Gesù e il problema di una vita/Capitolo 14

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Gesù schernito, di Matthias Stomer (1639)

Capitolo 14: Il Processo e la Croce[modifica]

Il venerdì dell'Ultima Settimana, Gesù venne arrestato, processato e mandato a morte in quello che è diventato il più noto processo e la più famigerata esecuzione della storia. Gli eventi di quel giorno, dall'arresto di Gesù fino alla sua sepoltura, sono registrati nei particolari dai quattro vangeli. Iloro resoconti non sono piacevoli da leggere: i fatti sono dominati da odio, invidia, scherno, codardia, ingiustizia e brutalità estrema. L'orrore della giornata è evidenziato dal fatto che la vittima era totalmente innocente. In termini di quantità di male compiuto, ci sono stati molti altri giorni terribili nella storia del mondo, ma in termini di qualità del male, non ce ne sono stati di peggiori. Per un giorno che viene ora conosciuto come "Venerdì Santo", sembra esserci ben poco di santo nell'evento.

L'arresto[modifica]

Una numerosa folla armata inviata dai capi religiosi e guidati da Giuda insieme ad un drappello di soldati romani arrivarono al Getsemani nelle prime ore del venerdì mattina per arrestare Gesù.[1] La leadership del Tempio aveva indubbiamente trovata cooperazione da parte dei romani: l'informazione che un pericoloso pretendente messianico circolava liberamente per Gerusalemme durante la Pasqua avrebbe garantito il loro pieno supporto. L'uso di una forza superiore per arrestare Gesù era intesa a scoraggiare e reprimere qualsiasi opposizione e prevenire che egli sfuggisse alla cattura, dileguandosi nell'oscurità.

Consapevole del rischio di un'errata identificazione nel buio illuminato soltanto da torce tremolanti e forse dalla luna di Pesach, Giuda identificò Gesù con un consueto bacio di saluto. Fu il primo di molti atti beffardi e crudeli che sarebbero stati inflitti a Gesù quel giorno e può averlo ferito tanto quanto qualsiasi altro atto successivo. I vangeli ci dicono che tale atto di Giuda fu comunque inutile: Gesù si fece prontamente riconoscere e chiese che i suoi seguaci venissero risparmiati. Ci fu una debole reazione dui resistenza da parte di Pietro che sguainò la spada e colpì un servo dei sacerdoti, ma rimproverato da Gesù, fuggì insieme agli altri discepoli.

Gesù, ora solo, fu arrestato, legato e portato via.

I processi di Gesù[modifica]

Cristo davanti a Pilato, di Mihály Munkácsy (1881)

La narrazione del processo di Gesù è descritta nei quattro vangeli canonici (Matteo 26,57-27,26[2]; Marco 14,53-15,15[3]; Luca 22,54-23,25[4] e Giovanni 18,12-19,16[5]).

Dopo la celebrazione dell'Ultima cena in compagnia degli apostoli, Gesù fu arrestato nell'orto del Getsemani, poco fuori Gerusalemme, con la complicità di Giuda Iscariota. In seguito fu interrogato dalle varie autorità politiche e religiose dell'epoca: Anna, Caifa, il Sinedrio, Pilato, Erode Antipa. Il tribunale ebraico gli contestò un'accusa teologica, la bestemmia, per essersi equiparato a Dio; alcuni storici dissentono sostenendo che in base alle leggi ebraiche non vi sarebbe stata alcuna bestemmia.[6][7] Davanti al tribunale romano venne formulata un'accusa politica, la sedizione e il reato di lesa maestà per essersi proclamato "re dei Giudei"[8]. La condanna capitale fu emessa da Pilato ed eseguita mediante crocifissione[9].

Gli eventi, in sinossi, secondo quanto riportato dai Vangeli canonici[modifica]

I quattro vangeli canonici sono le uniche fonti storiche[10] che descrivano da punti di vista diversi gli avvenimenti del processo di Gesù. Dalle narrazioni è possibile evidenziare un doppio procedimento inquisitorio contro Gesù intentato prima dalle autorità ebraiche e poi dinanzi a quella romana, rappresentata da Ponzio Pilato, unico detentore dello "ius gladii"[11]. Secondo alcuni studiosi vi sarebbe tra i vangeli una certa concordanza negli eventi narrati, ma molti altri studiosi[12], evidenziano – come precisato nella sottostante sezione "Storicità e attendibilità del processo" – come tali narrazioni non siano storicamente conciliabili e attendibili, sia nel quadro generale che in molti dettagli, ma costituiscano la personale interpretazione teologica di ogni evangelista su precedenti materiali della tradizione cristiana.

Sinossi degli eventi del processo[13][14][15]
Matteo Marco Luca Giovanni
Ultima cena e Arresto
- - - Condotto prima all'(ex) sommo sacerdote Anna suocero di Caifa (18,12-13), interrogatorio (18,19-23)
Condotto al palazzo di Caifa, Prima riunione del Sinedrio (di notte), interrogatorio, Gesù si dichiara Figlio di Dio, condanna, maltrattamenti (26,57-68) Condotto al sommo sacerdote Caifa, Prima riunione del Sinedrio (di notte), interrogatorio, Gesù si dichiara Figlio di Dio, condanna, maltrattamenti (14,53-65) Condotto alla casa del sommo sacerdote Caifa (22,54-55), maltrattamenti (22,63-65) Anna lo invia da Caifa (18,24)
Seconda riunione del Sinedrio (al mattino) (27,1-2) Seconda riunione del Sinedrio (al mattino) (15,1) Prima ed unica riunione del Sinedrio (al mattino), interrogatorio, Gesù si dichiara Figlio di Dio, condanna (22,54-71; 23,1) -
Condotto da Pilato (27,1-2) Condotto da Pilato (15,1) Condotto da Pilato (23,1) Al mattino condotto da Pilato nel Pretorio (18,28)
Interrogatorio di Pilato; "Sei tu il Re dei Giudei?" (27,11-14) Interrogatorio di Pilato; "Sei tu il Re dei Giudei?" (15,2-5) Interrogatorio di Pilato; "Sei tu il Re dei Giudei?"; Pilato lo ritiene innocente (23,2-5) Interrogatorio di Pilato in privato; "Sei tu il Re dei Giudei?"; Pilato lo ritiene innocente (18,28-38)
- - Pilato lo invia a Erode, maltrattamenti da parte sua e dei suoi soldati, rinviato a Pilato (23,6-12) -
Intervento della moglie di Pilato, liberazione di Barabba, la folla invoca la crocifissione, Pilato lo trova innocente e si lava le mani, flagellazione (27,15-26) Liberazione di Barabba, la folla invoca la crocifissione, Pilato lo trova innocente, flagellazione (15,6-15) Pilato lo trova innocente, annuncia di voler castigare severamente (flagellazione) Gesù e poi rilasciarlo, la folla invoca la crocifissione, Pilato ribadisce la non colpevolezza, liberazione di Barabba (23,13-25) Liberazione di Barabba, flagellazione (18,39-19,1)
Maltrattamenti e coronazione di spine da parte della coorte (romana) nel pretorio (27,27-31) Maltrattamenti e coronazione di spine da parte della coorte (romana) nel cortile-pretorio (15,16-20) - Maltrattamenti e coronazione di spine da parte dei soldati (romani) (19,2-3)
- - - Ecce Homo, nuovo colloquio privato Pilato-Gesù, i capi sacerdoti e le guardie invocano la crocifissione, ora sesta (mezzogiorno) (19,4-15)
Esecuzione della sentenza per crocifissione

Altre fonti indipendenti[modifica]

Pur non riportando dettagli del processo Tacito mostra di conoscere gli avvenimenti, del processo e della condanna emessa da Ponzio Pilato, riferendo della decisione dell'imperatore [Nerone di accusare i Cristiani dell'incendio di Roma del 64 e.v.:

« Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato all'estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato. »
(Tacito, Annali XV, 44)

Alcuni storici non considerano particolarmente significativa questa testimonianza in quanto Tacito scriveva nel 115 e.v. – dopo 85 anni dalla morte di Gesù, periodo in cui il cristianesimo aveva già iniziato a diffondersi e gli stessi vangeli erano già stati scritti – citando informazioni e credenze allora di pubblico dominio[16].

Una lettera scritta al figlio dal filosofo stoico Mara Bar Serapion, la cui compilazione è stata ascritta al periodo delle disfatte giudaiche del 70 o del 135 e.v. riporta l'esortazione alla pratica della saggezza e della virtù citando tre esempi di condanne deprecabili di uomini giusti quali Socrate, Pitagora e "il saggio re degli ebrei" identificabile con Gesù[17].

Un'altra testimonianza che attesta la condanna a morte mediante crocifissione del maestro giudaico Gesù da parte di Ponzio Pilato è quella fornita da Flavio Giuseppe nella sua "Storia universale del popolo giudaico" apparsa nel 93 e.v.[18]. La maggioranza degli studiosi ritiene che il testo, noto come Testimonium Flavianum, sia un'interpolazione successiva operata da copisti cristiani che non viene citata da alcun padre della Chiesa fino ad Eusebio di Cesarea nel IV secolo.[19]

Anche se più tardiva come fonte, la Sanhedrin 43a del Talmud babilonese contiene un riferimento alla condanna di Gesù, giustiziato alla vigilia di Pasqua in quanto "colpevole" di stregoneria (o magia) e di indurre il popolo all'apostasia[20][21]. Il testo, da alcuni non ritenuto riferibile a Gesù Cristo, riporta tuttavia una traccia dell'avversione dei maggiorenti di Israele al "Rabbi" anticonformista; costoro ritengono dubbia l'identificazione con il Gesù dei vangeli, in quanto Yeshu[22] fu lapidato e poi appeso ad un palo o ad un albero[23] e, inoltre, il brano riporta come questo predicatore avesse solo 5 discepoli - Matthai, Nakai, Nezer, Buni e Todah - i cui nomi peraltro non coincidono con i Dodici; la testimonianza è di periodo tardo, almeno del IV secolo, riportando un insegnamento del rabbi Abbaye, che visse a quel tempo [24][25]

Per quanto riguarda le altre fonti, in genere vangeli apocrifi, esse sono di massima considerate inattendibili[26]; fanno eccezione il Vangelo di Pietro e il Vangelo di Nicodemo redatti in origine tra la fine del I secolo e l'inizio del secondo.[27] che alcuni considerano utili per alcune deduzioni; il primo in particolare attribuisce la colpa della condanna interamente ai Giudei[28].

Considerazioni circa il processo[modifica]

Non vi è accordo tra gli studiosi sul fatto, se si sia trattato di uno o di due processi distinti[29]. Dai vangeli traspare il fatto che Gesù sia comparso di fronte a due tipi di autorità, quella sinedriale e quella legale romana. Dal punto di vista giuridico, essendo la Palestina occupata e sotto giurisdizione romana, un processo per reati che comportassero la pena di morte era competenza esclusiva del giudice supremo, il procuratore romano [30](o nel caso specifico il praefectus)[31]. Tale fatto è concorde con quanto attestato dal Vangelo secondo Giovanni: "A noi non è consentito mettere a morte nessuno."[32]. Secondo la prassi giuridica in vigore infatti la procedura legale prevedeva che il processo fosse condotto mediante un atto preciso di accusatio, in questo caso da parte dei sacerdoti, che comportava l'interrogatorio, da parte del magistrato inquirente, dell'imputato e che questi si discolpasse, cosa che concorda con quanto riportato dai vangeli e avvalora la tesi del processo unico davanti a Pilato[33]. L'operato descritto dai vangeli riporterebbe quindi la serie di interrogatori subiti da Gesù allo scopo di formulare un preciso libellus inscriptionis. Secondo la Lex Iulia iudiciorum publicorum di Augusto l'accusa si doveva intentare con precise modalità in un documento scritto e firmato[33]. Secondo opinioni autorevoli il dibattimento contro Gesù dinanzi al Sinedrio riferito dai vangeli ebbe la funzione di approntare un atto di accusa da presentare al governatore romano e non rappresentò un "processo" vero e proprio[34].

Cronologia degli eventi, dall'arresto alla crocifissione[modifica]

L'arresto di Gesù non sarebbe stato legalmente fattibile senza alcuna motivazione o delibera; il solo Vangelo di Giovanni fornisce (aggiungendovi una sua riflessione teologica) la precedente decisione sinedriale sul "caso Gesù". Si preparava la maggiore delle ricorrenze che avrebbe fatto affluire pellegrini da ogni dove a Gerusalemme; il timore di possibili disordini innescati dalla stessa presenza del Rabbi galileo e della conseguente reazione dei Romani, spinsero i capi sacerdoti e il Sinedrio alla delibera e all'ordine di arrestare Gesù[35][36].

Secondo Meier è corretta la cronologia ricavata dalla narrazione giovannea[37]. L'ultima cena non fu la cena pasquale ebraica e Gesù morì il giorno successivo, 14 nisan, vigilia della pasqua. Le varie fasi del processo si svolsero tra la sera di giovedì 6 aprile e il pomeriggio di venerdì 7 aprile del 30 e.v. (o meno probabilmente tra il 2 e il 3 aprile del 33)[38]; si propende di massima per l'anno 30[39] in cui la Pasqua (15 Nisan) corrispondeva al giorno 8 del mese di aprile e di sabato[40] È da tener presente che presso gli ebrei il giorno veniva computato iniziando dal tramonto del giorno prima, venerdì 7 e terminava al tramonto del giorno dopo, e non da mezzanotte a mezzanotte[41].

Nel resoconto fornito i vangeli concordano circa il giorno settimanale della morte di Gesù, venerdì[42]. Per quanto riguarda l'indicazione del giorno annuale: i tre vangeli sinottici riferiscono della ricorrenza della Pasqua ebraica (che si celebra il 15 Nisan), mentre il solo Giovanni esplicitamente afferma che si trattava della vigilia della Pasqua (ovvero il 14 Nisan), creando quindi una discordanza in merito al giorno dell'evento[43]; la versione giovannea concorda con la baraitha conservata nel trattato talmudico Sanhedrin 43a secondo cui Gesù fu appeso la vigilia di Pasqua[44]. Gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico"[45] sottolineano che la discrepanza tra le due cronologie, giovannea e sinottica, "suscita notevoli problemi" e ritengono che sia corretta solo quella riportata da Giovanni - ovvero che Gesù morì il giorno prima, quello della Preparazione, e non durante la Pasqua come indicato dai sinottici - anche "perché è difficile pensare che i sommi sacerdoti e gli scribi si siano comportati così come fecero, il primo giorno di Pasqua"; di analogo parere sono lo storico John Dominic Crossan[46], tra i cofondatori del Jesus Seminar, e lo storico e teologo cristiano Rudolf Bultmann[47]. Anche in merito all'ora in cui Gesù venne crocifisso, il Vangelo di Giovanni si discosta dal sinottico Marco: infatti secondo il Vangelo di Marco[48] la crocifissione fu alle 9 di mattina, mentre invece, secondo quello di Giovanni[49], avvenne successivamente al mezzogiorno[50], ovvero oltre tre ore dopo[51].[52][53][54]
Anche in merito alla narrazione del processo di Gesù, secondo molti studiosi, la cronologia giovannea è da preferirsi rispetto a quella sinottica, anche perché "storicamente, avere una sessione del Sinedrio settimane prima di Pasqua sarebbe più plausibile di una convocata di fretta nel mezzo della notte"[55].

Motivi di ostilità crescente contro Gesù che portarono ad un'accusa[modifica]

I testi contenuti nei quattro vangeli canonici riportano una varietà di motivazioni che, durante il ministero di Gesù, provocarono reazioni contro la sua persona ma solo alcune potevano essere considerate motivo sufficiente per decidere la sua morte[56].

  • I testi dei quattro Vangeli riportano, durante il ministero di Gesù, ricorrenti attacchi contro scribi e farisei[57][58] che costituivano le autorità religiose legate alle sinagoghe presenti dovunque nei villaggi e nelle città della Palestina del tempo. Ne criticò apertamente e pubblicamente l'esteriorismo e il formalismo accusandoli di ipocrisia,[59] chiamandoli "ciechi e guide di ciechi" (Matteo 15,14), "serpenti e razza di vipere" (Matteo 23,33) e perfino "sepolcri imbiancati" (Matteo 23,27)[60].
  • Anche i sadducei, cioè la classe sacerdotale aristocratica che gestiva il culto e gli affari economici del Tempio di Gerusalemme, furono oggetto delle critiche di Gesù che li accomunò ai farisei[60] (Matteo 16,6;22,29). L'apice di questo scontro fu l'episodio della cosiddetta purificazione del tempio.
  • Gesù violò in alcune occasioni il precetto del riposo sabbatico (Matteo 12,11-12,13;Giovanni 5,9;9,14-16), cioè l'astensione da attività lavorative in giorno di Shabbat, attirandosi le critiche dei Giudei (Giovanni 5,16).
  • Dai testi dei vangeli relativi alla fase dell'interrogatorio presso Pilato si evince che le autorità ebraiche erano invidiose del seguito e della popolarità di Gesù (Matteo 27,18; Marco 15,10).
  • Dal Vangelo di Giovanni si ricava un'ulteriore motivazione (11,47-48): il timore che il movimento di Gesù avrebbe potuto rompere il delicato equilibrio che regolava i rapporti tra gli occupanti Romani e il popolo ebraico, nella fattispecie la classe aristocratica sadducea.
  • Oltre a proclamarsi Messia, dichiarazione di per sé non passibile di condanna, in diversi loci evangelici Gesù si pose allo stesso livello di Dio (Matteo 11,27; Giovanni 5,17;8,19;10,30;15,23 e soprattutto Matteo 26,64; Marco 14,62; Luca 22,69). Tale motivo formale permise al Sinedrio di decretarne la morte in seguito a bestemmia.

Il Vangelo di Matteo è quello che descrive, in crescendo,[61] le controversie con i capi ufficiali della nazione, dopo il suo ingresso "trionfale" a Gerusalemme e la cacciata dei mercanti dal Tempio, definendoli "capi dei sacerdoti", "anziani del popolo", scribi, farisei, sadducei ed erodiani[60]. In particolare il capitolo 23 presenta un susseguirsi di violenti attacchi e denunce esplicite e dirette contro coloro che si ritengono i "custodi" della coscienza morale e religiosa. I testi indicati mostrano che la gente comune era contro di loro e che "stupiva del suo insegnamento".[62]

Secondo i vangeli le autorità religiose avevano già deciso l'eliminazione di Gesù pochi giorni prima della sua morte[60] e, per Giovanni, in particolare in seguito al miracolo della risurrezione di Lazzaro (Matteo 26,1-5; Marco 14,1-2; Luca 22,1-2; Giovanni 11,45-53). Tuttavia già durante il precedente ministero pubblico sono ricordati tentativi in tal senso (Marco 3,6; Matteo 12,14; Giovanni 7,30;7,44;10,39).

Il Vangelo di Giovanni è l'unico a riferire di una riunione del Sinedrio per discutere il "caso Gesù"[63][64]

Le autorità coinvolte[modifica]

  • "Sommi sacerdoti" Anna e Caifa. I vangeli adottano talvolta il plurale generico creando l'impressione che vi fossero due sommi sacerdoti. In realtà nell'ebraismo classico il sommo sacerdote era solo uno, in carica annuale eventualmente reiterabile, e all'epoca del processo di Gesù questi era Caifa (in carica dal 18 al 36). Anna era l'ex sommo sacerdote (dal 6 al 15), suocero di Caifa, e sebbene non più in carica esercitava comunque una forte influenza sul genero. Il sommo sacerdote rivestiva in teoria un incarico principalmente religioso, ma in quanto capo del Sinedrio aveva una notevole influenza dal punto di vista sociale e politico.
  • Sinedrio.[65] Il Sinedrio di Gerusalemme o Gran Sinedrio (erano presenti anche sinedri locali con giurisdizione limitata) era composto da 70 membri, 71 includendo il sommo sacerdote, provenienti principalmente dai gruppi dei Sadducei e dei Farisei. Aveva competenze legislative (poteva emanare leggi), giudiziarie (come supremo tribunale del paese) ed esecutive (disponeva di una propria forza armata). La sua attività non riguardava solo questioni religiose ma anche altri aspetti della vita sociale e politica, in fragile equilibrio con la potenza occupante romana. Ai tempi di Gesù il Sinedrio non aveva il diritto di ordinare condanne a morte, in quanto lo ius gladii (= diritto della spada) spettava al solo governatore romano[66]. La sede del Sinedrio di Gerusalemme è discussa: probabilmente si trovava presso il tempio, nella cosiddetta "sala delle pietre squadrate" (Lishkat ha-Gazith),[67] verosimilmente coincidente col xystòs (porticato, colonnato) citato da Flavio Giuseppe.[68]
  • Ponzio Pilato. Fu il prefetto (= governatore) della provincia romana della Giudea tra il 26 e il 36 (o inizio 37). A lui competeva lo ius gladii, cioè la facoltà di eseguire le condanne a morte. Risiedeva abitualmente a Cesarea marittima, capitale politica e militare della provincia. In determinate occasioni, come le festività ebraiche, si spostava a Gerusalemme per tenere sotto controllo eventuali tumulti di popolo. La sede del prefetto (pretorio) a Gerusalemme non è nota con chiarezza. La tradizione cristiana la identifica con la fortezza Antonia, dalla quale si poteva dominare la spianata del tempio.
    Sulla personalità e l'operato di Pilato le fonti evangeliche e le affermazioni di Filone convergono nel tracciarne una figura particolarmente negativa: Pilato "era per natura inflessibile e, in aggiunta alla sua arroganza, duro"[69], il suo operato era caratterizzato da "concussioni, violenze, rapine, brutalità, torture, esecuzioni senza processo e una crudeltà spaventosa e senza limiti"[70].
  • Erode Antipa. Figlio di Erode il Grande è stato, dal 4 p.e.v. al 39 e.v., sovrano dell'effimero regno di Galilea, regione della quale Gesù era originario e dove aveva svolto la maggior parte del suo ministero pubblico.
  • Soldati romani. Secondo i vangeli i soldati romani di stanza a Gerusalemme furono gli esecutori materiali della morte per crocifissione di Gesù. Durante i frenetici eventi del processo inoltre flagellarono, coronarono di spine, insultarono e derisero Gesù. Sebbene dalle fonti storiche romane non appaia chiaramente quale fosse la legione presente a Gerusalemme attorno al 30 e.v. è probabile che si trattasse della X Legione, detta "Fretense", o di una guarnigione ausiliaria ad essa correlata.

Gli avvenimenti preparatori e il processo[modifica]

Cristo davanti a Caifa, di Giotto

I quattro vangeli presentano resoconti degli avvenimenti e del processo in parte concordi; tuttavia presentano differenti punti di vista sui particolari e su alcune fasi differiscono anche in virtù della maggiore o minore accessibilità dei redattori alle testimonianze o ai fatti stessi. Come, inoltre, sotto indicato nella sezione "Storicità e attendibilità del processo", il resoconto degli evangelisti – che si basa su precedenti tradizioni, a volte diverse – viene sviluppato non in modo storico e coerente ma in base alla propria visione teologica.[71]

Interrogatorio presso Anna[modifica]

Il solo Giovanni riporta l'interrogatorio preliminare con Anna, ex sommo sacerdote (18,12-13;18,19-23) di cui non riferiscono gli altri tre vangeli ed altri particolari, come l'accesso al cortile da parte di Pietro, in virtù della sua possibilità di accesso al palazzo in quanto ben conosciuto dallo stesso Sommo sacerdote e dalla custode[72][73]. Il motivo di questo interrogatorio non è specificato e non è del tutto chiaro; non poteva infatti avere valore giuridico in quanto Anna non ricopriva più la carica tuttavia l'ex sommo sacerdote conservava una grande influenza presso il Sinedrio tanto da far nominare negli anni seguenti alla sua carica, oltre al genero, ben cinque figli. Alcuni suppongono che dietro alla decisione di arrestare e uccidere Gesù vi fosse proprio lui[74][75].

La sede dell'incontro fu verosimilmente il palazzo nobiliare nel quale dimorava anche Caifa, suo genero[75]. La tradizione cristiana antica colloca il palazzo all'interno delle mura di Gerusalemme, nell'angolo sud-occidentale della città, poche decine di metri a nord dal luogo del cenacolo. L'identificazione del palazzo di Caifa con l'attuale chiesa del Gallicantu non trova consenso dalla maggior parte degli studiosi[76].

Interrogatorio davanti al Sinedrio[modifica]

La giustizia ordinaria era stata lasciata ai tribunali giudaici e al Sinedrio operanti da prima dell'occupazione romana; ma i reati penali che comportavano la pena di morte erano prerogativa del governatore romano che tuttavia non poteva applicare l'estrema sanzione nei confronti di un cittadino romano che si appellasse al giudizio dell'alta corte imperiale[77]. Gli interrogatori di Gesù avevano quindi lo scopo di approntare un atto d'accusa con motivazioni concrete per richiedere a Pilato la sua esecuzione.

La classe dei sommi sacerdoti[78] destituiti, al tempo dei romani costituiva una vera e propria aristocrazia che aveva grande influenza politica, governava gli "affari" del Tempio e presiedeva il "Gran Consiglio" (Sinedrio) di Gerusalemme[79]. È con tutta probabilità questo il motivo del pre-interrogatorio del "potente" Anna[75].

I quattro vangeli concordano sul fatto che Gesù fu condotto di notte alla casa di Caifa e il mattino successivo al palazzo del governatore (27,1; Mc15,1); il Vangelo di Giovanni di quanto avvenuto nel palazzo di Caifa riferisce solo del rinnegamento di Pietro sviluppando maggiormente il successivo incontro con Pilato e il Vangelo di Luca del rimando delle procedure legali al mattino (22,66-71), "nel loro Sinedrio", presumibilmente presso la sede ufficiale nella sala delle pietre squadrate entro il recinto del tempio[29].

Matteo, che segue in questo il Vangelo di Marco, riferisce le procedure in maniera più ampia con una prima fase, in casa del sommo sacerdote Caifa la sera (Matteo 26,57-68;Marco 14,53-65) (prima del rinnegamento) e il verdetto emesso la mattina seguente, il luogo non è specificato ma è possibile supporre che sia lo stesso[29].

Vi è, comunque, discordanza tra i vangeli se il Sinedrio si sia riunito due volte – una di notte e una al mattino[80], come sostengono Marco e Matteo – oppure solo una al mattino[81], come riporta invece Luca; si consideri, inoltre, che il resoconto lucano dell'unica riunione mattutina è identico a quello degli altri due sinottici per la prima riunione notturna e non è ragionevole supporre che Gesù abbia dato due volte la medesima risposta ed abbia suscitato due volte lo stesso stupore e la stessa reazione dei medesimi membri del Sinedrio. Questo indica che la prima seduta notturna, descritta in Marco e Matteo, corrisponde a quella mattutina descritta da Luca, il quale quindi non ha semplicemente omesso di riportare la seduta precedente; appare, inoltre, storicamente improbabile che vi possa essere stata una convocazione notturna ed improvvisa dei settanta dei membri Sinedrio, seguita oltretutto da un'ulteriore seduta in mattinata. Infine, al contrario dei sinottici, per il Vangelo secondo Giovanni[82] la riunione sinedrile avvenne invece molti giorni prima – quando Gesù non si trovava ancora a Gerusalemme – e l'evangelista non cita, infatti, alcuna altra riunione il giorno del processo davanti a Pilato.[83]

Alcune considerazioni[modifica]

Secondo la Mishnah (trattato Betza 5,2; trattato Sanhedrin 4,1) erano vietate le sedute del Sinedrio in un giorno di festa e nel suo giorno preparativo, la sentenza capitale doveva essere emessa di giorno, non di notte, e confermata in una seconda seduta, che poteva tenersi solo dopo che fossero passate almeno 24 ore dalla prima. E assumendo la cronologia sinottica (morte il giorno di Pasqua) si aggiunge l'irregolarità del processo tenuto in un giorno festivo. Tutte queste indicazioni non sarebbero state rispettate nel processo sinedriale descritto dai vangeli. Tuttavia, viene obiettato, la Mishnah risale a circa il 200 d.C. quando era già da tempo scomparsa l'influenza e la stessa classe dei Sadducei ed è stata redatta in ambienti farisaici; molti ritengono che questi divieti non possano essere applicati al processo di Gesù, di due secoli precedenti e gestito dalle autorità sadducee[34].

In base alla legge ebraica sono riscontrabili anche una serie di violazioni compiute dalle autorità religiose in merito al processo di Gesù: utilizzo di falsi testimoni (Esodo 20,16), falsificazione della giustizia (Esodo 23,1-2;23,6-7; Levitico 19,15;19,35), aver incitato le autorità politiche a liberare l'assassino Barabba (Numeri 35,31-34; Deuteronomio 19,11-13), aver chiesto di uccidere Gesù tramite crocifissione, pratica ritenuta sconveniente (Deuteronomio 21,22), il non aver accettato come re un ebreo, bensì uno straniero quale Cesare (Deuteronomio 17,14-15).

Tuttavia dal punto di vista della religiosità ebraica, assumendo come valida la confessione di Gesù equiparatosi a Dio, malgrado i vari elementi illegali il processo emise la sentenza appropriata: morte per bestemmia (Levitico 24,15-16), da eseguirsi tramite lapidazione.

Dal punto di vista cronologico-formale pertanto possono essere ipotizzate alcune opzioni:

  • Non vi fu alcun processo di fronte al Sinedrio, né formale né informale (resoconto giovanneo). La decisione della condanna a morte di Gesù fu presa già prima dell'arresto dalle autorità religiose e ne fu chiesta l'attuazione a Pilato. Questa possibilità non gode di particolare diffusione tra gli esegeti perché in contrasto con gli altri tre vangeli, cronologicamente precedenti.
  • Vi fu un solo processo al mattino (Luca), probabilmente nella sede ufficiale del Sinedrio presso il Tempio.
  • Vi furono un processo alla sera presso la casa di Caifa e un secondo processo al mattino seguente (Matteo e Marco), sempre presso Caifa o presso il Tempio.
  • Vi fu un interrogatorio informale alla sera presso la casa di Caifa e un vero e proprio processo al mattino seguente, sempre presso Caifa o presso il Tempio.
  • Adottando la cronologia lunga dell'ipotesi della cena essena (cfr. data della morte di Gesù), dopo l'arresto al martedì sera vi fu un interrogatorio informale presso Caifa e successivamente due processi in due distinte giornate (mercoledì e giovedì), in accordo con i precetti circa i processi testimoniati dalla Mishnah. Sede dei due processi o la casa di Caifa o il Tempio.

I vangeli non specificano dove Gesù abbia trascorso la notte. La tradizione indica come cella di detenzione una grotta scoperta nel 1888 nel sito della chiesa di San Pietro in Gallicantu. Nella grotta sono presenti antiche croci dipinte. Questa identificazione tuttavia non è condivisa dalla maggior parte degli studiosi[84].

Nel caso che il processo si sia tenuto presso il Tempio, non è chiaro se e dove le guardie del Tempio a servizio del Sinedrio disponessero di una cella per la custodia o se si appoggiassero sulla vicina fortezza Antonia presidiata dai romani. Data la sacralità del luogo è improbabile che i condannati fossero custoditi entro il recinto del Tempio.

Si cercano le motivazioni per l'accusa e per la condanna[modifica]

A conclusione della riunione sinedriale del mattino [85] venne decretata la condanna a morte di Gesù. Secondo i resoconti evangelici furono portate accuse da "falsi testimoni" contro Gesù. Il contenuto delle accuse non è definito, eccetto quella di aver dichiarato di distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni (vedi Gv2,19-22 [2], dove però l'evangelista modifica il logion con "distruggete" adattandolo alla passione): i tre sinottici non riportano l'episodio ma solo l'accusa, mentre Giovanni riporta l'episodio ma non l'accusa durante il processo. Comunque nessuna delle accuse si dimostrò decisiva per decretarne la morte.

Il culmine del processo è la "confessione" di Gesù[86], che viene riportata con lievi differenze dai tre sinottici:

Matteo (26,63-66) Marco (14,60-64) Luca (22,66-71) Giovanni
(La sera nel palazzo di Caifa di fronte al Sinedrio)
il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio».
(Presso il sommo sacerdote e tutto il Sinedrio) il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?». (Al mattino) gli anziani del popolo, i capi dei sacerdoti e gli scribi si riunirono, e lo condussero nel loro Sinedrio, dicendo: «Se tu sei il Cristo, diccelo». -
«Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio (letteralmente: della Potenza), e venire sulle nubi del cielo». Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo». Ma egli disse loro: «Anche se ve lo dicessi, non credereste; e se io vi facessi delle domande, non rispondereste. Ma da ora in avanti il Figlio dell'uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio». E tutti dissero: «Sei tu, dunque, il Figlio di Dio?» Ed egli rispose loro: «Voi stessi dite che io lo sono». -
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. E quelli dissero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? Lo abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». -

Con la risposta Gesù si dichiara Messia e "Figlio di Dio", epiteto qui usato come attributo messianico. Questo però non costituisce un reato punibile con la morte:[87] gli Ebrei aspettavano (e aspettano) un messia umano, "Figlio di Dio". La "bestemmia" nella risposta, secondo alcuni, starebbe invece nell'equipararsi ("sedere alla destra") di Gesù a Dio, indicato con l'epiteto "Potenza"[88]; secondo alcuni per gli Ebrei non era affatto blasfemo predire che il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio sarebbe presto arrivato sulle nubi dal cielo, come anche citato nelle profezie del Libro di Daniele: gli evangelisti - che scrissero in greco e al di fuori della Palestina - proiettarono, nella descrizione degli eventi, la loro visione cristiana di quella che poteva essere una bestemmia in ambiente giudaico. Allo stesso modo – contrariamente a quanto riportato, ad esempio, dal Vangelo secondo Giovanni nei passi "Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio»"[89] e "«...voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?»"[90] – dichiararsi "Figlio di Dio" non era considerata una bestemmia[91]. [92]

Il processo dinanzi alla giustizia romana[modifica]

Cristo trascinato al pretorio per il giudizio di Ponzio Pilato, miniatura tratta dal Les Très Riches Heures du duc de Berry, folio 143r, dei Fratelli Limbourg

Gesù venne condotto dinanzi al magistrato, il governatore romano Pilato, dopo avere stabilito un capo di accusa che prevedeva la morte; in questo, secondo alcuni studiosi[93], il Sinedrio assunse un ruolo che definiremmo "istruttorio" ai fini del processo vero e proprio. Il Sinedrio aveva la facoltà di giudicare ma non quella eseguire la condanna a morte nonostante l'avesse decretata Gv18,31. Questo dato biblico sulla ripartizione delle competenze giuridiche in Palestina appare coerente con quanto sappiamo della gestione del potere romano, in Giudea come anche nelle altre province[94].

Negli scritti neotestamentari sono comunque attestate condanne a morte eseguite dalle autorità ebraiche quali, il tentativo di lapidazione dell'adultera (Giovanni 8,1-11); la lapidazione di Stefano (Atti 7,57-60); l'uccisione per spada di Giacomo di Zebedeo (Atti 12,2); la lapidazione di Giacomo "fratello del Signore". Ci sono tuttavia delle motivazioni che spiegano tali 'eccezioni': la pericope dell'adultera – ritenuta però dagli storici un'aggiunta posteriore al Vangelo secondo Giovanni, che inizia a comparire regolarmente nei manoscritti attorno al IX secolo e.v. – è più propriamente una diatriba giuridica che non una reale esecuzione capitale; la lapidazione di Stefano è un vero e proprio linciaggio, senza alcun processo sinedriale; l'esecuzione di Giacomo di Zebedeo è avvenuta tra il 41 e il 44 allorquando i Giudei riebbero per un breve periodo la piena sovranità sotto Erode Agrippa I, mentre quella di Giacomo il minore invece avvenne nel 62, in occasione del vuoto di potere tra Festo e Albino.[95][96]

Ricostruzione degli eventi e dei possibili luoghi[modifica]

Quanto al luogo, i vangeli concordano nel dire che Gesù fu condotto di fronte al governatore romano Pilato. Giovanni (18,28) definisce il luogo di questo incontro col titolo generico "pretorio". Anche Matteo 27,27 e Marco 15,16 citano il pretorio, inteso come cortile: in questi casi si tratta più propriamente non del luogo del processo ma della flagellazione e dei maltrattamenti da parte dei soldati romani, ma viene lasciato intendere che il luogo sia lo stesso o nelle sue immediate vicinanze. Con "pretorio" si intendeva la residenza ufficiale del procuratore romano. Solitamente il governatore risiedeva a Cesarea marittima, capitale della provincia di Giudea, ma in occasione delle feste poteva recarsi a Gerusalemme per controllare meglio eventuali tumulti. La sede del governatore, cioè il pretorio di Gerusalemme, non è nota con chiarezza e sono state proposte alcune ipotesi:[97]

  • la fortezza Antonia, posta a ridosso del lato settentrionale della spianata del Tempio.[98] Nonostante non vi siano chiare indicazioni nelle fonti antiche che la roccaforte fungesse da palazzo politico, è tradizionalmente considerata il pretorio evangelico: se il governatore si recava a Gerusalemme per monitorare la sicurezza pubblica, il luogo più appropriato per farlo era proprio l'Antonia, dalla quale si poteva controllare l'intera spianata del tempio, unica 'piazza' della città. Scavi in epoca contemporanea hanno portato alla luce un pavimento lastricato in pietra calcarea che è stato da molti identificato col lithostroton del pretorio citato in Giovanni 19,13, ma risale probabilmente al foro orientale della colonia tardo-romana Aelia Capitolina, costruito dopo il 135 e.v. Anche il cosiddetto "arco dell'Ecce Homo", tradizionalmente considerato il 'balcone' dal quale Pilato mostrò Gesù flagellato alla folla, è probabilmente un arco di trionfo di epoca tardo-romana. Nonostante questi dati incerti la maggior parte degli studiosi opta per questa prima opzione: la sede del processo fu il cortile interno della fortezza, mentre Gesù sarebbe stato flagellato da qualche parte all'interno della struttura, verosimilmente senza pubblico.
  • il Palazzo degli Asmonei.[99] In tal caso non è chiaro dove sarebbe avvenuto il colloquio con Erode Antipa.
  • la cittadella, ex palazzo di Erode il Grande, sul lato interno occidentale delle mura della città. Non esiste però nessuna tradizione cristiana antica al riguardo.

Quanto alla cronologia e all'effettivo svolgimento dell'incontro Gesù-Pilato si notano discordanze tra i resoconti evangelici:

  • Matteo e Marco riportano l'interrogatorio come in unica sessione. I protagonisti (Gesù, Pilato, "sommi sacerdoti", popolo) sembrano riuniti nel medesimo luogo.
  • Il solo Luca presenta, dopo il primo interrogatorio, il rinvio di Gesù a Erode Antipa. Dopo questo intermezzo Pilato convoca i sommi sacerdoti e il popolo (23,13): l'impressione è che si tratti di due sessioni cronologicamente distinte ma che i protagonisti siano riuniti nello stesso luogo.
  • Giovanni presenta l'interrogatorio in un'unica sessione, ma divide la scena: i giudei rimangono fuori dal pretorio per non contaminarsi mentre Gesù viene condotto dentro. Pilato sembra fare una sorta di spola tra gli accusatori e Gesù e i colloqui con lui sono tutti privati. Solo alla fine, al momento dell'"Ecce Homo" e nella scena conclusiva, fa condurre fuori Gesù nel Litostroto-Gabbata (il cortile interno della fortezza Antonia?) e tutti i protagonisti sono compresenti.

Se si ammette la storicità dell'intermezzo del rinvio a Erode, e se si ammette di conseguenza che il processo presso Pilato si sia svolto in due sessioni distinte, la scelta della cronologia lunga (arresto martedì, morte venerdì) appare più plausibile}}. Nel caso della cronologia corta (arresto giovedì sera, morte venerdì) le concitate ore del venerdì mattina devono contenere una seduta, o l'intero processo secondo Luca (22,66-71), del Sinedrio, il primo interrogatorio di Pilato, il rinvio a Erode, la liberazione di Barabba, il secondo interrogatorio di Pilato.

L'accusa dinanzi al magistrato[modifica]

Cristo condotto via dal Pretorio, dietro di lui i due malfattori condannati a morte, legati nudi, sono trascinati via (miniatura da Les Très Riches Heures du duc de Berry, manoscritto dei Fratelli Limbourg, Folio 146v.)

Il solo Luca riporta esplicitamente le accuse che le autorità ebraiche mossero contro Gesù a Pilato, accuse tutte di ordine prettamente politico: sobillava il popolo, impediva di dare i tributi a Cesare (titolo generico per l'imperatore romano), affermava di essere il Cristo-Messia re (Luca 23,2-5). Secondo i vangeli queste accuse sono infondate: Gesù non ha mai sobillato il popolo, non ha impedito di dare i tributi a Cesare ("Date a Cesare quel che è di Cesare", Matteo 22,21; Marco 12,17; Luca 20,25), non si è mai dichiarato re (Giovanni 6,15).

In un primo momento non viene esplicitamente riportata dai vangeli la principale accusa che ne causò la condanna a morte da parte del Sinedrio, la "bestemmia" di essersi equiparato a Dio: questa motivazione, di ordine prettamente religioso, non poteva interessare al governatore romano. Secondo Giovanni 19,7 questa viene riportata in un secondo momento: "si è fatto Figlio di Dio", dove l'epiteto è qui inteso non come semplice attributo del Messia, che non costituiva una bestemmia, ma come lo ha inteso la tradizione cristiana, cioè come uno stretto legame tra il Figlio e il Padre.

Interrogatorio dell'imputato[modifica]

Secondo la testimonianza concorde dei quattro vangeli l'interrogatorio di Pilato si concentrò sulla terza accusa: "Tu sei il re dei Giudei?" "Tu lo dici" (Matteo 27,11-14; Marco 15,2-5; Luca 23,2-5; Giovanni 18,28-38). Questa sola risposta riportata dai tre sinottici può suonare ambigua: "Non lo sono, sei tu che lo dici", oppure "Sì lo sono, lo dici tu stesso". Giovanni esplicita il senso affermativo: "Tu lo dici, io sono re", ma aggiunge la precisazione che chiarisce la natura teologica e non politica di questa regalità: "Il mio regno non è di questo mondo", che rappresenta una implicita discolpa di Gesù. A parte questa breve risposta i tre sinottici non riportano altre parole di Gesù, fatto che desta meraviglia in Pilato. Giovanni invece amplia il dialogo tra Gesù e Pilato. Secondo il diritto romano stabilire che Gesù si fosse dichiarato re rappresentava un reato di lesa maestà e implicava la condanna a morte.

Secondo i quattro vangeli Pilato, nonostante l'ammissione della sua regalità 'teologica', non trovò colpa in Gesù e in un primo momento non lo condannò. Questa ricerca di neutralità è in Matteo 27,19 rafforzata dall'intervento della moglie.

Il resoconto giovanneo del processo di fronte a Pilato, solleva comunque delle perplessità tra gli storici, non essendo verosimile che la massima autorità giudiziaria in Giudea e prefetto romano Ponzio Pilato abbia acconsentito – per non urtare la sensibilità religiosa dei giudei, come riportato appunto da Giovanni[100] – a condurre il processo facendo da portavoce tra i suoi sudditi Ebrei, che erano rimasti fuori dal pretorio per non contaminarsi in vista della Pasqua, e l'accusato Gesù, uscendo ed entrando dal pretorio stesso almeno 6 volte; questo, a maggior ragione, conoscendo la crudeltà e la fermezza da sempre dimostrate da Pilato nei confronti degli Ebrei stessi.[101]

Tentativi di Pilato: il rinvio ad Erode Antipa, la liberazione di un condannato[modifica]

Il vangelo di Luca riporta (23,6-12), all'interno dell'incontro tra Pilato e Gesù, il rinvio a Erode Antipa in quanto aveva appurato che era galileo. La motivazione del rinvio non viene esplicitata dal testo: il parere di alcuni è che Pilato, convinto della sua innocenza, cercasse una conferma in tal senso anche dal re della Galilea, di cui Gesù era suddito, da contrapporre alle accuse delle autorità giudaiche[102]. Secondo altri, Pilato cercava solo di liberarsi delle sue responsabilità; aveva accettato di giudicare Gesù, che era galileo, secondo il principio giuridico del forum delicti ma aveva tentato di ricorrere al principio del forum domicilii (casistica prevista dal diritto romano)[103]. Secondo Flusser, invece, Pilato intese rispettare il protocollo una volta appurato che l'imputato era galileo ottenendo in cambio di tale gesto l'amicizia di Erode[104].

Il parere del Miglietta è che si sia trattato di un calcolo preciso: Pilato, da giudice, con la richiesta di un parere sui fatti intendeva acquisire elementi circa la condotta di Gesù in merito all'accusa di "sollevare il popolo cominciando dalla Galilea" sperando allo stesso tempo di acquisire, con un atto di cortesia istituzionale, un risultato "politico", la riconciliazione con il vicino[105].

Erode Antipa risiedeva abitualmente a Tiberiade, capitale del suo effimero regno, ma come Pilato si trovava a Gerusalemme in occasione della Pasqua. La sede del palazzo degli Asmonei, è ipotizzata con relativa certezza al centro della città, di poco a occidente del tempio.

All'incontro erano presenti anche i "sommi sacerdoti" che accusavano Gesù. Le accuse non sono riportate dal resoconto di Luca. Secondo l'evangelista il re, in accordo col carattere semplicistico e un po' fanciullesco che gli viene attribuito anche in occasione dell'episodio della morte di Giovanni il Battista (Matteo 14,6-11), sembra poco coinvolto dal processo e mostra interesse invece per le sue capacità di compiere miracoli. Gesù però non risponde nulla né compie alcun miracolo.

Disilluso dal colloquio Erode non espresse alcuna condanna, ma lui e i suoi soldati insultarono e schernirono Gesù, rivestendolo di una "splendida veste" (probabilmente per deriderlo come re) e rimandandolo a Pilato.

Dopo l'invio di Gesù ad Erode Antipa Pilato cercò di liberarlo [106] mediante il cosiddetto "privilegio pasquale"[107], ma venne richiesta la liberazione di Barabba. In merito a tale amnistia per la Pasqua, va rilevato come non sia mai stata storicamente documentata per nessun governatore romano di alcuna provincia. Inoltre, appare improbabile che Ponzio Pilato, noto per la sua fermezza e crudeltà, fosse disposto a liberare un pericoloso ribelle[108]. Va anche sottolineato che sull'esistenza di Barabba non vi è alcuna prova storica al di fuori dei vangeli; lo stesso nome "Barabba" significa in aramaico, lingua parlata nella Palestina del I secolo, "figlio del padre" e - in alcuni manoscritti del Vangelo secondo Matteo - viene chiamato "Gesù Barabba", quasi a voler sottolineare la colpa dei giudei, spesso rimarcata dagli evangelisti, nella scelta sbagliata del "Gesù figlio del padre".[109][110]

Secondo Giovanni e soprattutto Luca (23,22) la flagellazione è collocata prima della condanna definitiva e viene proposta, nelle intenzioni di Pilato, come una alternativa alla condanna capitale. Matteo e Marco invece sintetizzano gli eventi e la collocano dopo la condanna a morte, come preliminare della crocifissione. Vi è, comunque, un'incongruenza tra gli evangelisti: la flagellazione sarebbe avvenuta prima della fine del processo davanti a Ponzio Pilato[111], come riportato dal Vangelo secondo Giovanni, oppure dopo che era finito tale processo, subito prima che Pilato lo consegnasse ai soldati per la crocifissione[112], come invece precisato dei vangeli di Matteo e Marco. Non è pensabile che Gesù sia stato sottoposto a due flagellazioni – una prima della fine del processo e l'altra dopo – e sia riuscito a sopravvivere ad entrambe,[113] ma nessun vangelo parla di una doppia flagellazione.

Sentenza[modifica]

A fronte della pressione della folla che stava degenerando in un tumulto (Matteo 27,24) Pilato acconsentì alla loro richiesta di far crocifiggere Gesù e fece il gesto divenuto poi proverbiale di lavarsi le mani. Un certo numero di studiosi argomenta circa il gesto di lavarsi le mani, attribuito a Pilato, come storicamente poco verosimile per un prefetto romano, che nutriva oltretutto un certo disprezzo per i semiti, essendo questo un rituale ebraico di discolpa e affermazione di purezza riportato in vari passi della Bibbia[114][115], tuttavia l'uso dell'abluzione per rimuovere la colpa grave di un omicidio è attestato anche nella letteratura classica greca[116].

La colpevolezza del Sinedrio come motivo di antisemitismo[modifica]

La Salita al Calvario di Hieronymus Bosch. Da notare come mostruosamente siano raffigurati gli ebrei

Una delle frasi più note, in merito all'assunzione di responsabilità della morte di Gesù da parte degli Ebrei, è il passo Matteo 27,25: "E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli»", contenuto nel solo Vangelo secondo Matteo. Tale frase "com'è noto [...] non è storica: proietta all'indietro le polemiche tra i Giudei e i seguaci di Gesù della fine del I secolo"[117] e gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico"[118] evidenziano in merito come "l'amaro, sgradevole carattere di questo versetto può essere solo capito come risultato della polemica contemporanea e alla luce della prospettiva storica di Matteo". Secondo Joseph Ratzinger, Matteo non mette il verbo "ricada"[119] nella frase con l'intento di sottolineare la perdita definita del privilegio di essere "il popolo di Dio" e non per esprimere un fatto storico[120]. Altri studiosi cristiani osservano, invece, il peso che ebbe tale frase matteana e il teologo John Dominic Crossan[121], tra i cofondatori del Jesus Seminar, sottolinea che "questa reiterata giustapposizione tra gli ebrei che domandano la crocifissione di Gesù e le dichiarazioni romane sull'innocenza di Gesù stesso non è profezia e neanche è storia. È propaganda Cristiana" e "alla luce del successivo antigiudaismo Cristiano e alfine dell'antisemitismo genocida[122], non è più possibile in retrospettiva pensare che questa finzione della passione fosse una propaganda relativamente benigna. Per quanto spiegabili le sue origini, difendibili le sue invettive e comprensibili i suoi motivi tra i Cristiani che lottavano per la sopravvivenza, la sua ripetizione è adesso diventata la più duratura menzogna e, per la nostra integrità, noi Cristiani dobbiamo alla fine definirla in tal modo", inoltre "una volta che l'Impero Romano divenne Cristiano questa finzione diventò letale"[123]. Anche il biblista cattolico tedesco Josef Blinzler riconosce: "la storia della passione di Gesù si è realmente trasformata nella storia della sofferenza degli Ebrei; la strada del Signore verso la croce è diventata una via dolorosa della gente ebraica attraverso i secoli".[124]Raymond Brown[125] evidenzia, inoltre, che "mentre l'intero Nuovo Testamento è stato mal usato in maniera antiebraica, questo testo, con tutta la gente che urla «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli», ha avuto un ruolo speciale. È stato trattato come se fosse una auto maledizione con la quale la gente ebraica attirò su sé stessa il sangue di Gesù per tutti i tempi successivi. [...] Questa è una di quelle frasi che sono state responsabili per oceani di sangue umano e un incessante flusso di miseria e desolazione"; aggiunge tale teologo come la stessa frase fu poi usata dai primi cristiani e dai Padri della Chiesa: "Origene andò drasticamente aldilà del giudizio di Matteo quando nel 240 dopo Cristo egli scrisse: «per questa ragione il sangue di Gesù ricade non solo su quelli che vissero al momento ma anche su tutte le generazioni di Giudei che seguirono, fino alla fine dei tempi». Sfortunatamente egli fu seguito nella sua valutazione da alcuni dei più grandi nomi della Cristianità" e ad esempio "Sant'Agostino, Giovanni Crisostomo, Tommaso d'Aquino, Lutero, etc, sono citati come sostenitori, con preoccupante ferocia, del diritto e anche del dovere dei Cristiani di disprezzare, odiare e punire gli Ebrei".

In merito al Vangelo di Marco, nota Vito Mancuso che a chiedere la crocifissione di Gesù, per Marco fu invece una folla (composta probabilmente dai sostenitori di Barabba, lì radunati dai sacerdoti), per Giovanni i Giudei (identificabili con l'aristocrazia del tempio) e per Luca i capi dei sacerdoti, i magistrati ebrei e il popolo, quest'ultimo non nella sua totalità[126], mentre gli studiosi del "Nuovo Grande Commentario Biblico"[127] osservano – in merito al verso Mc14,55 "Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano" – come "Marco sta presentando l'udienza come un vero e proprio processo davanti a tutto il Sinedrio. Questa tendenza faceva probabilmente parte dello sforzo generale dei Cristiani di diminuire il coinvolgimento dei Romani nella morte di Gesù e di accrescere quello dei Giudei".

Anche nel Vangelo secondo Luca – in merito al verso di Luca 23,25: "Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà" – gli studiosi dell'interconfessionale "Parola del Signore Commentata"[128] rilevano che "in modo ancora più forte di Matteo, Luca giudica i Romani liberi dalla «colpa» della morte di Gesù. Luca tace addirittura il fatto che sia stato Pilato a pronunziare la sentenza di morte. L'unico fatto che egli ci riferisce è che il governatore lasciò che fossero gli abitanti di Gerusalemme a decidere sulla sorte di Gesù".

Anche nella Prima lettera ai Tessalonicesi – che, scritta attorno al 50 e.v., è il più antico documento neotestamentario esistente – come osservano gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico", al verso 2,13-16 con "forte tono antisemitico [...] Paolo enumera una serie di accuse contro i Giudei: l'uccisione di Gesù e dei profeti, la persecuzione contro Paolo e i suoi collaboratori, la disubbidienza verso Dio, l'inimicizia nei confronti degli uomini, il porre impedimenti al vangelo perché non raggiunga i pagani laddove possa servire alla loro salvezza"[129].

Secondo alcuni, invece, il testo dei vangeli canonici non attribuisce la "colpa" ai soli giudei e coinvolge nelle responsabilità della condanna a morte di Gesù anche Erode Antipa e i Romani. Gesù nel vangelo di Giovanni dice a Pilato che coloro che l'hanno consegnato a lui hanno una colpa più grande intendendo soprattutto le autorità del Tempio, Caifa ed Anna che avevano organizzato il processo per eliminarlo. Il Nuovo Testamento descrive in vari modi la partecipazione e le responsabilità del Sinedrio nella condanna e nell'esecuzione di Gesù, ma non esenta dalle colpe i romani stessi. Il Nuovo Testamento sottolinea anche il fatto che Pilato, dopo che Gesù venne consegnato a lui, appurato che si trattava di "problemi religiosi" voleva che il condannato venisse giudicato dagli ebrei e che essi lasciarono a lui la sentenza poiché per loro non era possibile mettere a morte qualcuno sotto l'autorità romana (Giovanni 18, 31). La persecuzione degli ebrei fu un fenomeno piuttosto frequente, soprattutto nell'Europa cattolica del Medioevo. Tutto ciò sarebbe stato però contrario agli insegnamenti dello stesso Gesù che aveva ordinato ai suoi discepoli di amare i propri nemici (Matteo 5, 38-39) e aveva perdonato, in punto di morte, gli uomini che l'avevano crocifisso (Luca 9, 51-56).

Storicità e attendibilità del processo[modifica]

Come ricordato in una precedente sezione, i quattro vangeli canonici sono le uniche fonti storiche in merito al processo di Gesù. Molti studiosi evidenziano – come meglio precisato nei sottostanti paragrafi della presente sezione – come tali narrazioni non sarebbero storicamente conciliabili e attendibili, rappresentando queste la personale interpretazione teologica di ogni evangelista su precedenti materiali della tradizione cristiana.
Raymond Brown[130] evidenzia come "la soluzione più comune (almeno in passato) sia stata armonizzare le singole narrazioni evangeliche con la presunzione che ognuna sia storicamente vera ma riferita solo ad una parte di una scena più ampia. Spesso molta immaginazione è stata usata per tali armonizzazioni [...] Siccome i singoli vangeli non incoraggiano a compiere tali armonizzazioni, è meglio considerare separatamente i tre adattamenti che ci arrivano da Marco/Matteo, Luca e Giovanni. A prescindere da come è nato, ogni adattamento dà l'impressione di essere la descrizione completa di cosa accadde, non la parte di una scena più ampia". Gli evangelisti, precisa Raymond Brown[131], si basarono su materiale precedente, che "riarrangiarono per inserirlo secondo i propri intenti teologici [e tale materiale] nella maggior parte dei casi sarà più vicino alla storia rispetto agli arrangiamenti fatti nei vangeli"[132]; quindi, in merito alle scene processuali di fronte alle autorità ebraiche e a quella romana, "sicuramente entrambe non sono storiche così come descritte, qualunque tradizione sottostante è stata pesantemente rimodellata"[133].
Così, ad esempio, "il racconto lucano del processo differisce notevolmente da quello di Marco"[134] e pone un unico procedimento sinedrile il mattino al contrario di Marco/Matteo che riferiscono di due procedimenti, di cui uno notturno[135]; mentre invece il Vangelo di Giovanni[136] riferisce che il processo "ebbe luogo settimane prima della Pasqua" e "una seria possibilità è che la versione di Giovanni sia più antica e forse anche più storica"[137].
Anche il processo di fronte a Pilato[138] "è trattato differentemente in ogni vangelo" e "questi sono racconti popolari, non documentazioni legali"[139].
Secondo alcuni autori molti altri dettagli dei processi non sarebbero storicamente coerenti o risulterebbero inconciliabili tra i vangeli: ad esempio, la figura di Barabba (e la relativa usanza del rilascio di un prigioniero a Pasqua)[140], oppure l'accusa di blasfemia verso Gesù[141], o i resoconti sulla flagellazione di Gesù[142] e sullo scherno nei suoi confronti parte dei soldati[143].

Il processo davanti al Sinedrio[modifica]

Gesù percosso davanti a Anna, di Madrazo (1803)

Il resoconto evangelico del processo di fronte ai sommi sacerdoti e al Sinedrio presenta notevoli problemi storici e il teologo John Dominic Crossan[144], tra i cofondatori del Jesus Seminar – concordemente al teologo cristiano Rudolf Bultmann[145] – ritiene che "la tradizione trasmessa non è il nucleo di una memoria ricordata di cosa è accaduto a Gesù durante il processo ma il nucleo di profezie che rimpiazzano l'assenza di ricordi". Vi è, ad esempio, discordanza tra i vangeli se il Sinedrio si sia riunito due volte – una di notte e una al mattino[80], come sostengono Marco e Matteo – oppure solo una al mattino[81], come riporta invece Luca, con resoconto identico a quello degli altri due sinottici per la prima riunione notturna; notano gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico"[146] che Luca "differisce notevolmente" e "in luogo della sequenza di Marco: arresto, processo notturno, scherni, rinnegamento, Luca ha la seguente: arresto, rinnegamento, scherni e processo mattutino" in cui "non ci sono falsi testimoni; non si parla dell'accusa che Gesù dichiarava di distruggere il Tempio; il processo è condotto dall'intera assemblea o Sinedrio mentre in Marco il solo sommo sacerdote funge da portavoce". Concordemente, gli esegeti dell'interconfessionale Bibbia TOB[147] osservano che in Luca "il racconto della comparizione di Gesù davanti al Sinedrio corrisponde essenzialmente ai passi paralleli di Matteo e Marco (le deposizioni dei testimoni sono omesse, ma vi si accenna al versetto 71). Ne differisce per la cronologia (questa seduta del mattino corrisponde a quella della notte in Matteo e Marco)".
Raymond Brown[148] – nel notare come sia il processo sinedrile sia quello romano descritti dai vangeli non siano storici e le tradizioni pre-evangeliche siano state pesantemente riadattate dagli evangelisti – precisa come "lo spostamento del processo del Sinedrio al mattino è un riordino di Luca [e] quando esaminato criticamente, mostra i segni rivelatori dei problemi causati da tale riordino". Lo stesso Raymond Brown[149] sottolinea che "per poter armonizzare molti hanno supposto che Luca non narri la sessione del processo che Marco pone di notte, ma una forma allargata della sessione mattutina di Marco. Questa tesi deve essere rigettata per tre motivi: primo, Luca nel narrare il processo mattutino non dà indicazioni di una precedente sessione notturna e non lascia neppure lo spazio per effettuarne una; secondo, i contenuti della sessione mattutina di Luca sono del tutto simili alla maggior parte di quelli della sessione notturna di Marco, ma non a cosa Marco riporta per il mattino; e terzo, Marco non descrive una sessione mattutina ma semplicemente la fine della sola sessione che ebbe luogo la notte".

Al contrario dei sinottici, inoltre, per il Vangelo secondo Giovanni[150] la riunione sinedrile avvenne invece molti giorni prima – quando Gesù non si trovava ancora a Gerusalemme – e l'evangelista non cita, infatti, alcuna altra riunione il giorno del processo davanti a Pilato. Raymond Brown[151] osserva che " per Giovanni la scena ebbe luogo settimane prima della Pasqua [...] La scena sinedrile di Giovanni non è dipendente da quella dei Sinottici ma rappresenta una tradizione indipendente [...] Una seria possibilità è che la versione di Giovanni sia più antica e forse anche più storica [...] Storicamente, avere una sessione del Sinedrio settimane prima di Pasqua sarebbe più plausibile di una convocata di fretta nel mezzo della notte"[152] e quindi "Marco può aver messo qui una sessione sinedrile che nella tradizione non aveva una data precisa ma nei fatti successe prima, e storicamente Giovanni può essere più plausibile nel descrivere solo un interrogatorio sacerdotale nella notte prima che Gesù fosse consegnato ai Romani". Anche gli esegeti della Bibbia di Gerusalemme[153] ritengono che "Gv 18,31 suppone che effettivamente non ci sia stato un processo davanti al Sinedrio, che si sarebbe concluso con una condanna a morte. Secondo le tradizioni «giovannee», si sarebbe invece tenuta una riunione del Sinedrio, che avrebbe deciso la morte di Gesù per ragion di stato, ma in assenza di Gesù e molto prima del suo arresto. D'altra parte, la decisione di far morire Gesù sarebbe la conclusione del lungo conflitto tra Gesù e i capi del popolo ebraico, che si era acuito al momento delle diverse salite di Gesù a Gerusalemme. Questa presentazione dei fatti è più plausibile di quella della tradizione sinottica, la quale, facendo salire una sola volta Gesù a Gerusalemme, avrebbe sintetizzato il dramma con il racconto della comparsa di Gesù davanti al Sinedrio nella notte stessa dell'arresto" e infatti in merito a tale tradizione sinottica "numerosi storici hanno mostrato l'inverosimiglianza di questa procedura, il che poneva seri interrogativi sulla verità storica dei Sinottici"; appare, inoltre, storicamente improbabile che vi possa essere stata una convocazione notturna e improvvisa dei settanta dei membri Sinedrio, seguita oltretutto da un'ulteriore seduta in mattinata[154].
Teologicamente, il Vangelo secondo Giovanni, il quale non presenta un processo a Pasqua, ma una sentenza emanata già settimane prima, inserisce tale processo in seguito al miracolo della risurrezione di Lazzaro, in quanto "Giovanni deliberatamente crea una sequenza tra la resurrezione di Lazzaro e la decisione del Sinedrio di mettere Gesù a morte. Il suo arrangiamento è teologico" più che storico[155].

La narrazione sinottica dell'incontro con il sommo sacerdote non risulta quindi conciliabile con quella giovannea e "il procedimento legale [durante la Pasqua] descritto da Giovanni non è ambiguo, non suggerisce affatto un processo, neppure da una versione ridotta del Sinedrio [e] qualunque parallelismo nel contenuto o nel formato con il processo sinedrile dei Sinottici davanti al sommo sacerdote (o sacerdoti, Caifa per Matteo) è negli occhi di chi interpreta, non nel testo di Giovanni" e i "problemi che sono stati riscontrati nelle narrazioni dei vangeli su questo interrogatorio diventano più comprensibili se riconosciamo come i singoli evangelisti hanno riadattato le tradizioni pre-evangeliche" piuttosto delle "goffaggini create mettendo insieme gli episodi che erano separati nella tradizione"[156].

Anche in merito ai "falsi testimoni" portati contro Gesù[157], tali narrazioni risulterebbero storicamente dubbie e questo si evidenzia anche nel "problema reale della scena, ad esempio preparare dei falsi testimoni che dopo non concordano"[158]; inoltre, in merito alle testimonianze rese sull'affermazione di Gesù relativa alla distruzione del Tempio[159] "i vangeli nelle loro descrizioni del procedimento nel Sinedrio non concordano tuttavia se tale affermazione di Gesù fosse stata effettivamente citata nella sessione sinedrile che causò la condanna a morte da parte dei leaders di Gerusalemme. Giovanni e Luca non hanno l'affermazione, Marco/Matteo sì. Perciò non c'è modo di risolvere la questione. L'apparire del detto sulle labbra dei (falsi) testimoni in Marco/Matteo potrebbe essere un modo di drammatizzare un fatto avvenuto, benché non con parole citate testualmente"[160].

L'accusa di blasfemia[modifica]

Si evidenziano delle presunte incongruenze anche per l'accusa di blasfemia nei confronti di Gesù. In merito all'affermazione di Gesù di essere Messia e "Figlio di Dio", questo non costituisce un reato punibile con la morte e anche gli studiosi della École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia di Gerusalemme)[161] rilevano infatti - concordemente a Raymond Brown[162], il quale sostiene che, in merito a tale possibilità, "deve essere risposto negativamente" - che "secondo Luca, il Sinedrio avrebbe condannato Gesù a morte per avere bestemmiato dicendosi «Figlio di Dio» (Lc22,70; cfr. Mt26,64-66; Mc14,62-64). Al v.36 Gesù ricorda che nella Scrittura (cfr. 10,34-35) l'espressione «Figlio di Dio» ha un senso debole e non costituisce bestemmia. Ma dopo la risurrezione, i cristiani la comprenderanno in un senso forte, trascendente, addirittura divino; il che provocherà la rottura con il giudaismo".
Relativamente, invece, all'affermazione che la "bestemmia" di Gesù fosse stata nell'equipararsi ("sedere alla destra") a Dio, indicato con l'epiteto "Potenza", notano gli studiosi del "Nuovo Grande Commentario Biblico"[163] – per l'affermazione di Gesù (Mc14,64): " Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo»" – come "l'accusa di bestemmia viene usata in modo poco preciso, perché secondo Lv24,10-23 la bestemmia implicava il nome divino e veniva punita con la lapidazione" e in tale espressione – citata nelle profezie del Libro di Daniele – gli evangelisti, che scrissero in greco e al di fuori della Palestina, proiettarono, la loro visione cristiana di quella che poteva essere una bestemmia in ambiente giudaico[164]. Anche il teologo cristiano Rudolf Bultmann[165] ritiene che fu la successiva tradizione cristiana a influenzare gli evangelisti: "La confessione di Gesù della sua messianicità non avrebbe potuto condurre alla sua condanna [...] Per la successiva tradizione cristiana, dalla quale tutti gli eventi di questa storia arrivano, la dichiarazione di messianicità di Gesù, che era il principale problema tra la chiesa e il giudaismo, poteva bene apparire essere la base della sua condanna"; così Raymond Brown[166] ritiene che "senza dubbio questo processo è scritto alla luce della successiva esperienza dei Cristiani. In esso noi stiamo udendo come i Cristiani del tardo terzo del I secolo pensavano che gli avversari Ebrei avrebbero giudicato Gesù essere blasfemo. Dalle scene del processo possiamo concludere che (negli occhi dei Cristiani) gli avversari Ebrei pensavano blasfeme le esaltazioni di Gesù come messia, il figlio di Dio. Forse anche (in questa scena Cristiana), gli avversari Ebrei di quel periodo avrebbero considerato blasfemamente arrogante la valutazione Cristiana della distruzione del tempio di Dio come un giudizio sugli Ebrei da parte di Gesù, il figlio dell'uomo, perché questi avversari sapevano che tutte queste cose erano nelle mani del solo Dio d'Israele [...] Sottolineo che questa è un'immagine di circa 30 o 70 anni dopo gli eventi, in un periodo quando i problemi di separare quelli che credevano in Gesù da quelli (Ebrei) che non ci credevano era diventato più chiaramente e ostilmente articolato".

Il processo davanti a Pilato[modifica]

Ecce Homo, dipinto di Antonio Ciseri, raffigurante Ponzio Pilato che presenta Gesù flagellato alla gente di Gerusalemme

In merito alla storicità del processo di fronte alla giustizia romana, analogamente a quello ebraico, Raymond Brown[167] rileva come "il tipo di narrazione che i vangeli presentano non è né un rapporto legale sul processo e neppure una sintesi di un testimone" e "il processo Romano di Gesù è trattato differentemente in ogni vangelo. Non abbiamo a che fare in nessun vangelo con un resoconto di testimoni di cosa accadde (specialmente in Giovanni, dove Gesù è dentro il pretorio lontano dagli occhi pubblici o anche dagli occhi di un discepolo che potrebbe aver ricordato). La tesi che un resoconto scritto del processo esisteva negli archivi Romani è invenzione, nonostante alcune referenze patristiche successive. Piuttosto ci sono elementi nella tradizione Cristiana che sono comuni ai quattro vangeli. [...] Tuttavia il grado al quale questi elementi sono drammatizzati e altri sono introdotti varia considerevolmente tra i vangeli. Anche il ritratto di Pilato non è coerente" e "questi sono racconti popolari, non documentazioni legali".
Ad esempio, il Vangelo di Matteo introduce in tale processo degli elementi, non presenti in altre fonti (i 30 pezzi di argento per Giuda e il Campo di sangue[168], il sogno di una donna pagana (moglie di Pilato)[169], il gesto di Pilato di lavarsi le mani[170]), che sono "popolari quasi folkloristici temi per insegnare la lezione teologica che la giustizia di Dio non è derisa ma interessa ogni parte coinvolta nello spargimento del sangue del figlio di Dio"[171]. Lo stesso Matteo è ancora l'unica fonte anche per quanto riguarda l'affermazione degli Ebrei, dopo che Pilato si lavò le mani, "E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli»"[172] e, come osserva il biblista Mauro Pesce[173], "com'è noto, questa frase che si trova solo in Matteo non è storica: proietta all'indietro le polemiche tra i Giudei e i seguaci di Gesù della fine del I secolo"; anche Raymond Brown[174], in merito alla storicità, ritiene che "questo episodio rappresenta una composizione di Matteo sulla base di una tradizione popolare riflettente sul tema del sangue innocente di Gesù e della responsabilità da esso creato. È della stessa derivazione e formazione degli episodi di Giuda e della moglie di Pilato. (Infatti io sospetto che la tradizione dietro alla storia dei Magi arrivi dagli stessi circoli giudaico cristiani)" e "mentre l'intero Nuovo Testamento è stato mal usato in maniera antiebraica, questo testo, con tutta la gente che urla «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli», ha avuto un ruolo speciale. È stato trattato come se fosse un'automaledizione con la quale la gente ebraica attirò su sé stessa il sangue di Gesù per tutti i tempi successivi [...] Questa è una di quelle frasi che sono state responsabili per oceani di sangue umano e un incessante flusso di miseria e desolazione".

Anche il resoconto giovanneo del processo romano[175], presenta inverosimilmente la massima autorità romana Ponzio Pilato, noto per la sua crudeltà nei confronti degli Ebrei, che fa da spola fuori e dentro il pretorio almeno 6 volte, fungendo da portavoce tra Gesù e i capi giudei; questo per non urtare la sensibilità religiosa dei suoi sudditi, in quanto "i capi dei giudei non vogliono entrare nel pretorio per non compromettere la purità rituale in vista della cena pasquale, ed essi quella sera vogliono mangiare l'agnello pasquale", benché "secondo Marco, invece, avevano già mangiato la Pasqua la sera precedente!"[176]. Lo storico e teologo John Dominic Crossan[177], tra i cofondatori del Jesus Seminar, sottolinea come "decisamente la più significativa invenzione giovannea è il magistralmente bilanciato scenario nel quale Pilato corre avanti e indietro tra Gesù all'interno e le autorità ebraiche all'esterno durante il molto, molto più lungo [rispetto ai Sinottici] processo Romano" e "l'intera passione giovannea manca di verosimiglianza storica perché mostra Gesù in totale controllo durante l'arresto, il processo, la crocifissione e anche la sepoltura. Egli sta giudicando Pilato, non Pilato lui"; analogo il parere di Raymond Brown[178]: "dentro Gesù è sereno in modo sovrano riflettendo la sua convinzione [...] egli non tratta Pilato come un uguale, ancor meno come un superiore, piuttosto Gesù pronuncia degli oracoli che lasciano Pilato attonito [...] non ci può essere dubbio che questo è deliberatamente un tocco artistico, espandendo e riarrangiando che cosa arriva dalla tradizione", in quanto è usanza di "Giovanni aggiungere dialoghi, come Matteo aggiungere azioni, riflettenti le controversie teologiche tra cristiani e capi ebrei della sinagoga della seconda metà del primo secolo".
Anche in merito alla figura di Ponzio Pilato – prefetto della Giudea dal 26 al 36 e.v. – il racconto dei vangeli non appare storico e gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico"[179] osservano che "i ritratti che ne danno i vangeli come di un uomo indeciso e preoccupato della giustizia contraddicono altre antiche descrizioni della sua crudeltà e ostinazione", mentre John Dominic Crossan[180] rileva come le informazioni "riguardanti Pilato [che ci giungono] da Flavio Giuseppe mostrano la sua mancanza di interesse per la sensibilità religiosa ebraica e la sua capacità di avere metodi piuttosto brutali per il controllo della popolazione".[181]

Il solo Luca, inoltre, presenta, dopo il primo interrogatorio, il rinvio di Gesù a Erode Antipa, ma anche tale episodio secondo alcuni esegeti non sarebbe storico e Raymond Brown[182] ritiene che "tale scena in Luca23 è difficilmente un resoconto storico diretto ma questo materiale [materiale pre-Lucano riguardante Erode Antipa] non è necessariamente storico, e la sua assenza in Marco, Matteo e Giovanni mostra che un forte dubbio rimane".

L'amnistia pasquale e la liberazione di Barabba[modifica]

Barabba in un disegno di James Tissot

In merito a tale amnistia per la Pasqua, va rilevato come non sia mai stata documentata da altre fonti per nessun governatore romano di alcuna provincia. Gli stessi evangelisti sono in disaccordo sulla provenienza di tale amnistia e Raymond Brown[183] evidenzia che "i vangeli differiscono in merito alle origini della usanza del perdono, questo riguardava il governatore Romano secondo Marco/Matteo e gli Ebrei secondo Giovanni"; lo stesso esegeta ne rileva l'inverosimiglianza storica e l'assoluta mancanza di fonti: oltre alla mancanza di citazioni in Filone, anche "Flavio Giuseppe dà una lunga lista di concessioni romane sia imperiali che locali ai Giudei, iniziando con quelle di Giulio Cesare, ma nessuna di queste concessioni menziona il rilascio di un prigioniero a una festa [e] la letteratura talmudica dà quasi una descrizione ora per ora della Pasqua e non menziona mai questa usanza"[184]. Anche altri autorevoli studiosi - il "Nuovo Grande Commentario Biblico"[185], l'interconfessionale Bibbia TOB[186], il teologo Rudolf Bultmann[187] - evidenziano la non storicità dell'episodio e il teologo John Dominic Crossan[188], tra i cofondatori del Jesus Seminar, rileva come questo "non sia assolutamente un racconto storico, e che sia più plausibilmente un'invenzione di Marco" e "il suo ritratto di un Ponzio Pilato mitemente acquiescente dinanzi alla folla urlante è esattamente l'opposto dell'immagine che ci siamo fatti di lui attraverso la descrizione di Giuseppe Flavio: la specialità di Pilato era il controllo brutale della folla. [Inoltre] qualcosa come la consuetudine di concedere in occasione della Pasqua un'amnistia generalizzata - liberazione di qualsiasi prigioniero venisse richiesta per acclamazione dalla folla - è contraria ad ogni saggezza amministrativa"[189].
Sottolinea ancora Raymond Brown[190] - essendo "questo versetto ("Ma egli doveva rilasciare loro qualcuno in occasione della festa", Luca 23,17) omesso dai manoscritti più autorevoli"[191] del Vangelo di Luca – come anche "già all'inizio del terzo secolo Origene tradì sorpresa in merito a questa usanza. L'omissione di Luca di tale usanza, benché egli conoscesse Marco, si può pensare rappresentare scetticismo", mentre invece "in At25,16 Luca tradisce conoscenza dell'usanza opposta da parte Romana: il prefetto Festo asserisce che non è abitudine Romana rilasciare un prigioniero prima di una corretta procedura giuridica".
L'inserimento dell'episodio di Barabba - personaggio per il quale non vi è quindi alcuna prova storica al di fuori dei vangeli – da parte degli evangelisti è di natura teologica, anche considerando che lo stesso nome "Barabba" (bar 'abbā’) significa in aramaico, lingua parlata nella Palestina del I secolo, "figlio del padre" e, in alcuni manoscritti del Vangelo secondo Matteo, viene chiamato «Gesù Barabba», quasi a voler sottolineare la colpa dei Giudei, spesso rimarcata dagli evangelisti, nella scelta sbagliata del "Gesù figlio del padre"[192]. Raymond Brown[183] ritiene che, presupponendone una qualche storicità, "il substrato storico dell'episodio di Barabba può essere stato relativamente semplice. Un uomo di nome Barabba fu arrestato dopo una sommossa che aveva causato alcuni morti in Gerusalemme. Alla fine egli fu rilasciato da Pilato quando una festa portò il governatore a Gerusalemme per supervisionare l'ordine pubblico. Presumibilmente questo accadde nello stesso periodo in cui Gesù fu crocifisso, oppure non lontano da esso, oppure in un'altra Pasqua. In qualunque caso, questo rilascio colpì i cristiani, vista l'ironia che si trattava dello stesso problema legale, sedizione contro l'autorità dell'Impero. [...] La tendenza dei narratori di contrapporre il rilascio di Barabba e la crocifissione di Gesù mettendoli insieme allo stesso momento di fronte alla giustizia di Pilato sarebbe stata accresciuta se entrambi avessero avuto lo stesso nome personale, Gesù"; "il reale peso della narrazione di Barabba è su un altro livello, cioè la verità che gli Evangelisti volevano trasmettere riguardo alla morte di Gesù. Per loro la condanna dell'innocente Gesù aveva un lato negativo, la scelta del male. La storia di Barabba, se pur con una base fattuale, fu drammatizzata per trasmettere questa verità"[193].

La flagellazione e lo scherno nei confronti di Gesù[modifica]

Flagellazione di Gesù, di Guercino (1657)

Riguardo alla flagellazione di Gesù, presentata nel processo di fronte a Pilato, gli evangelisti (Marco 15,15-16; Matteo 27,26-27; Luca 23,16-26; Giovanni 19,1-17) riportano ancora differenti resoconti: Luca parla di una fustigazione (pena meno grave in cui si percuoteva il condannato senza frustarlo) e la pone a metà processo, senza evidenziare che tale pena sia poi stata applicata; Giovanni pone la flagellazione (pena più severa, in cui si colpiva il condannato con un flagello, cioè una frusta, fatto di lacci di cuoio aventi in punta schegge d'ossa, piombi e pungiglioni) a metà processo, stessa scelta temporale di Luca; Marco/Matteo fanno invece riferimento ad una flagellazione a processo terminato; come nota Raymond Brown[194], "ogni evangelista sta lottando con la consapevolezza che la flagellazione era parte della sentenza di crocifissione". Secondo, infatti, alcuni studiosi – come Raymond Brown, Bibbia TOB, "Nuovo Grande Commentario Biblico" – le versioni degli evangelisti furono: [in Luca] "anche se Pilato menziona la fustigatio, un castigo non troppo grave, Luca non dice mai che Gesù venne percosso o flagellato. Egli va verso la croce in pieno dominio della situazione"[195] e "nonostante l'omissione di Luca del castigo inferto a Gesù, forse per sua preferenza di non far sottostare Gesù a una tale violenza fisica, la tradizione conteneva riferimento a una flagellazione di Gesù che Marco/Matteo e Giovanni usarono in modi differenti"[196], inoltre in Luca "questa pena non è legata alla sentenza capitale, a differenza di Mt27,26 e Mc15,15 (che impiegano il termine tecnico flagellare)"[197]; [in Giovanni]: "nell'arrangiamento altamente teologico del processo Romano in 7 episodi di Giovanni la flagellazione è parte di un episodio in metà [e] la sequenza in Giovanni19,1-5 implica che la flagellazione fu fatta dentro il pretorio, la sequenza in Marco15,15-16; Matteo27,26-27 implica che la flagellazione fu fatta fuori dal pretorio"[198] e teologicamente Giovanni "considera senza dubbio gli eventi in un altro modo e suggerisce che si veda in Gesù l'uomo vero che, con questa stessa umiliazione, inaugura la regalità messianica"[199]; infine, "solo Marco/Matteo menzionano che Gesù fu flagellato alla fine del suo processo. Piuttosto maldestramente Marco15,15 piazza la flagellazione di Gesù da parte di Pilato tra le parole «gli consegnarono Gesù» e le parole «perché fosse crocifisso». Matteo rende più scorrevole la situazione inserendo le parole «essendo stato Gesù flagellato» prima delle parole «lo consegnò loro perché fosse crocifisso»"[194]. Osserva ancora Raymond Brown[200] che la versione storicamente più verosimile appare essere quella di Marco/Matteo: "Marco/Matteo hanno il più plausibile momento per la flagellazione, ovvero alla fine del processo Romano e dopo che Gesù è stato sentenziato, così che la flagellazione è parte della pena per la crocifissione".

Analogamente all'episodio della flagellazione di Gesù, anche lo scherno di cui sarebbe stato vittima da parte dei soldati secondo alcuni esegeti non risulterebbe storicamente coerente tra i vari resoconti evangelici, ma viene riarrangiato dagli evangelisti in base alle proprie necessità redazionali e teologiche. Secondo, infatti, Raymond Brown[201] "c'è un forte disaccordo tra Marco/Matteo e Giovanni su quando durante il processo Romano lo scherno di Gesù ebbe luogo. Luca, per di più, va per proprio conto sostituendo ad esso uno scherno di Erode prima e uno mentre Gesù è sulla croce"; infatti "questa scena, narrata da Giovanni prima della spedizione di Gesù a Caifa e da Luca prima della investigazione del Sinedrio, segue in Marco Matteo immediatamente il giudizio del Sinedrio in cui Gesù è colpevole, punibile con la morte" e inoltre "in Marco/Matteo e Giovanni lo scherno segue la flagellazione, mentre in Luca lo scherno (sia da Erode con le sue truppe sia dai soldati Romani mentre Gesù è in croce) è posto senza alcuna flagellazione". Precisa Raymond Brown che alcuni tentativi di "armonizzazione tra i vangeli sono stati tentati, come ritenere che Erode rimandò Gesù [da Pilato] vestito con abiti regali, e questo diede ai soldati romani l'idea di schernirlo. Ma gli Evangelisti che descrivono questo scherno Romano (Marco/Matteo, Giovanni) non mostrano alcuna consapevolezza della storia Lucana su Erode". Tale teologo osserva inoltre che "Luca e Giovanni hanno la sistemazione più plausibile per lo scherno, ovvero nel mezzo del processo", anche perché vi è "una forte obiezione contro la storicità della scena dello scherno romano [dopo la condanna]: con l'ordine di crocifiggere Gesù e con una certa fretta di effettuare l'esecuzione prima della sera (per non irritare la popolazione ebraica, così sensibile riguardo al sabato che stava arrivando), i Romani avrebbero procrastinato l'esecuzione per divertirsi vittimizzando Gesù?".

Il lavarsi le mani di Pilato[modifica]

L'uso dell'abluzione per rimuovere la colpa grave di un omicidio, per quanto sia attestato nella letteratura classica greca - e si può, quindi, osservare come "Matteo si esprime con un linguaggio comprensibile per i lettori «giudeo-cristiani» che sapevano del rituale"[202] – secondo alcun esegeti non apparirebbe storicamente plausibile in riferimento a Pilato. Gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico"[203] – nell'evidenziare che tale azione è contenuta solo nel Vangelo secondo Matteo – ritengono che "questo gesto durante un processo non è romano, è bensì una prassi dell'AT: Dt21,6-9; Sal26,6;73,13" e anche il teologo Rudolf Bultmann[204] – così come Raymond Brown[205] e lo storico Aldo Schiavone[206] – la considera una delle caratteristiche leggendarie che Matteo introdusse nella sua narrazione, così come i 30 pezzi di argento per Giuda, il Campo di sangue, il sogno di una donna pagana (moglie di Pilato). Raymond Brown[207] sottolinea, inoltre, che in merito al "tentativo di Pilato di evitare la responsabilità di emettere una sentenza su un uomo innocente, il rituale di lavarsi le mani di Deuteronomio 21 era efficace solo se gli anziani che lo facevano non avevano parte nell'omicidio, sia commettendolo, sia conoscendo chi l'aveva commesso. La responsabilità di Pilato può non essere la principale responsabilità, ma egli non poté lavarla via più di quanto Lady Macbeth poté lavare via la «macchia maledetta»[208]".

Secondo Eli Lizorkin-Eyzenber, invece, il gesto di Pilato deve essere interpretato come una reazione al comportamento dei capi dei sacerdoti che utilizzarono la legge dei Romani per costringerlo a condannare Gesù (Lc 23,2; Gv 19,12). Egli cioè avrebbe provocatoriamente utilizzato un gesto rituale caratteristico dei farisei (Mt 15,2) e nel testo ebraico del Titulus crucis oltre a qualificare Gesù come "re dei giudei" avrebbe deliberatamente creato l'acrostico IHWH, caricando così i suoi interlocutori del delitto di deicidio.[209][210]

In ultima analisi, condannando Gesù ad una morte brutale, nonostante sembrasse convinto della sua innocenza, Pilato fu colpevole di un crimine terribile. Tuttavia il risultato del processo di Gesù davanti al rappresentante di Roma non fu semplicemente il risultato di una debolezza personale di un uomo. Che Pilato avesse capito o meno, esisteva un vero conflitto tra quello che Roma rivestiva e sosteneva, e quello che Gesù fece e perorò. I valori di Gesù furono umiltà, amore, servizio e perdono, ed erano in contrasto totale coi valori sostenuti da Roma, di forza, maestà, autorità e potere spietato. Alla fine, Gesù fu un nemico di Roma.

La crocifissione[modifica]

Cristo crocifisso, di Diego Velázquez (1631)

Quando arrivano a descrivere la morte di Gesù per crocifissione, gli evangelisti non fanno alcun tentativo di suscitare le nostre emozioni: raccontano soltanto ciò che successe.[211] Tuttavia ciò che successe fu orrendo.

Per i romani lo scopo della crocifissione non era che fosse una punizione appropriata per criminali, quanto il fatto che scoraggiava la criminalità. Lo scrittore romano Quintiliano dice: "Ogniqualvolta crocifiggiamo il colpevole, si scelgono le strade più affollate, dove la maggioranza delle gente possa vedere e aver paura. poiché le punizioni rispondono non tanto alla retribuzione quanto al loro effetto esemplare".[212] Il valore della crocifissione stava nel fatto che era un modo orribile di morire.

Sebbene ci siano variazioni nei particolari della crocifissione, il principio basilare era lo stesso. L'uomo – quasi tutte le vittime erano uomini – veniva legato per le braccia oppure grossi chiodi venivano martellati nei polsi[213] su una trave orizzontale che poi veniva issata e inserita in un palo verticale. I piedi venivano poi inchiodati al palo e la vittima lasciata lì a morire. Col peso del corpo sostenuto in gran parte dalle gambe, la vittima aveva difficoltà a respirare, con ogni respiro che lo forzava a spingere in giù sui piedi inchiodati. Nonostante tutta la crudeltà implicita nel fissare la vittima alla croce, il procedimento non provocava ferite gravi ad organi vitali e la morte spesso avveniva lentamente. Un uomo crocifisso poteva sopravvivere per giorni, soffrendo disidratazione e insolazione e, gradualmente diventando cibo per uccelli, animali e insetti. Alla fine, tuttavia, sopravveniva un esaurimento fisico per cui la vittima non riusciva più a sollevare il capo dal petto abbastanza per poter respirare e quindi moriva per soffocamento.

Con la caratteristica efficienza romana, i carnefici avevano sviluppato una tecnologia di crocifissione per cui potevano affrettare o rallentare la durata della sofferenza. In stallando un piolo o un supporto su cui sedere ritardava la morte, e spezzando le ossa delle gambe – che rendeva più difficile la respirazione – la affrettava. L'effetto deterrente della crocifissione veniva aumentato dal modo in cui esponeva la vittima ad umiliazione pubblica:,spogliato nudo, incapace a muoversi, l'uomo poteva venir schernito da tutti. La crocifissione era la morte più miseranda e spaventosa di tutte le forme di punizione.

Sotto scorta armata romana, Gesù fu portato al luogo dell'esecuizione. Come d'uso per criminali condannati, gli fecero portare in spalla la traversa.[214] Indebolito dalla flagellazione, Gesù cadde sotto il peso della traversa e i romani ordinarono ad un passante, certo Simone di Cirene, di trasportare il legno.[215] Il luogo della crocifissione, al Golgotha ("luogo del cranio")[216] si sarebbe trovato da qualche parte in collina appena fuori della mura cittadine dove il numero massimo della gente potesse vedere ciò che accadeva. E lì, in tarda mattinata, Gesù venne inchiodato alla croce.

I vangeli forniscono dettagli sulla crocifissione. Gesù fu crocifisso tra altri due criminali La truce procedura fu supervisionata da alcuni soldati romani al comando di un ufficiale, che passarono il tempo giocandosi a sorte le vesti di Gesù. In uno dei più importanti momenti della storia umana, la gente giocava...
Dei seguaci di gesù quasi tutti l'aveva disertato. Solo le donne rimanevano, e un discepolo, Giovanni. La folla si riunì in loco, tra cui curiosi ealcuni dei capi religiosi. È una visione orribile ma autentica della natura umana che lo scherno verso Gesù continuasse anche quando fu inchiodato impotente alla croce.[217] Soldati, astanti, capi religiosi, persino i criminali affissi vicino a lui, tutti lo ridicolizzarono.

Sopra la croce, Pilato aveva fatto affiggere un titolo: "Gesù il Nazareno, Re dei Giudei". Fu scritto in tre lingue: ebraico, greco e latino. Come certamente desiderava Pilato, il titolo infuriò i capi religiosi.[218] L'insignificante tentativo da parte di Pilato di vendicarsi per essere stato costretto, permise a Gesù di morire con la sua identità proclamata sopra di lui.

Gli evangelisti considerano molti di questi particolari come compimento di profezie ed i loro resoconti sono intrecciati con riferimenti alle Scritture, specialmente Salmi 22;29. Non c'è dubbio inoltre che essi reputarono ciò che accadde quel giorno come un rimarchevole adempimento delle profezie di Isaia sul Servo Sofferente:

« Come molti si stupirono di lui — tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo — »
(Isaia 52:14)
« Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. »
(Isaia 53:3)
« Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. »
(Isaia 53:4-5)
« Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca. Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo? »
(Isaia 53:7-8)
« Egli è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori. »
(Isaia 53:12)

I primi cristiani furono certi che, in tutta la sua orribilità, ciò che accadde sulla croce non fu per caso: fu invece il tremendo culmine dell'antico piano di Dio.

I Sette Detti dalla Croce[modifica]

I quattro vangeli registrano sette detti di Gesù dalla croce: quelli che la chiesa venne a chiamare le "Sette parole di Cristo in croce" (Septem verba Domini Jesu Christ). In questi detti, pronunciati con tale dolore che ogni sillaba deve aver ferito, comprendiamo qualcosa del significato della croce.

1 Pater, remitte illis, quia nesciunt quid faciunt Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno Luca 23:34
2 Amen dico tibi: hodie mecum eris in paradiso In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso Luca 23:43
3 Mulier, ecce filius tuus. Fili, ecce mater tua Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre Giovanni 19:26-27
4 Eli, Eli, lema sabacthani Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Matteo 27:46; Marco 15:34
5 Sitio Ho sete Giovanni 19:28
6 Consummatum est Tutto è compiuto Giovanni 19:30
7 Pater, in manus tuas commendo spiritum meum Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito Luca 23:46
1. Le prime parole di Gesù dalla croce furono una preghiera di perdono per i suoi persecutori. L'insegnamento più difficile e duro che Gesù diede fu quello di "amare i propri nemici" Qui, come sempre, Gesù praticò quello che predicava e dimostrò esattamente ciò che intendeva. Facendolo, stabilì una tradizione di perdono che è continuata attraverso Stefano, primo martire cristiano (Atti 7:60), fino al giorno presente.
2. Sebbene entrambi i criminali che pendevano dalle croci ai lati di Gesù avessero iniziato a schernirlo, uno dei due cambiò d'animo. Rimproverò l'altro, dichiarò che Gesù era innocente e gli chiese di ricordarlo "quando fosse giunto nel suo regno". La risposta di Gesù fu "In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso".
La risposta di Gesù è una potente dichiarazione della propria autorità. Anche qui, morendo sulla croce, Gesù ritiene d'avere il potere di salvare. In ciò che dice non c'è ombra di dubbio, non c'è "forse" o "intercederò per te", ma solo una certezza maestosa: "Oggi tu sarai con me in paradiso". La risposta di Gesù è inoltre un'espressione straordinaria della grazia di Dio: è un atto di libero perdono a qualcuno che non si merita nulla e che non può far nulla per salvarsi. Questo episodio è sempre stato visto come una dimostrazione incoraggiante che le conversioni dell'ultimo minuto sono possibili e che c'è un ritorno a Dio anche sull'orlo stesso dell'Inferno.[219]
3. Rivolgendosi a sua madre e a Giovanni, "il discepolo che amava", Gesù le dice: "Donna, ecco tuo figlio", poi rivolgendosi a lui, "Figlio, ecco tua madre". Giovanni ci dice che "da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Giovanni 19:27). presumendo che Giuseppe fosse morto, Gesù, quale figlio maggiore, sarebbe stato responsabile di sua madre e, coi suoi altri fratelli ancora ostili a lui, egli passa tale responsabilità a Giovanni. Onorare i genitori era uno dei Dieci Comandamenti e l'atto di Gesù qui ci ricorda che per tutta la sua vita egli obbedì perfettamente la Legge di Dio. Ci dimostra inoltre che, nonostante il tremendo dolore fisico, Gesù si curava di coloro che dipendevano da lui.
4. Marco ci dice che a mezzogiorno, il buio discese sulla terra e nel buio Gesù esclamò nella madrelingua aramaica "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"
Il buio e il grido angosciato di Gesù sono collegati. Non sappiamo quale fu la causa dell'oscurità che avvene in quel momento. Non fu un'eclissi di sole: eclissi non possono avvenire durante la Pesach quando c'è la luna piena, e durò per tre ore. Potrebbe esser stata provocata da un fitta tempesta di sabbia, fenomeno noto nella regione durante queste periodo dell'anno e che può trasformare il giorno in notte. Ma quale che fu la sua origine, gli evangelisti considerano quell'oscurità come simbolica di ciò che stava accadendo. Nella Bibbia, il buio è simbolo di giudizio,[220] e ora il giudizio stava coprendo la terra e anche Gesù.
Il grido di Gesù, una citazione da Salmi 22:1, è l'unica istanza in cui Gesù non prega Dio chiamandolo Abba, Padre. La preghiera disperata dimostra che, sebbene Gesù credesse sempre in Dio, egli sentiva di essere separato da Lui e da Lui abbandonato. Per la prima volta nell'eternità, la comunione unica tra Dio Padre e Dio Figlio fu interrotta.
Gli evangelisti non tentano di spiegare il significato di questa esperienza di abbandono e separazione, ma nelle lettere del Nuovo Testamento troviamo indicazioni del suo significato. Pertanto Paolo dice: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. Proprio nell'ora in cui gli agnelli della Pasqua vengono sacrificati nel Tempio, Gesù, "l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo"[221] moriva in croce come sacrificio più grande e ultimo del peccato.
5. La dichiarazione di Gesù che ha sete ci ricorda della sofferenza corporea che era la controparte fisica della sua agonia spirituale. Di nuovo, c'è qui un'ironia che fa riflettere: colui che aveva soddisfatto tutte le necessità degli altri ora soffre una delle necessità più basilari, e colui che aveva offerto "acqua vivente" agli assetati è ora lui stesso assetato.
6. Giovanni ci narra che dopo che Gesù ebbe assaggiato il vino acido datogli dai soldati, disse: "Tutto è finito!" Nel greco originale, "tutto è finito" è una sola parola, Τετέλεσται (Tetelestai), che in questo contesto significa "tutto è compiuto" o "tutto è completato", e che viene spesso stampato su conti pagati. Gesù non stava dicendo "Sono finito" ma qualcosa di differente: che egli aveva completato tutto ciò che era venuto a compiere.[222] Aveva pagato il prezzo e offerto il sacrificio necessario.
Rimane il quesito che spesso molti studiosi critici pongono, in questa e in altre occasioni bibliche: perché un Dio "compassionevole e misericordioso" ha bisogno di sacrifici cruenti?
7. Le ultimissime parole di Gesù nel morire furono una semplice preghiera di affidamento al Padre. Il buio spirituale era finito, egli era emerso da profondità terribili e ora poteva nuovamente chiamare Dio "Padre".

Il Vangelo di Giovanni ci dice come i capi religiosi, non volendo che gli uomini crocifissi continuassero a pendere dalle croci durante lo Shabbat, chiesero a Pilato di affrettarne le morti. I soldati spezzarono allora le gambe dei criminali ai lati di Gesù, ma videro che quest'ultimo era già morto. Per rendersi sicuro, un soldato trafisse Gesù nel costato con una lancia e "subito ne uscì sangue e acqua" (Giovanni 19:34). La spiegazione medica precisa di ciò è stato molto dibattuto, ma fu comunque chiaro ai soldati – che ne sapevano ben più di noi delle praticità relative alla crocifissione – che Gesù era morto. La morte per Gesù sembra essere giunta inusitatamente presto per un crocifisso. Ciò potrebbe essere avvenuto perché era già stato flagellato e torturato pesantemente in precedenza, subendo un numero considerevole di abuso fisico. Alla fine, comuqnue, Gesù spira sottomettendosi alla morte con acquiescenza.

Eventi prodigiosi alla morte di Gesù[modifica]

I vangeli poi ci dicono che successero altri fenomeni mentre Gesù era crocifisso e stava morendo. In effetti, nella narrazione dei sinottici, la morte di Gesù – oltre alla professione di fede del centurione[223] – fu accompagnata da eventi prodigiosi. Esegeti come Raymond Edward Brown interpretano tale narrazione come l'uso, in senso simbolico e teologico, del linguaggio escatologico dell'Antico Testamento o di quello abituale nella cultura ellenistica.[224][225] Un approccio con una sfumatura leggermente diversa è fornito da Gianfranco Ravasi, che passando in rassegna gli eventi narrati da Matteo vi vede tre segni teofanici. La storicità degli eventi miracolosi, è ritenuta «non documentabile», ma il significato della narrazione evangelica è riportato a una lettura metastorica.[226]

Altri studiosi, consapevoli che un'eclissi naturale non poteva avvenire nel periodo della Pasqua né poteva durare tanto a lungo, la considerano un evento miracoloso.[227] L'astronomo Giovanni Sacrobosco nel suo Tractatus de Sphaera ritiene «che l'eclisse non fu naturale, ma, piuttosto, miracolosa e contraria alla natura».[228] Gli studiosi moderni che considerano l'oscurità un fenomeno miracoloso, tendono a considerarlo come un evento prodigioso associato a fenomeni naturali, quali polveri vulcaniche o dense nubi oppure omettono del tutto una spiegazione naturale.[229] La Reformation Study Bible, una Bibbia protestante, dichiara semplicemente trattarsi di «un'oscurità soprannaturale».[230] Nota comunque il teologo Raymond Edward Brown[231] che "qualunque suggerimento che Dio sospese le leggi naturali e causò una straordinaria lunga eclissi sull'intera terra a quel tempo si scontra contro il silenzio di autori antichi contemporanei sul supposto evento, come Seneca e Plinio, che normalmente avrebbero notato una tale straordinaria meraviglia".

Alcuni studiosi ipotizzano che l'oscurità sia causata da una tempesta solare, da dense nuvole o dalle conseguenze di un'eruzione vulcanica.[232] Nel 2011 Humphreys accettò che Luca si riferisse al sole e ipotizzò che si possa essere trattato di una tempesta di sabbia, khamsin, che in genere si verifica da marzo a maggio e può oscurare il sole per alcune ore.[233]

Infatti questi eventi prodigiosi non sono citati da nessun resoconto storico dell'epoca e neppure dal Vangelo di Giovanni; gli altri tre evangelisti non accennano al terremoto quando "le rocce si spezzarono" e, soprattutto, alla risurrezione dei morti, presenti solo nel Vangelo di Matteo.[234][235] Tali eventi, descritti nei vangeli sinottici, furono:

  • Un fortissimo terremoto in cui "le rocce si spezzarono" e la risurrezione di molti morti nei sepolcri con la loro apparizione in Gerusalemme[236]: queste manifestazioni sono descritte solo nel Vangelo secondo Matteo. La risurrezione dei morti nei sepolcri, peraltro, avvenne in modo particolare: alla morte di Gesù, i sepolcri si aprirono e molti morti risorsero ma restarono fermi nel sepolcro aperto - e quindi accessibile a tutti - per tre giorni, fino alla risurrezione di Gesù; solo dopo uscirono dai sepolcri stessi e camminarono per Gerusalemme, apparendo quindi avvolti nelle bende o nel lenzuolo mortuario e sembra senza suscitare panico.[235] La scena è ritenuta da studiosi, anche cristiani, di natura leggendaria e, a livello simbolico, "la risurrezione dei giusti dell'AT è un segno dell'era escatologica".[237] Una ricerca geologica ha riscontrato indizi di un terremoto avvenuto in Palestina nel 31 d.C., senza che ovviamente sia possibile identificarlo con il terremoto di cui parla Matteo.[238]
  • Il buio su tutta la terra per tre ore, da mezzogiorno alle tre[239]: avvenimento raccontato nei tre vangeli sinottici, non necessariamente, come già detto, come vicenda storica.[240] In base, infatti, ai calcoli astronomici non ci furono - né furono registrate - eclissi solari nel periodo in cui si ritiene sia avvenuta la morte di Gesù; inoltre le eclissi - che durano al massimo sette minuti e sono visibili da una porzione molto ridotta della superficie terrestre - non possono verificarsi in prossimità della Pasqua ebraica, perché quest'ultima coincide con il plenilunio, quindi la Luna è necessariamente dalla parte opposta della Terra rispetto al Sole e non può oscurare quest'ultimo. Altri studiosi hanno ipotizzato che l'oscurità non sia stata causata da un'eclisse, ma da una tempesta di sabbia, da dense nubi o dalle conseguenze di un'eruzione vulcanica.[232] Il brano può anche essere interpretato a livello metaforico, facendo riferimento all’Antico Testamento;[241] va inoltre osservato che "c'è un'abbondante testimonianza greco-romana che segni straordinari furono comunemente associati alla morte di grandi uomini o semidivinità".[242]
  • Il velo del Tempio che si squarciò[243]: l'evento è citato in tutti e tre i sinottici ma vi è discordanza tra le narrazioni, in quanto i vangeli di Marco e Matteo sostengono che il velo si squarciò solo dopo che Gesù era già morto[244], al contrario del Vangelo di Luca che riferisce come l'evento accadde quando Gesù era ancora vivo[245]; le due versioni sono temporalmente inconciliabili.[246] In ogni caso, tale evento – che, interessando il Sancta Sanctorum, l'area più sacra del Tempio, avrebbe dovuto avere un'eco notevole – non è riportato da alcun'altra fonte storica e anche lo storico ebreo Flavio Giuseppe – che ben conosceva il Tempio e parlò del suo velo in relazione agli anni precedenti alle guerre giudaiche del 66 d.C. – non citò questo catastrofico evento.[247] Tale episodio secondo alcuni esegeti può essere considerato come non storico, ma simbolico, ovvero la rimozione del velo "che separava da Dio tutti eccetto i sacerdoti [e] in Gesù, ora, tutti hanno accesso a Dio".[248]

La sepoltura[modifica]

La Deposizione di Caravaggio (c.1603) segue il Vangelo di Giovanni: Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea insieme imbalsamo e pongono il corpo di Gesù nella tomba, mentre la madre di Gesù, Maria, Maria Maddalena e Maria di Cleofa osservano la scena.[249]

La deposizione di Gesù è l'episodio finale della passione di Gesù, dopo la sua morte. Si tratta di un episodio che ha avuto numerose raffigurazioni artistiche nel corso dei secoli. La sepoltura di Gesù si riferisce alla sepoltura del corpo di Gesù dopo la sua crocifissione, descritta nel Nuovo Testamento. Secondo i vangeli canonici, egli venne posto in una tomba da un uomo di nome Giuseppe d'Arimatea. In arte, l'atto è spesso chiamato deposizione di Cristo nella tomba o più impropriamente e semplicemente deposizione, che non è da confondere con la Deposizione dalla croce che è l'episodio evangelico immediatamente precedente.

Nel Nuovo Testamento[modifica]

Uno dei primi riferimenti alla sepoltura di Gesù si ritrova in una lettera di San Paolo ai Corinzi dell'anno 54,[250] dove l'apostolo riferisce al resoconto che ha a sua volta saputo della morte e risurrezione di Gesù ("e che egli venne sepolto e che venne risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture").[251]

I quattro vangeli canonici, redatti tra il 66 ed il 95, tutta la vicenda della Passione si riassume nei momenti salienti dell'arresto di Gesù, nel suo processo, nella crocifissione, nella sepoltura e nella risurrezione.[252] In tutti e quattro i vangeli si fa menzione del fatto che la sera della crocifissione Giuseppe d'Arimatea abbia chiesto a Pilato il corpo di Gesù e, dopo averne ottenuto il permesso, lo avvolse in un telo di lino e lo calò in una tomba.

Vi sono delle differenze significative tra i quattro resoconti, ad ogni modo, nell'evoluzione del racconto stesso da Marco a Giovanni.[253] I moderni studiosi tendono a vedere i racconti evangelici tra loro contraddittori e ritengono quello di San Marco come il più aderente alla realtà.[254][255]

Vangelo di Marco[modifica]

Nel primo vangelo, quello di San Marco, scritto attorno al 65-70 dopo Cristo e quindi probabilmente il più aderente al racconto reale, Giuseppe d'Arimatea è uno dei membri del sinedrio il quale desidera che il corpo di Gesù sia comunque sepolto secondo la legge ebraica, secondo la quale un corpo morto non può essere lasciato esposto di notte. E' dunque lui a porre il corpo di Gesù nella tomba preparata per lui e scavata nella roccia.[254] Lo storico dell'ebraismo Flavio Giuseppe, scriverà sul finire di quello stesso secolo, descrivendo come gli ebrei ritenessero questa legge importantissima al punto da prescrivere che persino i corpi dei criminali crocifissi dovessero essere rimossi e sepolti prima del calar del sole.[256] Nel resoconto di Giuseppe Flavio sulla morte di Gesù, viene precisato che il corpo venne avvolto in un telo di lino, ma non che esso venne lavato o unto. Questo fatto, evidenziato nel vangelo di Marco, si evidenzia invece nel fatto che egli stesso fa ungere di profumo Gesù da una donna già in precedenza alla crocifissione (14,3-9), quasi a prepararlo simbolicamente per la sua morte successiva.[257]

Vangelo di Matteo[modifica]

Il Vangelo di Matteo venne scritto attorno all'anno 85-90, utilizzando il Vangelo di Marco come fonte.[258] In questo racconto Giuseppe d'Arimatea non è indicato come un membro del sinedrio, ma come un ricco discepolo di Gesù.[259][260] Molti hanno letto questo come un tentativo dell'autore di rivolgersi anche ai ricchi cristiani,[260] mentre altri credono che questo sia il compimento della profezia di Isaia 53:9:

« Gli avevano assegnato la sepoltura con gli empi, ma alla sua morte fu posto col ricco, perché non aveva commesso alcuna violenza e non c'era stato alcun inganno nella sua bocca. »

Questa versione suggerisce una sepoltura più onorevole: Giuseppe avvolge il corpo di Gesù in un sudario pulito e lo pone nella sua tomba, e la parola usata è soma (corpo) anziché ptoma (cadavere).[261] L'autore aggiunge anche che le autorità romane "resero la tomba sicura apponendovi un sigillo sulla pietra e posizionandovi delle guardie". Questo dettaglio potrebbe essere stato aggiunto perché molti contemporanei obiettavano al fatto che il corpo di Gesù avesse potuto essere rubato dai suoi discepoli.[262]

Vangelo di Luca[modifica]

Il Vangelo di Marco è la fonte del racconto fornitoci anche dal Vangelo di Luca, scritto attorno al 90 e.v.[263] Come nella versione marciana, Giuseppe d'Arimatea viene descritto come un membro del sinedrio,[264] ma lo si trova in disaccordo con la decisione dello stesso tribunale nei confronti di Gesù; egli viene descritto come un uomo "in attesa del regno di Dio" più che come un discepolo di Gesù.[265]

Vangelo di Giovanni[modifica]

L'ultimo vangelo, quello di Giovanni, differisce da Marco in un punto, nella rappresentazione di Giuseppe d'Arimatea come il discepolo che diede a Gesù una sepoltura onorevole. Giovanni dice che Giuseppe venne assistito nel processo di sepoltura da Nicodemo, che portò con sé un misto di mirra e aloe secondo il costume di sepoltura ebraico. Toccando un cadavere, entrambi gli uomini erano consci del fatto che sarebbero stati visti come "impuri" per i sette giorni successivi come stabilito dalla legge ebraica (Numeri 19:11).

Comparazioni[modifica]

Sinossi della sepoltura di Gesù[266]
Matteo Marco Luca Giovanni
Giuseppe e Pilato
Giuseppe d'Arimatea, uomo ricco e discepolo di Gesù, chiede a Pilato il corpo di Gesù entro sera. Pilato ordina che gli sia dato.(27,57–58) Giuseppe d'Arimatea, membro del sinedrio e persona in attesa del regno di Dio, chiede a Pilato il corpo di Gesù prima della sera del sabato. Pilato ne è sorpreso e chiede al centurione se Gesù sia già morto. Dopo la conferma del centurione, Pilato da il corpo di Gesù a Giuseppe. (15,42–45) Giuseppe d'Arimatea, membro del senato e buon uomo in attesa del regno di Dio e che non aveva concordato con la decisione del sinedrio, chiede a Pilato il corpo di Gesù. [Non viene menzionata la risposta di Pilato] (23,50–52) Giuseppe d'Arimatea, segretamente discepolo di Gesù (perché temeva ritorsioni da parte dei capi ebrei), chiede a Pilato il corpo di Gesù. Pilato da il permesso a Giuseppe di prendere il corpo.(19,38)
Sepoltura
Giuseppe prende il corpo di Gesù e lo avvolge in un drappo di lino. Giuseppe pone il corpo nella sua tomba nuova che aveva fatto scavare nella roccia e vi pone davanti una pietra, lasciandola in seguito. Maria Maddalena e altre Marie siedono di fronte alla tomba.(27,59–61) Giuseppe acquista del lino e vi avvolge dentro il corpo di Gesù. Gesù pone il corpo in una tomba scavata nella roccia e vi fa rotolare davanti all'entrata una grande pietra. Maria Maddalena e Maria la madre di Giuseppe assistono.(15,46–47) Giuseppe cala il corpo dalla croce e lo avvolge in un drappo di lino. Lo pone quindi in una tomba nuova scavata nella roccia. Era la sera prima del sabato. Le donne della Galilea, seguirono Giuseppe ed assistettero alla deposizione del corpo di Gesù nella tomba. Si portarono da casa spezie e profumi. Riposarono il sabato per obbedire al comandamento.(23,53–56) Nicodemo acquista una mistura di mirra e aloe. Nicodemo e Giuseppe avvolgono il corpo di Gesù, con spezie, in bende di lino. Nel giardino, nei pressi del luogo ove Gesù venne crocifisso, si trovava una tomba nuova. Dato che era il giorno della preparazione del corpo, la tomba servì alla sepoltura di Gesù.(19,39-42)
I grandi sacerdoti e Pilato
Il giorno successivo alla preparazione del corpo, i capi dei sacerdoti e i farisei si portano da Pilato dicendo a lui: 'Quel mentitore [Gesù] disse che sarebbe risorto dopo 3 giorni, perciò siano poste delle guardie alla sua tomba per 3 giorni per evitare che i suoi discepoli possano rubarne il corpo, e pretendere così che egli sia risorto dai morti.'

Pilato: 'Potete disporre una guardia.' I capi dei sacerdoti ed i farisei sigillano la tomba e vi pongono delle guardie.(27,62–66)

- - -
Le Marie
Dopo il sabato, il primo giorno della settimana, Maria Maddalena e le altre Marie si portano a far visita alla tomba [non viene indicata la ragione].(28,1) Dopo il sabato, Maria Maddalena, Maria la madre di Giacomo e Salomè portano delle spezie per ungere il corpo di Gesù, e si portano alla tomba il primo giorno della settimana.(16,1-2) Il primo giorno della settimana, le donne della Galilea portano con sé spezie alla tomba.(24,1-2) Maria Maddalena si porta alla tomba il primo giorno della settimana [non viene indicata la motivazione].(20,1)

Atti degli apostoli[modifica]

Gli Atti degli apostoli (13,28-29) riportano che Gesù fu deposto dalla croce e messo in un sepolcro, ma non si soffermano sui particolari.

Lettere di Paolo[modifica]

Nella Prima lettera ai Corinzi (15,3-4) san Paolo afferma che Gesù, dopo essere stato crocifisso, fu sepolto e risuscitò dai morti, senza fornire alcun particolare.

Discussione sulla storicità[modifica]

The Entombment of Christ di Pedro Roldán

Sulla deposizione e sepoltura di Gesù, i vangeli canonici concordano tutti in tre particolari: la sepoltura fu curata da Giuseppe di Arimatea; la salma venne tumulata in una tomba scavata nella roccia; il corpo fu avvolto in un lenzuolo (solo il vangelo di Giovanni parla di "teli" e di un "sudario" ma si tratta di particolari aggiuntivi, dato che venivano usati anche teli di lino per bloccare le mani e i piedi e un fazzoletto per coprire il volto[267]). Secondo il criterio dell'attestazione multipla, che considera autentico un dato attestato da tutte le fonti evangeliche, questi particolari sono da ritenere storicamente fondati.[268] Il racconto differisce in alcuni dettagli minori: i vangeli di Marco e Luca riportano che Giuseppe di Arimatea era un membro del Sinedrio, quelli di Matteo e Giovanni che era un discepolo di Gesù; solo il vangelo di Matteo afferma che la tomba apparteneva a Giuseppe di Arimatea, mentre solo il vangelo di Luca e quello di Giovanni affermano che la tomba non era stata mai usata; solo il vangelo di Marco afferma che il lenzuolo era nuovo e acquistato per l'occasione.
Data l’ostilità dei primi cristiani nei confronti delle autorità ebraiche che condannarono Gesù, l’appartenenza di Giuseppe di Arimatea al Sinedrio è ritenuta altamente probabile, altrimenti non si spiegherebbe come mai questa storia possa essere stata immaginata dal nulla[269]. È invece improbabile che Giuseppe possa essere stato semplicemente un discepolo di Gesù: all’epoca, se una persona che richiedeva il corpo di un crocifisso per dargli una degna sepoltura non era un suo parente, correva il rischio di essere considerato un sostenitore del condannato. L’informazione secondo cui la tomba non era stata mai usata è plausibile: un giustiziato non poteva essere sepolto nella tomba occupata da normali defunti, altrimenti avrebbe contaminato le loro ossa[270]. Sembra invece piuttosto improbabile che Giuseppe di Arimatea, come dichiarato dal Vangelo secondo Matteo, si fosse fatto costruire una tomba a Gerusalemme, proprio nei pressi del Golgota. Infatti - a parte la coincidenza che la tomba fosse proprio nel luogo della crocifissione di Gesù - per gli Ebrei era molto importante essere sepolti nella propria terra nativa con i loro padri che, nel caso di Giuseppe e dei suoi famigliari, era appunto la città di Arimatea - identificabile come l'attuale Rantis, a oltre trenta chilometri dalla capitale giudaica - e non Gerusalemme.

Anche se non si può escludere che, risiedendo ormai a Gerusalemme, Giuseppe di Arimatea potesse avere acquistato un sepolcro in questa città,[271] alcuni commentatori ritengono che Matteo abbia voluto sottolineare la realizzazione della profezia di Isaia (53:9) secondo cui nella sua morte il messia sarebbe stato con il ricco. Il Vangelo di Giovanni riporta invece che il sepolcro fu scelto perché era vicino al luogo della crocifissione, senza precisare chi ne fosse il proprietario.
Nonostante la condanna a morte, Gesù ebbe una sepoltura onorata: a quell'epoca, solo le persone di una certa levatura sociale venivano sepolte in grotte o in tombe scavate nella roccia, mentre le persone umili venivano sepolte direttamente nella terra. All’epoca di Gesù le tombe scavate nella roccia erano di due tipi, a loculi e ad arcosolio. Le prime consistevano in una camera quadrata, nelle cui pareti venivano scavate diverse buche rettangolari (loculi) per la collocazione delle salme, mentre le seconde consistevano in una camera con il soffitto a volta (arcosolio) dotata di anticamera; su uno dei lati della camera veniva ricavato un catafalco su cui si poneva la salma. In base al racconto dei Vangeli si ricava che Gesù fu sepolto in una tomba ad arcosolio, riservata alle persone più abbienti.[272] Alcuni studiosi fanno notare che per la mancanza di riti funebri la sepoltura di Gesù descritta nel vangelo di Marco non può essere ritenuta onorevole, nonostante gli sforzi successivi degli altri evangelisti per renderla più dignitosa.[273] Gesù venne seppellito in fretta perché era la vigilia del sabato; le donne, spaventate, non parteciparono ma si accontentarono di guardare. Secondo gli studiosi cristiani, alcune delle informazioni fornite dai Vangeli erano verificabili, come il nome di Giuseppe di Arimatea e la presenza di una tomba vicino al luogo della crocifissione; anche questo depone a favore della storicità degli eventi.[268]

Diversi studiosi mettono in dubbio la storicità della tradizione relativa alla deposizione e sepoltura di Gesù, così come viene descritta nei vangeli canonici. Secondo le consuetudini romane i cadaveri dei giustiziati erano lasciati decomporre sulla croce alla mercé degli animali - e poi sepolti senza cerimonie pubbliche e in una fossa comune[274] - come deterrente per chi osava sfidare Roma; non vi è neppure una prova documentale di un'eccezione da parte di un governatore romano[275] e tantomeno Ponzio Pilato, noto per la sua fermezza e crudeltà. Questo, in particolare, nel caso di crocifissioni di rivoltosi; il cadavere, in situazioni del tutto eccezionali, poteva essere richiesto solo da un familiare, che doveva avere una certa influenza presso i Romani.[276][277] Anche lo studioso John Dominic Crossan, tra i cofondatori del Jesus Seminar, rileva come l'episodio riportato dallo storico Flavio Giuseppe – che descrive il suo intervento direttamente presso il generale romano, e futuro imperatore, Tito per poter deporre tre suoi parenti che aveva scoperto esser stati crocifissi durante le guerre romano-giudaiche – dimostri che solo se molto influenti si poteva ottenere la sepoltura di un cadavere di un parente crocifisso. Flavio Giuseppe, che aveva frequentato anche l'imperatore Vespasiano, era infatti al servizio dei romani come interprete e godeva di una certa influenza; quindi la regola era che "se uno era influente, non veniva crocifisso, e se veniva crocifisso, non aveva influenza sufficiente per ottenere la sepoltura".[278][279][280]. In ogni caso, la famiglia di Gesù era galilea e non risulta che avesse parenti a Gerusalemme, perciò non potevano esserci in questa città né una tomba di famiglia né congiunti che potessero seppellirlo.[281]

Diversi studiosi rilevano tuttavia che le norme religiose ebraiche prevedevano che i condannati a morte, per motivi di purità, venissero sepolti nel giorno stesso dell’esecuzione[282], pertanto i Romani, che rispettavano le usanze locali, lasciavano che ciò avvenisse, tranne nei casi di esecuzioni di massa effettuate in seguito alla repressione di rivolte popolari, che tuttavia rappresentavano l’eccezione e non la norma. La sepoltura dei giustiziati doveva essere effettuata in fretta e senza i consueti riti funebri (corteo, lamenti, ecc.).[273][283] Secondo la legge ebraica, i condannati a morte da un tribunale giudaico non potevano essere sepolti nelle tombe di famiglia, ma dovevano essere tumulati in una tomba predisposta dalla corte di giustizia; dopo un anno si potevano esumare i resti, recuperare le ossa e trasferirle nella tomba di famiglia (procedimento chiamato ossilegio).[284] Nel caso dei condannati a morte dai Romani, i familiari potevano invece richiedere il corpo per seppellirlo direttamente. La consegna della salma non era però un diritto, ma una concessione che poteva avvenire di volta in volta a discrezione dell'autorità romana; in alternativa, il cadavere era portato nel luogo destinato alle sepolture dei criminali e deposto in una fossa comune. La possibilità di ottenere il corpo del condannato sembra attestata dal ritrovamento archeologico di una tomba di famiglia sul Monte Scopus, vicino a Gerusalemme, in cui sono stati rinvenuti i resti dello scheletro di un uomo crocifisso; secondo vari studiosi, è plausibile che la richiesta del corpo di Gesù, proveniente da un giudeo autorevole come Giuseppe di Arimatea sia stata accolta favorevolmente[283][285]. D'altra parte, non è emersa finora alcuna prova storica che attesti che Gesù è stato sepolto in una fossa comune destinata ai delinquenti, come sostengono alcuni studiosi.[286] Altri storici, come Crossan, sottolineano, però, come sia stato rinvenuto un solo cadavere di un crocifisso sepolto in Palestina, nonostante le migliaia di crocifissioni di ribelli durante le varie rivolte ebraiche e le tre maggiori rivolte messianiche (ad esempio, il solo legato romano Varo, dopo la morte di Erode, crocifisse oltre duemila ribelli e il governatore Floro, nel 66 d.C. altri tremilaseicento[287]); questo unico rinvenimento, stante anche l'attività degli archeologi israeliani, dimostra come la sepoltura di un crocifisso fosse un'assoluta eccezione.[288][289]

Mosaico che rappresenta al deposizione di Gesù nella tomba presso la pietra dell'unzione nella Chiesa del Santo Sepolcro

La figura di Giuseppe di Arimatea non compare negli Atti, che sostengono, invece, come la deposizione dalla croce e la sepoltura di Gesù furono effettuate dalle autorità giudaiche e tutti i membri del Sinedrio: "Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l'hanno riconosciuto e condannandolo [...] chiesero a Pilato che fosse ucciso. [...] lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro."[290]. Secondo Albert Barnes, invece, il soggetto di "lo deposero dalla croce" è "i Giudei", e Giuseppe e Nicodemo erano essi stessi Giudei; secondo Charles Ellicott, non era necessario affermare che Gesù fosse stato deposto da coloro che erano "discepoli in segreto, come Giuseppe e Nicodemo. Bastava il fatto che anche loro erano fra i capi dei Giudei, e che anche loro facevano ciò che facevano senza alcuna aspettativa di una risurrezione"[291]. Secondo il biblista Carlo Maria Martini, il racconto degli Atti sembra frutto di un'abbreviazione e non è da considerarsi necessariamente in opposizione ai Vangeli.[292] Secondo invece altri storici, anche cristiani, come John Dominic Crossan e Bart Ehrman il Vangelo di Marco conferma la versione degli Atti degli Apostoli sopra citata: tutto il sinedrio cercava una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte e "non quindi alcuni suoi membri, e nemmeno la maggior parte: tutto" (Marco 14,55) e, infine, "tutti lo condannarono a morte" (Marco 14,64)[293][294]; inoltre, non è coerente che gli stessi sinedriti non avessero provveduto alla sepoltura di tutte e tre i cadaveri, inclusi quelli dei due crocifissi ai lati di Gesù.[295][296]
Va infine considerato che - se Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, come riportato nei vangeli, avessero toccato il cadavere o il sepolcro - a causa dell'impurità contratta[297] non avrebbero potuto festeggiare l'imminente Pasqua, cosa molto grave per degli Ebrei praticanti e autorevoli membri del Sinedrio. Per analogo motivo, infatti, i capi dei giudei la stessa mattina non vollero entrare nel pretorio durante il processo a Gesù di fronte a Pilato[298] È tuttavia verosimile che Giuseppe di Arimatea possa essersi limitato a dirigere le operazioni di sepoltura evitando il contatto diretto con il cadavere, fonte di contaminazione per un giudeo osservante.[299]

Secondo alcuni storici, la figura di Giuseppe di Arimatea può essere stata creata per la necessità di avere un personaggio degno di fiducia e un luogo preciso, a differenza di una fossa comune, da cui proclamare la resurrezione di Gesù.[276][300][301] Altri studiosi mettono invece in dubbio alcuni aspetti della sua figura, come quello che fosse un discepolo di Gesù, e il biblista Mauro Pesce sostiene – pur ritenendo possibile, come riportato in Atti 13,27-30, che la sepoltura fosse stata effettuata dalle autorità giudaiche di Gerusalemme (per un uomo solo non sarebbe stato possibile tirare giù un condannato dalla croce e trasportarlo sul luogo della sepoltura) – che la figura di Giuseppe di Arimatea non sia probabilmente storica ma creata per giustificare la presenza di una tomba privata e che, dopo esser stato citato per la prima volta per il solo scopo della sepoltura, scompaia dagli stessi vangeli e non sia mai menzionato neppure negli Atti degli Apostoli; la figura di tale personaggio è quindi indispensabile per la strategia narrativa evangelica ma - anche supponendo storico l'intervento sinedrile nella sepoltura, che avrebbe comunque comportato l'utilizzo di una fossa comune[302] – si è avuta la trasformazione di un atto del Sinedrio in un'iniziativa individuale (compresa la richiesta del cadavere a Pilato).[303] Anche Paolo, come gli Atti degli Apostoli, non parla mai di Giuseppe di Arimatea in nessuno dei suoi scritti:[304] nella Prima lettera ai Corinzi afferma che Gesù fu sepolto, ma non si sofferma sui particolari. Ciò però non sarebbe significativo, perché nei suoi scritti Paolo non dà quasi mai dettagli storici su Gesù.[305]
Il citato storico cristiano John Dominic Crossan ritiene l'episodio della sepoltura di Gesù "falsa e antistorica" e la figura di Giuseppe di Arimatea una creazione "per il nome, il luogo e la sua funzione", finalizzato alla giustificazione della risurrezione e, analogamente, lo storico e teologo cristiano Rudolf Bultmann ritiene il sepolcro vuoto una creazione apologetica degli evangelisti, sempre funzionale a provare la risurrezione.[300][301][306] Altri studiosi ritengono invece plausibile l’intervento di un membro del Sinedrio presso Pilato per avere il corpo di Gesù per le seguenti motivazioni: il Sinedrio non voleva che i corpi dei giustiziati restassero appesi alla croce durante un’importante festa religiosa e voleva anche assicurarsi che Gesù, ritenuto colpevole di blasfemia, fosse seppellito con disonore in una tomba predisposta dalle autorità ebraiche, come prevedevano le norme religiose. È credibile anche la consegna del corpo da parte di Pilato, dal momento che il Sinedrio collaborava con i Romani per il mantenimento dell’ordine pubblico e che erano state le autorità ebraiche a consegnare Gesù all’autorità romana. È ritenuto possibile anche che il corpo di Gesù sia stato deposto in una tomba scavata nella roccia, però non si sarebbe trattato di una tomba privata o di una tomba nuova, ma di un sepolcro che il Sinedrio riservava ai colpevoli di crimini religiosi.[307] Raymond Edward Brown ritiene che la figura di Giuseppe di Arimatea e la sepoltura di Gesù siano storiche secondo la descrizione del Vangelo di Marco: Giuseppe sarebbe stato un membro del Sinedrio e un pio ebreo, che avrebbe fatto seppellire frettolosamente Gesù in una tomba scavata nella roccia. Altri particolari, come quello che fosse un discepolo di Gesù, che avrebbe fatto mettere Gesù nella sua tomba di famiglia e che avrebbe provveduto personalmente all'unzione della salma insieme a Nicodemo, sono da ritenersi dubbi e sono probabilmente abbellimenti successivi degli altri evangelisti.[308]

Il biblista James W. Pryor ritiene che Giuseppe di Arimatea abbia agito per conto del Sinedrio e non di propria iniziativa per una personale simpatia verso Gesù, ma rimane il dubbio se si sia offerto volontariamente di recarsi da Pilato o se sia stato delegato a farlo.[309] Anche lo storico scettico Maurice Casey ritiene che il racconto riportato dal Vangelo di Marco potrebbe essere storico tranne il particolare dell'acquisto del lenzuolo nuovo, perché non ci sarebbe stato il tempo di farlo a causa della sospensione delle attività commerciali per la festività del sabato. Per Casey, Gesù sarebbe stato deposto in una delle tombe che il Beth Din teneva a sua disposizione per le sepolture dei criminali.[310]

Alcuni autori, tra cui Kris Komarnitski, ritengono invece che Gesù sia stato sepolto nel terreno e che la storia della tomba sia frutto di un abbellimento degli evangelisti per rendere la sepoltura più onorevole: la sepoltura nelle tombe scavate nella roccia era una prerogativa dei ricchi ed era poco probabile che il Sinedrio mantenesse una tomba di questo tipo per la sepoltura dei criminali religiosi. Bisogna però tenere conto che gli Ebrei, a differenza dei Romani, non usavano fosse comuni a causa di un divieto religioso, riportato dal Talmud babilonese (solo due persone sposate o comunque legate da vincoli familiari potevano stare nella stessa fossa), per cui la sepoltura di Gesù nel terreno da parte del Sinedrio avrebbe richiesto l’approntamento di una fossa singola. Per motivi di purità religiosa, le sepolture nel terreno erano delimitate da due pietre (una alla testa e una ai piedi) e una di esse veniva marcata, per cui il luogo della sepoltura di Gesù sarebbe stato comunque identificabile.[311] Secondo l’archeologa e biblista Jodi Magness è invece plausibile che Gesù, essendo la vigilia del sabato e mancando il tempo di predisporre nel terreno una fossa singola delimitata da pietre secondo le norme ebraiche, sia stato tumulato in uno dei loculi di una tomba scavata nella roccia, che avrebbe potuto essere anche una tomba privata. La Magness ha affermato che il racconto dei Vangeli sulla sepoltura di Gesù è sostanzialmente in accordo con le scoperte archeologiche e con nostre conoscenze sulle norme ebraiche, anche se l’archeologia nulla può dire sull'esistenza storica di Giuseppe di Arimatea.[312] Diversi studiosi, tra cui Richard Carrier, ritengono che la deposizione di Gesù nella tomba scavata nella roccia sia stata temporanea e che, trascorso il sabato, il corpo sia stato trasportato da Giuseppe di Arimatea nel luogo della sepoltura definitiva; altri autori però non lo ritengono possibile, a causa di una norma religiosa che vietava di muovere i cadaveri.[313]

DI CHI FU LA COLPA?
Alcuni autori scettici reputano che gran parte del resoconto biblico del processo a Gesù sia inventato e che, per vincere il favore dei loro governanti romani, la prima chiesa riscrisse la storia per far cadere la colpa sugli ebrei ed esonerare i romani. Tale visione implica che i resoconti evangelici sono una prima forma di antisemitismo. Come prova, tali autori indicano che il processo di Gesù davanti al Sinedrio infrange molte regole di condotta dei processi nel codice legale ebraico, la Mishnah. Si possono fornire diverse risposte:
  • La Mishnah fu scritta solo verso il 200 e.v.. Non solo fu molto tempo dopo questi eventi, ma per allora l'ebraismo era alquanto differente da quello che era stato verso il 30 e.v. Ai tempi di Gesù, i Sadducei, gruppo che cessò di esistere nel 70 e.v., dirigevano il Sinedrio. Non sappiamo abbastanza del sistema legale ebraico pre-70 e quindi non possiamo dire quanto fosse illegale questo famoso processo.
  • I romani non vengono affatto esonerati; ciascun vangelo rende molto chiaro che furono loro che autorizzarono la brutale esecuzione di un uomo innocente. Pilato, nello specifico, appare alquanto negativamente quale rappresentante di Roma (e la sua carriera ebbe infatti una brusca conclusione, con diverse ipotesi: giustiziato dall'imperatore Caligola; suicida in Gallia dopo esservi stato esiliato; fatto uccidere da Vespasiano e il suo cadavere gettato in un lago). Viene rappresentato come un uomo che ben sapeva che le accuse contro Gesù erano false ma che accettò, per paura, di farlo giustiziare.
  • La colpa per la morte di Gesù è attribuita da Flavio Giuseppe, egli stesso evbreo, ai capi religiosi ebraici.[314]
  • Il Sinedrio voleva che Gesù fosse giustiziato, non solo perché avessero un odio sadico per un innocuo predicatore rurale; il motivo maggiore delle loro azioni fu che avevano paura che Gesù potesse far scattare proprio quella sorta di terribile azione romana che sarebbe avvenuta quaranta anni dopo.[315] Come molti da allora, ritennero che nel caso di una "minaccia alla sicurezza nazionale", le tutele legali potessero esser messa da parte.
  • L'idea che la Bibbia renda un intero gruppo etnico colpevole della morte di Gesù è infondata. Se il Nuovo Testamento assegna la colpa ad un gruppo, lo fa specificamente contro la leadership ebraica dell'epoca. In effetti, alcuni dei primi scritti cristiani assegnano la colpa un po' a tutti: "Contro Gesù si sono radunati Erode e Ponzio Pilato con i gentili e il popolo d'Israele" (Atti 4:27).
  • Un approccio ben più saggio sulla questione della colpa per la morte di Gesù è vederla come se lo avessimo condannato noi. Facendo quello che fecero, i capi fecero soltanto ciò che viene naturale a noi tutti. Se stiamo attenti ad esaminarne i motivi, ci possiamo vedere con le stesse paure, lo stesso cinismo ed egoismo che motivò il Sinedrio. Bisognerebbe essere proprio coraggiosi per poter dire: "Se fossi stato là, non avrei approvato il verdetto."

Un altro aspetto da considerare riguarda i riti successivi alla sepoltura. A differenza di quanto riportato dai vangeli di Marco e Luca - i quali riferiscono che le donne dovettero recarsi la domenica a trattare il cadavere di Gesù con gli aromatici - nel Vangelo di Giovanni il corpo di Gesù fu trattato con gli aromatici lo stesso venerdì, dopo la deposizione dalla croce, da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Infatti, secondo il Vangelo di Giovanni, a differenza dei sinottici, Maria Maddalena la domenica non si recherà al sepolcro per quello scopo. Lo stesso vangelo precisa, inoltre, che il cadavere di Gesù fu trattato "com'è usanza seppellire per i Giudei", ovvero con la preparazione completa per la sepoltura. Il Vangelo di Matteo riporta la notizia della visita delle donne al sepolcro, senza precisarne i motivi. Secondo qualche autore, non vi sarebbe incompatibilità tra quanto riportato dai Vangeli sinottici e dal Vangelo di Giovanni: le donne potrebbero essersi recate al sepolcro con gli oli perché non erano a conoscenza dell'unzione eseguita da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo oppure perché volevano fare al corpo di Gesù un ulteriore omaggio.[316] Un'altra differenza nelle narrazioni è che nel vangelo di Luca la preparazione degli oli avviene prima del sabato, mentre nel vangelo di Marco le donne acquistano gli oli dopo il sabato. Il fatto che il vangelo di Marco parli di "imbalsamazione" è un'ulteriore incongruenza storica: gli Ebrei, infatti, non imbalsamavano i defunti ma li preparavano con una procedura che prevedeva il lavaggio, la rasatura e l'uso di oli e sostanze aromatiche (mirra ed estratto di legno d'aloe) per dissipare il lezzo di cadavere. È stato ipotizzato che sia stata usata una parola impropria, ma anche se si trattasse di una semplice unzione del cadavere l'incongruenza resterebbe: come ha ammesso anche il teologo Bruno Forte, sotto il profilo del rituale ebraico appare inverosimile eseguire l'unzione del corpo a tanta distanza dalla morte. Lascia perplessi anche il fatto che le donne, pur sapendo che il sepolcro è chiuso da una grossa pietra, si mettano in cammino da sole e poi si chiedano come avrebbero fatto a smuovere la pietra[317]. Questi particolari citati da Marco possono essere letti in chiave teologica[318].

Il cambiamento[modifica]

La croce è dove tutto viene capovolto.

Innocenza diventa colpa[modifica]

Gli evangelisti scendono nei particolari dei processi contro Gesù non per dimostrare la colpa dei giudici ma per dimostrare l'innocenza dell'imputato. Gesù non aveva fatto altro che dichiarare la verità: che egli era il Figlio di Dio, il Messia. Nessun'altra accusa fu fatta contro di lui. Tuttavia, nell'essere crocifisso, Gesù fu giudicato un criminale e giustiziato tra criminali.

Potenza diventa debolezza[modifica]

Nei vangeli, Gesù è un uomo di straordinaria potenza e autorità; tutte le cose – vento e onde, cibo e bevanda, infermità e morte – lo obbediscono. Gesù è il re della natura. Ciononostante sulla croce, Gesù mette tutto ciò da parte: viene schernito e impotente, incapace persino di muovere mani e piedi. "Avanti, salva te stesso" lo deridono, "Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. Se lui è il re d'Israele, scenda ora giù dalla croce, e noi crederemo in lui." (Matteo 27:42).

Comunione diventa separazione[modifica]

Durante tutto il corso della sua vita, Gesù ebbe un rapporto perfetto con Dio, tuttavia sulla croce egli ne viene separato. Gesù conosce Dio intimamente come Padre e gioisce dell'accesso che egli ha a Dio, ma sulla croce una barriera discende tra loro.

La vita diventa morte[modifica]

Gesù fu colui che fece risorgere persone dai morti, colui che dichiarò di essere la Vita. Cionondimeno, egli si sottomette ad una morte tra le più brutali. Egli, di cui Giovanni potè dire "In lui era la Vita",[319] muore.

Conclusione[modifica]

La chiave per comprendere la croce si trova nelle parole di Gesù durante l'Ultima Cena, quando dichiara che il pane è il suo corpo spezzato "per voi" e il vino è il suo sangue versato "per voi". È quella frase ripetuta "per voi" che alla fine spiega sia la croce che Gesù. Ciò che accadde alla croce fu una sostituzione.

La croce è il punto dello scambio. È dove Gesù discese nelle profondità cosicché noi potessimo ascendere alle altezze. È dove Gesù, per puro amore, divenne tutto quelo che noi esseri umani siamo – colpevole, debole, separato da Dio e soggetto alla morte – in modo che noi possiamo, se così scegliamo, condividere la sua innocenza, la sua potenza, il suo rapporto con Dio, la sua vita.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie cristologica.
  1. Matteo 26:47-56; Marco 14:43-52; Luca 22:47-53; Giovanni 18:1-9.
  2. Matteo 26,57-27,26.
  3. Marco 14,53-15,15.
  4. Luca 22,54-23,25.
  5. Giovanni 18,12-19,16.
  6. Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, p. 111,119,145,170,195.
  7. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 108-109,121-128.
  8. Stott, p. 60.
  9. Stott, p. 61.
  10. Imbert, pp. 7-9.
  11. Rinaldi, pp. 218-219.
  12. Cfr, ad esempio: Raymond Brown, École biblique et archéologique française (curatori della Bibbia di Gerusalemme), del "Nuovo Grande Commentario Biblico", John Dominic Crossan, l'interconfessionale Bibbia TOB, Rudolf Bultmann.
  13. Angelico Poppi, pp. 245-252.
  14. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 121-128.
  15. Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, p. 111.
  16. Bart D. Ehrman, Gesù è davvero esistito? Un'inchiesta storica, Mondadori, 2013, pp. 55-58.
  17. Rinaldi, pp. 216-217.
  18. Fischer, pp. 8-9.
  19. Bart D. Ehrman, Gesù è davvero esistito? Un'inchiesta storica, Mondadori, 2013, pp. 52-68.
  20. (EN) Babylonian Talmud: Tractate Sanhedrin. Folio 43a, su halakhah.com. URL consultato il 24 luglio 2017.
  21. Riferimento a Gesù in Sanhedrin, 43a, su digilander.libero.it. URL consultato il 24 luglio 2017.
  22. Alcuni autori reputano che il nome sia piuttosto un acronimo di "ymmach shmò uzrichò" ("sia cancellato il suo nome e il suo ricordo") che indicava in modo spregevole chi cercava di portare i Giudei all'apostasia.
  23. La crocifissione non era ammessa dalla Torah, mentre invece lo era appendere il condannato ad un albero, come ricordato anche in Deuteronomio 21,22-23, tuttavia il supplizio irrogato era invece praticato presso i Romani
  24. Soncino Babylonian Talmud, editor I. Epstein, Tractate Sanhedrin, folio 43a, London, Soncino Press, 1935-1948.
  25. John P. Meier, A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus, Vol.I, Doubleay, New York, 1991.
  26. Miglietta, p. 5.
  27. Miglietta, p. 6
  28. Miglietta, p. 7, nota 29.
  29. 29,0 29,1 29,2 France, p. 537.
  30. Fischer, pp. 9-10.
  31. Mattei, nota 42 a p. 92.
  32. Giovanni 18,31
  33. 33,0 33,1 Bernardo Santalucia, «Accusatio» e «inquisitio» nel processo penale romano di età imperiale (PDF), in Rivista di diritto romano. URL consultato il 30 luglio 2017.
  34. 34,0 34,1 Ratzinger, p. 198.
  35. Giovanni 11,47-57
  36. Ratzinger, pp. 190-196.
  37. J.A.T. Robinson ritiene la narrazione giovannea la più coerente dal punto di vista storico oltre ché teologico Robinson, pp. 153-154
  38. Flusser, pp. 37-38.
  39. Robinson, p. 85.
  40. Mattei, p. 82.
  41. France, p. 519.
  42. Hans Conzelmann, Le origini del cristianesimo, Torino, Claudiana, 1976, p. 42.
  43. Cfr, ad esempio: Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 815, 1274, ISBN 88-399-0054-3; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, p. 100, ISBN 978-0-06-061480-5; Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, pp. 263-266, ISBN 1-56563-041-6; Bart D. Ehrman, Jesus, Interrupted - Revealing the Hidden Contradictions in the Bible, HarperCollins Publishers, 2009, p. 27, ISBN 978-0-06-186327-1.
  44. F.F. Bruce, p. 40.
  45. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 815.
  46. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, p. 100, ISBN 978-0-06-061480-5.
  47. Bultmann, inoltre, ritiene che la descrizione data dal Vangelo secondo Giovanni - che non considera l'"Ultima cena" una cena pasquale e che non menziona l'istituzione dell'eucaristia - faccia probabilmente riferimento a tradizioni più antiche rispetto ai vangeli sinottici. (Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, pp. 263-266, ISBN 1-56563-041-6.).
  48. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero (Mc15,24-25).
  49. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». [...] Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo (Gv19,14-18 [1]).
  50. Qualche copista, nei primi secoli, avrebbe tentato di correggere l'incongruenza nel passo del Vangelo secondo Giovanni, mutando il riferimento temporale da "ora sesta", cioè mezzogiorno, ad "ora terza", cioè le 9 di mattina, per renderlo omogeneo con il passo del Vangelo secondo Marco.
  51. Anche gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico" evidenziano che "la cronologia di Marco è in conflitto con quella di Gv19,14, secondo la quale Gesù venne condannato «circa all'ora sesta» (mezzogiorno)" e quindi venne crocifisso solo dopo tale condanna e la successiva salita al Calvario, mentre Marco fa riferimento alle 9 di mattina proprio per l'ora della crocifissione. (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 819).
  52. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 819.
  53. Bart D. Ehrman, Jesus, Interrupted - Revealing the Hidden Contradictions in the Bible, HarperCollins Publishers, 2009, p. 27.
  54. Bruce Metzger e Bart Ehrman, Il testo del Nuovo Testamento, Paideia Editrice, 2013, p. 231.
  55. Così Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 424-426, 434. Cfr anche: Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, pp. 2513, 2546; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 121-125).
  56. Marucci, pp. 1-2.
  57. Flusser, pp. 67-72.
  58. Vedi ad es. Matteo 5,20;9,13;12,7;12,39;15,3;15,14;23,13-35
  59. Per questa accusa di Gesù nel linguaggio corrente il termine "fariseo" è sinonimo di "ipocrita" (vedi dizionario De Mauro).
  60. 60,0 60,1 60,2 60,3 France, p. 429.
  61. 21,23-27;21,45-46;22,15-22;23,1-39)
  62. 22,33.
  63. Ratzinger, pp. 190-197.
  64. I capi dei sacerdoti e i farisei, quindi, riunirono il Sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Perché quest'uomo fa molti segni miracolosi. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui; e i Romani verranno e ci distruggeranno come città e come nazione». Uno di loro, Caiafa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione». Or egli non disse questo di suo; ma, siccome era sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi.
    Da quel giorno dunque deliberarono di farlo morire.11,47-53 Or i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che se qualcuno sapesse dov'egli era, ne facesse denuncia perché potessero arrestarlo.11,57
  65. Vedi Nuovo Dizionario enciclopedico illustrato della Bibbia, 1997, s.v. "Sinedrio".
  66. Dall'episodio dell'adultera di Giovanni 8,1-11 sembrerebbe che le autorità giudaiche conservassero il diritto di applicare la pena capitale tramite lapidazione
  67. Mishnah, trattato Middot 5,4.
  68. Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 5,4,2.
  69. Stott, pp. 63-64.
  70. Filone, Legatio ad Gaium, par. 301-302, trad. inglese.
  71. Cfr, tra gli altri: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 556; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 116-117; Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 131-135.
  72. Gv18,15
  73. Hegel, pp. 83-84.
  74. Renan, p. 165.
  75. 75,0 75,1 75,2 Ricciotti, par. 562.
  76. Yohanan Aharoni, Michael Avi-Yonah, Atlante della Bibbia, mappa 236, 1987.
  77. Rinaldi, p. 124.
  78. La carica di Sommo sacerdote, che all'epoca della dinastia asmonea era accomunata a quella di re, era stata separata riportandola teoricamente alla prassi precedente; in realtà i romani, che intervenivano direttamente nella scelta del candidato, avevano di mira la sua influenza negli affari politico-religiosi della nazione. Rinaldi, p. 182
  79. Rinaldi, p. 182.
  80. 80,0 80,1 Mc14-15; Mt26-27.
  81. 81,0 81,1 Luca 22-23.
  82. 11,46-54.
  83. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 121-125.
  84. Guida di Terra Santa, Edizioni Custodia di Terra Santa, 1992, p. 100: "La cripta della chiesa (di San Pietro in Gallicantu) presentata come prigione di Cristo, contigua ad un corpo di guardia scavato nella roccia, sembrerebbe piuttosto un sepolcro giudaico che ha servito, posteriormente, come cava di pietra"
  85. Secondo lo studioso ebreo David Flusser la riunione del Sinedrio sarebbe stata "illegale" e probabilmente composta della sola componente sadducea Flusser, pp. 159-163
  86. France, pp. 541-548.
  87. Vedi Bibbia TOB, nota a Mc14,64
  88. Ratzinger, pp. 201-205.
  89. Giovanni 19,7
  90. Giovanni 10,36
  91. Nella cultura ellenistico-romana era un'espressione usata per designare personaggi dotati di particolari poteri e assimilabili alla divinità, mentre invece in ambiente giudaico indicava esseri solo umani come sacerdoti, re o messia.
  92. Bart Ehrman ritiene storicamente poco credibile - essendo anche esplicitamente vietato dalla Legge Il sacerdote, quello che è il sommo tra i suoi fratelli, sul capo del quale è stato sparso l'olio dell'unzione e ha ricevuto l'investitura, indossando le vesti sacre, non dovrà scarmigliarsi i capelli né stracciarsi le vesti (Levitico 21,10)- l'atto di stracciarsi le vesti da parte del Sommo sacerdote. vedi: Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, p. 111,119,145,170,195; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 108-109,121-128,290.
  93. Miglietta, p. 8.
  94. Flavio Giuseppe ne "La Guerra Giudaica" attribuisce al Sinedrio ebraico la facoltà di condannare e giustiziare chi bestemmia contro Dio e contro il tempio, ma per poter eseguire la condanna bisognava avere l'approvazione del governatore romano (Vedi Guerra Giudaica, 2, 117, dove afferma che il primo procuratore romano inviato in Giudea, Coponio, aveva il potere di mettere a morte)
  95. Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, 20, 200-203.
  96. Marucci, p. 9.
  97. Nuovo Dizionario Enciclopedico illustrato della Bibbia, 1997, s.v. "Pretorio".
  98. Così Yohanan Aharoni, Michael Avi-Yonah, Atlante della Bibbia, 1987, mappa 236; Guida di Terra Santa, 1992, pp. 70-76.
  99. Così il Nuovo Dizionario Enciclopedico illustrato della Bibbia, 1997, s.v. "Pretorio".
  100. Giovanni 18,28-40;19,1-16.
  101. Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 130-136.
  102. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo,  p. 664 (par. 583).
  103. Marucci, pp. 6-7.
  104. Flusser, pp. 166-167.
  105. Miglietta, pp. 124, 1444-145.
  106. Nel trattato mishnaico Pesachim VIII 6a vien contemplata una situazione simile: un israelita detenuto nel carcere romano di Gerusalemme può sperare di essere rilasciato prima della sera di Pasqua. Tale caso sembra essere ricorrente prima di ogni 15 Nisan il che avvalorerebbe l'affermazione del vangelo. ( L. Bove, Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù?: il privilegium paschale, in F. Amarelli, F. Lucrezi, Il processo contro Gesù, Napoli, 1999.)
  107. Oltre al testo del vangelo le fonti che confermano tale usanza sono molto scarse
  108. Marco 15,7; Luca 23,19.
  109. Bart D. Ehrman, Gesù è davvero esistito? Un'inchiesta storica, Mondadori, 2013, pag. 186.
  110. Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 146-147.
  111. Gv19,1-16.
  112. Matteo 27,26; Marco 15,15.
  113. La flagellazione romana era estremamente dura: il condannato, nudo, era legato ad una colonna e veniva colpito con un flagello (frusta) di lacci di cuoio aventi in punta schegge d'ossa, piombi e pungiglioni; questo provocava profonde lacerazioni e fratture che a volte uccidevano il condannato stesso.
  114. Ad esempio: 21,6-8; Salmi 25,5-6; Salmi 72,13.
  115. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 125-126.
  116. France, pp. 559-560.
  117. Così il Biblista Mauro Pesce. Analogo parere di Raymond Brown che ritiene che "questo episodio rappresenti una composizione di Matteo sulla base di una tradizione popolare riflettente sul tema del sangue innocente di Gesù e della responsabilità da esso creato. È della stessa derivazione e formazione degli episodi di Giuda e della moglie di Pilato. (Infatti io sospetto che la tradizione dietro alla storia dei Magi arrivi dagli stessi circoli giudaico cristiani)". Anche lo storico Aldo Schiavone sottolinea per tale episodio matteano, così come per gli altri contenuti antiebraici introdotti dall'evangelista nel processo di fronte a Pilato, che "non si può credere a una sola parola di questo racconto". (Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, p. 122; Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 833; Aldo Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria, Einaudi, 2016, Cap. IV.
  118. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 876.
  119. Il testo greco non riporta il verbo: alcune traduzioni in italiano lo omettono correttamente altre no
  120. Ratzinger, pp. 560-561.
  121. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 152, 157-159, 218-219.
  122. Il teologo Hans Küng osserva in merito: "L’antisemitismo razzista, che con l’Olocausto raggiunse il suo vertice terroristico, non sarebbe stato possibile senza la quasi bimillenaria preistoria dell’antigiudaismo della Chiesa cristiana". (Corrado Augias, I segreti del Vaticano, Mondadori, 2010, p. 271).
  123. Aggiunge tale teologo che "siccome il Cristianesimo alla fine ottenne il supporto politico e militare dell'Impero Romano, esso fu in grado di promuovere le sue idee e anche perseguitare i suoi opponenti in un modo non consentito al Giudaismo" e "una volta che è l'Impero Romano divenne Cristiano, tutti gli altri furono in pericolo, Ebrei naturalmente ma anche pagani e anche Cristiani dissidenti".
  124. Josef Blinzler, The trial of Jesus, Newman Press, 1959, p. 8. (cfr. anche: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 385).
  125. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 7, 383-397, 831-832. (Cfr anche: John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 157-159, 218-219, IX-XII).
  126. Vito Mancuso, Io e Dio, Garzanti, 2011.
  127. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 817.
  128. Parola del Signore Commentata, traduzione interconfessionale, Nuovo Testamento, LDC/ABU, 1981, p. 267.
  129. Gli stessi esegeti precisano anche come "questo è l'unico passo negli scritti di Paolo dove la responsabilità della morte di Gesù è addossata ai Giudei". Pur essendo la Prima lettera ai Tessalonicesi tra le sette lettere di Paolo ritenute genuine, questo verso, che oggi "molti studiosi giudicano inautentico", è considerato un'interpolazione cristiana successiva in chiave antiebraica. (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 1010-1014).
  130. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 417.
  131. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 556. (Cfr. anche: John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 116-117; Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 131-135).
  132. Precisa ancora Raymond Brown come tale materiale pre-evangelico si riferisce al "periodo precedente a quello in cui furono scritti i vangeli, principalmente il periodo tra il 30 e il 60 quando oralmente (e probabilmente per iscritto) si formarono le tradizioni che furono rimodellate e incorporate (con aggiunte) dagli evangelisti negli anni tra il 60 e il 100".
  133. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 585-586.
  134. Come evidenziano gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico" (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 936. Cfr anche: Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 279).
  135. Vedi sottostante sezione "Il processo davanti al Sinedrio" (Cfr. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 359, 568, 585, 586; Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, pp. 2496, 2513; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 936; Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, pp. 118-119, 278-279; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 131-135; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 121-126).
  136. Vedi sottostante sezione "Il processo davanti al Sinedrio" (Cfr. Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, p. 2546; Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 424-426, 557, 586; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 122-123, 125,; Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, pp. 88-90).
  137. Come precisa Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 424-426).
  138. Vedi sottostante sezione "Il processo davanti a Pilato" (Cfr. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 725, 753-755, 758-759, 778, 783-785, 854, 860-861, 830-833, 836-837; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 99, 116-117, 148; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 818, 876; Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, p. 2386; Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 135-136).
  139. Precisa ancora Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 753, 854).
  140. Vedi sottostante sezione "L'amnistia pasquale e la liberazione di Barabba" (Cfr. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 815-820; John Dominic Crossan, Gesù una biografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, pp. 174-178; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 818, 876, 937; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 111-112; Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272; Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, pp. 120-121, 179; La Sacra Bibbia illustrata Vol. 4. Nuovo Testamento, Versione ufficiale CEI, Mondadori, p. 170, 2010; Bart Ehrman, Jesus apocalyptic prophet of the new millennium, Oxford University Press, 1999, pp. 222-223).
  141. Vedi sottostante sezione "L'accusa di blasfemia" (Cfr: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 475-476, 480-482, 506-515, 531-535, 538, 541, 544-547; Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, p. 2546; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 817; Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 270; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 110-111; Bart Ehrman, Jesus apocalyptic prophet of the new millennium, Oxford University Press, 1999, pp. 145-148, 216-221, 234-237; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, p. 290).
  142. Vedi sottostante sezione "La flagellazione e lo scherno nei confronti di Gesù" (Cfr: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 8, 851-853, 871; Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, pp. 280, 351; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 937).
  143. Vedi sottostante sezione "La flagellazione e lo scherno nei confronti di Gesù" (Cfr: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 430, 568, 586, 871-874).
  144. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 116-117.
  145. Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, pp. 270-272, ISBN 1-56563-041-6.
  146. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 936.
  147. Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 279.
  148. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 421, 585-586.
  149. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 421.
  150. Gv11,46-54
  151. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 424-426, 434.
  152. Peraltro, "il posizionamento notturno si adatta bene al motivo di segretezza dei vangeli: gli avversari di Gesù volevano fosse arrestato senza tumulti. Tuttavia il posizionamento notturno non esige una sessione del Sinedrio, un semplice interrogatorio di Gesù da parte del sommo sacerdote nella propria casa si sarebbe notato di meno".
  153. Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, pp. 2513, 2546.
  154. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 121-125.
  155. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 557.
  156. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 424-426, 558-560.
  157. Marco 14,55-59; Matteo 26,59-61.
  158. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 549.
  159. Mc14,58; Gv2,19.
  160. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 459.
  161. Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, p. 2546.
  162. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 534-535.
  163. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 817.
  164. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 509-515. (Cfr anche: Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, pp. 111,119,145,170,195; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, p. 290).
  165. Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 270.
  166. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 475-476, 506-515, 531-547.
  167. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 725, 753, 830, 854.
  168. Matteo 27,3-10.
  169. Matteo 27,19.
  170. Matteo 27,24.
  171. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 755. (Cfr. anche: Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272).
  172. Matteo 27,25.
  173. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, p. 122.
  174. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 831-833.
  175. Cfr. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 758-759, 860-861; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 99, 116-117, 148; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 818.
  176. Come nota il biblista Bart Ehrman (Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, p. 89; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 130-136. Cfr. anche: John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 148, 174-178).
  177. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 99, 116-117, ISBN 978-0-06-061480-5.
  178. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 758-759, 860-861.
  179. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 818, ISBN 88-399-0054-3.
  180. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 148, 174-178.
  181. Cfr anche, tra gli altri: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 753; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 135-137; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 78-79.
  182. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 783-785.
  183. 183,0 183,1 Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 815-820.
  184. Precisa ancora Raymond Brown: "L'esistenza di varie amnistie e perdoni nelle diverse culture potrebbe aver reso l'idea di una regolare usanza di rilascio festiva plausibile per i narratori e chi ascoltava, che non avevano un'esatta conoscenza della Giudea dell'anno 30".
  185. Tali esegeti rilevano come "non esistono testimonianze extrabibliche dell'usanza annuale di rilasciare un prigioniero in occasione della Pasqua. Forse un'amnistia occasionale è stata trasformata in una usanza, dagli evangelisti o dalle loro fonti". (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 818).
  186. Anche tali studiosi rilevano come di tale usanza "non se ne ha conferma altrove". (Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 120).
  187. Lo studioso afferma: "L'episodio di Barabba è ovviamente una espansione leggendaria. Non c'è alcuna evidenza nella legge ebraica o Romana dell'usanza della quale riferisce Marco [la liberazione di un prigioniero a Pasqua]. L'usanza alla festa Romana della Lectisternia, alla quale Hugo Grotius si riferisce come analogia, non è rilevante, principalmente perché questa era concernente a un perdono di massa". (Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272).
  188. John Dominic Crossan, Gesù una biografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, pp. 174-178.
  189. Precisa ancora Crossan: "Filone, per esempio, che scrive circa un decennio dopo, descrisse ciò che i governatori decenti facevano per crocifiggere i criminali nelle occasioni festive. Essi potevano posporre la data dell'esecuzione in attesa della fine della festa, o potevano concedere alla famiglia del condannato la sepoltura, ma Filone non dice assolutamente nulla circa possibili abrogazioni della pena su richiesta". Anche Raymond Brown dubita che "i governatori Romani potrebbero aver mai compromesso sé stessi con un'usanza che avrebbe richiesto loro di rilasciare un assassino al centro di una recente rivolta in una provincia tesa ed instabile" (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 817), mentre gli studiosi del "Nuovo Grande Commentario Biblico" rilevano, in merito a Barabba, che "si trattava di un rivoluzionario e omicida, il tipo di persone che dovevano preoccupare di più i Romani" e, riguardo a Ponzio Pilato, "i ritratti che ne danno i vangeli come di un uomo indeciso e preoccupato della giustizia contraddicono altre antiche descrizioni della sua crudeltà e ostinazione". (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 818).
  190. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 818-819.
  191. Come precisano gli studiosi de La Sacra Bibbia illustrata CEI (La Sacra Bibbia illustrata Vol. 4. Nuovo Testamento, versione ufficiale CEI, Mondadori, 2010, p. 170.).
  192. Cfr: Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 818, 876, 937; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 146-147; Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 121. La Bibbia TOB (che in Matteo 27,16 scrive «Gesù Barabba») osserva come "numerosi manoscritti omettono la parola Gesù prima del termine Barabba. Questa tradizione sembra riflettere una preoccupazione, da Origene in poi, di rifiutare a Barabba il nome di Gesù, nome tuttavia frequente in quel periodo".
  193. Anche il teologo John Dominic Crossan sottolinea che "Marco scriveva poco dopo la fine della terribile prima guerra giudaico-romana del 70 dopo Cristo quando Gerusalemme e il suo tempio erano stati totalmente distrutti. [...] Quella, dice Marco, era stata la scelta di Gerusalemme, essa aveva scelto Barabba invece che Gesù, un ribelle armato invece di un Salvatore privo di armi. La storia di Barabba era, in altre parole, una drammatizzazione simbolica del destino di Gerusalemme, come lui lo aveva visto". (John Dominic Crossan, Gesù una biografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, p. 177). Gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico" osservano, inoltre, che "c'è quindi un contrasto tra Gesù Barabba e Gesù Cristo [...] È chiara l'ironia della scena. Di più: gridano perché venga rilasciato uno chiamato Barabba, «figlio del padre» e respingono colui che è veramente figlio del Padre". (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 876, 937).
  194. 194,0 194,1 Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 851.
  195. Così gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico" (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 937).
  196. Come sottolinea Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 852-853).
  197. Come rilevano gli esegeti dell'interconfessionale Bibbia TOB (Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 280.).
  198. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 852-853.
  199. Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 351.
  200. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 871, 851.
  201. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 568, 871-874.
  202. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 125-126, 290.
  203. Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 876.
  204. Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272.
  205. Che giudica questi elementi introdotti da Matteo come "popolari quasi folkloristici temi per insegnare la lezione teologica che la giustizia di Dio non è derisa ma interessa ogni parte coinvolta nello spargimento del sangue del figlio di Dio". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 755).
  206. Il quale sottolinea per tale episodio matteano, così come per gli altri contenuti antiebraici introdotti dall'evangelista nel processo di fronte a Pilato, che "non si può credere a una sola parola di questo racconto". (Aldo Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria, Einaudi, 2016, Cap. IV).
  207. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 836.
  208. Nella tragedia di William Shakespeare, è la macchia che Lady Macbeth, sonnambula, quando inizia a sentire il peso del sangue e dei lutti che ha causato, cerca ossessivamente di lavar via dalle proprie mani.
  209. Jewish Insights Into Scripture, Israel Bible Center, Paperback – December 17, 2017
  210. L'ipotesi che il titulus crucis contenga un acrostico fu avanzata da Schalom Ben-Chorin ed è discussa a p. 117 del libro del papirologo e storico Carsten Peter Thiede, intitolato "Ma tu chi sei, Gesù ?", Paoline Editoriale 2005.
  211. Matteo 27:31:56; Marco 15:21-41; Luca 23:26-49; Giovanni 19:17-33.
  212. Quintiliano, Declamationes minores 274.
  213. Quasi tutte le immagini di Gesù in croce lo mostrano incorrettamente inchiodato ai palmi delle mani: il tessuto molle non è abbastanza forte per tale scopo. La parola tradotta nella Bibbia con "mano" include il polso.
  214. L'idea che Gesù trascinasse l'intera croce è un altro frutto di immaginazione artistica. I romani trovavano più pratico tenere il palo verticale permanentemente inserito al suolo, dove rimaneva come costante monito contro ribellioni e altri crimini.
  215. Marco 15:21.
  216. Anche "Calvario" (dal latino Calvariae locus e più tardi Calvarium «luogo del cranio», traduzione dall'aramaico gūlgūtā «cranio, teschio», in greco Γολγοϑᾶ, da cui il latino Golgŏtha e l’italiano Gòlgota. In arabo جُمجُمَة, ğumğuma) è la collina (secondo la tradizione un monticulus) appena fuori dalle mura di Gerusalemme.
  217. Matteo 27:38-44; Marco 15:16-20,29-32; Luca 23:35-36.
  218. Come ci fa sapere Giovanni 19:22, ai sommi sacerdoti dei giudei, che chiedevano di modificare l'iscrizione da lui apposta sopra la croce, Pilato rispose : "Quod scripsi, scripsi", locuzione latina, che tradotta letteralmente significa: "Quello che ho scritto, ho scritto".
  219. Che le conversioni dell'ultimo minuto siano possibili non giustifica però il posporre un'eventuale decisione di seguire Gesù. Dopotutto, chi di noi conosce quando sarà il nostro "ultimo minuto"?
  220. Gioele 2:2; Amos 8:9.
  221. Giovanni 1:29.
  222. Si veda Giovanni 17:4: "Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare."
  223. 27,54.
  224. (EN) Raymond E. Brown, The Death of the Messiah - From Gethsemane to the Grave: A Commentary on the Passion Narratives in the Four Gospels, II, Londra, Geoffrey Chapman, 1994, p. 1034.
  225. Raymond E. Brown, La morte del Messia - Un commentario ai Racconti della Passione nei quattro vangeli, a cura di Gianluigi Corti, traduzione di Antonio Nepi e Simone Venturini, Brescia, Queriniana, 1999.
  226. Gianfranco Ravasi, "Si fece buio", Famiglia Cristiana, 30 agosto 2012
  227. (EN) George F. Chambers, The Story of Eclipses, George Newnes, Ltd, 1899, pp. 129–130
  228. (EN) Robert Bartlett, The Natural and the Supernatural in the Middle Ages, Cambridge University Press, 2008, pp. 68-69.
  229. (EN) Dale C. Allison, Studies in Matthew: Interpretation Past and Present, Baker Academic, 2005, pp. 68-69.
  230. (EN) R. C. Sproul (a cura di), The Reformation Study Bible, Ligonier Ministries, 2010.
  231. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 1036-1038.
  232. 232,0 232,1 Raymond E. Brown, The Death of the Messiah: a Commentary on the Passion Narratives in the Four Gospels, The Anchor Bible Reference Library. Volume 2: From Gethsemane to the Grave, Doubleday, 1994, p. 1040.
  233. Colin J. Humphreys, The Mystery of the Last Supper: Reconstructing the Final Days of Jesus, Cambridge University Press, 2011, p. 84. In precedenza lo stesso autore aveva espresso un'opinione differente in Colin J Humphreys, W. Graeme Waddington, Dating the Crucifixion", Nature. 306 (5945):743, 1983 Bibcode:1983Natur.306..743H. doi:10.1038/306743a0.
  234. Tali narrazioni sono ritenute da alcuni studiosi come Rudolf Bultmann, John Dominic Crossan e gli esegeti dell'École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia di Gerusalemme), di natura leggendaria. Il teologo Raymond Brown ritiene che tali episodi siano presentati, secondo la visione teologica degli evangelisti, "in linguaggio apocalittico e immagini prese dalle Scritture" e "a creare maggior problema nell'interpretazione letterale è il fatto di non comprendere la loro natura simbolica e il genere letterario nel quale vengono presentati. Un paragone sarebbe per i lettori dell'anno 4000 d.C. il dibattere sulla storicità del libro di George Orwell «1984»: Orwell è stato l'interprete più perspicace delle forze distruttive scatenate durante la sua vita, ma la sua fu una visione discriminante, non la storia di cosa effettivamente accadde in un anno specifico" e "commentatori dal periodo del Nuovo Testamento in avanti hanno mostrato grande inventiva nell'interpretare questi eventi, e [occorre] mantenere la sovrabbondanza di queste interpretazioni (per quanto interessanti possano essere) distinta da cosa ogni evangelista desiderava comunicare sugli avvenimenti che descrisse e cosa plausibilmente avrebbe capito su questo un suo lettore del primo secolo"; Brown evidenzia anche che, per quanto riguarda Matteo, questi "ereditò da Marco due fenomeni escatologici (l'oscurità su tutta la terra a mezzogiorno e lo stracciarsi del velo del santuario) come segni di giudizio divino in reazione alla morte del Messia, il figlio di Dio. A loro egli aggiunse altri 6 fenomeni, anch'essi segni di natura escatologica o anche apocalittica" e, come per gli altri fenomeni narrati, per la risurrezione matteiana dei morti "un tale fenomeno su larga scala avrebbe dovuto lasciare delle tracce nella storia degli ebrei o secolare". Lo storico del cristianesimo Remo Cacitti osserva inoltre: "è evidente che qui di storico non c'è nulla. La descrizione di ciò che avviene nel momento in cui Gesù muore obbedisce tipologie fisse: i terremoti, i sepolcri che si aprono, il cielo che si oscura. Il significato dell'evento è dato invece dalla fede di Matteo o, per meglio dire, dalla fede di una comunità cristiana convinta che con la croce si fosse inaugurata la nuova creazione, in sostituzione di quella descritta nella Genesi". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 1098, 1120-1140, 1304-1305; Rudolf Bultmann, Storia dei vangeli sinottici, EDB, 2016, p. 274; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, p. 197; Corrado Augias e Remo Cacitti, Inchiesta sul cristianesimo, Mondadori, 2012, pp. 50-51; Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, p. 113; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, p. 148).
  235. 235,0 235,1 Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, p. 148.
  236. E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. (27:50-53).
  237. Così come evidenziano gli esegeti dell'École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia di Gerusalemme), i quali aggiungono che questi risorti attendono la risurrezione di Gesù per entrare in Gerusalemme, la città santa, e "si ha qui una delle prime espressioni della fede nella liberazione dei morti mediante la discesa di Cristo agli inferi". Il teologo Raymond Brown evidenzia inoltre: "Ci sono numerosi esempi nell'Antico Testamento di scosse telluriche come segno di giudizio divino o degli ultimi tempi, come ad esempio Giudici 5,4; Isaia 5,25 e 24,18; Ezechiele 38,19; Geremia 4,23. [...] Perciò, i lettori di Matteo, se erano familiari con questo background, avrebbero dovuto avere poche difficoltà a riconoscere nelle scosse della terra che accompagnavano la rottura del velo del santuario un segno apocalittico del giudizio di Dio evocato dalla crudele morte di cui il figlio di Dio fu fatto oggetto" e tali eventi secondo gli esponenti dell'esegesi storico-critica sarebbero storicamente improbabili anche perché non riportati da altre fonti, visto che "l'oscurità per 3 ore su tutta la terra a mezzogiorno e la scossa della terra (e probabilmente il concomitante spezzarsi delle rocce) dovrebbero essere stati visibili a tutti nell'area, almeno". Lo storico del cristianesimo Remo Cacitti osserva inoltre: "nel testo di Matteo si dice che i morti escono dai sepolcri dopo la risurrezione di Gesù ma Gesù è appena morto le cose non si combinano" e questo "si spiega con l'analisi esegetica. Matteo utilizza il testo di Ezechiele [37:1-14] – che, a quanto pare, veniva letto nelle sinagoghe durante la liturgia pasquale giudaica – per dare un significato salvifico alla morte di Gesù. Tuttavia, egli si rende conto che l'immagine usata dal profeta urta con quanto ha scritto Paolo quando afferma che Cristo è «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (Col 1,18). Allora, in maniera maldestra, Matteo inserisce questa sua correzione per armonizzare due tradizioni teologiche che si contraddicono". Il biblista Bart Ehrman ritiene inoltre che "al di là di alcuni fondamentalisti e altri che leggono la Bibbia alla lettera, oggi sono davvero pochi i lettori così ingenui da pensare che si tratti di un ricordo fondato nella realtà". (Bibbia di Gerusalemme, EDB, 2011, p. 2388; Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 1121-1122, 1129-1133, 1137-1140; Corrado Augias e Remo Cacitti, Inchiesta sul cristianesimo, Mondadori, 2012, pp. 50-51. Cfr. anche: Rudolf Bultmann, Storia dei vangeli sinottici, EDB, 2016, p. 274; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, p. 197; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, p. 148).
  238. (EN) Jefferson Williams, Michael J. Schwab, Achim Brauer, An early first-century earthquake in the Dead Sea, International Geology Review 54(10):1219–1228 (July 2012)
  239. Marco 15,33; Luca 23,44; Matteo 27,45.
  240. Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, p. 1038.
  241. Ad esempio: Amos 8,9-10; Isaia 13,10; Qoelet 12,2.
  242. Così Raymond Brown, che aggiunge: "Se noi ci limitiamo ad autori che scrissero entro 100 anni prima o dopo la morte di Gesù, troviamo che Plutarco riporta che alla morte o partenza di Romolo «la luce del sole fu eclissata». Similmente Ovidio usa l'espressione il «sole sembrò estinguersi». Quando Giulio Cesare fu ucciso, Plutarco parla di un oscuramento del sole e Flavio Giuseppe la descrive come un'occasione nella quale «il sole se ne andò». Plinio menziona questa morte per esemplificare una grande aspettativa: «portentose e lunghe eclissi del sole, come quando Cesare morì»". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 1034-1043; Bibbia TOB, Nuovo Testamento, Vol. 3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 282; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 1-4).
  243. 15,37-38; Luca 23,44-46; Matteo 27,50-51.
  244. "Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso." (Marco 15,37-38) e "E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono" (Matteo 27,50-51).
  245. "Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò." (23,45-46).
  246. Nota il teologo Raymond Brown che "[in Luca] come in Marco l'oscurità è dalla sesta ora fino alla nona ora; ma tra l'oscurità e l'urlo di morte di Gesù c'è interposto lo strapparsi del velo del santuario, il quale è associato con l'eclissi del sole. [...] Questo riarrangiamento è indubbiamente una riflessione di Luca dovuta alla sua inclinazione per un resoconto (logicamente) più ordinato e mostra la comprensione che i due segni sono di origine simile, riflettendo l'ira divina. Luca volle concentrare gli elementi negativi prima del momento in cui Gesù mandasse il suo spirito nelle mani di suo Padre. [...] Luca, inoltre, muovendo lo strapparsi del velo a prima, ha semplificato la duplicazione di Marco («dall'alto al basso» e «in due parti») nell'unica espressione: «nel mezzo» significando «nella meta oppure dal mezzo in giù». [...] l'amore di Marco per la duplicazione ha un forte effetto letterario qui: il velo è strappato «dalla punta al fondo» e «in due» e così non potrà essere riparato. Così per Marco lo strapparsi del velo del santuario significa che con la morte di Gesù il santuario ha cessato di esistere e l'edificio che continuava ad esistere non era più un luogo santo" e "il velo del tempio era un simbolo associato alla morte di Gesù a un livello pre-marciano, in quanto appare in un'altra maniera nella Lettera agli Ebrei". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 5, 10, 1038, 1099, 1101-1102, 1134-1138; Bart D. Ehrman, Jesus Interrupted - Revealing the Hidden Contradictions in the Bible, HarperCollins Publishers, 2009, pp. 51-52).
  247. Appare, inoltre, piuttosto improbabile che gli evangelisti possano avere avuto notizia che il velo del Tempio si fosse squarciato da solo: questo velo era una tenda nel Tempio, in una zona dove poteva entrare – e unicamente in determinate occasioni – solo il Sommo sacerdote, ovvero Caifa, che aveva sentenziato la condanna di Gesù stracciandosi le vesti solo il giorno prima (Marco 14,53-65; Matteo 26,57-68); Caifa - supposto che il fatto fosse realmente accaduto e che lui fosse lì nel momento giusto - difficilmente lo avrebbe riferito ad altri, ammettendo così implicitamente che la morte di Gesù aveva prodotto un simile evento miracoloso e "se il velo interno si fosse strappato, gli unici che avrebbero potuto saperlo sarebbero stati i sacerdoti, in quanto erano i soli a cui era permesso entrare nel luogo santo del Tempio e, secondo i resoconti dei sinottici, in quel momento essi erano al Golgota. In ogni caso, essi avrebbero avvisato di un tale evento se anche fosse avvenuto al momento della morte di Gesù?". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 1112-1113; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 148-149).
  248. Come osservato dagli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico" e Raymond Brown sottolinea inoltre: "La funzione generale del velo era dividere lo spazio Santo da quello profano, e strappare il velo significava distruggere lo speciale carattere di santità che faceva di quel posto un santuario. A parte il considerare il santuario una dimora divina, un'idea condivisa dai pagani e dagli Ebrei, strappare il velo significava che la presenza divina se n'era andata. [...] Però per alcuni, non affermare la storicità dello strapparsi del velo del santuario, oppure del terremoto, oppure dell'apparizione dei morti risuscitati, tutti narrati in relazione alla morte di Gesù, è come negare la guida Divina o l'ispirazione dei resoconti dei vangeli. Paradossalmente, questo giudizio sminuisce lo stesso potere di Dio che si cerca di proteggere: se gli esseri umani poterono dare un'esposizione ricca di significato della morte di Gesù, in un linguaggio e in un genere letterario diverso della storia, su che basi può uno negare la libertà di Dio di fornire una guida ispirata a queste espressioni?". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 2, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 5, 10, 1038, 1099, 1101-1102, 1134-1136; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 939; Articolo dedicato).
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  251. 1 Corinzi 15,3-4
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  267. Gianfranco Ravasi, I Vangeli del Dio risorto, Edizioni Paoline, 1995
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  269. Raymond Brown, The Death of the Messiah, Garden City, 1994, p. 1240-1241
  270. AA.VV., Nuovo commentario biblico. I Vangeli, Borla, 2005, p. 866
  271. Gianfranco Ravasi, I Vangeli del Dio risorto, San Paolo, 1995.
  272. Jacek Oniszczuk, Incontri con il Risorto in Giovanni, Grigorian Biblical Press, 2013, p. 30
  273. 273,0 273,1 Antonio Lombatti, Inchiesta sulla Bibbia, p. 226-228
  274. Questo anche per evitare che la tomba potesse diventare meta di pellegrinaggi da parte di eventuali seguaci del condannato.
  275. Ma ve ne sono molteplici in senso opposto, sulla spietata crudeltà dei Romani in merito ai crocifissi, ad esempio in Orazio (Satire ed epistole), Giovenale (Satire), Artemidoro da Efeso, Petronio (Satyricon).
  276. 276,0 276,1 Bart Ehrman, Jesus apocalyptic prophet of the new millennium, Oxford University Press, 1999, pp. 224-225,229-232.
  277. Bart Ehrman, E Gesù diventò Dio, Nessun Dogma Editore, 2017, pp. 132-143.
  278. John Dominic Crossan, Gesù una bibliografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, pp. 156-159,188-194,196.
  279. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 160-176,187-188.
  280. Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, p. 179, 1976
  281. Bart Ehrman, E Gesù diventò Dio, Nessun Dogma Editore, 2017, p. 135
  282. Vedi Deuteronomio 21:22-23.
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  286. Karl Adam, Gesù il Cristo, Morcelliana, 1995
  287. Anche durante l'assedio e la distruzione di Gerusalemme, nel 70 e.v., Flavio Giuseppe annota come gli ebrei venissero "crocifissi di fronte alle mura" e "ogni giorno erano cinquecento, e talvolta anche di più [...] e tale era il loro numero che mancavano lo spazio per le croci e le croci per le vittime".
  288. John Dominic Crossan, Gesù una bibliografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, pp. 156-159.
  289. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 167-168, 188.
  290. Atti 13,27-30.
  291. (EN) Bible Hub, su biblehub.com. URL consultato il 5 ottobre 2021.
  292. Carlo Maria Martini, Il problema storico della risurrezione negli studi recenti, Università Gregoriana Editrice, Roma, 1980.
  293. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 172.
  294. Bart Ehrman, E Gesù diventò Dio, Nessun Dogma Editore, 2017, pp. 133-136.
  295. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, p.173.
  296. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 146.
  297. L'impurità di sette giorni è richiamata ad esempio in Numeri 19,11;31,19.
  298. Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua (Giovanni 18,28).
  299. John J. Donahue, Daniel J. Harrington, The Gospel of Mark, The Liturgical Press, 2002.
  300. 300,0 300,1 Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 287, 290.
  301. 301,0 301,1 John Dominic Crossan, Gesù una bibliografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, pp. 188-194,196.
  302. Secondo diversi studiosi, gli Ebrei non usavano fosse comuni ma sepolture singole anche per i condannati a morte. Per approfondimento e riferimenti si veda più sotto.
  303. Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 138-159, 293.
  304. Bart Ehrman, E Gesù diventò Dio, Nessun Dogma Editore, 2017, pp. 133-135.
  305. Raymond Brown, 101 Questions and Answers on the Bible, Paulist Press, 1990
  306. John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 172-176, 209.
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  308. Raymond Brown, La morte del Messia, Queriniana, 1999.
  309. John W. Pryor, Jesus Reburied? Wipf & Stock, 2013, p. 108.
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  314. Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 18:63-64.
  315. Giovanni 11:48.
  316. Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo risorto, Centro Poligrafico Romano, 1988.
  317. Bruno Forte, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia, San Paolo, 1994.
  318. Il Risorto: la testimonianza delle donne.
  319. Giovanni 1:4.