Robotica unplugged/Introduzione
Il progetto seidiciannovesimi
[modifica | modifica sorgente]L'idea di fondo è semplice:
Insegniamo e ci piace farlo.
Crediamo che l'allievo debba sempre superare il maestro. Diversamente, non c'è progresso.
Fortunatamente, i nostri alunni imparano nonostante noi.
È doveroso spendere anche due parole sul nome del progetto pensato per l’educazione tra pari degli studenti delle scuole secondarie di secondo grado rivolto verso le scuole primarie e secondarie di primo grado.
Il nome del progetto va letto sia come frazione, , sia come intervallo d'età: dai sei ai diciannove anni. Da qui il nome.
La banda nera, richiama il simbolo della frazione matematica. La sua inclinazione è tale da formare, in basso a sinistra e in alto a destra, un angolo di un radiante per ricordare che la matematica è il linguaggio su cui poggiano tutte le scienze e le tecnologie.
La stessa banda si estende, per identificare i tre ordini di istruzione che animano il progetto: la scuola primaria, la secondaria di primo grado e la secondaria di secondo grado, tutti con la medesima dignità. Per questo motivo il nome del progetto è scritto tutto in minuscolo.
Infine, il carattere tipografico utilizzato, Droid, da un lato strizza l’occhio all’informatica, dall’altro è una rivisitazione del noto Giambattista Bodoni, considerato il re degli stampatori. Pertanto, se da un lato volge lo sguardo verso il futuro, poggia solidamente i piedi nella storia.
La sua citazione è d'obbligo, perché tutti i contenuti che verranno mostrati nascono da quest'esperienza.
Obiettivi e finalità
[modifica | modifica sorgente]seidiciannovesimi è un progetto di robotica educativa verticale e territoriale pensato per l'educazione tra pari degli studenti delle scuole secondarie di secondo grado rivolto verso le scuole primarie e secondarie di primo grado. In questo progetto, agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado viene offerta l’opportunità di proporsi come tutor scolastici verso i gli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado per insegnare le STEAM.
Dopo la brusca interruzione di attività in sinergia con altri istituti, dovute alla pandemia di COVID-19 (il progetto nasce nell'a.s. 2016/2017 e inizialmente si chiamava Maestri di coding), dall'a.s. 2022/2023 è stato possibile riproporre ai nostri studenti un PCTO (percorso per le competenze trasversali e per l’orientamento) che andasse al di là del mero lavoro in aula, ponendo un marcato accento sulla educazione tra pari avente come soggetto la robotica educativa.
Infatti, il vero punto di forza del progetto è coinvolgere gli studenti – in luogo del docente – in veste divulgatori scientifici: così facendo i fanciulli percepiscono i nostri studenti quasi come fratelli maggiori, molto più vicini a loro, al loro modo di vedere, pensare e studiare.
L’empatia che si sviluppa è testimone del successo del progetto, che si snoda – essenzialmente – seguendo due obiettivi principali:
- rispondere alle domande dei bambini, mostrando come un problema possa essere affrontato (e, soprattutto, risolto) osservandolo sotto diverse angolazioni e sfaccettature. Quello che noi amiamo chiamare pensiero laterale. Pertanto, il progetto non si rivolge soltanto a chi desidera intraprendere un percorso scientifico nel suo immediato futuro, ma a chiunque desideri utilizzare il problem solving come metodologia didattica e di lavoro;
- per i nostri studenti – invece – affermare che l’obiettivo è assistere i bambini mentre muovono i loro primi passi nel mondo delle STEAM e della robotica in generale, è oltremodo riduttivo. Lo scopo è sviluppare sì l’empatia e la capacità di dialogo dei nostri studenti, ma tutto questo avviene perché vi è una corretta esposizione di concetti a loro noti.
Il team è composto, in primo luogo, dagli studenti che scelgono di frequentare il corso di Robotica educativa e fisica applicata (in alcuni istituti, esistono corsi complementari, proposti dai docenti e scelti dagli studenti). Come si è soliti dire, ma – in questo caso – non è una frase di circostanza, senza di loro, senza il loro entusiasmo, questo progetto non si sarebbe mai realizzato.
Le ore del corso complementare diventano una palestra dove accantonare piattaforme dal sicuro funzionamento. Arduino, per capirci, viene utilizzato nella fase iniziale, per spiegare che robotica non è forzatamente sinonimo di «vedere qualcosa che si muove» ma – nella nostra visione del mondo – significa controllare un sistema automatico, dove anche l’accensione di un LED (per banalizzare) può assumere qualsiasi significato: tutto sta al significato che si vuole dare al singolo componente elettronico. Similmente, tali sistemi verranno ripresi per mostrare come dispositivi di cartone possono essere controllati anche da una macchina o – se proprio si vuole esagerare – dalla propria mano.
Questa fase è propedeutica per poi addentrarsi, passo dopo passo, in un sottobosco di robot di cartone, che prendono vita grazie a siringhe e tubicini per le flebo; vecchi mouse aperti e svuotati di tutto, per far spazio a un paio di motorini che si muovono in avanti (dando vita al mouse) ma – quando un baffo urta un ostacolo – il topo (perdonate: il mouse) inverte il senso di marcia del motore corrispondente dando vita a una retromarcia. E così via.
Così facendo i nostri alunni hanno modo di apprendere che la robotica può essere anche differente dal solito pacchetto base e che le cose inventate hanno un sapore di nettare e miele.
Attività realizzate
[modifica | modifica sorgente]Prima della progettazione di ogni singola attività si è pensato – assieme agli studenti che avrebbero poi rivestito il ruolo di tutor – come strutturare ogni singolo intervento, così da non lasciare nulla al caso.
Questa fase di progettazione delle singole attività si è svolta nel laboratorio di robotica. Agli studenti sono stati sottoposti numerosi progetti, i quali avevano la funzione di canovaccio, per poi progettare assieme le singole attività.
Una premessa, che potrebbe suonare ovvia, è stata la consapevolezza che ci saremmo recati in un altro istituto. Pertanto, ogni studente ha ricevuto un badge per diverse ragioni:
- entrando in una scuola primaria o secondaria di primo grado è buona prassi che tutti gli studianti siano immediatamente identificabili dal personale scolastico come soggetti autorizzati;
- la grafica scelta dagli studenti per il badge, richiama la programmazione a blocchi di Scratch, e vi è scritto: “Quando mi incontri, dimmi ciao” seguito dal nome di chi lo indossa, questo è funzionale, oltre all’identificazione stessa, anche per un approccio il più possibile amichevole con i loro piccoli allievi;
- infine, il badge è la metafora di una divisa: lo si indossa al lavoro, lo si lascia tornando nella vita privata, facendo sì che vita privata e vita lavorativa restino due ambienti distinti. Probabilmente affrontare questa tematica può suonare un po’ prematuro, ma è nostra convinzione che sarà di enorme insegnamento quando i nostri studenti entreranno nel mondo del lavoro vero e proprio.
Tutti gli interventi realizzati con gli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado si sono focalizzato su sei obiettivi:
- porre lo studente al centro: i materiali, gli strumenti e i processi scelti sono tali perché pongono sempre in primo piano lo studente, così da consentirgli di lavorare in totale sicurezza, in autonomia, senza sacrificarne la creatività;
- disponibilità delle risorse: i materiali devono essere economici e – al medesimo tempo – facili da reperire;
- rispetto dell’ambiente: la maggior parte dei materiali deve essere biodegradabile, riutilizzabile o, per lo meno, riusata. In alcuni casi (in fase di progettazione) è stato molto istruttivo notare come un progetto poteva realizzarsi agevolmente con un bicchiere di carta, ma falliva se il bicchiere era di plastica;
- limite di tempo: ogni attività deve essere spiegata, mostrata e realizzata in un limite massimo di quaranta minuti. Questa è un’esigenza che nasce dalle campanelle dei diversi istituti che difficilmente suonano all’unisono. Quindi, occorre calcolare il tempo totale a disposizione, sottrarre il tempo necessario per recarsi nel plesso limitrofo, accedere, attendere di essere condotti in aula e ricordare che il pulmino non aspetta. Da qui nasce l’esigenza di una progettazione rigorosa;
- breve e semplice: i progetti devono essere facili da costruire e da riparare. Se un pezzo si rompe o quando e batterie si scaricano, questi devono essere facili da sostituire, anche senza la guida di un insegnante o di un adulto, così da estendere la durata del prodotto (e la felicità di chi lo ha realizzato);
- effetto wow: progetti fantastici e divertenti aumentano la fiducia e l’interesse degli studenti (ma – soprattutto – delle studentesse) verso l’ingegneria e la tecnologia. Sottolineiamo studentesse, perché – tra i nostri obiettivi – c’è anche la ricerca di colmare il divario di genere nelle scienze e nella tecnologia.
I progetti, per essere proposti a studenti molto giovani, hanno come comune denominatore la semplicità. Pertanto non occorrono strumenti multimediali per descriverli: è sufficiente il potere delle parole. Questo insegniamo (da sempre) ai nostri studenti. Riuscire a spiegare, con le sole parole, un progetto complesso, significa esserne padroni. Non c’è soddisfazione più grande che vedere un alunno prendere uno studente più piccolo per mano e spiegargli passo, passo come risolvere problemi, imprevisti in modi creativi che si è appena inventato.
È stato molto gratificante vedere che le insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo grado spesso “litigano” per decidere a chi di loro debbano spettare più lezioni. Questo è il più grande indice di successo di questa iniziativa.
Competenze acquisite
[modifica | modifica sorgente]Settimanalmente si svolgono azioni dove gli studenti si recano presso scuole primarie e secondarie di primo grado, compatibilmente con gli orari scolastici dei vari plessi. Inoltre, alcune classi aderiscono a più attività, pertanto ogni volta si deve proporre qualcosa di diverso dalle settimane precedenti e – possibilmente – via, via, più stimolante.
Agli studenti viene chiesto di presentare attività di robotica di base, come realizzare robot con bicchieri e cucchiaini (e – naturalmente – un motorino elettrico); oppure realizzare un’automobile con un rotolo di carta igienica, due stuzzicadenti, tappi di sughero e la spinta da una ventola azionata da un elastico attorcigliato a un interasse delle ruote anteriori; o – ancora – muovere un robot di cartone tramite pistone e stantuffo realizzati con siringhe e tubicino per flebo e un po’ d’acqua...
Questi tre esempi, spaziano dall’elettronica, alla meccanica, fino all’idraulica. Far capire a un bambino queste nozioni di fisica di base, significa – in primo luogo – essere padroni di tutte queste conoscenze.
Ma gli interventi non si limitano solo alla robotica. Un aspetto divertente è far ripetere esperienze già fatte, semplicemente cambiando i materiali. Tutti i bambini hanno costruito solidi geometrici con stuzzicadenti e pongo. Pochi bambini hanno avuto il privilegio di farle geometria solida con spaghetti e marshmallow. Ora, fino alla costruzione della piramide, del cubo e all’irresistibile tentazione di realizzare la “Casetta piccolina in Canada” è tutto molto semplice. Più arduo è spiegare come costruire l’icosaedro: una figura geometrica composta da venti triangoli. L’insegnamento è semplice: se si procede senza un metodo non si arriva da nessuna parte. Anzi: si fatica e basta. Se si seguono due semplici regole (realizzare una corona di dieci triangoli e due piramidi pentagonali, una sopra e una sotto) la figura si realizza in pochissimo tempo. Risultato: ora gli studenti guarderanno alla geometria con uno sguardo differente anche perché l’icosaedro, se troncato altri non è che il pallone da calcio!
Oltre a queste attività, gli studenti partecipano (e preparano) conferenze stampa (che si tengono insieme ai fanciulli delle scuole primarie), rispondendo alle domande incalzanti dei giornalisti come ci si potrebbe aspettare da chi parla del suo lavoro quotidiano. Parliamo di studenti che vanno dalla seconda, alla quarta superiore. Si muovono con disinvoltura ed espongono il lavoro in un contesto simile a quello di un vero e proprio colloquio di lavoro o a un’esposizione di un progetto davanti a un committente, dove è necessario essere precisi, sintetici ed evitare tecnicismi al medesimo tempo.
Pertanto, gli studenti imparano a muoversi in autonomia, assumendo decisioni importanti e dimostrandolo ogni giorno in cui ci si reca presso scuole per effettuare attività sempre diverse. Attività concordate con gli studenti durante le simulazioni in classe e poi attuate presso altri istituti dove il ruolo degli studenti è stato quello di tutor, mentre il docente si limita a semplice supervisor.
Da quanto precede, il modello di valutazione delle competenze e conoscenze acquisite è di tipo informale, basato – si passi la brutta espressione – sulla “soddisfazione del cliente”. Vedere gli studenti delle primarie e secondarie di primo grado rincorrere gli studenti con domande e curiosità è una soddisfazione davvero grande. Paragonabile solo a quella di vedere gli studenti interagire con i loro pari con estrema naturalezza.
Se non fosse sufficientemente chiaro, in questo progetto la metodologia didattica di educazione tra pari è il perno su cui tutto si regge. Per alcune attività, soprattutto agli studenti delle scuole secondarie di primo grado, viene proposto di replicare l'esperienza ai loro compagni delle primarie. Molte attività sono davvero semplici e – una volta comprese – possono essere riproposte in un’ottica semplificate con l’assistenza delle loro docenti.
Inoltre, diventare essi stessi divulgatori scientifici, presso gli studenti delle scuole primarie, è un’azione potente perché riduce ulteriormente il divario di età nella trasmissione dei saperi, fa acquistare maggior fiducia in sé stessi e scoprire che la professione di insegnante, se fatta con passione, è qualcosa di impegnativo ma – alla fine – che ripaga ogni sforzo.
Supporti forniti agli studenti
[modifica | modifica sorgente]Come anticipato, agli studenti vengono fornite idee. Idee da cui partire per poi personalizzarle e adattarle al loro gusto e secondo la loro fantasia. L’utilizzo di questa metodologia didattica crea fiducia in sé stessi e rende gli studenti propositivi.
Anche il badge, per quanto minimale possa essere, crea spirito di gruppo, consapevolezza di appartenere a un’istituzione scolastica e di rappresentarla, soprattutto quando ci si reca in un’altra scuola. Luoghi, dove si entra in punta di piedi. Così viene loro insegnato, come quando si bussa a una porta.
Premesso questo contesto, gli studenti lavorano su piattaforme git, nell'ecosistema Wikimedia (e Vikidia, naturalmente), e pad (spesso propedeutico alla realizzazione di una risorsa Wikimedia). In poche parole, sono gli studenti stessi a documentare il loro lavoro. Questo tornerà utile nel colloquio dell’Esame di Stato, ma – nel frattempo – i loro lavori sono stati raggruppati in questo testo che i loro compagni di corso stanno già utilizzando (e migliorando, quando trovano refusi o quando qualcosa può essere spiegata meglio) in luogo del libro di testo. E, chi è genitore, sa cosa significa un libro di testo in meno da acquistare.
Scritta così sembra che si sia prodotta una qualsiasi relazione tecnica. Fortunatamente, avendo un intero corso a disposizione che è proseguito anche dopo l’esperienza del PCTO, gli studenti hanno potuto rivedere le loro creazioni, confrontarsi e produrre modelli tridimensionali per mostrare cosa si deve realizzare in maniera immediata.
Vero, si è detto che crediamo nel potere delle parole, ma un’immagine (in particolare un’immagine che può essere ruotata in ogni senso) è sempre di notevole aiuto. Questa ora c’è e sarà di supporto agli studenti che verranno.
Relazioni instaurate
[modifica | modifica sorgente]Inizialmente è necessario conoscersi. I corsi complementari sono un insegnamento aggiuntivo che ogni studente sceglie in autonomia tra quelli proposti. Pertanto tutti gli studenti provengono da classi differenti.
Fortunatamente, sia il lavoro di laboratorio (eseguito a gruppi), sia il percorso per le competenze trasversali e l’orientamento (dove viene richiesta un’interazione tra pari) hanno generato empatia, soddisfazione per i risultati ottenuti e crescita personale, sia sotto il profilo didattico ma soprattutto sotto il profilo umano.
L’essere responsabilizzati al punto di sentirsi dire «oggi sei tu l’insegnante», perché una volta entrati nelle aule delle scuole primarie e secondarie di primo grado, dopo una rapida presentazione del docente, la situazione viene affidata a loro, genera autostima. Il ruolo dei docenti resta semplicemente quello di supervisor, i tutor veri e propri sono i nostri studenti.
Non è difficile immaginare che tipo di relazioni si generino quando si insegna a un bambino come costruire un robot con due bicchieri e quattro cucchiai. Lo aiuti a mettere il motore sulla testa, le pile all’interno e… questo prende vita. Stupore e meraviglia si sciolgono in abbracci inattesi e graditi.
Nessuno saprà mai mai cos’ha sussurrato quella bambina dopo aver preso per mano un nostro alunno e averlo portato in disparte per dirgli… ma i suoi occhi parlavano da soli.
Autonomia e iniziative personali
[modifica | modifica sorgente]In primo luogo, il corso di robotica educativa, da cui discende il progetto seidiciannovesimi come sua costola si svolge nel laboratorio di robotica, un ambiente pensato per sperimentazioni, rinunciando alla lezione frontale in favore di un modello educativo finlandese.
Agli studenti viene proposta un’attività, ma non viene detto come realizzarla. L’ambiente è costituito da penisole di lavoro dove ciascuna ospita fino a otto ragazzi che cooperano per raggiungere un risultato.
In questo contesto è possibile lanciare una sfida e osservare gli studenti e i loro ragionamenti; passare di isola in isola per aiutarli dove occorre e quando richiesto, così da fornirgli il massimo spazio e la più ampia autonomia. L’idea di fondo è che il risultato finale deve esser figlio della loro iniziativa personale.
Noi potremmo arrivare dicendo: «Oggi facciamo questo.» E, magari, se siamo bravi, se abbiamo la fortuna di intercettare le loro corde, potremmo anche entusiasmarli. Ma sappiamo che non funziona sempre. Ricordiamo che un esperimento può anche fallire. E se fallisce l’esperimento dell’insegnante il risultato e la noia; se fallisce l’esperimento del gruppo di lavoro il risultato è la determinazione per ottenere un esito positivo. Perché – non dimentichiamolo – nel frattempo gli altri gruppi stanno ancora lavorando e potrebbero produrre qualcosa di semplicemente funzionante o, addirittura, migliore.
Tutte le iniziative che vengono descritte di seguito sono state sperimentate presso le scuole primarie e secondarie di primo grado, sono state condotte dai nostri studenti con grande spirito di iniziativa perché sono state pensate da loro stessi.
Naturalmente gli sono stati forniti diversi spunti di riflessione, ma la scelta finale su cosa fare e cosa non fare è stata loro.