Indagine Post Mortem/Capitolo 1
Capitolo 1: I primi cristiani e il Gesù risorto
[modifica | modifica sorgente]Introduzione
[modifica | modifica sorgente]In questo Capitolo esaminerò se ci furono persone nella Palestina della metà del I secolo che affermavano di aver visto Gesù risorto.
Per cominciare, è riconosciuto da quasi tutti gli storici che Gesù di Nazareth fu crocifisso nel 30 circa, come attestato da fonti cristiane e non cristiane del I e II secolo (cfr. Introduzione). Come verrà spiegato in seguito, le prove indicano che i contenuti di quei passi neotestamentari che menzionavano la risurrezione di Gesù e numerosi "testimoni oculari"[1] inclusi individui e gruppi di persone, furono proclamati nel I secolo. Questi includono passaggi nei Quattro Vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), Atti e le lettere di Paolo. In particolare, le indiscusse lettere di Paolo (Romani, 1 e 2 Corinzi, Galati, Filippesi, 1 Tessalonicesi, Filemone) furono scritte dal 50 al 62, circa 20-32 anni dopo la morte di Gesù, e riflettono le credenze dei primi cristiani dal 30 al 62 (Hurtado 2003, pp. 85-86). Senza dubbio alcuni di questi cristiani avevano conosciuto personalmente la figura storica di Gesù. 1 Corinzi 15:3-11, che elenca un certo numero di questi "testimoni oculari", è stato scritto nel 55 circa. Riporta quanto segue (Nuova Diodati + versione latina):
Questo brano sostiene le apparizioni post mortem di Gesù sia a individui (Cefa [cioè Pietro], Giacomo il fratello di Gesù e Paolo) sia a gruppi come i "Dodici", i "più di cinquecento fratelli" e gli altri apostoli in 1 Corinzi 15:7, che è un gruppo diverso dai Dodici menzionati in 1 Corinzi 15:5 (Dunn 2003, p. 856, n. 136, cfr. 1 Corinzi 9:1, 5-6 [menziona Barnaba]; Rom. 16:7 [menziona Andronico e Giunia]). Le apparizioni iniziarono in un brevissimo periodo di tempo dopo la crocifissione di Gesù, come implica il motivo del terzo giorno che è più volte attestato (Licona 2010, pp. 325-329: "Dopo tre giorni" Matteo 27:63; Marco 8:31;9:31;10:34; "Tre giorni e tre notti" Matteo 12:40; "In tre giorni" Giovanni 2:19-20; "Il terzo giorno" Matteo 16:21;17:23;20:19;27:64; Luca 9:22;24:7,46; Atti 10:40; "Il terzo giorno": 1 Corinzi 15:4; Luca 18:33; "Questo è il terzo giorno" [da quando avvenne la crocifissione]: Luca 24:21). Un'interpretazione teologica di questo motivo non esclude una base storica, sostenuta da Bruce (1977, p. 93):
È stato obiettato che l'elenco dei presunti testimoni oculari della risurrezione di Gesù in 1 Corinzi 15:3-11 potrebbe essere stato interpolato in 1 Corinzi da qualcun altro dopo che la lettera fu scritta. Altri hanno obiettato che, anche se l'elenco dei presunti testimoni oculari fosse stato scritto da Paolo a metà del I secolo, potrebbe essere che alcuni (se non tutti) dei dettagli (ad esempio riguardanti i "più di cinquecento fratelli") fossero errori che ebbero origine da lui o da altri che gli avevano trasmesso le informazioni. Affronterò queste obiezioni a turno.
1 Corinzi 15:3-11 è un'interpolazione successiva?
[modifica | modifica sorgente]La prima obiezione è stata sollevata da Robert Price (2005), il quale afferma che 1 Corinzi 15:3-11 contiene un'interpolazione successiva.[2] Egli sostiene che le polemiche giacobino-petrine riflesse nei versetti 3-11 sono o estranee a Paolo o per lui anacronistiche[3] e sostiene che questa polemica appartiene a polemiche del periodo successivo nel Vangelo degli Ebrei, nella Lettera di Pietro a Giacomo e in Luca-Atti (Price 2005, p. 93). Price osserva che alcuni testimoni testuali (Marcione, b, e Ambrosiaster) difettano di "ciò che ho anch'io ricevuto" nel versetto 3a, e suggerisce che gli scribi li abbiano omessi dall'originale per armonizzare 1 Corinzi con Galati, o li abbiano aggiunti all'originale per subordinare Paolo ai Dodici (ibid.). Afferma inoltre che i versetti 3-11 non si adattano bene al contesto di 1 Corinzi 15, sostenendo che poiché i Corinzi avevano già creduto nella risurrezione di Gesù (v. 11, 17), dare testimonianza della risurrezione è fuori luogo (p. 96).
Le argomentazioni di Price sulle polemiche giacobino-petrine riflesse nei versetti 3-11 sono estremamente speculative.[4] Come notato nella mia Introduzione, è possibile tracciare paralleli letterari usando interpretazioni speculative con quasi tutto.
Marcione (seguito da b e Ambrosiaster) avrebbe potuto omettere "ciò che ho anch'io ricevuto" nel versetto 3a a causa della sua elevata visione di Paolo. Altri studiosi hanno dimostrato che, contrariamente a Price, le affermazioni in 1 Corinzi 15:1-11 non sono in conflitto con l'affermazione di Paolo in Galati 1:11-12 secondo cui il vangelo da lui proclamato non fu ricevuto da una fonte umana né insegnato, ma fu ricevuto mediante una rivelazione di Gesù Cristo. Il motivo è che Galati 1:11-12 può essere inteso riferito a come Paolo inizialmente ricevette il vangelo, cioè tramite la rivelazione diretta di Gesù. Ciò non impedisce che altri cristiani gli parlino successivamente di una tradizione evangelica che in seguito egli trasmise alla chiesa di Corinto. Price (2005, p. 74) obietta affermando che Galati 1:12 ("Paolo dice che ciò che predicava non gli era stato insegnato da predecessori umani") contraddice 1 Corinzi 15:3 ("lo ricevette da predecessori umani"). Tuttavia, Paolo non dice da nessuna parte in 1 Corinzi 15 che la sua predicazione sia stata interamente insegnata da predecessori umani; stava piuttosto citando un riassunto delle apparizioni della risurrezione che era stato predicato anche da altri primi cristiani quale prova della risurrezione di Gesù. Inoltre, Galati 1:12 non dice che Paolo abbia appreso la totalità della sua comprensione del cristianesimo, senza alcuna esclusione, per rivelazione privata. Sicuramente i cristiani di Damasco che lo accudirono e battezzarono, gli avrebbero parlato prima del battesimo (Davis 2006, p. 48). McKnight spiega ulteriormente:
Sturdy (2007, p. 64), un altro raro studioso che ha sostenuto che la tradizione di 1 Corinzi 15 è un'interpolazione post-paolina, afferma che non ci si aspetta che il Paolo di 2 Corinzi 5:16 ("anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così") possa interessarsi alle tradizioni stereotipate tramandate sul Signore. In risposta, direi che "secondo la carne" dovrebbe essere preso con il verbo ("conoscere") piuttosto che con il sostantivo ("Cristo") (cfr. Dunn 1998, p. 184). Si riferisce alla conoscenza di Cristo in termini di apparenza esteriore di condizione mondana; questa era la comprensione che Paolo aveva di Gesù prima della sua conversione, ma che ora rifiuta (Keener 2005, pp. 184-185). Ciò che 2 Corinzi 5:16 rifiuta è la valutazione di Cristo secondo il sistema di valori di questo mondo; non rifiuta l'interesse a conoscere Cristo sulla base di testimonianze conservate nelle tradizioni stereotipate.
In risposta all'obiezione di Price riguardo all'adattamento al contesto, i versetti 3-11 possono essere intesi come un tentativo di stabilire il fatto della risurrezione mentre il resto del capitolo ne spiega le implicazioni (Davis 2006, pp. 48-49). Anche se i Corinzi in generale avevano già creduto alla risurrezione di Gesù, molti di loro erano scettici riguardo alla risurrezione dei morti (1 Corinzi 15:12). È quindi opportuno che Paolo menzioni le prove della risurrezione di Gesù, sulla base delle quali argomenta a favore della futura risurrezione dei credenti. L'argomentazione di Paolo può essere intesa come segue:
- Premessa 1: Se non c'è risurrezione dei morti, allora Cristo non è risorto (v. 13);
- Premessa 2: Ma Cristo è davvero risuscitato dai morti (v. 20, questo è stabilito dalle apparizioni menzionate in vv. 3-11).
- Conclusione: quindi c'è la risurrezione dei morti.
D'altra parte, le testimonianze manoscritte sono contro la teoria speculativa di Price. L'autenticità dei versetti 3-11 è riconosciuta praticamente da tutti gli studiosi storico-critici, come attestato da tutte le copie esistenti di 1 Corinzi 15.
Price (2005, p. 92) ammette che non esiste una copia di 1 Corinzi 15 a cui manchino i versetti 3-11, ma afferma che questa mancanza non rende invalida la sua argomentazione poiché non ci sono testi proprio del periodo durante il quale egli suggerisce che l'interpolazione sia avvenuta. Egli cita Ehrman dicendo che ci si devono aspettare cambiamenti motivati teologicamente nei primi tre secoli, quando sia il testo che la teologia sono in uno stato di flusso (ibid., p. 97, n. 7). Price ammette, osservando:
Nella sua risposta ai critici, Price sostiene che, così come non è irragionevole pensare che quando il califfo Uthman fece standardizzare il testo del Corano, egli distrusse tutte le copie precedenti e le loro pericolose varianti, anche le prime autorità cristiane facessero lo stesso coi manoscritti biblici.
Risposta: L'argomento di Price presuppone che tutte le copie che contenevano la versione originale di 1 Corinzi 15 (senza v. 1-11) siano scomparse senza lasciare traccia nelle registrazioni successive, il che non è plausibile. Proprio perché il cristianesimo primitivo era in uno stato di cambiamento, nessun leader cristiano aveva l'autorità di un califfo per garantire che tutte le copie precedenti che contenevano ciò che Paolo aveva scritto originariamente fossero distrutte senza lasciare traccia. Trobish (1994, pp. 3-4) osserva, "rispetto a qualsiasi altra raccolta di lettere... le lettere di Paolo sono sopravvissute in un numero enorme di manoscritti che forniscono una grande quantità di letture varianti." Questo contraddice l'idea di Price che ci fosse un processo di standardizzazione da parte delle prime autorità cristiane. Il fatto che "snippets" dei versetti 3-11 appaiano nelle fonti patristiche indica che questo brano era noto a vari primi scrittori (indipendentemente dal fatto che scegliessero di citare le dichiarazioni di "apparizioni"), incluso l'"eretico" Marcione a metà secondo secolo. Varie altre porzioni di 1 Corinzi sono state citate da Clemente di Roma (fine del I secolo e.v.), Policarpo di Smirne (scritto tra il 110 e il 150) e il Pastore di Erma (c.115–140) (Gregory e Tuckett 2007). Nessun interpolatore della fine del I e inizio del II secolo avrebbe avuto il potere e l'autorità di alterare tutte le copie di 1 Corinzi possedute da quelle diverse comunità di teologie diverse (a volte anche opposte) a cui appartenevano questi scrittori. Inoltre, per realizzare tale impresa sarebbe stata necessaria l'alterazione di una grande quantità di documenti in luoghi diversi. Ciò avrebbe dovuto includere le copie di 1 Corinzi disponibili in quel momento, e queste copie avrebbero dovuto essere ricercate in tutto il Mediterraneo e modificate senza lasciare traccia nei manoscritti sopravvissuti provenienti da luoghi diversi. Questo, evidentemente, è in pratica impossibile.
Ci si potrebbe chiedere: "può essere che l'interpolazione sia avvenuta molto presto (cioè prima della fine del I secolo), prima che le copie della lettera si diffondessero in vari luoghi?" In risposta, va notato che le copie delle lettere di Paolo erano già circolate in vari luoghi durante la vita di Paolo. Gamble (1995, p. 97) osserva:
Inoltre, continua:
Dato che le copie ebbero un'ampia diffusione subito dopo la loro stesura, la distorsione avrebbe dovuto verificarsi quasi immediatamente dopo la stesura di 1 Corinzi e prima che avvenisse la circolazione, cioè intorno al 55 e.v. In tal caso, sarebbe ancora vero dire che il suo contenuto ebbe origine intorno alla metà del I secolo, che è tutto ciò che è richiesto per i passi successivi della mia argomentazione per la risurrezione di Gesù (cfr. più avanti). Diversamente, una volta diffuse le copie in luoghi diversi, sarebbe stato praticamente impossibile sincronizzare l'alterazione dei manoscritti in luoghi diversi in modo che tutti contenessero l'interpolazione, senza lasciare traccia della versione originale. Gli scettici potrebbero obiettare che molti documenti furono effettivamente distrutti in seguito dai cristiani. In risposta: alcuni di questi scritti sono sopravvissuti (ad esempio i Vangeli gnostici nella biblioteca di Nag Hammadi), e ne abbiamo molte tracce in altri primi documenti, ad esempio gli scritti dei primi padri della chiesa. Inoltre, una ragione per cui molti degli scritti degli eretici non sono sopravvissuti è che nessuno attivamente promosse la copiatura e la conservazione dei loro scritti mentre i loro aderenti morivano (vedi Gamble 1995, p. 127). Al contrario, data l'alta considerazione che i primi cristiani avevano per gli scritti degli apostoli, sarebbero stati interessati a preservarne il contenuto. Il fatto che nessuna copia esistente di 1 Corinzi 15 manchi dei versetti 3-11 è quindi una confutazione significativa dell'ipotesi di Price.
Le persone di 1 Corinzi 15:3-11 affermavano davvero di aver visto Gesù risorto?
[modifica | modifica sorgente]Schema delle considerazioni in esame
[modifica | modifica sorgente]Come notato in precedenza, si potrebbe obiettare che, dato che un elenco di presunti testimoni oculari di Gesù risorto in 1 Corinzi 15:1–11 è stato scritto da qualcuno (diciamo, Paolo) a metà del I secolo, potrebbe ancora essere che alcuni (se non tutti) i presunti testimoni oculari in realtà non esistessero. Piuttosto, l'elenco potrebbe contenere informazioni errate che avrebbero avuto origine da Paolo o da altri che gli passarono le informazioni. De Jonge osserva che 1 Corinzi 15:3–11 contiene solo un'affermazione fatta da terzi su Pietro e il resto dei Dodici; non contiene, ad esempio, l'affermazione di Pietro su se stesso in prima persona come "Ho visto Gesù risorto" (de Jonge 2002, p. 41). Come possiamo allora sapere se Pietro e il resto dei Dodici sono realmente esistiti e hanno affermato di aver visto Gesù risorto?
Prima di discutere ulteriormente questa obiezione, va notato che Paolo disse di aver ricevuto il vangelo; non l'ha originato lui, anzi il Vangelo era già preesistente prima che egli vi partecipasse (Gal 1:13; cfr. 1 Cor 15:9; Fil 3:6). Come osserva Bryan (2011, p. 48), i termini in 1 Corinzi 15:3 παραδίδωμι ("consegnare") e παραλαμβάνω ("ricevere") riecheggiano la lingua in cui entrambe le tradizioni greche ed ebraiche parlavano del fedele che trasmette un vero insegnamento (Bryan cita ‘Abot 1, Sap. 14:15, Flavio Giuseppe, Contro Apione 1.60). Inoltre, le caratteristiche non paoline in 1 Corinzi 15:3-5 indicano anche che Paolo sta trasmettendo una tradizione precedente (ibid.). Craig (1989, pp. 2-3) riassume le caratteristiche come segue: (I) la frase "per i nostri peccati" che usa il caso genitivo e il sostantivo plurale è insolita per Paolo; (II) la frase "secondo le Scritture" non ha paralleli in Paolo, che introduce le citazioni scritturali con "come sta scritto"; (III) il verbo passivo perfetto "è risuscitato" compare solo in questo capitolo e in una formula confessionale pre-paolina in 2 Timoteo 2:8; (IV) la frase "il terzo giorno" con il suo numero ordinale che segue il sostantivo in greco non è paolina; (V) la parola "apparve" si trova solo qui e nella formula confessionale in 1 Timoteo 3:16; e (vi) "i Dodici" non è la nomenclatura di Paolo, poiché parla sempre dei dodici discepoli come "gli apostoli".
Le considerazioni di cui sopra implicano che Paolo abbia ricevuto le informazioni sui "testimoni oculari" che erano esistiti anche prima (Theissen and Merz 1998, pp. 487–490; Allison 2005a, pp. 233–239; Licona 2010).[5]
Studi psicologici hanno indicato che le persone sono attente a trarre conclusioni basate su prove valide quando l'argomento è importante, quando i costi di una falsa conferma sono maggiori e quando le persone sono ritenute personalmente responsabili di ciò che dicono e si preoccupano della loro reputazione tra relazioni durature con pubblici conosciuti, e che i gruppi caratterizzati da scetticismo tendono a giungere a conclusioni più accurate (DiFonzo e Bordia 2007, pp. 166, 173-174). Nel resto di questo Capitolo utilizzerò tali considerazioni per la mia successiva discussione sull'attendibilità dell'elenco dei "testimoni oculari" in 1 Corinzi 15:1–11.
L'importanza del problema
[modifica | modifica sorgente]Nella stessa lettera veniva detto ai Corinzi che la risurrezione di Gesù era la base di una religione per la quale i credenti dovevano essere preparati a rinunciare alla propria vita. 1 Corinzi 15:17-19 dice:
E nei versetti 30-32:
Gli scettici tra la congregazione di Paolo a Corinto
[modifica | modifica sorgente]Reimarus aveva suggerito che le storie dei morti risorti nelle Scritture e gli insegnamenti dei Farisei rendevano facile per gli ebrei accettare l'affermazione degli apostoli che Gesù era risorto (Reimarus 1971, p. 2).
In risposta, Bryan (2011, p. 9) osserva che c'erano varietà di ebraismo al tempo di Gesù, e alcuni erano scettici sulla risurrezione corporea. Ad esempio, i Sadducei affermavano che "non c'è risurrezione" (Marco 12:18-27; par. Matt. 22:23-33, Luca 20:27-40; anche Atti 23:8, Flavio Giuseppe Ant. 18.16) (Bryan 2011, pp. 10-11).[6] Alcuni ebrei (ad esempio Filone di Alessandria, l'autore di 4 Maccabei) insegnavano solo l'immortalità dell'anima, senza successiva reintegrazione nell'incarnazione (ibid., p. 17).
Inoltre, le reintegrazioni alla vita descritti nella Scrittura (ad es. 1 Re 17:10-24; 2 Re 4:8-3; nel Nuovo Testamento, le storie della risurrezione della figlia di Giairo (Marco 5:21-24, 35-43 par.), il figlio della vedova di Nain (Luca 7:11-17), e Lazzaro (Giovanni 11:1-44) sono soggetti ai limiti e alle debolezze della vita come la conosciamo, e che finirebbe di nuovo nella morte (Bryan 2011, pp. 14, 37). Bryan cita Ebrei 11:35: "Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione", e nota il contrasto tra "risurrezione" e "migliore risurrezione" e il versetto 11:39 che dice che tutte queste persone di fede non hanno ancora ottenuto ciò che era stato promesso. La "migliore risurrezione" e la promessa è il nuovo modo ritratto dagli autori di Daniele 12:1-3 ("risplenderanno come lo splendore del firmamento"), 2 Maccabei (7:9, 11, 14, 21-23, 28-29, 12:40-46, 14:46), e Sapienza 2-3, che parlano di cosa accadrà finalmente ai fedeli morti: non saranno più soggetti ai limiti della vita come la conosciamo (ibid., pp. 14-16). Gli scrittori del Nuovo Testamento sostenevano che tale risurrezione fosse avvenuta per Gesù.
Credenze sulla resurrezione corporea erano presenti anche nell'antico zoroastrismo e paganesimo (Carrier 2009, capitolo 3, notando, ad esempio, che Celso menzionò un elenco di persone che alcuni pagani credevano risuscitate, sebbene lui stesso fosse scettico; si veda Origene, Contra Celsum 2.55, 3.26, 3.22). Tuttavia, Bryan (2011, pp. 30-31) osserva che l'esistenza di queste storie non altera il fatto che molti antichi scrittori pagani erano contrari a ciò che queste storie implicano. Keener (2005, p. 122) osserva che "i Corinzi istruiti ed elitari probabilmente seguivano le opinioni di molti filosofi, come l'immortalità dell'anima dopo la morte del corpo. Molti consideravano il corpo terreno, e l'anima celeste (Eraclito Ep. 9; Seneca Dial. 12.11.6), compresi alcuni ebrei (Sap. 9,15-16; Sipre Deut. 306.28.2)." Continua Keener:
La chiesa di Corinto evidentemente includeva "convertiti" al cristianesimo che rimasero scettici sulla risurrezione, come indicato da 1 Corinzi 15:12: "Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?"
Il Nuovo Testamento indica le difficoltà che il pubblico del I secolo aveva con tale affermazione, deridendone l'idea (Atti 17:32; indipendentemente dal fatto che questo passo di Atti sia storico o creato dai cristiani del I secolo, esso mostra che tale scetticismo era presente tra la gente del I secolo).
Anche gli stessi apostoli furono descritti come inizialmente contrari a questa affermazione. "Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse" (Luca 24:11; vedi anche Matteo 28:17; pseudo-Marco 16:11). Queste osservazioni confutano l'idea che le persone del I secolo fossero tutte abbastanza credule da accettare acriticamente la pretesa della resurrezione corporea. (Ciò non nega il fatto che, come in tutte le epoche compresa quella moderna, ci sarebbero state alcune persone credulone in questo senso, come la rappresentazione di Erode e alcuni suoi contemporanei che credevano che Gesù fosse il risorto Giovanni Battista in Marco 6:14-29, come anche gli Elohisti moderni che credono che Schneersohn sia risorto; vedi la discussione nel Capitolo 6 in cui confronto questo caso con la convinzione degli apostoli che Gesù fosse risorto). Indipendentemente dal fatto che il resoconto in Matteo 28:11-15 sia fattuale, indica comunque che gli ebrei del I secolo erano in grado di pensare a spiegazioni naturalistiche alternative alla risurrezione di Gesù, affermando che i discepoli di Gesù avevano rubato il suo corpo.
Inoltre, Bryan (2011, p. 9) osserva:
Anche Graham Stanton scrive:
Inoltre, dai loro scritti, è evidente che i primi cristiani erano abbastanza razionali da dibattere (per es. Gal. 2:11-21), da pensare alle testimonianze della loro fede (per es. 1 Cor. 15:6), da considerare le sue conseguenze (1 Cor. 15:14-19) – come il dover affrontare frequenti pericoli e martiri (1 Cor. 15:30-32) – e da persuadere gli altri ad attenersi alle loro opinioni.
Alla luce di queste considerazioni, se qualcuno nel I secolo sosteneva che c'erano "testimoni oculari" della risurrezione di Gesù, i primi cristiani avrebbero voluto verificarli (si veda la Sezione successiva).
Controllo dei presunti testimoni oculari
[modifica | modifica sorgente]Gli scettici mettono in dubbio lo standard di prova seguito dalla maggior parte delle persone nel primo secolo e si chiedono se i presunti testimoni oculari della risurrezione di Gesù furono interrogati (Carrier 2009). Risposta: Paolo indicò ai Corinzi quale fosse lo standard di testimonianze valide in 1 Corinzi 15:6: consultare gli stessi "testimoni oculari". Keener (2005, p. 124) osserva che simili richiami alla conoscenza pubblica si possono trovare negli scritti di Flavio Giuseppe (Ag. Ap. 1.50–52; Vita 359–62) e Cicerone (Verr. 1.5.15; 2.1.40.103). Se c'erano davvero dei "testimoni oculari" come afferma 1 Corinzi 15:3-11, la maggior parte di loro sarebbe stata ancora viva nel 55 e.v.; si diceva infatti che tra i "più di cinquecento fratelli", la maggior parte di essi "vive ancora" (v. 6). Bauckham osserva che l'idea sensata di "controllare" questi importanti "testimoni oculari" è implicita in 1 Corinzi, una lettera che era destinata alla lettura pubblica nelle chiese. In effetti Paolo sta dicendo in 1 Corinzi 15:6: "Se qualcuno vuole verificare questa tradizione, un gran numero di testimoni oculari è ancora vivo e può essere visto e ascoltato" (Bauckham 2006, p. 308).
Data la prima data di 1 Corinzi 15:3-11, i Corinzi potevano verificare con i testimoni oculari di Gesù, i testimoni oculari dell'autore di 1 Corinzi, e anche con l'autore (Paolo) stesso su ciò che predicava per scoprire se il messaggio era stato distorto o se c'erano davvero "più di cinquecento fratelli" che affermavano di aver visto Gesù risorto tutti insieme. Riguardo al controllo con Paolo, Gamble (1995, p. 101) osserva: "la corrispondenza intricata di Paolo con i Corinzi, anche se non tipica, indica certamente che Paolo aveva bisogno di tener traccia – e lo faceva – di ciò che aveva scritto". Gamble osserva anche:
Si potrebbe obiettare che, essendo assenti i particolari riguardanti i "cinquecento" (per es., i loro nomi) (Lindemann 2014a, p. 87), come farebbero i Corinzi a verificare?
In risposta, da un lato, il fatto che al momento non disponiamo di questi dettagli non implica che il pubblico del primo secolo non avesse i dettagli. Dall'altro, gli studiosi hanno sottolineato che gli scrittori neotestamentari spesso omettono dettagli che dovevano essere già noti a loro (ad esempio l'omissione di Marco 6:45-8:26 da parte di Luca) (Craig 1984). Altri passi in 1 Corinzi (ad es. 9:5) indicano che c'erano varie narrazioni tradizionali sugli apostoli e su Gesù che sarebbero state note ai Corinzi e ad altre prime comunità cristiane (Jervell 1972). Riguardo a 15:3-8 Gerhardsson (2003, p. 89) osserva:
Similmente, Allison osserva che 1 Corinzi 15:3–11 contiene solo un semplice schema che elenca gli individui e i gruppi a cui si supponeva che Gesù fosse apparso, senza menzionare i particolari delle apparizioni. Allison sostiene acutamente che, poiché i cristiani di Corinto (o di qualsiasi altro luogo) non avrebbero creduto basandosi solo sulle scarse informazioni in 1 Corinzi 15:3-8 senza conoscere (o almeno voler conoscere) alcuni dettagli (ad es. questi discepoli cosa videro? Toccarono Gesù?), 1 Corinzi 15:3–8 deve essere stato un riassunto delle narrazioni tradizionali della risurrezione che furono raccontate in forme più complete altrove (Allison 2005a, pp. 235-239). Cioè, Paolo sapeva che questi dettagli erano già in circolazione sotto forma di vari racconti tradizionali che erano noti al suo pubblico (ad esempio i Corinzi), quindi non vedeva la necessità di menzionarli. Wright sostiene che questi resoconti più completi sarebbero stati necessari per fornire il materiale per il quale Paolo e gli altri crearono un quadro teologico e biblico e dal quale trassero ulteriori conclusioni escatologiche come la nozione di "corpo spirituale" (1 Cor. 15: 35-49). Quindi, l'esistenza di questi resoconti più completi con i loro particolari sarebbe stata richiesta per rispondere a "perché iniziò il primo cristianesimo?" e "perché prese questa forma?" (Wright 2003, pp. 608-614).
Va notato che il movimento paleocristiano (sebbene geograficamente diffuso) era una rete di stretta comunicazione, i primi leader cristiani (che includevano i "testimoni oculari" apostolici) erano piuttosto mobili, ed è molto probabile che i cristiani ebrei viaggiassero ogni anno a Gerusalemme per le feste (Bauckham 2006, pp. 32, 306). Hurtado osserva:
Alla luce di queste considerazioni, i contatti con i "testimoni oculari" e l'ascolto da parte loro delle narrazioni tradizionali sarebbero avvenuti naturalmente e non sarebbero state necessarie lettere investigative (cfr. Carrier 2009).
Price (2005) ritiene improbabile che qualcuno possa aver contato "più di cinquecento fratelli" e afferma che ciò indica il carattere fittizio di una narrazione. Risposta: mentre un conteggio esatto potrebbe essere improbabile, non è difficile stimare un numero di "più di cinquecento fratelli". Ad esempio, guardando il pubblico presente in uno stadio di calcio, posso essere sicuro che il pubblico è più di cinquecento anche se non ho fatto il conteggio preciso dei presenti.
Price (2005, pp. 80-81) mette in dubbio l'attendibilità del dettaglio riguardante i "più di cinquecento fratelli", chiedendo perché sia assente dai Vangeli se fa parte di una tradizione antica. Price rifiuta la spiegazione che gli autori dei Vangeli rispondevano a un'altra serie di esigenze e situazioni, poiché pensa che i motivi apologetici suggeriti dagli studiosi per 1 Corinzi 15 sarebbero stati presenti anche negli autori dei Vangeli. Egli sostiene che se si fosse verificata una prova così schiacciante della risurrezione come l'apparizione ai "più di cinquecento fratelli", sarebbe stata ampiamente ripetuta dall'inizio e sarebbe stata inclusa nei Vangeli.
In risposta, ci sono forme valide e non valide di argomentazione nel silenzio, e l'argomentazione di Price è una forma non valida di argomentazione da silenzio. Un'argomentazione da silenzio funziona solo quando si può dimostrare che il silenzio sarebbe stato rotto se la conclusione fosse stata diversa. L'argomentazione di Price non è valida perché non soddisfa questa condizione. Per illustrare, Price non considera la possibilità che una tradizione orale riguardante i "più di cinquecento fratelli" citati da Paolo fosse già circolata tra i primi cristiani e conosciuta dagli autori dei Vangeli e dal loro pubblico, quindi gli evangelisti non videro la necessità di menzionarla. Ad esempio, supponiamo che i "più di cinquecento fratelli" fossero con gli 11 discepoli che "videro il Signore" in Galilea, come illustrato in Matteo 28:16-20 (Robertson e Plummer 1911, p. 337). L'autore di Matteo potrebbe non aver ritenuto necessario citare questo dettaglio, ma scelse invece di mantenere la narrazione incentrata sugli 11. D'altra parte, se la "apparizione della risurrezione" ai "più di cinquecento fratelli" fosse effettivamente avvenuta in Galilea, molti di loro sarebbero rimasti lì, e questo spiegherebbe perché c'erano solo 120 credenti a Gerusalemme come descritto in Atti 1:15 (cfr.. Atti 2:7, che si riferisce a loro come galilei). Contro Lüdemann che sostiene che l'apparizione ai cinquecento fratelli sia un riferimento leggendario all'evento della Pentecoste, Craig (2000, p. 191) obietta che la maggior parte di quelle persone era ancora viva nel 55 e.v. quando Paolo scrisse 1 Corinzi, e quindi potrebbero essere interrogati sull'esperienza e correggere gli sviluppi leggendari. Inoltre, l'evento della Pentecoste era fondamentalmente diverso da un'apparizione della risurrezione; in Atti 2:1-13 mancano tutte le caratteristiche di un racconto pasquale, soprattutto l'apparizione di Cristo. Contro questo, Chilton sostiene che la narrazione in Atti 2 è collegata alla risurrezione di Gesù, nel senso che "l'elaborazione costante di quel tema nel corso del libro degli Atti è abile e programmatica, così che vi è un ampliamento e allo stesso tempo un'intensificazione della concezione dello Spirito di Dio come liberato dalla risurrezione" (2019, p. 112).
Tuttavia, Chilton confonde l'effetto della risurrezione di Gesù ("lo Spirito di Dio liberato dalla risurrezione") con l'apparizione di Gesù risorto, che è offerto come prova agli scettici della risurrezione da Paolo in 1 Corinzi 15:6, come spiegato in precedenza. Pertanto, l'argomento di Chilton è invalido.
La responsabilità di Paolo e il suo pubblico a Corinto
[modifica | modifica sorgente]Paolo si assunse la responsabilità della tradizione che trasmise ai Corinzi. Evidentemente non era estraneo per i cristiani di Corinto, e le sue intricate corrispondenze con i Corinzi indicano che gli importava molto della sua reputazione di apostolo.
Inoltre, Paolo affermò che tale tradizione era ciò che predicavano anche altri apostoli (1 Corinzi 15:1,11). L'affermazione di Paolo che la maggior parte dei "più di cinquecento fratelli... la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti" implicache Paolo conoscesse molti di questi "sopravvissuti" (Vescovo 1956, pp. 343-344). Varie prove testuali indicano che Paolo conosceva altri (ad es. Giacomo, Pietro e altri apostoli; cfr. Gal. 1-2) che elencò come "testimoni oculari" della risurrezione di Gesù in 1 Corinzi 15 e che li aveva incontrati personalmente e aveva parlato con loro e che sapeva che anche i Corinzi li conoscevano (1 Corinzi 1:12,9:1-5). Lo psicologo scettico Whittenberger (2011) obietta che il rapporto secondo cui un gruppo di persone vide Gesù potrebbe essere stato generato da un singolo discepolo che ebbe un'allucinazione non solo di Gesù ma dei suoi condiscepoli insieme a lui. Tuttavia, in tal caso il rapporto sarebbe stato facilmente falsificato dai lettori di 1 Corinzi verificando con Pietro e i suoi condiscepoli. Come scrive Bryan (2011, p. 54):
Alla luce di queste considerazioni, Paolo non avrebbe compilato l'elenco dei presunti testimoni oculari, né ne avrebbe passato uno che fatto da altri e che lui stesso non sapeva essere corretto.[7] Se queste persone non fossero esistite e affermato di aver assistito al Gesù risorto, la falsificazione sarebbe stata facile e i costi sarebbero stati alti. I cristiani di Corinto avrebbero screditato Paolo e avvertito i loro parenti e amici del dannoso inganno di Paolo che dice alle persone di rischiare la propria vita per una fede che si basava sulla ridicola convinzione della risurrezione corporea supportata da un falso elenco di "testimoni oculari". In tal caso, le lettere di Paolo sarebbero state scartate, piuttosto che conservate come scritti divinamente autorevoli dai cristiani di Corinto o considerate "dure e forti" (2 Corinzi 10:10) dai suoi sofisticati avversari a Corinto. Come osserva succintamente Peter Kreeft (2003, p. 74):
Dati i suddetti motivi per pensare che ciò che dice Paolo sia vero, non è errato concludere che Pietro, il resto dei Dodici e altri affermarono di aver assistito a Gesù risorto, anche se (come osserva de Jonge, 2002, p. 41 ) 1 Corinzi 15:3–11 contiene solo un'affermazione fatta da terzi.
Altri primi documenti sulla risurrezione di Gesù e vari testimoni oculari
[modifica | modifica sorgente]Oltre alle lettere di Paolo, ci sono altri documenti del I e dell'inizio del II secolo – come i Quattro Vangeli, gli Atti, 1 Clemente, le Lettere di Ignazio e così via – che affermano anche che ci furono vari testimoni oculari di Gesù risorto. Come osservano Theissen e Merz (1998, p. 490) riguardo alla tradizione in 1 Corinzi 15:3-11, "La credibilità di questa tradizione è accresciuta, perché è in parte confermata dalla tradizione narrativa, che è indipendente, e perché nel caso di Paolo abbiamo l'attestazione personale di un testimone oculare che conosceva molti degli altri testimoni." Riassumendo il lavoro di Allison (2005a) e altri, Licona (2010, p. 322) osserva, ad esempio:
È stato spesso affermato dagli scettici (ad esempio Vermes 2008) che il racconto di Paolo sulla risurrezione di Gesù non è in accordo con le tradizioni narrative degli altri Quattro Vangeli, che inoltre non sono d'accordo tra loro, e che le apparenti contraddizioni sono inconciliabili. Un elenco tipico di discrepanze apparenti è il seguente (elencato in Ehrman 2014, p. 134):
Gli scettici sostengono che la mancanza di accordo tra i dettagli delle narrazioni della risurrezione nei Vangeli, insieme alla loro attribuzione agli insegnamenti di Gesù che hanno un eccellente Sitz im Leben nella chiesa primitiva, suggeriscono che i dettagli sono l'invenzione degli autori dei Vangeli secondo i propri programmi divulgativi (Casey 1996, p. 192).
Tuttavia, anche se gli autori avevano un dato programma, avere un programma non implica necessariamente che i dettagli registrati dagli autori dei Vangeli non siano credibili. Sebbene un dato programma potrebbe aver indotto questi autori a inventare tali dettagli per rendere più convincente il loro caso, potrebbe anche darsi che gli autori non avessero inventato i dettagli ma ne fossero convinti, e quindi intendessero includere questi dettagli nei loro resoconti, secondo le esigenze dei loro pubblico, per convincere anche gli altri. L'assunto degli scettici che "se un presunto evento si adatta bene al motivo redazionale di un autore, allora l'autore ha inventato l'evento" è ingiustificato, poiché non c'è motivo per cui il verificarsi di un dato evento non possa combaciare con gli scopi editoriali dell'autore ( Davis 2006, p. 54). L'apparente mancanza di accordo indica che le storie non sono state accuratamente inventate da un gruppo di cristiani che cospirarono per raccontare la storia della risurrezione di Gesù. Keener sostiene che, anche alla loro ultima possibile data di composizione, i Vangeli derivino da un periodo relativamente vicino agli eventi, quando le testimonianze fornite da "testimoni oculari" rimanevano centrali per la chiesa, e almeno Luca sembra aver avuto un diretto accesso a conferme di testimoni oculari per alcuni dei suoi materiali tradizionali (Luca 1:1-4; Keener 2003, p. 32). L'apparente mancanza di accordo è ciò che ci aspetteremmo dai resoconti di prima mano di un evento scioccante forniti da testimoni oculari subito dopo l'evento. Come sostiene Wright (2003, p. 612):
Si consideri questo: se Tizio, Caio e Sempronio fossero stati testimoni di un evento scioccante (ad esempio uno tsunami) e a ciascuno di loro fosse stato chiesto individualmente di fornire un resoconto poco dopo, non avrebbero riportato ogni singolo dettaglio o allo stesso modo. Piuttosto, ognuno di loro avrebbe enfatizzato dettagli diversi mentre raccontava la storia con eccitazione. Questo è ciò che vediamo nei Vangeli. Wright (2003, pp. 611-612) sostiene:
Mentre gli scrittori aggiunsero dettagli diversi alle fonti precedenti (ad esempio Luca su Marco), inclusero comunque molti particolari che sono imbarazzanti per il loro caso (ad esempio donne che trovano la tomba, discepoli di Emmaus che non riconoscono Gesù, ecc.). Come osserva l'avvocato Herbert Casteel (1992, p. 213), questi sono "numerosi dettagli proprio del tipo che resoconti falsi farebbero attenzione a evitare".
Vincent Taylor (1953, pp. 59-62) sostiene che ogni prima comunità cristiana avrebbe conservato la memoria di un'apparizione di Gesù a figure note a quella comunità e mantenuto memoria delle apparizioni con associazioni locali, e che i singoli evangelisti attingevano all'una o all'altra di queste tradizioni locali a loro disposizione. Pertanto, la diversità nei resoconti delle apparizioni non costituisce un argomento contro la loro storicità. Taylor lo spiega riguardo alle donne presso la tomba:
Bryan (2011, pp. 167-168) osserva: "Matteo, da questo punto di vista, avrà omesso Salome, perché la sua comunità non la conosceva". Bryan nota il suggerimento di Bauckham che le differenze nelle donne nominate in vari punti delle narrazioni degli evangelisti, lungi dall'essere motivo per non prenderle sul serio, possono in realtà indicare "la scrupolosa cura con cui i Vangeli presentano le donne come testimoni" (ibid.).
Il suggerimento di Brown e Taylor è coerente con la recente opera sulla memoria e il Gesù storico di Anthony Le Donne (2009), che propone che le rappresentazioni della memoria tipologica siano i mezzi attraverso i quali la percezione e la cognizione di persone ed eventi reali sono state rese intelligibili e ricordate . Queste rappresentazioni sono state successivamente soggette a un diverso sviluppo storico nelle diverse comunità tradenti.[8] Egli suggerisce che le tradizioni evangeliche conservano diverse "traiettorie mnemoniche" che possono essere triangolate per identificare una zona originaria di "plausibilità storica".
Pertanto, invece di dire che questi sono l'invenzione degli autori dei Vangeli, le differenze nei dettagli e l'eccellente Sitz im Leben degli insegnamenti possono essere spiegati come segue: ciascuno degli evangelisti sceglieva dal pool di materiale storico (costituito da una raccolta di antiche tradizioni) quei dettagli che si adattavano alle particolari esigenze del suo pubblico e raccontava le storie secondo il suo stile, spiegando così le differenze tra le tradizioni (e anche le differenze tra le narrazioni della resurrezione nei Vangeli).
Gli scettici spesso sostengono che si possono vedere abbellimenti leggendari nei resoconti successivi rispetto ai resoconti precedenti (ad esempio, il giovane alla tomba in Marco diventa un angelo accompagnato da terremoti in Matteo) (Carrier 2005a, pp. 165-166).
Tuttavia, ci sono numerosi problemi con tali argomenti. Primo, la quantità di dettagli non sembra seguire uno schema coerente quando confrontiamo i resoconti successivi con quelli precedenti. Ad esempio, seguendo l'argomento a favore dell'abbellimento, ci si potrebbe aspettare un numero maggiore di testimoni oculari e apparizioni di risurrezione nei resoconti successivi rispetto a quelli precedenti, ma è il caso opposto: il racconto di Paolo in 1 Corinzi 15, che è il più antico, contiene il maggior numero di testimoni oculari ("più di cinquecento fratelli") e il maggior numero di apparizioni. È più probabile che gli autori abbiano preso in considerazione le esigenze del pubblico quando decisero la quantità di dettagli da includere. Secondo, alcuni dettagli possono essere intesi come chiarimenti piuttosto che come abbellimenti. Ad esempio, l'inferenza che il "giovane" in Marco 16:5-7 sia un angelo può essere giustificata dal contesto, che lo descrive vestito di bianco e trasmette la rivelazione divina. Non si limita a riferire ciò che ha trovato, ma ne dà una spiegazione autorevole e prosegue trasmettendo un messaggio di Gesù stesso, ricapitolando quanto aveva detto privatamente ai Dodici in Marco 14:28, e trasmettendo non commento ma comando (Francia 2002, pp. 675-679; cfr. l'uso di "giovane" per angelo in Tob. 4:5-10, 2 Macc. 3:26, 33, ecc., si veda Gundry 1993, p. 990). Pertanto, quest'ultimo racconto in Matteo può essere inteso non come un abbellimento ma un chiarimento; in altre parole, Matteo si limita a rendere più esplicita l'identificazione del giovane con un angelo. Terzo, l'inclusione di ulteriori dettagli non deve essere considerata un abbellimento, piuttosto, "potrebbe semplicemente trattarsi di uno scrittore successivo che aggiungeva tradizioni nuove e veritiere note alla sua stessa comunità, colmando di proposito le lacune" (Habermas 2013, pag.477).
Riguardo all'apparente mancanza di accordo, Wright osserva che gli scrittori del I secolo che intendevano raccontare agli altri ciò che effettivamente accadeva, davano per scontato di non essere obbligati a menzionare ogni evento o ogni dettaglio di un evento. Wright (2003, pp. 648–649) osserva, ad esempio:
Molte delle differenze tra i Vangeli possono essere spiegate da espedienti letterari che furono impiegati anche da altri storici antichi, come Plutarco (c.45-125 e.v.) (Licona 2016). In diverse biografie Plutarco copre spesso lo stesso terreno, creando così una serie di paralleli e modificando i suoi materiali in modi simili agli evangelisti del Nuovo Testamento, comprime storie, a volte le fonde, inverte l'ordine degli eventi, semplifica e ricolloca storie o detti (Evans, in Licona 2016, p. X). Quando si tratta di modificare e parafrasare le parole di Gesù, gli autori dei Vangeli furono molto più conservatori della pratica compositiva di Plutarco, o Flavio Giuseppe, nella sua parafrasi delle Scritture ebraiche (ibid.). In effetti, un confronto tra la pericope parallela degli aforismi e delle parabole di Gesù mostra un alto grado di stabilità e affidabilità di trasmissione (McIver 2011).
Gli scettici si chiedono perché molti dettagli importanti nei Vangeli riguardanti la risurrezione non abbiano più attestazioni ma siano menzionati in una sola fonte. In particolare, perché non sono stati citati nel primo racconto di 1 Corinzi 15? Carrier (2005a, p. 151) sostiene che, poiché 1 Corinzi 15 è una difesa della risurrezione, Paolo avrebbe usato tutte le prove che aveva; ma fornì solo un elenco di testimoni senza menzionare i terremoti, ecc., il che suggerisce che non ci sono altre prove e quindi questi dettagli sono stati inventati in seguito.
In risposta, gli apostoli spesso ci sorprendono per ciò a cui non fanno riferimento, anche se dovesse servire al loro scopo (Allison 2005a, p. 306). David Wood sostiene:
Dato che Paolo e i Corinzi conoscevano gli altri "testimoni oculari" (cfr. supra), e data l'argomentazione che i dettagli erano già in circolazione sotto forma di altre tradizioni conosciute dai Corinzi, Paolo non avrebbe percepito la necessità di citare i dettagli, quindi li riassunse semplicemente. Come affermato in precedenza, alcune di queste tradizioni furono in seguito scritte separatamente nei Vangeli. Mentre i Vangeli furono scritti dopo le lettere di Paolo, le tradizioni della risurrezione che furono incluse nei Vangeli potrebbero aver avuto origine prima delle lettere di Paolo, e questo spiegherebbe perché le lettere di Paolo non dovessero includere molti dei dettagli trovati nel Vangeli (per sapere se i particolari di quelle tradizioni fossero stati significativamente modificati quando furono successivamente inclusi nei Vangeli, si veda il resto di questo Capitolo).
Dato che nessuno degli scrittori del Nuovo Testamento era obbligato a scrivere un resoconto completo, bisogna stare attenti a non considerare come contraddizioni le differenze risultanti dall'incompletezza dei rispettivi resoconti. (Per illustrare la distinzione tra differenza e contraddizione: se dico a mia moglie in un'occasione: "Ti regalerò una rosa" e in un'altra occasione: "Ti regalerò una rosa rossa", ci sono differenze tra le due affermazioni, ma nessuna contraddizione.) Ora Géza Vermes (2008, p. 106) lamenta che il numero delle "apparizioni della risurrezione" di Gesù differisca molto nei vari Vangeli, notando che non ce n'è nessuna in Marco ("finale più breve"). Tuttavia, il fatto che l'autore di Marco finisca probabilmente il suo vangelo senza menzionare le apparizioni della risurrezione (16:8) non implica che pensasse che non esistessero; al contrario, lasciò intendere di essere a conoscenza della loro esistenza in Marco 14:28. Un'altra delle "piatte contraddizioni tra le fonti" citate da Vermes (2008, p. 106) è la seguente:
Ma Vermes non considera che, sebbene Giovanni menzioni solo Maria Maddalena per nome (20:1), il suo linguaggio in prima persona plurale nel versetto 2 indica che sta parlando per più di una persona: "non sappiamo dove l'hanno posto!" (Blomberg 2001; corsivo mio). Nessuno degli autori dei Vangeli era obbligato a fornire un elenco completo dei nomi delle donne coinvolte o un resoconto completo di ciò che le donne dovevano fare. Quindi non c'è una vera contraddizione tra la rappresentazione del dire ai discepoli che Gesù li avrebbe incontrati in Galilea (Matteo e Marco) e il ricordare ciò che Gesù aveva detto loro in precedenza in Galilea (Luca); non c'è motivo per cui non potevano essere entrambe le cose!
Ehrman lamenta che tali tentativi di risolvere le differenze richiedono "molta ginnastica interpretativa" e che la faccenda viene risolta in modo alquanto curioso:
Tuttavia, tali tentativi di riconciliare i resoconti, sebbene oggi ampiamente disprezzati da molti biblisti, in realtà utilizzano metodi riconosciuti negli studi storici. Ad esempio, lo storico Gilbert Garraghan (1973, p. 314) scrive: "Quasi ogni storia critica che discuta le prove di affermazioni importanti fornirà esempi di resoconti discrepanti o contraddittori e dei tentativi che vengono fatti per riconciliarli". In merito al ruolo di "imagining" (la parola usata da Ehrman), gli storici Paul Conkin e Roland Stromberg (1971, pp. 214-215) notano:
Wenham (1992, p. 128) si lamenta del fatto che molti biblisti "si arrendono troppo facilmente" invece di fare il necessario lavoro di ricerca storica:
La lamentela di Ehrman secondo cui "that’s probably not the best way to interpret the Gospels" confonde (A) "interpreting the Gospels" con (B) "showing that there is no incompatibility between the Gospels". Questi sono due compiti distinti. Per (A), si potrebbe chiedere una prova positiva per dimostrare che un evangelista desideri esprimere un'idea, ma per (B) è perfettamente legittimo suggerire uno scenario possibile a cui un determinato autore evangelico potrebbe non aver pensato, purché la possibilità non sia in contraddizione con ciò che ha espresso. Il rigetto di Ehrman si basa su un fraintendimento dell'intenzione di (B): tali sforzi non devono essere percepiti come tentativi di comprendere ciò che ciascuno degli evangelisti aveva in mente, ma piuttosto come tentativi di dimostrare che ciò che ciascuno di loro ha espresso è non in contraddizione con l'altro. "Not being what a Gospel author had in mind" non equivale a "contradictory to what a Gospel author expressed". Dobbiamo anche distinguere (B) "showing that there is no incompatibility between the Gospels" da (C) "showing that a particular account of reconciling the Gospels is true". Per (C), si dovrebbe fornire prove per dimostrare che un particolare resoconto è vero. Tuttavia, per (B) è sufficiente suggerire uno scenario possibile (non necessariamente reale) che non sia in contraddizione con i Vangeli e poi dire: "per quanto ne sappiamo, è così che sarebbe potuto accadere". In risposta a coloro che argomentano contro la storicità delle tradizioni riguardanti la risurrezione di Gesù, è sufficiente mostrare che gli argomenti a favore o contro la storicità di quelle tradizioni sono finemente bilanciati e che queste tradizioni rimangono ampiamente praticabili, nel qual caso uno storico può quindi scegliere plausibilmente di accettarli sulla base di altri motivi (Wilckens 2002).
Nonostante tutte le loro apparenti differenze nei dettagli minori, i resoconti dei Vangeli mostrano somiglianze sequenziali riguardo ai contorni principali della storia con la tradizione antica in 1 Corinzi 15:3-8, come riguardo la morte, la sepoltura, la risurrezione di Gesù nel terzo giorno, le apparizioni ai singoli e le apparizioni al gruppo dei discepoli (Allison 2005a, pp. 235-239). Quello che segue è uno scenario logicamente possibile che prende in considerazione gli altri dettagli:[9]
Crossley (2013, p. 490) obietta che secondo Luce-Atti, le apparizioni della risurrezione e l'ascensione non avvengono in Galilea ma a Gerusalemme, e sostiene che ciò è contrario a Marco e Matteo. Risposta: sebbene Gesù e gli angeli avessero detto alle donne di dire ai discepoli di andare in Galilea (Marco 16:7, Matteo 28:10), la persistente incredulità da parte dei discepoli delle parole delle donne – indicata nel testo stesso di Luca (24:11) – potrebbe aver richiesto che Gesù apparisse loro prima a Gerusalemme (Luca 24:36-43). In seguito si recarono in Galilea come da istruzioni (Matteo 28,16), ma forse non vedendo inizialmente Gesù, i discepoli, ancora scoraggiati e dubbiosi, andarono a pescare (Giovanni 21), dopo di che Gesù apparve loro. Vermes (2008) obietta affermando che Luca esclude qualsiasi partenza da Gerusalemme, citando l'istruzione di Gesù in Luca 24:49 di rimanere a Gerusalemme. In risposta, Licona (2016, p. 177) osserva:
Detto questo, è possibile che il comando di indugiare (v. 49) sia stato dato solo dopo che erano stati in Galilea come istruito (Matteo 28:16) e da lì erano tornati a Gerusalemme (Geisler e Howe 1997, p. 400). Dopotutto, Atti (che è stato scritto dallo stesso autore di Luca) ci ha detto che c'era un intervallo di 40 giorni, ma questo non era evidente in Luca 24. Quando si interpreta il Nuovo Testamento, è importante rendersi conto che gli scrittori del I secolo non scrivono sempre in rigoroso ordine cronologico senza interruzioni — purtroppo questo importante principio ermeneutico è spesso ignorato da coloro che affermano che ci sono contraddizioni nel Nuovo Testamento.
In chiusura, va sottolineato ancora una volta che la mia tesi in questo Capitolo, così come l'argomento principale di questo wikilibro, non dipende dalla data armonizzazione come un vero resoconto di ciò che è accaduto. Piuttosto, l'armonizzazione viene offerta per dimostrare che l'affermazione spesso ripetuta secondo cui le discrepanze sono inconciliabili è, a rigor di termini, falsa.
Conclusione
[modifica | modifica sorgente]In questo Capitolo, ho argomentato a favore della conclusione che c'erano persone che affermavano di aver visto Gesù risorto poco dopo la sua crocifissione, e queste persone includevano individui (Cefa, Giacomo il fratello di Gesù e Paolo) e gruppi come come i "Dodici", "più di cinquecento fratelli" e "gli altri apostoli".
L'esistenza di queste persone è implicita nella primissima tradizione in 1 Corinzi 15:3–11, che elenca queste persone. L'ipotesi alternativa che l'elenco in 1 Corinzi 15:1–11 contenga un'interpolazione successiva è contraddetta dalle prove manoscritte e da altre considerazioni spiegate in precedenza. L'ipotesi alternativa che i dettagli nell'elenco contengano informazioni errate provenienti da Paolo o da altri che gli avevano passato le informazioni è contraddetta dalle indicazioni che Paolo e i Corinzi conoscessero questi "testimoni oculari" così come altre considerazioni storiche citate in precedenza. In particolare, ho notato l'importanza delle affermazioni della risurrezione di Gesù per i primi cristiani (ad es. 1 Cor. 15:17-19, 30-32) e la presenza di scettici sulla risurrezione corporea tra il pubblico dei primi predicatori del Vangelo (1 Cor. 15,12; cfr. At 17,32; Lc 24,11; Mt 28,17; pseudo-Mc 16,11). Ho anche notato l'osservazione di Bauckham (2006, p. 308) secondo cui l'idea sensata di "controllare" gli importanti "testimoni oculari" è implicita in 1 Corinzi 15:6, e ho risposto a varie obiezioni riguardo a questo punto. Paolo si assunse la responsabilità della tradizione che trasmise ai Corinzi, e le sue intricate corrispondenze con i Corinzi indicano che ci tenne alla sua reputazione di apostolo. Varie prove testuali indicano che Paolo conosceva altri (ad es. Giacomo, Pietro e altri apostoli; cfr. Gal. 1-2) che elencò come "testimoni oculari" e proclamatori della risurrezione di Gesù in 1 Corinzi 15:1–11, e che egli sapeva che i Corinzi li conoscevano e/o potevano verificarli anche loro (1 Cor. 1:12, 9:1–5, 15:6). Inoltre, i primi cristiani erano piuttosto mobili: i cristiani ebrei si sarebbero recati ogni anno a Gerusalemme per le feste ed esisteva una "rete" ben attestata tra i primi cristiani (Bauckham 2006; Hurtado 2013). La scoperta di falsificazione da parte dei suoi numerosi avversari a Corinto e altrove sarebbe stata facile, e i costi sarebbero stati alti. Alla luce di tali considerazioni, Paolo non avrebbe stilato l'elenco dei presunti testimoni oculari né ne avrebbe trasmesso uno inventato da altri e che lui stesso non sapeva essere corretto. Ho anche osservato che, oltre alle lettere di Paolo, ci sono anche altri documenti del I e dell'inizio del II secolo – come i Quattro Vangeli, Atti, 1 Clemente, Lettere di Ignazio, ecc. – che affermavano che c'erano vari testimoni oculari del Gesù risorto. Così la credibilità della tradizione in 1 Corinzi 15:3-11 è accresciuta "perché è in parte confermata dalla tradizione narrativa, che è indipendente" (Theissen e Merz 1998, p. 490).
Gli scettici potrebbero obiettare sottolineando le apparenti contraddizioni nel Nuovo Testamento riguardo alle "apparizioni post mortem", che spesso si presume siano inconciliabili. Risposta: molte delle apparenti contraddizioni possono essere spiegate da espedienti letterari che furono impiegati anche da altri storici antichi come Plutarco (Licona 2016). Utilizzando il lavoro di Vincent Taylor (1953), Wright (2003) e il recente lavoro sulla memoria e il Gesù storico di Le Donne (2009), ho sostenuto che ciascuno degli evengelisti scelse dal pool di antiche tradizioni quei particolari che si adattavano alle esigenze del proprio pubblico e raccontavano le storie secondo il proprio stile. Ho notato che gli scrittori del I secolo (ad es. Flavio Giuseppe) che intendevano raccontare agli altri ciò che realmente accadde, davano per scontato di non essere obbligati a menzionare ogni evento, né ogni dettaglio di dato evento (Wright 2003, pp. 648-649), e ho sostenuto (rispetto agli esempi citati da Vermes 2008; Ehrman 2014) che bisogna stare attenti a non considerare una contraddizione apparente che derivi dall'incompletezza dei resoconti in questione come una vera contraddizione.
Ho spiegato che i tentativi di riconciliare resoconti apparentemente contraddittori (ad esempio Bock 2002), sebbene oggi ampiamente disprezzati da molti biblisti, in realtà utilizzano metodi riconosciuti negli studi storici (Garraghan 1973, p. 314; Conkin e Stromberg 1971, pp. 214-215). La denuncia di Ehrman (2014, pp. 134–135) secondo cui "questo probabilmente non è il modo migliore di interpretare i Vangeli" confonde (A) "l'interpretazione dei Vangeli" con (B) "dimostrare che non c'è incompatibilità tra i Vangeli". Questi sono due compiti distinti. Per (A), si potrebbe chiedere una prova positiva per dimostrare che un'idea è ciò che esprime un autore evangelico, ma per (B) è perfettamente legittimo suggerire uno scenario possibile a cui un determinato autore evangelico potrebbe non aver pensato, purché la possibilità non sia in contraddizione con quanto espresso. Il rifiuto di Ehrman si basa su un fraintendimento dell'intenzione di (B): tali sforzi non devono essere percepiti come tentativi di comprendere ciò che ciascuno degli evangelisti aveva in mente, ma piuttosto come tentativi di dimostrare che ciò che ciascuno di loro ha espresso è non in contraddizione con l'altro. "Non è ciò che un evangelista aveva in mente" non è la stessa cosa che "contraddice ciò che un evangelista ha espresso". Dobbiamo anche distinguere (B) da (C) mostrando che un particolare resoconto dell'armonizzazione dei Vangeli è vero. Per (C), si dovrebbero fornire prove per dimostrare che un particolare resoconto è vero. Tuttavia, per (B) è sufficiente suggerire uno scenario possibile (non necessariamente effettivo) che non sia in contraddizione con i Vangeli e poi dire: "per quanto ne sappiamo, è così che sarebbe potuto accadere". Ho offerto un'armonizzazione possibile che dimostra la falsità dell'affermazione secondo cui le discrepanze sono inconciliabili.
D'altro canto, l'apparente mancanza di accordo indica che le storie non sono state inventate con cura, ma è ciò che ci aspetteremmo dai resoconti di prima mano di un evento scioccante dati subito dopo l'evento (Wright 2003, p. 612), e ne includono numerosi imbarazzanti che falsi resoconti avrebbero fatto attenzione ad evitare (Casteel 1992).
In conclusione, date le considerazioni storiche di cui sopra, è ragionevole concludere con Theissen e Merz (1998, p. 490) riguardo alle apparizioni post mortem elencate in 1 Corinzi 15:3-11, che "non c'è dubbio... provengano da persone che attestano un'esperienza travolgente."
Note
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Serie cristologica. |
- ↑ Il termine "testimoni oculari" è qui posto tra virgolette per indicare che queste sono le persone che hanno affermato di aver assistito a Gesù risorto. Quindi, non sto inferendo che abbiano effettivamente visto Gesù risorto. Se furono testimoni o meno di Gesù risorto, viene discusso nei capitoli seguenti.
- ↑ Price (2005, pp. 92-93) afferma che i suoi argomenti si adattano ad alcuni dei nove criteri elencati in Munro (1990) per rilevare le interpolazioni, vale a dire: (1) prove manoscritte, (2) disparità percepite tra le ideologie della presunta interpolazione e il suo contesto, (3) differenze stilistiche e linguistiche, (4) adattamento al contesto, (5) relazione di temi e preoccupazioni con la letteratura successiva, (6) coerenza letteraria/storica con la letteratura successiva, (7) attestazione esterna, (8) prove testuali indirette e (9) motivazione per l'interpolazione. Quanto alle differenze stilistiche e linguistiche, Price (2005, p. 92) ammette che ciò è inconcludente: se la loro presenza fosse dovuta a interpolazioni, potrebbero comunque essere dovute alla tradizione prepaolina da lui ripresa (come molti studiosi hanno argomentato, cfr. sezione 2.3).
- ↑ Price (2005, pp. 84-88, 92) sostiene una graduale elevazione di Giacomo nelle tradizioni, fino a quando un'interpolazione successiva fu inserita in 1 Corinzi 15:7 dicendo di aver visto il Signore.
- ↑ Ad esempio, Price (ibid.) sostiene che l'apparizione "a tutti gli apostoli" (v. 7), che includeva Pietro, implicava una seconda tradizione secondo cui "Gesù apparve prima a Giacomo, poi seguito da Pietro e dagli altri apostoli" per polemicamente contro il fatto che Gesù apparve per primo a Pietro (v. 5). In risposta, potrebbe essere che Gesù sia apparso prima a Pietro, e poi di nuovo a lui insieme ai "Dodici", e dopo l'apparizione a Giacomo, sia apparso di nuovo a Pietro insieme a "tutti gli apostoli", un gruppo più numeroso del Dodici che includono altri che sono stati con Gesù fin dall'inizio (Atti 1:21-22). Se è così, e se questo passaggio fosse scritto per trasmettere ciò che è realmente accaduto, i versetti 5-7 sarebbero come si leggerebbe il testo. Non è giustificato ritagliare un versetto e interpretare che il testo implica una polemica quando il testo avrebbe potuto semplicemente voler trasmettere ciò che è realmente accaduto.
- ↑ Licona (2010, p. 319) nota, tuttavia, che "esistono differenze di opinione sul fatto che ‘per i nostri peccati’ e ‘secondo le Scritture’ nella prima riga appartenessero alla tradizione originaria e lo stesso si può dire de ‘il terzo giorno’ e ‘secondo le Scritture’ nella terza riga. Esistono anche differenze di opinione sul fatto che 15:5b-7 faccia parte della stessa tradizione o che Paolo abbia combinato due o più tradizioni." Queste differenze di opinione non influiscono sulla mia argomentazione in questo Capitolo.
- ↑ Bryan (ibid.) nota che per loro il giudizio e la retribuzione di Dio sono sicuri, ma non lo sono dopo la morte dell'individuo, o se avvengono dopo la morte, allora avvengono tramite i propri discendenti (Sir. 11,26-28 cfr. Esodo 20:5).
- ↑ Riguardo all'esistenza dei "Dodici", altre prove includono attestazioni multiple nella tradizione di marciana, nella tradizione giovannea e nella "tradizione Q" (Matteo 19:28 e Luca 22:30), le diverse ma ampiamente sovrapposte liste di nomi, la primissima tradizione in 1 Cor. 15:5, come anche l'argomento dall'imbarazzo relativo al ruolo di Giuda Iscariota quale uno dei Dodici (Meier 1991-2016, Vol. 3, pp. 128-147).
- ↑ L'Oxford English Dictionary definisce tradent come "una persona che tramanda o trasmette la tradizione (soprattutto orale)".
- ↑ Adattato da Casteel (1992, pp. 212–213); Bock (2002, pp. 394–404); Geisler & Howe (1997, pp. 365, 377, 400).
- ↑ Marco 16:2 dice "al levar del sole", mentre Giovanni 20:1 afferma "di buon mattino, quand'era ancora buio" Geisler e Howe (1997, p. 377) armonizzano questi due resoconti suggerendo che Marco 16:2 denota una prima alba (cfr. Salmi 104:22), quando relativamente parlando era ancora buio. Licona (2016, p. 171) indica che "è possibili fosse ‘ancora buio’ (per Giovanni) quando le donne partirono per andare alla tomba, e arrivarono ‘al levar del sole’ (secondo Marco). Chiunque abbia avuto il tempo di vedere un'alba sa che la quantità di luce del giorno cambia in modo significativo tra dieci minuti prima dell'alba e dieci minuti dopo".
- ↑ Ehrman (2014, p. 134) chiede: "La pietra era già rotolata via quando arrivarono alla tomba (Marco, Luca e Giovanni), o esplicitamente no (Matteo)?" In risposta, Wenham (1992, p. 78) fa notare: "Gli scrittori del I secolo dovevano lavorare senza l'aiuto di strumenti moderni come le parentesi quadre, e che, poiché i greci si preoccupano poco del tempo relativo, l'uso del piuccheperfetto era molto meno favorito da loro che da noi. Spesso nel Nuovo Testamento l'aoristo deve essere reso con un nostro piuccheperfetto, quindi Matteo 28:2 potrebbe essere inserito tra parentesi e tradotto senza improprietà: (Ed ecco che c'era stato un gran terremoto: un angelo del Signore, era sceso dal cielo, si era accostato, aveva rotolato la pietra e si era posto a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per paura di lui le guardie avevano tremato tramortite)... Possiamo quindi concludere che il terremoto avvenne prima dell'arrivo di eventuali donne e che le guardie spaventate se ne erano già andate quando arrivarono."
- ↑ Giovanni 20:2. Al contrario, Vermes (2008, p. 106) pensa che Marco 16:1-6 implichi che anche Maria Maddalena (insieme ad altre donne) abbia sentito il giovane dirle che Gesù è risorto. In risposta, le terze persone plurali ("essi", "loro") usate nel brano potrebbero riferirsi alle donne come gruppo, ma ciò non esclude la possibilità che un membro del gruppo se ne sia andato. Wenham (1992, p. 128) osserva che probabilmente "‘le donne’ e ‘loro’ non si riferiscono precisamente alle due citate per nome. Matteo sta fornendo i particolari necessari per trasmettere il suo messaggio; un'ulteriore elaborazione sarebbe stata una distrazione inutile."
- ↑ Luca 24:4 e Giovanni 20:12. Vermes (2008, p. 106) si lamenta che Marco 16:5 e Matteo 28:2-5 dicono che c'è un uomo/angelo. Tuttavia, Marco e Matteo non dicono che ce ne sia uno solo. Probabilmente volevano concentrarsi sull'angelo che parlava alle donne. Accendere i "riflettori letterari" in questo modo è un legittimo espediente narrativo utilizzato dagli storici antichi (cfr. Licona 2016, p. 172; Licona nota che mentre Luca 24:4 descrive "due uomini in vesti sfolgoranti", Luca ha in mente gli angeli, poiché continua a chiamarli "angeli" (24:22-23), e "i vestiti bianchi o splendenti nel Nuovo Testamento sono spesso il segno di una visitazione celeste" (p. 173). Si potrebbe obiettare che Marco 16:5, Luca 24:3-4 e Giovanni 20:11-12 ritraggono gli angeli all'interno della tomba, mentre Matteo 28:2-6 ritrae l'angelo seduto sulla pietra che aveva rotolato via dalla tomba. Licona risponde che Matteo 28:6 fa dire all'angelo: "venite a vedere il luogo dove era deposto", il che suggerisce movimento verso un altro luogo in questo contesto (cioè movimento nella tomba) (ibid.).
- ↑ Vermes (2008, p. 105) lamenta che mentre Marco 16:8 afferma che le donne non dissero nulla a nessuno, Matteo 28:8 dice che le donne accorsero a portarne parola ai suoi discepoli. In risposta, Hurtado (2016b) sostiene, "non dissero niente a nessuno" dovrebbe essere inteso come non dissero niente a nessun altro sulla via del ritorno dai discepoli, "perché avevano paura". Cfr. oltre, Capitolo 5.
- ↑ Giovanni 20:12.
- ↑ Giovanni 20:11-16.
- ↑ Giovanni 20:19-24. Ci si potrebbe chiedere: "Secondo il resoconto di Giovanni, Gesù non apparve a Tommaso la prima volta che apparve agli apostoli come gruppo, ma ciò non contraddice Luca 24:33-36, che descrive che gli Undici erano al raduno?" In risposta, Bock (1996, Vol. 2. p. 1921, n. 27, citando Arndt e Plummer) suggerisce che gli Undici sia un modo generale per riferirsi al gruppo di apostoli senza Giuda; non implica che tutti gli 11 apostoli fossero presenti. Anche se Tommaso era presente in precedenza, in Luca 24:33, potrebbe essere che Tommaso se ne fosse andato nel bel mezzo dei rapporti precedenti di Pietro e di altri discepoli mentre esprimeva il suo dubbio, prima dell'apparizione di Gesù al gruppo.