riguardo a Q è complicata e dobbiamo ricordare a noi stessi che Q è ipotetica. Nonostante la natura ipotetica di Q, sembra molto probabile che esistesse una fonte scritta dei detti di Gesù, che chiamiamo appunto Q.[29] Meier sostiene che, nello studio del Gesù storico, ci occupiamo di tre fonti principali: Q, Marco e Giovanni. Oltre a queste fonti principali egli cita "due fonti minori e problematiche": M e L. La questione se il Vangelo di Giovanni attinga occasionalmente da una fonte indipendente è controversa e ancora dibattuta.[30] Quando sarà necessario, prenderò tutte queste possibili fonti in considerazione nella mia analisi.

I Vangeli sinottici costituiscono la base storica più importante per lo studio di Gesù. Il nostro uso del Vangelo di Giovanni e del Vangelo di Tommaso (VTom) è scarso, poiché sono chiaramente posteriori ai sinottici,[31] e inoltre, spesso dipendono e si basano sulle tradizioni che sono già utilizzate dai sinottici. L'affermazione che il Vangelo di Tommaso conoscesse una fonte indipendente, da cui trasse il suo materiale, è molto controversa. VTom usò molto plausibilmente i Vangeli canonici come sue fonti, ma in modo indiretto. L'affermazione che lo scrittore del VTom avesse davanti a sé un vero Vangelo canonico o i sinottici è improbabile e ingenua. Sembra, tuttavia, che lo scrittore di VTom abbia usato indirettamente i Vangeli canonici: conosceva le stesse fonti utilizzate dai Vangeli canonici in forma scritta o orale, e forse scrisse almeno in parte dalla sua memoria.[32] In particolare, i Vangeli di Giovanni e Tommaso non contengono materiale cruciale per quanto riguarda il nostro interesse principale. Evidentemente, tutti i Vangeli hanno le proprie tendenze teologiche, e quindi dobbiamo valutare singolarmente ogni brano per decidere se contiene una tradizione storica riconducibile a Gesù.

I Manoscritti del Mar Morto[modifica]

L'uso dei Rotoli del Mar Morto (= DDS) per gli studi storici su Gesù è stato oggetto di lunghe discussioni e ritengo che valga la pena chiarire a questo punto le mie opinioni in merito. Occasionalmente farò uso del DSS poiché sostengo l'idea che siano centrali per chiarire una parte importante del contesto palestinese di Gesù. Secondo Evans le caratteristiche non ebraiche e non palestinesi dei Vangeli sono state esagerate negli studi accademici nel corso del XX secolo. Evans sostiene che il contesto plausibile per i Vangeli si trova principalmente in ambito ebraico palestinese e non nel mondo greco-romano tra i pagani e gli ebrei della Diaspora. Evans insiste inoltre che "tutti i principali temi o enfasi nei sinottici hanno stretti paralleli nei rotoli, sottolineando così ancora una volta la provenienza palestinese ed ebraica di questi Vangeli".[33] Sostengo Evans nella sua affermazione che le idee principali rappresentate nei rotoli "centrali" – che assomigliano ai temi centrali dei Vangeli – non erano così settarie come è stato spesso ipotizzato. Poiché diversi argomenti dei DSS hanno chiari paralleli nei Vangeli, sembra che queste idee non fossero così lontane dall'ebraismo tradizionale dell'epoca.[34]

È vero che gli studiosi del Gesù storico non hanno prestato sufficiente attenzione ai DSS, come sostiene Horsley. La New Quest certamente non ha enfatizzato i DSS per comprendere il Gesù storico.[35] Horsley considera la comunità del Mar Morto come una comunità paragonabile al movimento di Gesù. La comunità dietro i DSS e il "Jesus-and-movement", come lo chiama Horsley, sono le uniche sette ebraiche di cui abbiamo fonti degne di nota.[36] I movimenti certamente considerarono centrali per se stessi diversi temi simili: rivelazione divina, compimento escatologico, lo Spirito Santo e la mensa comunitaria. Entrambi i movimenti furono anche critici nei confronti del Tempio di Gerusalemme e del suo sacerdozio.[37] Horsley afferma quanto segue:

« In the central way of expressing the fulfillment of (Israel’s) history now happening, both Qumran and Jesus-and-movement thought of themselves as engaged in a new exodus and renewed Mosaic covenant. In somewhat different ways the two movements saw Isaiah’s prophecy as now being fulfilled. »
(Horsley, 2006, 43)

Fondamentalmente, come osserva Horsley, la comunità di Qumran era costituita da circoli sacerdotali di scribi, mentre il "Jesus-and-movement", come lo chiama lui, era costituito dalla popolazione rurale galilea. A differenza della setta di Qumran, Gesù formò un movimento popolare, non un movimento scribale e sacerdotale. Il Maestro di Giustizia rivelò i misteri di Dio agli scribi e ai sacerdoti di Qumran, mentre Gesù ringraziò il Signore per aver nascosto i misteri del Regno di Dio ai sapienti e agli intelligenti e per averli rivelati ai bambini.[38]

L'archeologia nello studio di Gesù[modifica]

Il contesto palestinese di Gesù è rivelato non solo dalle fonti scritte ebraiche del Secondo Tempio e del periodo romano, ma anche dai risultati archeologici. Se i DSS sono stati talvolta troppo poco utilizzati negli studi sul Gesù storico, allora potremmo insistere sul fatto che anche l'uso dei risultati archeologici nel nostro campo di studio è stato scarsamente rappresentato.[39] Tuttavia diversi studiosi del Gesù storico hanno riconosciuto, negli ultimi anni, l'importanza dei risultati archeologici per gli studi su Gesù. Dagli anni 1980 sono emerse sempre più indagini archeologiche e storiche della Galilea di epoca romana, e oggigiorno vengono pubblicate numerose monografie, tesi di dottorato e articoli su questi temi. Seán Freyne ha ragione nel dire che la "ricerca del Gesù storico" ha in parte ispirato e influenzato gli studi archeologici e storici della Galilea del periodo romano.[40]

I risultati archeologici non possono essere ignorati quando si studia il Gesù storico. Reed afferma che "i contributi dell'archeologia allo studio dei Vangeli e del Gesù storico non possono essere sopravvalutati".[41] Questi contributi, tuttavia, il più delle volte non sono costituiti da reperti concreti di manufatti e città che possono essere associati a Gesù e ai Vangeli. Più precisamente, gli archeologi moderni e scientificamente responsabili della Palestina del tardo Secondo Tempio non sono di stile Indiana Jones alla ricerca di oggetti e siti menzionati nel NT. L'archeologia serve gli studi storici su Gesù rivelando il mondo sociale e culturale della Palestina nel primo secolo. Questo compito è svolto in parte dalla vanga degli archeologi che intendono analizzare i modelli tra i siti – villaggi, paesi e città – e i reperti portati alla luce. Grazie a seri scavi archeologici in Palestina otteniamo informazioni sul contesto di Gesù – che si tratti di politica, cultura, demografia, religione o economia.[42] Tutti i nostri testi del periodo del Secondo Tempio sono sempre distorti in qualche direzione, e quindi presentano un punto particolare di vista. Alquanto in contrasto con i punti di vista testuali, gli scavi archeologici hanno, più spesso, rivelato la continuità della cultura materiale nel Levante in generale. Gli scavi archeologici rivelano monete, ceramiche, stili di costruzione, modelli di vita ecc. e spesso questi risultati mettono in luce le connessioni tra ebrei e gentili.

Il contributo dell'archeologia al nostro argomento è particolarmente importante perché ci interessa la consistenza etnica della Palestina del I secolo. Antichi manufatti, edifici, monete, statue e iscrizioni possono essere usati come segnali che rivelano la realtà etnica della Galilea del I secolo. Come chiari indicatori della residenza ebraica si possono annoverare almeno quattro indicatori: vasche per l'immersione rituale (miqvaot), vasi di pietra, sepoltura secondaria in tombe a pozzo e assenza di carne di maiale nella dieta.[43] Templi pagani e statue dell'Imperatore possono, d'altra parte, essere visti come segni della residenza dei gentili. I contributi archeologici saranno importanti soprattutto nel terzo Capitolo, in cui si affronta il contesto galileo della missione di Gesù.

Definire i gentili: i termini[modifica]

Alla fine del periodo del secondo tempio, l'espressione ebraica גוים/גוי era diventata un termine tecnico per un non-ebreo. Nella LXX גוי è quasi sempre tradotto come έΘνος, mentre il singolare צם è tradotto come λαός. Schnabel afferma che nella LXX il termine έΘνος si trova 1003 volte, e che è tradotto stereotipicamente da גוי, che tipicamente designa "l'altro", il controgruppo al popolo eletto. Al tempo della traduzione della Bibbia ebraica in greco, l'epiteto λαός/צם venne a denotare il popolo santo, Israele, in contrasto con il גוים/έΘνος, che si riferiva ai gentili.[44] Nel NT έΘνος corrisponde più spesso alla parola ebraica גוים, e quindi in queste occasioni έΘνος denota chiaramente i non-ebrei/gentili.[45] In ebraico גוים aveva spesso un tono negativo. Nella Bibbia ebraica ci sono anche altri epiteti per stranieri. Gli epiteti גד ,זך e נכדי sono usati per i non-Israeliti nella Legge mosaica. Il termine גד indica uno straniero residente non-Israelita o un residente che vive nella terra di Israele. Nella LXX גד è tradotto 77 volte come προσήλυτος. In particolare nel Pentateuco della LXX גד è quasi sempre tradotto come proselito (προσήλυτος).[46] Il גד di solito prendeva parte alla vita religiosa degli ebrei, cioè degli israeliani.[47] I termini זך e נכדי e il suo equivalente בנ הנכד designano persone che sono "alieni" in un senso più chiaramente etnico o politico. In contrasto con il גד, il זך e il נכדי non sono residenti permanenti nella terra d'Israele. I profeti usano spesso זך e נכדי quando si rivolgono a nazioni straniere. Schnabel nota che gli נכדי sono descritti nell'Antico Testamento in modo negativo e il loro destino in Israele è il peggiore tra i diversi tipi di stranieri.[48] In questo studio interpreto che l'epiteto gentile si riferisce a un non-ebreo. La parola "gentile", έΘνος, è da intendersi come riferita all'origine etnica non ebraica della persona. Inoltre i gentili nella Galilea del I secolo erano molto spesso anche religiosamente estranei agli ebrei, cioè non praticavano la religione dell'ebraismo. Se i gentili fossero stati interessati all'ebraismo e avessero creduto nel Dio di Israele, sarebbero stati o "timorati di Dio" o veri proseliti. I Vangeli non menzionano esplicitamente Gesù fosse stato mai in contatto con un timorato di Dio o con un proselito.

La mia intenzione non è quella di esaminare gli atteggiamenti di Gesù verso entità politiche straniere e verso nazioni straniere o verso l'Impero Romano. Gesù, secondo i Vangeli, era occasionalmente in contatto con singoli gentili (Matteo 8:5-13; Marco 7:24-30). Diversi brani Matteo 5:47;6:7 e Marco 10:42 affermano che Gesù criticò i gentili (έΘνος). In questi casi i gentili sono visti come un gruppo composto da non-ebrei. Loro, i gentili, sono i גוים — potrebbero vivere in Palestina o in qualsiasi altra parte del mondo, ma ciò che viene sottolineato è che non sono etnicamente e religiosamente ebrei. Sono persone che non sono membri del popolo ebraico etnicamente, culturalmente o religiosamente. Sono al di fuori dell'alleanza tra Israele e il suo Dio (Efesini 2:11-12).

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche, Ebrei e Gentili, Ebraicità del Cristo incarnato, Ecco l'uomo, Interpretare Gesù in contesto, Noli me tangere, Riflessioni su Yeshua l'Ebreo e Taumaturgia messianica.
  1. In questo mio studio userò le parole gentile e nazione. La parola "nazioni" si riferisce a tutte le nazioni, compreso Israele. Secondo i Vangeli canonici, Gesù era in contatto con i singoli gentili, non con le nazioni in quanto tali. Tuttavia, quando studiamo le opinioni escatologiche di Gesù diventa rilevante usare il termine nazioni. In greco la parola έΘνος si riferisce a una nazione gentile, popolo o a una persona non-ebrea. Nella LXX e nel NT il popolo santo ed eletto, Israele e/o la Chiesa, non è solitamente chiamato έΘνος, ma λαός. Nella lingua ebraica ci sono parole diverse per una persona gentile, per persone gentili (al plur.) e per nazioni: גד ,גוים/גוי, e זך ,אומות. Per una discussione sui termini usati per i non ebrei, si veda sotto alla sezione 1.8. Cfr. anche Feldman, 1993, 53.
  2. Fredriksen, 1999, 94.
  3. Sanders, 1985, 11.
  4. Schnabel, 2004, 122-123. Schnabel afferma quanto segue a p. 122: "Si stima che la piccola popolazione ebraica preesilica di forse 150.000 persone crebbe fino a circa 8 milioni nel I secolo p.e.v. Di questi, solo da 700.000 a 2,5 milioni vivevano in Palestina. Ciò significa che tra i 2 ei 7 milioni di ebrei vivevano fuori dalla Palestina nella Diaspora". Nonostante ciò, siamo su basi speculative quando cerchiamo di stimare la dimensione della popolazione ebraica del primo secolo in Palestina e nella Diaspora; possiamo sicuramente affermare che la stragrande maggioranza degli ebrei viveva nella Diaspora già durante la prima metà del I secolo. Cfr. Räisänen, 2010, 36. I centri più importanti per gli ebrei della Diaspora erano Roma e Alessandria.
  5. Fredriksen, 1999, 94. Fredriksen afferma che i primi cristiani consideravano la missione ai gentili come una "estensione naturale" della missione della Chiesa primitiva.
  6. Sanders, 1985, 220. Fredriksen, 1999, 94. Bird, 2010, 134. Bird, 2006, 53.
  7. Bird, 2006, 4–5.
  8. Bird, 2010, 12. Bird, 2006, 2.
  9. Fredriksen, 1999, 94–96.
  10. Meier, 1994, 315. Sanders, 1985, 218-221. Dunn, 2003, 539.
  11. Bird, 2006, 173–177.
  12. Bird, 2006, 16–17, 172, 177.
  13. Bird, 2010, 12. Bird, 2006, 173–177.
  14. Allison, 1997, 112–113. Si veda anche Catchpole, 2006, 171–178.
  15. Per riferimenti cfr. Bird, 2006, 18, n. 100. Levine, 2006, 62, 64–72.
  16. Si veda Bird, 2006, 14.
  17. Si vedano Meier, 1991, 167–184. Dunn, 2003, 330–336. Pitre, 2005, 26–29. Per una severa critica a questi criteri, largamente in uso da diversi decenni, cfr. Allison, 2011, 3–30.
  18. Allison, 2011, 12. A p. 9 Allison afferma quanto segue: "Our criteria have not led us into the promised land of scholarly consensus, so if they were designed to overcome subjectivity and bring order to our discipline, then they have failed: the hopelessly confusing parade of different Jesuses goes on."
  19. Allison, 2011, 9, 19.
  20. Allison dimostra come, applicati a un certo passo biblico, criteri diversi possano portare a risultati totalmente contraddittori. Alcuni criteri possono supportare l'autenticità del passo, mentre altri criteri supportano la sua inautenticità. Si veda Allison, 2011, 9, 14–22.
  21. Cfr. Theissen & Winter, 2002, 197–199. Theissen & Winter notano che recentemente gli studiosi non hanno mirato a risolvere le parole autentiche di Gesù (ipsissima verba) ma piuttosto l'autentica voce di Gesù (ipsissima vox).
  22. Allison, 2011, 24–25. Dunn, 2011, 202–204. Dunn propone in modo credibile che i temi e i motivi caratteristici della missione di Gesù si riflettano nelle tradizioni di Gesù. Il ricordo di ciò che Gesù fece e disse è stato mantenuto vivo nella "tradizione vivente" dei discepoli, cfr. Dunn, 2011, 204–205.
  23. La citazione è a p. 23. Alle pagg. 21 e 22 Allison afferma quanto segue: After our short-term memories have become long-term memories they suffer progressive abbreviation. The early Jesus tradition is not a collection of totally disparate and wholly unrelated materials. On the contrary, certain themes and motifs and rhetorical strategies are consistently attested over a wide range of material. Surely it is in these themes and motifs and rhetorical strategies, if it is anywhere, that we are likely to have some good memories."
  24. Theissen & Winter, 2002, 210–212, 246.
  25. Si vedano Harrington, 2001, 28–30. Vermes, 2004, 15–17, 24. Ware, 2005, 147–148. Ware afferma quanto segue: "in the present form the Testaments of the Twelve Patriarchs is a Christian document, composed in Greek probably in the late second century. However, while the origins of these Testaments are perplexing, it is certain that they incorporate older Jewish traditional materials. In the Testament of Levi in particular, the author apparently utilized a Jewish Levi document very similar to that underlying the various Aramaic Levi fragments found at Qumran and elsewhere."
  26. Meadors, 1995, 1–2.
  27. Chilton, 1999, 15.
  28. Meier, 1991, 43-44. Evans, 1999, 4. Pertanto avremmo quattro fonti sinottiche: Q, Marco, Matteo e Luca.
  29. Kloppenborg Verbin, 2000, 11: "Modern scholarship on the Saying Gospel Q is founded on a hypothesis. It is a venerable one... Yet the hypothesis has withstood criticism. Because it offers the most economical and plausible accounting of the form and content of the Synoptic Gospels, it continues to be by far the most widely accepted solution to the Synoptic Problem." Si veda anche Meadors, 1995, 1–2.
  30. Meier, 1991, 44–45. Evans, 1999, 3–4. Se Giovanni debba essere considerato o meno una fonte indipendente è una questione di dibattito accademico. Per una discussione recente, si vedano Charlesworth, 2010, 4-10. Dunn, 2003, 40-41. Nel secolo scorso il Vangelo di Giovanni è stato ritenuto un Vangelo teologico per eccellenza, ma senza alcuna validità storica. Charlesworth (Charlesworth, 2010, 4-10) cita diversi studiosi rispettati che ignorano il Vangelo di Giovanni nel loro studio su Gesù: G. Bornkamm (Jesus of Nazareth, 1960, 13–14), E. P. Sanders (1985, 62; 1993, 128, 57), J. D. Crossan (Historical Jesus, 234, 427–432), N. T. Wright (1996, p. xvi), J. Klausner (Jesus of Nazareth, 1944, 125), D. Flusser (Jesus, 1969, pp 7-8, p. 58) e G. Vermes. Di recente, tuttavia, alcuni importanti studiosi hanno tenuto conto del Vangelo di Giovanni nei loro studi su Gesù, cfr. Charlesworth, 2010, 38–39. Alcuni dei risultati archeologici hanno suscitato interesse per il Vangelo di Giovanni, perché occasionalmente Giovanni introduce informazioni sul contesto palestinese e in particolare su Gerusalemme che sono state ratificate da recenti indagini archeologiche. Si veda Charlesworth, 2010, 32, 40-43.
  31. Chilton, 1999, 15. Chilton chiarisce che generalmente si pensa che il Vangelo di Giovanni sia stato scritto verso il 100 p.e.v. a Efeso e il Vangelo di Tommaso a Edessa verso la metà del II secolo.
  32. Per la discussione sulla relazione tra VTom e i Vangeli canonici si veda Uro, 1998, 8-32.
  33. Evans, 2006, 75–76, 95. La citazione si trova a p. 75. A p. 95 Evans conclude come segue: "It is important to consider that in the case of almost every principal topic in the Synoptic Gospels, there is significant overlap with distinctive emphases in the Dead Sea Scrolls, especially with regard to the ‘core’ scrolls. At the very least this recognition underscores the Palestinian, as well as Jewish, dimension of the Gospels. This is not to say that they give no evidence of Greco-Roman or Diaspora ideas."
  34. Evans, 2006, 95. Quali idee parallele tra i DSS e i Vangeli, Evans riporta le seguenti: 1) il motivo della segretezza, 2) i motivi della rettitudine e dell'adempimento, e 3) i motivi dell'elezione e della comunità.
  35. Horsley, 2006, 37–38. Horsley afferma che nei recenti numerosi libri sul Gesù storico, scritti da eminenti studiosi dell'argomento, pochi discutono in profondità il contesto storico di Gesù e ancor meno discutono l'importanza dei DSS. Horsley fa riferimento alle opere di J. D. Crossan, E. P. Sanders e J. P. Meier poiché afferma che loro, i principali studiosi, non hanno fatto un uso sufficiente dei DSS nello studio del Gesù storico. Horsley sembra in qualche modo sopravvalutare la sua affermazione. Il contesto ebraico di Gesù è stato un punto focale per gli studiosi della Terza Ricerca, e studiosi come Charlesworth e Collins (Collins, John J., 1995), in particolare, hanno ampiamente utilizzato i DSS negli studi storici su Gesù.
  36. Horsley, 2006, 38–41.
  37. Horsley, 2006, 45–50. A p. 49 Horsley afferma quanto segue: "Jesus’ popular-prophetic condemnation of the temple and high priesthood thus parallels the scribal-priestly condemnation found in the Dead Sea Scrolls..." A p. 50 Horsley continua scrivendo: "It would appear that both the Qumran community (evident in the DSS) and Jesus and the Jesus movement(s) (evident in the Synoptic Gospel tradition) were movements dedicated to the renewal of Israel over against the temple and high priesthood. They had rejected the temple at different points in Second Temple history and from different social locations. Neither movement needed the temple and its sacrificial cult for expiation and forgiveness of sins."
  38. Horsley, 2006, 59–60.
  39. Freyne, 2006, 64–68.
  40. Freyne, 2007, 13.
  41. Reed, 2006, 40. Charlesworth, 2010, 32, 40.
  42. Reed, 2006, 40–41, 54.
  43. Cfr. Reed, 2006, 52–54.
  44. Schnabel, 2004, 134. Cfr. Kittel, 1964, 365.
  45. Kittel, 1964, 370.
  46. Schnabel, 2004, 134.
  47. Schnabel, 2004, 67–69. Si vedano anche Bird, 2010, 35, 65. Morton, 1999/2008, 192–193.
  48. Schnabel, 2004, 70. Cfr. Isaia 1:7;2:6;60:10;61:5;62:8; Geremia 2:25;3:13;5:19; Lamentazioni 5:2; Osea 7:9;8:7; Abdia 11; Ezechiele 7:21;11:9;44:7.