Il buddhismo mahāyāna/Sūtra "mahāyāna"/Il Sutra del Loto
Il Sutra del Loto o meglio Sutra del Loto della Buona Dottrina — sanscrito Saddharmapuṇḍarīka-sūtra (सद्धर्मपुण्डरीकसूत्र); lingua cinese Miàofǎ Liánhuā Jīng (妙法蓮華經); giapponese Myōhō Renge Kyō 妙法蓮華經; coreano Myobeomnyeonhwagyeong (묘법연화경), tibetano Dam-pa'i chos padma-dkar-po'i mdo vietnamita Diệu pháp liên hoa kinh — è uno dei testi più importanti nell'enorme corpus della letteratura del buddhismo mahāyāna contenuto nel Canone cinese (sezione del Fǎhuābù) e nel Canone tibetano (sezione mDo-sde del Kanjur), ed è il fondamento delle scuole buddhiste Tiāntái (in Cina), Tendai e Nichiren (in Giappone). Il Sutra del Loto è anche generalmente abbreviato in Fǎhuā Jīng (法華經) in cinese, Hokkekyō 法華経 in giapponese e Beophwagyeong (법화경) in coreano.
Storia
[modifica | modifica sorgente]Secondo alcuni filologi il Sutra del Loto fu probabilmente composto nella sua forma definitiva tra il I e il II d.C. in Kashmir o forse nel Gandhara o ancora nei pressi di Kāpīsā (odierna Begram in Afghanistan), territori allora inseriti nell'Impero Kushan. Alcune parti del testo sembrerebbero posteriori e potrebbero essere state aggiunte a più riprese fino al VI secolo in Cina[1]. Altre parti, segnatamente i capitoli I, XIX,e XVII, sembrerebbero risultare più antichi, anche precedenti alla nostra era. Comunque sia, secondo alcuni recenti studi, sembrerebbe che il Sutra del Loto abbia subìto almeno quattro rimaneggiamenti, il nucleo originario dell'opera sarebbe quello in versi a cui sono stati aggiunti delle prose, poi ancora altri versi e infine le relative prose[2].
Per alcune tradizioni Mahāyāna il Sutra del Loto riporterebbe alcuni insegnamenti profondi del Buddha Śākyamuni trasmessi solo ad alcuni discepoli, e tale affermazione è presente nello stesso sutra. Secondo una leggenda, sempre Mahāyāna, i suoi contenuti, di un livello superiore rispetto agli Āgama-Nikāya delle scuole del Buddhismo dei Nikāya, non potevano essere compresi al tempo del Buddha Śākyamuni, perciò esso fu custodito per cinquecento anni nel regno dei Nāga, e quindi reintrodotto nel mondo di sahā (sanscrito, cinese 娑婆 suōpó, giapp. shaba), il nostro mondo, nei primi secoli della nostra era.
Alcuni indianisti rilevano che la composizione del Sutra del Loto muove da testi anteriori come il Mahābherihakaparivartāsūtra (Sutra della messa in moto della collana di gioielli del Gran Tamburo, tradotto da Guṇabhadra in lingua cinese con il titolo di 大法鼓經 Dàfǎgǔjīng, giapp. Daihōkokyō) oppure l'Avinivartanī-cakra-sūtra[3].
Composizione e Traduzione
[modifica | modifica sorgente]Secondo uno dei traduttori in lingua occidentale, Burton Watson, il Sutra del Loto è stato inizialmente scritto in un dialetto del medio indiano, e poi tradotto in sanscrito sotto l'Impero Kushan per dargli maggiore dignità letteraria[4]. Questo sutra è molto noto per essere focalizzato, tra l'altro, sui "mezzi abili" (sanscrito उपाय upāya, cinese 方便 pinyin fāngbiàn, giapponese hōben, tibetano thabs) principalmente in forma di parabole, e per essere il primo sutra ad utilizzare il termine Mahāyāna, o Grande Veicolo[5].
In Cina il Sutra del Loto fu tradotto diciassette volte, di cui sei in versione integrale. Di queste traduzioni ne sono giunte a noi solo tre, tutte inserite nella sezione Fǎhuābù del Canone cinese.
- La prima risale al 290 ad opera di Dharmarakṣa (223-300) con il titolo Zhèng fǎhuā jīng (正法華經, giapp. Shō hokke kyō, T.D. 263, 9.63-133).
- La seconda, la più diffusa in assoluto sia in Cina che in Giappone, è una traduzione in sette fascicoli di Kumārajīva (344-413) compiuta nel 406 con il titolo Miàofǎ Liánhuā Jīng (妙法蓮華經, giapp. Myōhō Renge Kyō, T.D. 262, 9.1c-62b).
- La terza, che risulta parziale, fu compiuta nel 601 da Jñānagupta (闍那崛多, Shénàjuéduō, 523-605) e Dharmagupta (達摩笈多, Dámójíduō?-619) con il titolo Tiānpǐn miào fǎliánhuā jīng (添品妙法蓮華經, giapp. Tenbon myōhō renge kyō, T.D. 264). Quest'ultima traduzione in cinese si rifà a quella di Kumārajīva ma viene per l'appunto denominata Tiānpǐn (添品, capitolo aggiunto) in quanto presenta il capitolo Devadatta (XII capitolo) che non compare nella traduzione di Kumārajīva.
Secondo alcune antiche tradizioni del Buddhismo cinese e del Buddhismo giapponese[6], il Sutra del Loto avrebbe un prologo e un epilogo, cioè il Sutra dell'Infinito Significato (無量義經, pinyin: Wúliángyì jīng, giapp.: Muryōgi Kyō, T.D. 276, 9.383b-389b) e il Sutra della Meditazione del Bodhisattva Samantabhadra (觀普賢菩薩行法經, pinyin: Guān pǔxiánpúsà xíngfǎ jīng o anche Pǔxián jīng, giapp. Kan fugenbosatsu gyōhō kyō o anche Fugen Kyō, T.D. 277, 10.389-394).
Alcune tarde versioni sanscrite del Sutra del Loto sono state rinvenute agli inizi dello scorso secolo a Gilgit (in Pakistan, è una versione del VI secolo), in Nepal (versione del XII secolo) e nel Tibet ma, secondo Francesco Sferra:
Sempre nell'area dell'Asia centrale è stata rinvenuta una versione più antica, riportata in khotanese, che risulta essere vicina alla versione originale tradotta in lingua cinese da Kumārajīva[7].
Il Sutra del Loto venne tradotto in tibetano nel IX secolo dal monaco indiano Surendra e dal monaco tibetano Yeshe De con il titolo Dam-pa'i chos padma-dkar-po'i mdo, tale traduzione, che concorda con le tarde versioni sanscrite dei manoscritti rinvenuti in Nepal, è inserita nel Canone tibetano.
Commentari sul Sutra del Loto
[modifica | modifica sorgente]Tra i numerosi antichi commentari che autori mahāyāna hanno redatto sul Sutra del Loto, vanno ricordati:
- Saddharmapuṇḍarīka-sūtra-upadeśa (妙法蓮華經憂波提舍 pinyin: Miào fǎ liánhuā jīng yōupōtíshè, giapp. Myōhō renge kyō ubadaisha, T.D. 1519 e 1520), opera di Vasubandhu (IV secolo d.C.), autore indiano di scuola Cittamātra, tradotta da Bodhiruci (?-527) e Tánlín (曇林, ?-?).
- Miàofǎliánhuājīng shū (妙法蓮華經疏, Commentario del Sutra del Loto) opera di Dàoshēng (道生, 355-434) discepolo cinese di Kumārajīva.
- Miàofǎliánhuājīng wénjù (妙法蓮華經文句, anche Fǎhuā wénjù, Parole del Sutra del Loto, giapp. Myōhōrengekyō mongu, T.D. 1718) opera di Zhìyǐ (智顗, 538-597), autore cinese di scuola Tiāntái.
- Miàofǎ liánhuā jīngxuán yì (妙法蓮華經玄義, anche Fǎhuā xuányì, Il profondo significato del Sutra del Loto della Legge meravigliosa, giapp. Myōhō renge kyōgen gi, T.D. 1716, 33.618-815) di Zhìyǐ.
- Fǎhuā xuányì shìqiān (法華玄義釋籤, Commentario sul Fǎhuā xuányì di Zhìyǐ, giapp. Hokkegengi shakusen, T.D. 1717) opera di Zhànrán (湛然, 711-782), autore cinese di scuola Tiāntái.
- Fǎhuā yóuyì (法華遊意, Riflessioni sul Sutra del Loto, giapp. Hōke yui) opera di Jízàng (吉藏, 549-623), autore cinese di scuola Sānlùn.
Dottrina
[modifica | modifica sorgente]Esporre la dottrina veicolata dal Sutra del Loto è compito arduo. Fin dalla sua prima apparizione il Sutra del Loto ha svolto più funzioni. Nel corso dei secoli ha veicolato delle credenze importanti per le comunità buddhiste dell'Asia centrale e, soprattutto, dell'Estremo Oriente.
Nel Mahāprājñāpāramitôpadeśa (anche Mahāprajñāpāramitāśāstra), testo attribuito a Nāgārjuna (II-III secolo d.C.) e tradotto dal sanscrito al cinese da Kumārajīva nel V secolo d.C.[8], si sostiene che tale sutra è superiore ai Prajñāpāramitā sūtra in quanto proclama che anche i seguaci dello Hīnayāna possono raggiungere l'anuttarā-samyak-saṃbodhi (la suprema bodhi). Alle medesime conclusioni giungono anche il Saddharmapuṇḍarīka-sūtra-upadeśa di Vasubandhu (IV secolo d.C.) e il Mahāyānāvatāra di Sthiramati (o Sāramati, IV secolo)[9].
In Cina, è il sutra fondamentale della scuola Tiāntái (天台宗), dove lo stesso fondatore, Zhìyǐ (智顗, 538-597), ha prodotto al riguardo di questo sutra più opere esegetiche. In Giappone, riveste questo ruolo nelle scuole del Buddhismo Tendai e del Buddhismo Nichiren. Lo stesso Dōgen Zenji (道元禅師, 1200-1253), fondatore giapponese della scuola Zen Sōtō (曹洞宗 Sōtō-shū) ebbe a dichiarare nella sua opera fondamentale, lo Shōbōgenzō:
Lo stesso monaco Zen italiano e fondatore del monastero Fuden-ji, Fausto Taiten Guareschi affermò, alcuni anni fa, che:
Gli studiosi contemporanei si sono prodigati in molteplici analisi testuali per spiegare il grande successo rivestito in Oriente da questo sutra. Gene Reeves rileva come, a differenza dei trattati dottrinali, le 'storie' rappresentate nel Sutra del Loto
E, ancora più avanti, sempre Reeves:
Quindi il Sutra del Loto sarebbe un compendio di insegnamenti espresso per mezzo di storie fantastiche tese non solo a comunicare una serie di dottrine, quanto piuttosto a 'rivelare' al lettore una diversa interpretazione del mondo. È evidente che nel Sutra del Loto ci siano dei continui richiami polemici contro le scuole dello Śrāvakayāna (o Hinayāna) ma è altrettanto evidente che, a differenza di altri sutra Mahāyāna successivi, secondo questo sutra anche gli śrāvaka (聲聞 cin. shēngwèn, giapp. shōmon) e i pratyekabuddha (緣覺 cin. yuánjué, giapp. engaku), ovvero i seguaci del Buddhismo dei Nikāya, raggiungeranno il pieno "risveglio" (anuttarā-samyak-saṃbodhi, cinese 無上菩提 wúshàng pútí, giapponese mujō bodai), la piena "buddhità", in quanto stanno già operando come dei Buddha. Ciò avviene per una concezione radicalmente olistica (olismo) e omnicentrica della realtà richiamata costantemente in tutto il Sutra.
Tradizionalmente sono due i capitoli considerati centrali in questo sutra: il capitolo II, l'Upāyakauśalya, e il capitolo XVI (XV nella versione sanscrita) il Tathāgatasupramana, che peraltro risultano tra le parti più antiche dello stesso sutra.
Nel capitolo II, il Buddha Śākyamuni dichiara a Śāriputra che la profonda dottrina dei Buddha può essere compresa solo dai Buddha. Che per insegnare tale dottrina i Buddha si avvalgono quindi di mezzi abili (upāya) e che tali mezzi si esplicitano in più vie di salvezza (che comprendono quelle degli śrāvaka, dei pratyekabuddha e dei bodhisattva), ma che la via rimane sempre una ed è il Buddhaekayāna (il veicolo unico del Buddha). Dietro l'insistenza di Śāriputra il Buddha espone il Dharma descrivendo semplicemente la realtà per come essa è (attraverso le sue dieci 'talità', sans. tathātā)[13]. La via da percorrere, la via dei Buddha, per il II capitolo del Sutra del Loto non offre quindi verità segrete ma la realtà semplicemente come essa è e che va accettata e compresa durante la propria vita, senza ricorrere ad opinioni (sanscrito dṛṣṭi,) peraltro già criticate dal Buddha Śākyamuni negli Āgama-Nikāya. Secondo le scuole sino-giapponesi che fanno riferimento a questo Sutra, ciò significa imparare ad incrociare la propria esistenza (Realtà convenzionale di essere sofferente) con la Realtà assoluta (che di per sé contiene ogni cosa, compresa la sofferenza, ed è per questo inesprimibile). Solo per mezzo di questo incontro, che si realizza con le pratiche meditative (lo zhǐguān/shikan, 止觀, delle scuole Tiāntái e Tendai) o la recitazione del daimoku (il Nam myōhō renge kyō, 南無妙法蓮華経, per il Buddhismo Nichiren), si può raggiungere la "Verità ultima" la quale, essendo "ultima", deve necessariamente comprendere sia la "Verità assoluta" che quella "convenzionale" (individuale e mondana).
Nel capitolo XVI il Buddha Śākyamuni dichiara che egli non è morto ma, come Tathāgata (manifestazione del Buddha), è sempre esistito e sempre esisterà. Questo insegnamento sul Buddha eterno è un richiamo all'olismo radicale proprio del Buddhismo Mahāyāna, dove la soggettività (propria della "Verità convenzionale") acquisisce un diverso significato quando incontra l'insegnamento della vacuità (śunyātā, proprio della "Verità assoluta"). Tutti gli esseri hanno la natura di Buddha (buddha-dhātu o buddhatā o tathāgatagarbha) e operano per "realizzare" questa natura, e tutti la "realizzeranno" (capitolo XX del Sutra del Loto). Il Buddha è quindi sempre esistito e sempre esisterà.
In conclusione, secondo Gene Reeves[14]:
Struttura del Sutra
[modifica | modifica sorgente]Il Sutra del Loto comprende ventisette capitoli nelle versioni sanscrite e tibetane, che diventano ventotto nella versione cinese di Kumārajīva riveduta da Jñānagupta e Dharmagupta.
L'ordine dei ventotto capitoli secondo la versione in lingua cinese
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La suddivisione del Sutra del Loto nella tradizione del Canone buddhista cinese
[modifica | modifica sorgente]Nella tradizione del Buddhismo che fa riferimento al Canone buddhista cinese, ovvero nelle scuole buddhiste cinesi, coreane, giapponesi e vietnamite, questo sutra viene diviso in due parti[15]:
- la prima, denominata in cinese 迹門 jī mén, in coreano 적문 jeok mun o chŏk mun, in giapponese shaku mon, in vietnamita tích môn, riguarda i primi 14 capitoli del sutra dove il Buddha Śākyamuni si esprime nella sua forma apparente, vincolato ai limiti spaziali e temporali;
- la seconda, denominata in cinese 本門 běnmén, in coreano 본문 bommun o pommun, in giapponese honmon, in vietnamita bổn môn, riguarda i secondi 14 capitoli del sutra, dove il Buddha Śākyamuni si rivela invece come espressione del Buddha eterno (o Buddha originario[16]), ovvero esprime la sua natura originaria al di là del tempo e dello spazio.
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A queste due parti, il monaco buddhista giapponese del XIII secolo, fondatore dell'omonima scuola, Nichiren, aggiunse una terza composta a partire dal X capitolo fino al XXII capitolo compresi denominandola daisan hōmon (terza sfera dell'insegnamento di Śākyamuni) dove, a detta di Nichiren, si conservano gli insegnamenti per resistere alle prove della vita praticando la vera Dottrina[17].
L'ordine dei ventisette capitoli nella versione in lingua sanscrita
[modifica | modifica sorgente]- nidānaparivartaḥ
- upāyakauśalyaparivartaḥ
- aupamyaparivartaḥ
- adhimuktiparivartaḥ
- oṣadhīparivartaḥ
- vyākaraṇaparivartaḥ
- pūrvayogaparivartaḥ
- pañcabhikṣuśatavyākaraṇaparivartaḥ
- ānandādivyākaraṇaparivartaḥ
- dharmabhāṇakaparivartaḥ
- stūpasaṁdarśanaparivartaḥ
- utsāhaparivartaḥ
- sukhavihāraparivartaḥ
- bodhisattvapṛthivīvirasamudgamaparivartaḥ
- tathāgatāyuṣpramāṇaparivartaḥ
- puṇyaparyāyaparivartaḥ
- anumodanāpuṇyanirdeśaparivartaḥ
- dharmabhāṇakānuśaṁsāparivartaḥ
- sadāparibhūtaparivartaḥ
- tathāgataddharyabhisaṁskāraparivartaḥ
- dhāraṇīparivartaḥ
- bhaiṣajyarājapūrvayogaparivartaḥ
- gadgadasvaraparivartaḥ
- samantamukhaparivartaḥ
- śubhavyūharājapūrvayogaparivartaḥ
- samantabhadrotsāhanaparivartaḥ
- anuparīndanāparivartaḥ
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Così Yoshiro Tamura: «Si ritiene che il Sutra del Loto sia stato ultimato nella sua forma attuale tra il 50 e il 150 d.C. Comunque, il capitolo XII, "Devadatta", fu probabilmente aggiunto ai tempi di Chih-i (538-597), il grande patriarca della scuola buddhista T'ien-t'ai». In: Maria Immacolata Macioti (a cura di). Sutra del Loto, Un invito alla lettura. Milano, Guerini Studio, 2001, pag. 38.
- ↑ Francesco Sferra in Sutra del Loto. Milano, Rizzoli, 2001, pag. 17-8.
- ↑ Cfr., ad esempio, Mario Piantelli. Op.cit..
- ↑ Così Burton Watson: «Non siamo in grado di sapere né quando né dove sia stato scritto, né in quale lingua. Probabilmente fu composto dapprima in qualche dialetto indiano o dell'Asia centrale e in seguito tradotto in sanscrito per conferirgli maggiore dignità». In: Sutra del Loto. Milano, Esperia, 1998, pag. III.
- ↑ Il filologo Seishi Karashima, in Some Features of the Language of the Saddharma-puṇḍarīka-sūtra, Indo-Iranian Journal 44: 207-230, 2001, sostiene tuttavia che il termine mahāyāna lì riportato sia una errata resa successiva in sanscrito del termine gāndhārī mahājāna a sua volta resa del sanscrito mahājñāna (grande conoscenza). Quando il termine in lingua gāndhārī fu reso in sanscrito, per errore e forse condizionati dalla dottrina degli yāna (veicoli) riportata nella "parabola della casa in fiamme" inserita nel III capitolo del Sutra del Loto, fu reso come mahāyāna.
- ↑ Così Yoshiro Tamura: «Since ancient times the Sutra of Innumerable Meanings, the Sutra of the Lotus Flower of the Wonderful Law, and the Sutra of Meditation on the Bodhisattva Universal Virtue have been know collection in China and Japan as Threefold Lotus Sutra». In:The Threefold Lotus Sutra. Tokyo, Kosei, 1998, pag. XIII.
- ↑ Mario Piantelli, in Buddhismo (a cura di Giovanni Filoramo). Bari, Laterza, 2007, pag.110
- ↑ Il titolo cinese è 大智度論 (Dàzhìdùlùn, giapp. Daichidoron) e si trova al T.D. 1509.25.57c-756b.
- ↑ Conservato nel Canone cinese con il nome di 入大乘論 (Rùdàshénglùn, giapp. Nyūdaijōron) al T.D. 1634.
- ↑ Tokyo, Nakayama Shobo, 1983, 4, p.40
- ↑ Zen notiziario, 1998, 5, 2, 4
- ↑ In Dharma, 2002, 3, 9, 28-49.
- ↑ Da notare che il Buddha Śākyamuni non espone la dottrina delle Quattro nobili verità che è a fondamento invece delle scuole del Buddhismo dei Nikāya, dottrina considerata in questo sutra come hinayāna; cfr., tra gli altri, John Ross Carter. Quattro nobili verità-Interpretazioni del Mahāyāna. In Encyclopedia of Religion vol.5. NY, MacMillan, 2004, pagg. 3179 e segg.
- ↑ Op.cit.
- ↑ La suddivisione del Sutra del Loto prende il nome in: cinese 本迹二門 běnjī èrmén; in lingua coreano 본적이문 bonjeok imun o ponjŏk imun; in giapponese honjaku nimon, in vietnamita bản tích nhị môn.
- ↑ In cinese 本佛 běn fó, in giapponese hon butsu, in coreano 본불 bon bul o pon pul, in vietnamita bản phật.
- ↑ Yoshiro Tamura Gli insegnamenti del Sutra del Loto in Maria Immacolata Macioti (a cura di) Il Sutra del Loto- un invito alla lettura. Milano, Guerini Studio, 2001, pag.42.