Il buddhismo cinese/Le biografie/Dàoxìn

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Indice del libro
Immagine del IV patriarca Chán, Dàoxìn (道信, 580 - 651), successore di Sēngcàn (僧璨, ?-606).
« Dàoxìn disse: "Vi prego maestro, abbiate pietà, indicatemi la porta del Dharma che conduce alla liberazione".
Sēngcàn gli domandò: "Chi ti tiene legato?"
Dàoxìn rispose: "Nessuno mi tiene legato".
Sēngcàn chiese: "Perché, dunque, cerchi la liberazione?" »
(Denkō roku, 伝光録[1])


Dàoxìn (僧璨, anche: Tao-hsin. In giapponese: Dōshin; Honan, 580 – 651) è stato un monaco buddhista cinese, IV patriarca della scuola Chán.

La vita[modifica]

Dàoxìn è il quarto patriarca (cin. 祖 ) della scuola Buddhismo cinese|buddhista cinese Chán (禪宗) secondo un documento datato al 689 [2] denominato "Epitaffio di Fǎrù" (法如, o Fa-ju). In questo "epitaffio", collocato nei pressi del monastero Shàolín-sì|Shàolín (少林寺, Shàolín-sì), viene indicato il fondatore di questa scuole in Bodhidharma, seguito da altri cinque nomi: Huìkě (慧可, 487-593), Sēngcàn (僧璨, ?-606), Dàoxìn (道信, 580 - 651), Hóngrěn (弘忍, 601 - 674) e Fǎrù (法如, 638-689).

Dei patriarchi di scuola Chán, Dàoxìn è il primo di cui si riconosce la storicità.

La tradizione narra che entrò come sramanera|novizio a sette anni in un monastero dove studiò il vinaya e le dottrine Sānlùn (三論宗) per poi recarsi nel tempio di Dōnglín (東林), sul Monte Lu, dove studiò sotto Zhìkǎi (智鎧, 533-610), maestro di scuola Tiāntái (天台宗) già allievo di Zhìyǐ (智顗, 538-597).

Incontrò quindi il III patriarca Chán Sēngcàn che lo illuminò alle dottrine del Laṅkāvatāra sūtra invitandolo a diffonderle nel monastero di Dōnglín unitamente alla pratica meditativa dello zuòchán (坐禅).

Successivamente si recò sul Monte Dòngshān (東山, Picco o Monte orientale)[3] dove fondò una comunità di cinquecento monaci autarchica e dedita al lavoro. Da notare che, a differenza degli altri monasteri buddhisti i quali seguivano tutti le regole indicate dal vinaya, e quindi si limitavano allo studio e alla pratica meditativa vivendo di elemosine, la comunità monastica buddhista fondata da Dàoxìn non rispettava questa tradizione di adesione integrale al vinaya basando la propria sussistenza economica sul lavoro dei campi eseguito direttamente dai monaci durante il giorno, consegnando la pratica meditativa prevalentemente alle ore notturne.

La tradizione narra che Dàoxìn incontrò il suo successore Hóngrěn quando questi era ancora un adolescente, e dopo averlo iniziato al Chán gli chiese che gli costruisse una mausoleo sul Monte Dòngshān terminato il quale vi si ritirò entrando nel qiānhuà (遷化 ovvero nella trasformazione, nella morte) mentre sedeva nello zuòchán

Nel Jǐngdé zhuàndēng lù (景德傳燈錄, giapp. Keitoku dentō roku, Raccolta della Trasmissione della Lampada, T.D. 2076.51.196-467), redatto nel 1004 da Daoyuan (道原, n.d.), si racconta che nel 624 Dàoxìn incontrò sul monte Niútóu (牛頭山 Niútóu-shān, Monte della Testa di bufalo) Fǎróng (法融, 594-657), un monaco eremita, consegnando anche a lui la trasmissione Chán. Fǎróng fonderà quindi la scuola Chán detta della "Testa di bufalo" (Niútóu zōng 牛頭宗, anche 牛頭禅 Niútóu Chàn) che tuttavia verrà distrutta nella Storia del Buddhismo cinese|persecuzione anti-buddhista dell'845.

La dottrina Chán di Dàoxìn[modifica]

Nel Chuánfǎbǎojì (傳法寶紀 T.D. 2838.85.1291), testo rinvenuto nelle Grotte di Mogao, vengono riportate alcune indicazioni di Dàoxìn rispetto alle tecniche meditative in cui egli avrebbe sostenuto:

« Sta' seduto in meditazione con sforzo zelante! Lo star seduti in meditazione è il fondamento... Chiudi la porta e sta' seduto! Non leggere Sutra, non parlare con gli uomini. Se tu pratichi così e ti sforzi per molto tempo, allora il frutto è dolce, come per la scimmia che prende il gheriglio dal guscio. Di costoro ne esistono poche »

mentre nel Rùdào ānxīn yào fāngbiàn fǎmén (入道安心要方便法門, Il riposo della mente che entra nella Via), un testo sempre a lui attribuito e rinvenuto delle Grotte di Mogao, Dàoxìn sostiene:

« La mente che 'pensa al Buddha' (念佛, niànfó) è il Buddha »

quindi Dàoxìn, pur citando Zhìyǐ e riprendendo la critica della pratica unilaterale dell'esegeta dello zhǐguān (止觀) quando riporta:

« La mente che pratica la 'concentrazione' (止) sprofonda; la mente esperta nel discernimento (觀) si disperde »

brano che ricorda infatti il Tóngméng Zhǐguān (童蒙止觀, T.D. 1915) di Zhìyǐ dove viene affermato che:

« Praticare la concentrazione soltanto senza tenere in considerazione il discernimento produce ottusità, praticare il discernimento senza tenere in considerazione la concentrazione produce infatuazione, e anche se questi sono difetti relativamente minori, contribuiscono a generare opinioni errate »

Dàoxìn esprime tuttavia anche temi tipicamente cittamātra del Laṅkāvatāra sūtra semplificati in un approccio concreto e radicale alla pratica meditativa personale:

« Basta abbandonarsi al correre delle cose. Senza cacciare i pensieri e senza tenerli, la mente da sola è purezza e infine da essa emerge la chiarezza e la purezza naturali »

Una differenza di accenti con il Tiāntái di Zhìyǐ su dottrine e pratiche, soprattutto sulla critica alle scritture, rilanciando il primato della meditazione, che porta oggi gli studiosi statunitensi Richard H. Robinson e Williard L. Johnson [4] a sostenere:

« il punto di forza del sistema Tiantai, ovvero la sua globalità, era anche la sua debolezza, in quanto chiedeva ai suoi seguaci di effondere le proprie energie nello sforzo di conoscere profondamente tutte le aree della dottrina e della pratica. Questa potrebbe essere una delle ragioni per cui, nel VII secolo, molti monaci Tiantai passarono alle nuove scuole Chan in via di sviluppo »

Note[modifica]

  1. Il Denkō roku 伝光録 (più correttamente 瑩山和尚伝光録 Keizan ōshō Denkō roku, "Raccolta del monaco Keizan sulla trasmissione della luce") è una raccolta di episodi riguardanti la vita dei patriarchi della scuola Sōtō Zen redatta dal monaco buddhista giapponese Keizan Jōkin (1268 – 1325).
  2. Tadeusz Skorupski e Ulrich Pagel. The Buddhist Forum: Seminar Papers School of Oriental and African Studies, University of London, Pubblicato da Routledge, 1990, pag. 89
  3. Il nome di questo Monte lo si deve alla montagna Shuāngfēng (雙峰, Vette gemelle, situato nella parte orientale della provincia di Hubei) di cui rappresenta il Picco orientale.
  4. in: The Buddhist Religion - A Historical Introduction, Wadsworth Publishing Company, USA, 1997

Bibliografia[modifica]

  • Mauricio Y. Marassi. Il Buddismo Māhāyana attraverso i luoghi, i tempi e le culture. La Cina. Genova, Marietti, 2009 ISBN 978-88211-6533-7
  • Leonardo Arena. Storia del Buddhismo Ch'an. Milano, Mondadori, 1992. ISBN 88-04-35663-4