Sistemi informativi e industria consumer/Un caso di ripensamento - industria
Un caso di ripensamento dei sistemi informativi – mondo industria
[modifica | modifica sorgente]L'azienda: questa case history riguarda una piccola-media manifatturiera nel mondo del tessile-abbigliamento.
Il fatturato è abbastanza equamente diviso tra produzione tessuti e il modo dell’intimo, con particolare riferimento al beach wear. Storicamente l’estrazione era manifatturiera e la parte abbigliamento era una diversificazione dovuta sia alla volontà di saturare gli impianti nei momenti morti che a quella di prevenire crisi del settore dovute a produzioni estere.
Caso abbastanza tipico, l’azienda era nata dall’idea imprenditoriale di una singola persona e sotto la sua guida era prosperata. Cambiati i tempi e i mercati, il tentativo di rifarsi al modello usato fino a quel momento aveva avuto poco successo.
Nonostante la percezione di pericolo imminente, l’azienda faceva fatica a ridefinire per se’ una identità ma arrancava dietro a modelli di settore più o meno di successo dimenticando, in parte, il valore del proprio capitale umano sia negli aspetti imprenditoriali e direzionali che in quelli operativi.
Il mercato: come accennato, i clienti appartengono a due grosse categorie:
- Aziende che comprano i tessuti e li utilizzano per i propri prodotti
- Retailer che acquistano gli articoli mare e li vendono.
Si tratta quindi di tipologie di clienti assai diversi che implicano canali di vendita diversi (commerciali diretti piuttosto che agenti) e tecniche e consuetudini differenti.
Da un punto geografico l’azienda opera essenzialmente in Italia con scarsa penetrazione estera.
Dal punto di vista marketing esisteva una radicale differenza:
- da una parte un settore (il tessile) in cui il concetto di “brand” era sconosciuto e poco utile, in quanto la produzione è destinata ad un mercato tecnico e non consumer;
- dall’altra parte l’azienda si confronta su un mercato in cui il componente immaginifico del cliente finale è una componente estremamente importante dell’acquisto.
il sistema informativo esistente: come spesso succede nelle aziende, il SI era il risultato di anni di adattamenti senza che ci fosse mai stata la possibilità o la volontà di un ripensamento generale anche per le premesse organizzative che ciò avrebbe significato (ridiscussione degli obiettivi e dei ruoli). Tipicamente, e in parte dovuto al responsabile IT, i SI erano visti come una vera e propria area a se stante con un costo poco comprensibile e quindi giustificabile. Quando poi parliamo di rinnovamento riesce ad essere ancora più difficile capire il perché si debbano spendere un sacco di soldi per avere “quasi” le stesse cose di prima.
Nel caso specifico, storicamente l’introduzione di una nuova linea di business aveva richiesto operatività e metodi diversi; il fatto che i tempi disponibili fossero ridotti aveva fatto optare per l’affiancamento di un nuovo sistema invece dell’ampliamento del preesistente.
Alla lunga questo aveva portato a due sistemi completamente indipendenti che facevano fatica a parlarsi e costringevano ad un doppio costo di manutenzione e di supporto ma, ancora peggio, a due culture aziendali che avevano spaccato l’azienda in gruppi divisi e, al limite, antagonisti. Tecnicamente ogni modifica doveva essere validata due volte e aveva quindi tempi percepiti incompatibili con il buon andamento aziendale. In questa situazione i contenuti dei SI non potevano che essere quelli gestionali obbligatori (contabilità etc.) o disegnati sulle esigenze dei singoli capi progetto che si erano susseguiti nel tempo e che riflettevano le esigenze di quel momento. Alla fine c’erano centinaia di programmi di dubbio utilizzo che però bloccavano lo sviluppo di una visione generale in quanto non era chiaro il loro valore in termini di obiettivo strategico.
Le prospettive economiche: in questo contesto e sotto la pressione della concorrenza internazionale l’azienda si stava avviando verso un declino economico più o meno accentuato da fattori temporanei quali la crisi globale o la mini ripresa seguente. Sicuramente il modello di business aveva bisogno di un riposizionamento e i SI diventavano una palla al piede in quel momento di transizione.
L’azienda aveva bisogno di capire cosa era veramente importante e cosa lo era meno; in questo frangente i SI non erano utili in quanto erano lo specchio dell’operatività aziendale esistente e non collegavano l’impresa con i segnali provenienti dal mondo esterno, anche perché il personale addetto era troppo impegnato a mandare avanti il funzionamento quotidiano.
Il fattore di rottura della situazione è stata la nomina di un nuovo amministratore delegato che, pur conscio dei caratteri storici e qualificanti dell’azienda, ha cercato di analizzare razionalmente la situazione dell’azienda. Tutti i settori, ed in particolare i sistemi informativi, sono stati sottoposti ad analisi critica con l’obiettivo di amalgamare l’esistente e rendere più elastica la struttura.
Momenti di rottura come questo mettono l’ amministratore delegato in una posizione molto delicata: innovatore, alibi per l’immobilismo o capro espiatorio per un eventuale fallimento? In realtà sappiamo che la bravura dell’alta dirigenza sta proprio nella gestione del percorso che modifica la natura dell’azienda adattandola alle situazioni di mercato, sia questo un percorso di tipo traumatico o piuttosto di tipo “soft”.
In particolare, in aziende storicamente “padronali” (livello 2 del modello di Greiner) si è nella situazione in cui prodotto e processo organizzativo sono così intrecciati da far si che modifiche di struttura siano viste come “offese” alla storia aziendale e non sia possibile vederle come necessità razionali; i processi di servizio sono visti come costi necessari e non come soluzione alla necessità di comunicazione interna, che viene delegata al “padrone tuttofare”.
Naturalmente sappiamo che ciò impedisce la crescita dimensionale e culturale dell’azienda, con i relativi riflessi di diseconomicità di scala e di incapacità di affrontare nuovi contesti. Con l’aiuto di un consulente esterno, il nuovo direttore ha affrontato il ripensamento del business e il ruolo dei SI ponendosi il problema di quale approccio utilizzare; in particolare sono stati presi in considerazione:
L’approccio di contenuto: quello che si usa di solito, in questo approccio i parametri che si usano di solito riguardano
- Il contesto tecnologico esistente e quello di mercato: il sistema che esiste in azienda, gli ERP di riferimento e gli altri. Si tratta di valutare prestazioni funzionali e tecniche esistenti e dei pacchetti sul mercato per fare una analisi costi/benefici del cambiamento. Come fattore fondamentale bisogna tenere conto del rapporto tra il responsabile IT e il resto dell’azienda oltre che del livello medio degli utenti.
- Il contesto di consulenza
- I contenuti: essenzialmente tecnici, nel caso di contenuti poco “alla mano” vengono presi in considerazione anche percorsi di valutazione delle “best practices”
- I player: le grandi società di consulenza, le medie, i “vicini di casa”.
- Il contenuto del progetto: tipicamente si tende a ricalcare il sistema attuale perché lo sforzo di riportare nel nuovo sistema le funzionalità vecchie blocca i nuovi sviluppi
- I tempi: tipicamente va via uno-due anni
- L’obiettivo: avere una piattaforma tecnologicamente più affidabile e più aperta a sviluppi futuri.
L’approccio funzionale
In questa interpretazione si sono poste le domande dall’inizio e quindi, assumendo come obiettivo il servizio al cliente, bisogna definire
- Il cliente: chi è
- Conosciuto
- potenziale
- Il servizio in termini di
- Prodotto
- Soggettività
- Socialità.
- Il cliente conosciuto/ potenziale rispettivamente cosa si aspettano (definizione degli standard)in termini di
- Prodotto
- Affidabilità
- Disponibilità
- Allineamento alla moda
- Soggettività
- Capacità di risposta
- Capacità di rassicurazione
- Empatia, comunicazione
- Socialità
- Appartenenza al gruppo
- Distinzione nel gruppo
- Prodotto
- Come definiamo e chi misura queste aspettative ?
- Come rileviamo le informazioni ?
- Questa assunzione prevede un ruolo “maturo” del cliente che sa quello che vuole; ipotesi questa da confermare.
L’obiettivo di questo approccio è di definire parametri quantitativi di un modello aziendale, facendo riferimento particolare al concetto di “cliente”.
Questo secondo approccio è stato molto apprezzato anche per la sua valenza di spinta delle persone verso la nuova realtà di mercato che l’azienda aveva un po’ perso di vista.
Il primo passo concreto è stato quindi di definire, al meglio, quali fossero le reali esigenze-clienti differenziandole da quelle che storicamente si reputava esistessero o da quelle che potevano essere state percepite e veicolate dai vari intermediari commerciali (agenti, venditori). L’idea era di confrontare le esigenze così rilevate con il patrimonio esistente (prodotto, clienti) o meglio con le conoscenze che si hanno di queste realtà. Per fare questo paragone si rendeva necessario analizzare quali informazioni ci fossero e quali sarebbero state invece necessarie.
Il processo di scoperta dell’esigenza reale si è svolto mediante la richiesta dell’AD di
- Individuare i clienti definiti “rappresentativi” dall’area commerciale
- Analizzare da un punto di vista storico gli andamenti delle vendite in modo da individuare i clienti effettivamente “rappresentativi”, definendo i metodi di selezione dei clienti “campione”
- intervistare formalmente i clienti, ed in particolare quelli percepiti “campione”, in entrambe le modalità
- raccogliere le loro esigenze a tutti i livelli (prodotto, soggettività, socialità)
- organizzare i risultati
L’inizio è stato un mezzo “bagno di sangue”: l’area commerciale si è sentita messa sotto processo in quanto percepiva i “clienti” come una sua “proprietà” aziendale e il marketing di prodotto ha avuto perfino un atteggiamento del tipo “il prodotto è giusto, è il cliente che non capisce”. In entrambi i casi veniva dimostrata una scarsa attitudine al concetto di “servizio”.
La bravura dell’ AD è stata di riuscire a mantenere la calma facendo capire che l’immobilismo commerciale o di prodotto possono essere deleteri per l’azienda quanto l’estremismo innovativo. Il sistema azienda riesce a vivere solo nell’equilibrio dinamico dei rapporti con il mercato, quindi un check formale ha anche il significato informativo di conoscenza del contesto.
Come risultato del lavoro ne è uscito che in generale il parametro da migliorare era il “time to market”: evidentemente sia la parte tessuti che la parte abbigliamento hanno il problema di non poter competere, in termini di prezzi, con il far east e quindi, pur rispettando il livello qualitativo attuale che viene giudicato sufficiente (e quindi buono da un punto di vista interno), l’aspettativa è per la possibilità di piccoli lotti disponibili velocemente di modo da evitare giacenze di magazzino. Questo implica
- il miglioramento del sistema di connessione informativa
- un sistema di relazioni umane venditore-cliente più affidabile
- la progettazione del prodotto in modo da differenziare al più tardi il risultato e quindi essere più veloci nella risposta industriale
- un rapporto industriale diverso con i clienti che hanno bisogno di un prodotto a lungo lead time cumulato
- L’analisi di sistemi per una previsione e una proiezione dei fabbisogni più efficiente.
A questo punto mancava, in realtà, un pezzo di analisi relativo al fatto che le domande erano applicate al contesto attuale mentre bisogna tenere conto del fatto che il “mondo” può essere diverso e quindi deve tenere conto di realtà che non esistevano in quell’azienda; in particolare facciamo riferimento a canali quali l’e-commerce e il retail diretto mediante strutture non complete (negozi) ma tipo corner o shop-in-shop.
L’approccio alla soluzione: azzerare o migliorare. Si tratta della classica domanda dai tempi di Hammer e Davenport ma che deve essere correttamente declinata nel contesto specifico, senza paure ma senza prendere rischi inutili. Questo tipo di scelta parte da un presupposto fondamentale di razionalità del sistema impresa, cosa che, specie nel mondo della PMI, non è assolutamente garantito. In particolare notiamo che tra i “clienti” dell’azienda c’è il proprietario dell’azienda stessa per il quale è necessario intraprendere una serie di azioni atte a soddisfare le sue esigenze, a tutti i livelli della piramide di Maslow.
Nel caso in questione, la scelta del compromesso è partita definendo il ruolo del patrimonio umano nei confronti dei “clienti” (in senso lato come abbiamo visto).
Per ciascun “cliente”, sia esso interno o esterno, si è arrivato a definire il parco delle aspettative e a stimare il costo delle stesse; in particolare si è cercato di individuare quali di queste esigenze non fossero coperte in maniera “sufficiente”, dando quindi luogo a situazioni anche esplicitamente non conflittuali ma che facevano perdere competitività all’azienda all’esterno e creavano malumori all’interno. E’ ovvio che gli interventi hanno avuto tempi e modalità completamente diverse all’interno e all’esterno, visto il diverso livello di controllo del problema.
Le difficoltà più grosse che si sono trovate in questo processo sono essenzialmente di due tipi:
- La capacità sia dei “clienti” che dell’azienda nel valutare l’importanza e il livello di copertura dei problemi; utenti aggressivi tendevano a voler imporre problemi, magari relativamente piccoli e parzialmente supportati, sia per motivi di “potere” personale che di approccio inconscio
- L’accettazione del concetto di servizio ai “clienti” (interni o esterni) di modo da raggiungere il più velocemente possibile e al minor costo il livello di equilibrio che avrebbe permesso all’azienda di concentrarsi sui problemi che non aveva mai affrontato in quanto operava in un contesto concettualmente diverso da quello del mondo che, nel frattempo, era cambiato.
In questa operazione i supporti informativi hanno dimostrato tutti i loro limiti, perché rappresentavano un mondo slegato dalla realtà; o meglio rappresentavano l’angolo di mondo in cui l’azienda continuava ad operare. Quest’angolo però si stringeva sempre più e presto l’azienda ne sarebbe rimasta schiacciata.
Il percorso reale e i risultati: come abbiamo accennato il nuovo AD si è trovato tra due fuochi:
- le esigenze del mondo esterno e la dinamica relative
- le esigenze degli utenti interni ed in particolare della proprietà.
Il percorso che è stato seguito si è concretizzato in quest’ordine:
- condivisione con la proprietà sulla reale situazione
- valorizzazione delle valenze e delle aspettative del proprietario di modo che egli fosse produttivo ed appagato
- analisi delle reali esigenze del mercato
- costruzione del modello organizzativo tenendo conto del vincolo dovuto alla presenza della proprietà
- percorso di formazione e adattamento delle risorse umane interne allo schema organizzativo e alle modalità operative della “nuova” azienda
- costruzione della struttura e degli strumenti per il controllo dell’allineamento continuo al mercato esterno.
Per quanto riguarda i sistemi informativi la scelta è stata di
- Forzare la semplificazione dei sistemi attuali di tipo contabile e attuativo, non investendo quindi immediatamente in nuovi prodotti o tecnologie, questo pur consci dei pericoli e dei limiti in questi campi ma avendo valutato sufficiente la loro funzionalità
- spingere molto su strumentazioni per
area prodotto sia come
- progettazione estetica
- progettazione tecnica (schede tecniche) sia per documentazione storica che per eventuale produzione esterna
- progettazione operativa (bordo macchina)
area commerciale sia come
- analisi mercati e opportunità
- CRM: supporto e controllo rapporto con i clienti
- Altre opportunità di vendita (e-commerce etc)
- Eventuale retail in franchising
- Definire una strategia minimale nel rapporto costi benefici per l’informatica gestionale di modo da evitare il problema più pericoloso e cioè la dipendenza dalle attuali persone: consolidamento di uno standard di documentazione minimale, eventuale rapporto di outsourcing manutenzione e/o previsione di supporto interno (controllare quante persone interne danno supporto, quanto costano e quanto manca alla pensione). Allo stesso tempo è stata impostata una strategia per la definizione dei dati che sta portando, nel medio termine (2-3 anni), alla possibilità di cambio software con pochi traumi organizzativi.