Sovranità Ebraica/Capitolo 2

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Copertina del giornale Das Yidishya Falk, (1920). Nell'illustrazione, Theodor Herzl è visto affacciato sul Monte del Tempio e una folla di ebrei entra nella Moschea al-Aqsa attraverso una delle sue porte, con la bandiera israeliana che sventola sulla sua cupola

Le Tradizioni Ebraiche sono una Religione?[modifica]

Un lettore attento deve essere consapevole del fatto che il primo capitolo, di un'opera che vuole essere un'interpretazione di ciò che solitamente viene definito "religione e politica", lo "Stato ebraico", in Israele, non si è occupato dell'ebraismo, né delle tradizioni ebraiche. Invece, la precedente discussione epistemologica si è focalizzata su una specifica storia o genealogia – occidentale, cristiana – del concetto base di questa discussione, "la religione", e sulla sua controparte, "il secolare". Questo passo teorico preliminare è estremamente necessario, in parte perché evidenzia l'enigma fondamentale con cui deve confrontarsi qualsiasi lavoro che tratti un "caso" (piuttosto: la storia) non-occidentale e non-cristiano; vale a dire la presenza onnicomprensiva dei concetti sopra menzionati come nomi apparentemente universali di diverse apparenze della stessa essenza.

Ma ciò solleva sicuramente alcuni seri dubbi: come possiamo, semmai, parlare dell'ebraismo come religione? Come, semmai, possiamo leggere e comprendere le tradizioni e le storie di coloro che si sono autoidentificati (e sono stati identificati) come ebrei tramite uno strumento concettuale che nasce da una storia sociopolitica cristiana e occidentale? È possibile farlo? È consigliabile? Un simile esercizio "traduzionale" (cioè una lettura delle tradizioni ebraiche come religione) ha qualche valore positivo? Oppure può portare più distorsione che delucidazione?

Il presente Capitolo si apre con una discussione di questi argomenti. Come vedremo fin dall'inizio, sebbene non passi inosservata l'irrilevanza del vocabolario cristiano per lo studio delle tradizioni ebraiche, l'ebraismo viene tuttavia ampiamente discusso come religione. Ciò ha a che fare, in larga misura, con una trasformazione filosofica avvenuta nell'Europa del XVIII e XIX secolo, in cui l'ebraismo veniva letto, o inventato, proprio come una manifestazione del concetto apolitico e protestante di religione. La parte principale del Capitolo è quindi dedicata allo studio storico-ideazionale di questa trasformazione filosofica.

Ebraismo in camicia di forza protestante[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Ebraismo, Ebrei e Religione.

La difficoltà – o, in effetti, la distorsione – causata dall'uso del termine "religione" e dalle sue traduzioni più o meno riuscite[1] in lingue non-latine e tradizioni non-cristiane potrebbe essere di per sé una ragione sufficiente per argomentare contro la rilevanza del termine a contesti extraeuropei. Inutile dire che tale distorsione non è solo una questione di semantica, ma piuttosto un'importazione, o imposizione, di un'intera visione del mondo basata su un malinteso (incapsulato nella distinzione tra religione e il secolare) in un contesto estraneo.

Le difficoltà derivanti dall'utilizzo di un'infrastruttura concettuale cristiana per lo studio delle tradizioni e delle storie ebraiche non sono passate inosservate. Tali sono, ad esempio, le osservazioni di José Faur riguardo allo scontro tra le "aspettative" suscitate da questa infrastruttura concettuale e i fatti storici apparenti.[2] Ciò coinvolge le nozioni fondamentali dell'Occidente moderno, come la distinzione tra scienza e religione: "The secularist notion, positing that ‘science’ and ‘religion’ are mutually exclusive is flawed, historically and conceptually. The reason for this misconception is that the secular concept of ‘religion’ is Christian—through and through".[3] Altrove Faur nota la distorsione causata dall'uso della nozione cristiana di "scrittura" per comprendere il ruolo del libro nella formazione della civiltà ebraica. Come ricorda ai suoi lettori:

« Usually, Scripture is regarded as a ‘religious’ work—with all the semantic accessories that this term had acquired via Christianity. It is taken as a given, therefore, that it is proper to freely apply to the Hebrew Scripture ideas and insights gained from the teachings and disciplines associated with ‘religion.’ The method is flawed. This will be obvious upon considering that the plethora of concepts applied to Scripture, including those of ‘religion,’ ‘spirituality,’ and the like, originate in an analphabetic environment, fundamentally inimical to the culture of writing and Book. »
(Faur, The Horizontal Society, 47)

In altre parole: si tratta dell'applicazione di un quadro concettuale del tutto estraneo (cristiano, che Faur identifica come "analphabetic") allo studio di ciò che considera l'essenza dell'identità ebraica, vale a dire il libro e la sua interpretazione dialogica.

La conclusione ovvia è che non sarebbe corretto trattare l'ebraismo come una religione. Questa conclusione getta nuova luce su concetti adiacenti, come "teologia", "etica",[4] "filosofia", "canone" e altri. Ciò porta Faur a precisare la sua posizione principale:

« I don’t regard Judaism as a ‘religion’ in the standard, Christian sense of the term. For better or for worse, the primary structure of Judaism is not theological. The term does not exist and it cannot even be coined in classical Hebrew. This is not to say that the Hebrew Scripture and rabbinic texts are not bursting with concepts that one can treat theologically and philosophically. However, as with the ‘philosophy’ of science or law, the subject itself—science or law—is not philosophy. »
(Faur, The Horizontal Society, xx–xxi)

Ciò fa luce anche sulla falsa rappresentazione dell'ebraismo come "fede", che è diventata prevalente a causa del predominio di una riduzione cristiana della religione alla convinzione che essa manifesta: "In this regard it is instructive to notice that Maimonides [...] classified ‘belief in God’ as one of the 613 ‘precepts’ of the Tora, which presupposes a primary political and judicial context, having nothing to do with theology".[5] Un altro autore i cui commenti sull'argomento meritano attenzione è il noto studioso di "misticismo"[6] ebraico o Cabala, Joseph Dan.[7] Dan esprime alcuni dubbi riguardo all'applicazione di "religione" all'"ebraismo". Data la sua posizione centrale nello studio della "religione ebraica", questi possono effettivamente essere visti come i semi dell'eresia vera e propria. Dan, come altri, sottolinea l'egemonia cristiana racchiusa nel termine "religione". Dan osserva che si tratta di una categoria cristiana, che costringe le "altre religioni" in un quadro di comprensione europeo-cristiano, cancellando così le loro particolarità e, in definitiva, i loro significati.

Seguendo Jonathan Z. Smith,[8] Dan identifica alcuni colpevoli responsabili della trasformazione dello studio delle religioni in un campo in cui una visione cristiana del mondo viene imposta all'intera storia dell'umanità. Nella sua formulazione, questi colpevoli – ciò che altri potrebbero semplicemente identificare come colonialismo europeo – sono una concezione evolutiva dello sviluppo dello spirito umano e la vittoria finale della scienza, della filosofia, del militare e della politica europea. Le implicazioni di tale egemonia europeo-cristiana sono di vasta portata:

« The very use of the concept ‘religion’ already sets the primary and basic parameters for every discussion, and these have already set Christianity as the center and standard of every spiritual being. Academia’s paternalistic generosity and norms of tolerance and courtesy encourage the perpetuation of a rhetorical acceptance of all “religions” as equal. But this is no more than a patina of pretense, easily exposed by notions such as ‘primitive religions’. Everybody pretends that all spiritual mode of beings are equal, but everyone knows that we are speaking about an evolutionary scale, in which each phenomenon has a position on a certain level, but the upper level belongs in whole to Christianity. »
(Dan, "Religion Studies", 163)

Se questa può sembrare una lamentela ingenua contro il senso di superiorità cristiano causato dagli usi impropri del termine "religione", Dan si affretta a notare la profonda distorsione epistemologica causata da questo dominio cristiano:

« The term religion, in its various translations, such as dat in Hebrew and din in Arabic, expresses the belief that the contents are the same in all realms of the human spirit, while the lingual dress is accidental, and can be interchanged. The terms dat in Hebrew and religiō in Latin must be identical in their meaning, since the spiritual phenomena are universal and meta-lingual. Hence, it makes no difference whether we use this or that sound to denote one of them. In other words, without the specifically Christian conception of translation, which lacks an equivalent in any other human culture, “the science of religions” is impossible. The very essence of the Christian translational conception set the ideational infrastructure regarding the internal uniformity of these phenomena, and the researchers dealing with the study of religions expose the examples and particularities, whose mutual identity in the varying cultures is inevitable, given the primary premise. »
(Dan, ibid., 166)

La traduzione ebraica del termine dovrebbe essere affrontata con attenzione. È doppiamente problematica, poiché non solo importa nel contesto ebraico-ebraico un concetto cristiano (il punto su cui si concentra Dan), ma utilizza anche un termine ebraico, dat, che porta con sé una propria storia di significati. In altre parole, come nei casi di "secolare" e "secolarismo" (che, portando ancora con sé la loro storia occidentale e cristiana, sono tradotti come iloni e iloniyut nell'ebraico israeliano moderno)[9], così l'uso ebraico contemporaneo di dat e datiyut (cioè religiosità) porta con sé una doppia distorsione. Ciò ha a che fare principalmente con (a) la forzatura della realtà in strutture concettuali ed epistemologiche distorte (vale a dire, il problematico uso moderno del concetto latino stesso), e (b) una traduzione problematica di questo stesso termine in ebraico, che ignora la storia e la politica del termine ebraico stesso.

Tuttavia, come altri che esprimono dubbi simili, anche Faur e Dan continuano a usare il termine "religione" in un modo che sembra essere "naturale". In ultima analisi, discutono dell'ebraismo come "religione", usando il termine, con tutte le dovute riserve, così come è inteso nel discorso comune e distorto. Come attestano i commenti sopra riportati, questi studiosi non mancano di affrontare la problematicità di tale uso, ma allo stesso tempo rilevano anche la difficoltà nel pronunciare un discorso accademico e analitico alternativo (che abbia senso per i suoi lettori, ovviamente), che sia liberato dalla discussa egemonia concettuale cristiana.[10]

Religione ebraica apolitica[modifica]

Quali sono, allora, le implicazioni del discutere le tradizioni ebraiche come se rientrassero nel concetto di religione cristiano-occidentale (protestante)? Per valutarle attentamente dobbiamo prima ripercorrere la trasformazione storico-ideazionale, in cui l'ebraismo "divenne" (o fu inventato come) una religione. La storia ideativa e politica dell'inserimento delle tradizioni ebraiche nel quadro concettuale della "religione" è particolarmente rilevante ai fini dell'interpretazione attuale, poiché getta una luce importante sulla politica del progetto sionista e dello Stato di Israele. Nello specifico, come vedremo nei Capitoli successivi, può essere determinante nel riformulare la realtà sociopolitica celata dietro i termini impropri "religione e politica" o "religione e nazionalismo" nel contesto sionista-israeliano.

Leora Batnitzky offre una narrazione penetrante della trasformazione – o, come direbbe il suo titolo, del "divenire" – dell'ebraismo in una religione. Si tratta di una narrazione della depoliticizzazione delle tradizioni ebraiche, in modo da renderle applicabili al concetto e al modello cristiano-protestante della religione come reame universale di vita privata e spirituale. Questa storia, nota Batnitzky, è specificamente moderna.[11] È anche specificamente ebraico-tedesca.[12]

I pensatori ebrei cominciarono ad interessarsi all'applicazione della categoria "religione" all'ebraismo nel diciottesimo secolo. Fu allora che divenne evidente un conflitto fondamentale tra il carattere apolitico della categoria moderna, cristiana, europea di "religione" (una questione discussa approfonditamente nel Capitolo precedente) e il carattere ovviamente pubblico e politico delle tradizioni ebraiche: "Adherence to religious law, which is at least partially, if not largely, public in nature, does not seem to fit into the category of faith or belief, which by definition is individual and private".[13]

Questi pensatori cercarono di risolvere tale tensione ricostruendo l'ebraismo come apolitico, cioè come una questione privata e personale che non tocca la sfera pubblica. La storia della "religione ebraica" è quindi la storia di questa ricostruzione, del suo relativo successo e delle reazioni storiche a questa trasformazione. In larga misura, questa è anche una chiave per comprendere l'identità ebraica moderna in generale.

Questa storia è quindi guidata da un conflitto di fondo tra la moderna categoria di "religione" e ciò che viene definito "ebraismo". Ciò va di pari passo con la questione più ampia del tentativo di "adattare" le storie e le tradizioni ebraiche ad altri quadri concettuali europei, come razza, nazionalismo, cultura ed etnia.

Nella lettura di Batnitzky, la linea spartiacque che separava la modernità ebraico-europea dalla premodernità e che portava all'invenzione dell'ebraismo come religione era l'emancipazione ebraico-europea, cioè la concessione dei diritti civili agli ebrei in alcuni stati europei. Prima di ciò, afferma Batnitzky, l'ebraismo non era una "religione" e l'ebraicità non era una questione di cultura o "nazionalità". Oppure, formulato in positivo: "Judaism and Jewishness were all these at once: religion, culture, and nationality".[14] In particolare, questo spartiacque rappresenta anche una rottura epistemologica, che rende difficile discutere la questione corrente senza cadere in schietti anacronismi concettuali. In ogni caso, ciò che è di fondamentale importanza per il nostro scopo è l'affermazione piuttosto ovvia che l'ebraismo non può essere facilmente, se non del tutto, decostruito negli elementi costitutivi teorici e concettuali dell'Occidente protestante.

Il resto di questo Capitolo offrirà, seguendo l'esempio di Batnitzky, una rassegna di alcuni dei passi principali nella costruzione moderna dell'ebraismo come religione, e di alcune delle implicazioni derivanti da questa costruzione.

Mendelssohn: Depoliticizzare l'ebraismo[modifica]

Moses Mendelssohn, 1771
Moses Mendelssohn, 1771
Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Moses Mendelssohn.

Moses Mendelssohn è, nella lettura di Batnitzky, il primo a formulare esplicitamente e sistematicamente la nozione che l'ebraismo è una "religione". La lettura, o invenzione, da parte di Mendelssohn, dell'ebraismo in termini di religione apolitica (cioè come una questione privata che non ha nulla a che fare con la sfera pubblica e la politica) era rivolta contro concezioni antisemite che vedevano l'ebraismo proprio come qualcosa che è più di semplicemente una religione — cioè come essenza pubblica e politica. Se questo pensiero antiebraico può essere descritto come corretto nell'identificare le tradizioni ebraiche e la legge ebraica come aventi una dimensione ovviamente pubblica, mentre è morbosamente sbagliato nel suo giudizio razzista su di esse, allora quella di Mendelssohn non è solo una sfida contro questo giudizio ma contro la stessa identificazione dell'ebraismo come pubblico e politico.

L’"invenzione" dell'ebraismo come religione è alimentata, quindi, dalla moderna tensione che si è sviluppata nel contesto europeo dello stato-nazione sovrano tra lo status pubblico/politico della comunità ebraica e lo status degli ebrei come individui. Per Mendelssohn, una ricostruzione dell'ebraismo come apolitico equivale alla sua modernizzazione. "He moves Judaism into the modern world by contending that politically, but not theologically, the individual Jew is separate from the Jewish community. Mendelssohn defines the very category of Jewish religion by separating Judaism from politics".[15] Lo fa definendo la legge ebraica "in no way political".[16] La sua, quindi, è una concezione protestante di religione: la religione, per essenza, non è politica; l'ebraismo (o la legge ebraica) è una religione; quindi l'ebraismo (e la legge ebraica) non è politico.

Si noti che ci sono due modi divergenti in cui questo esercizio di una presunta modernizzazione dell'ebraismo (sia nella formulazione di Mendelssohn sia nell'interpretazione che ne dà Batnitzky) può essere interpretato: uno apologetico e uno critico. La lettura apologetica presenterebbe questo sviluppo come inevitabile. Riconoscerebbe che la differenza tra i modi "premoderni" in cui le tradizioni ebraiche erano state vissute o comprese, e il carattere apolitico del moderno ebraismo di Mendelssohn può davvero essere profonda; tuttavia, si potrebbe sostenere, questa mossa è inevitabile. Solo attraverso di essa l'ebraismo avrebbe potuto sopravvivere nel mondo moderno e occidentalizzato. Le regole del gioco sono cambiate e se gli ebrei desiderano continuare a vivere come tali devono adeguarsi. Secondo questa lettura, il cambiamento motivante è principalmente esterno alla storia ebraica, o all'ebraismo. Potrebbe addirittura riconoscere l'origine cristiana di questo cambiamento. Ma considererebbe comunque questo cambiamento come un'inevitabile influenza sull'ebraismo, che richiederebbe un adattamento. L'ebraismo non può sfidare questo cambiamento o ignorarlo. Tale è la modernità, quindi, e tale è il modo – l'unico modo – affinché l'ebraismo sopravviva in un'era moderna. Come vedremo più avanti, l'atteggiamento apologetico è dominante e molti lo danno per scontato. Tanto che a volte è difficile ricordare che esiste anche un altro modo di leggere questo esercizio.

La lettura alternativa e critica si opporrebbe alla costrizione delle storie ebraiche in una struttura concettuale estranea. Questa lettura rifiuterebbe di accettare l'epistemologia cristiana occidentale come un dato incontestabile, e richiederebbe una lettura ebraica che rimanga dialogicamente fedele alle particolarità delle storie ebraiche.[17] Inutile dire che tale lettura può essere guidata da diverse ideologie e arrivare ad un'ampia gamma di conclusioni. Fondamentalmente, ai fini della discussione attuale, cercherebbe di evidenziare ciò che non viene contrassegnato e dato per scontato nella moderna invenzione protestante della "religione ebraica".

Religione ebraica e Stato sovrano[modifica]

La dualità costitutiva tra religione e secolare/politica/stato (discussa nel Capitolo precedente) riceve una spiegazione piuttosto semplice nel pensiero di Mendelssohn.[18] Lo Stato, sostiene, è per definizione il partito che si occupa del potere e della violenza, mentre la religione, nel vero senso del termine, no. Cioè, l'ebraismo (indicato dal nome "Gerusalemme") non ha a che fare con il potere; quindi, non impedisce il successo dell'incorporazione, o assimilazione, degli ebrei (come individui) all'interno delle comunità politiche non-ebraiche, vale a dire, i moderni e secolari stati nazionali europei.

Mendelssohn sostiene inoltre che l'ebraismo non riguarda la fede, ma piuttosto una questione di pratica. Tale affermazione mira a presentare l'ebraismo come una religione razionale. Poiché l'ebraismo non richiede una credenza razionale di tipo religioso e nonrazionale, non è in conflitto con la razionalità; i due sono complementari. Fondamentalmente, essendo un sistema razionale, la religione ebraica, ancora una volta per definizione, non può essere imposta all'individuo. In altre parole, è esattamente la proprietà della mancanza di potere, l'assenza di una dimensione politica (quella della "coercizione") che rende la "religione ebraica" non intimidatoria per la sfera pubblica non-ebraica, o la politica "laica".[19]

L'obiettivo principale di Mendelssohn, quindi, non è un'analisi filosofica dell'ebraismo e della legge ebraica, ma piuttosto un argomento politico: il suo scopo è negare le rivendicazioni antiebraiche e consentire l'inclusione degli ebrei all'interno dell'ordine politico della nazione-stato sovrano moderno.[20] Ciò risulta essere superato dall'autocontraddizione:

« Mendelssohn’s definition and description of Judaism are in a fundamental sense at odds with themselves. Mendelssohn claims that Judaism is not a religion like Christianity because Judaism demands action, not belief. But Mendelssohn also defines Jewish law in completely apolitical terms—that is, precisely in contrast to the laws of the state […] Mendelssohn wants to have it both ways: Judaism is a religion of law requiring action and stimulating contemplation. But when it comes to questions of universal action—that is, state law—and when it comes to universal contemplation—that is, the eternal truths of philosophy—Judaism remains separate and dispensable, except insofar as Judaism calls for obedience to the state’s law. »
(Batnitzky, ibid., 22, 27)

Religione e Legge[modifica]

La costruzione/invenzione dell'ebraismo come religione da parte di Mendelssohn non era completa. Anche se cercò di distinguere, politicamente, tra l'individuo ebreo e la comunità ebraica, tuttavia non riuscì a costruire una distinzione teologica tra i due. Il suo esercizio politico-intellettuale portò comunque con sé conseguenze devastanti per la legge ebraica. Come nota Batnitzky:

« Mendelssohn offers no philosophical or theological justification for why Jews should obey the law, and by virtue of his own definitions, he cannot supply any philosophical or theological justification for Jews to follow the law, because he argues that Jewish law is a temporal, historical truth whose legitimacy rests on neither the universally accessible dimensions of philosophical truth nor the dogmas of particular theological belief. »
(Batnitzky, ibid., 28)

I successori di Mendelssohn tendevano a risolvere questa tensione formulando una ridefinizione dell'ebraismo in cui il diritto non gioca un ruolo importante.[21]

Anche se Mendelssohn rifiuta, almeno retoricamente, i limiti posti dal pensiero protestante al concetto di religione (del resto Mendelssohn sosteneva che la legge ebraica rientra perfettamente nella categoria di religione), nega anche che possa esistere un conflitto tra ebraismo e verità universale. Ciò va di pari passo con la sua negazione che possa esserci una tensione tra ebraismo e stato. Lo fa sostenendo che in entrambi i casi ciò che appare come conflitto è il risultato di un errore categorico, di una confusione tra concetti distinti: l'ebraismo è separato dalla verità universale e non la minaccia, come è separato anche dal diritto statale e non ne costituisce minaccia.[22]

Diritto, Tradizione e Scienza[modifica]

L'esercizio ideativo pionieristico di Mendelssohn ha stimolato un'ampia riorganizzazione e reinterpretazione del significato di ebraismo in Europa. "He functions as an axis of sorts, defining the new paradigms of the modern Jewish discourse".[23] Divergendosi su una serie di questioni riguardanti l'ebraismo, la storia, la filosofia e il diritto, i pensatori ebrei tedeschi tendevano tuttavia ad accettare l'affermazione di Mendelssohn secondo cui l'ebraismo è una religione che non entra in conflitto con la sovranità del moderno stato-nazione.[24]

Come osserva Amnon Raz-Krakotzkin, gli echi del pensiero di Mendelssohn costituiscono una vera e propria rivoluzione nello sviluppo del pensiero ebraico. Sia concordando che discutendo con Mendelssohn:

« Jewish thinkers, all—except for the Orthodox circles—wished to construct a worldview in which Jewish identity will no longer be based on an exilic consciousness [which Raz-Krakotzkin identifies as the essence of Jewish tradition], but rather on one’s belonging to society and accepting the values of the dominant [non-Jewish] culture. The meaning of this movement was to match the definition of Judaism not only to the language of modern culture, but also to its foundational principles—which were conceived as neutral, that is, indifferent in terms of religious identity. »
(Raz-Krakotzkin, "Exile within Sovereignty pt. 1", 30)

In un senso più ampio, Mendelssohn avviò la disputa sulla questione se l'ebraismo fosse una "religione" o una "nazionalità"; visti come due possibilità in apparenza reciprocamente contraddittorie, questi due concetti hanno un cruciale denominatore comune: "a definition of Jewish existence which is based on a detachment from the exilic principle, and on full acceptance of the concept of modern nationalism, that is an acceptance of the guiding principle of the dominant culture".[25]

Ciò è stato formulato nel contesto di un dibattito sulla questione se l'ebraismo abbia una "essenza" che lo costituisce e lo distingue dalle altre "religioni": "For, if Judaism has no essence from a scientific-historical point of view, then there is no such thing as Judaism. Rather, there are many Judaisms, all of which, from a historical perspective, are equally valid or invalid".[26]

La risposta di Mendelssohn a questa domanda è fondamentalmente "halachica", poiché vede la legge ebraica come l'essenza storica immutabile dell'ebraismo. Ma Mendelssohn non nega il ruolo della tradizione nella comprensione del significato di legge. Riconosce che l'interpretazione e la pratica della legge cambiano nel tempo, come richiede la realtà storica umana; per lui la tradizione gioca un ruolo positivo nella comprensione dell'essenza dell'ebraismo.

All'inizio del diciannovesimo secolo, con il crescente campo di studio "scientifico" dell'ebraismo, basato com'era sull'antinomia che contrapponeva scienza e tradizione come opposti, l'equazione di Mendelssohn era ormai insostenibile. Una comprensione tradizionale dell'ebraismo (che, alla fine, Mendelssohn cerca di sostenere, reinventandolo come religione) finì per essere vista in questo quadro di pensiero moderno – sia nella sua iterazione politica (cioè lo stato-nazione sovrano) o quello scientifico – in quanto ostacola il "vero significato" o "l'essenza" dell'ebraismo. Diventa così oggetto di confronto (nel caso dello Stato) o di decostruzione (nel caso della scienza).[27]

La "religione" ebraica e la denominazionalizzazione dell'identità ebraica[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Haskalah.

L'interpretazione/costruzione da parte di Mendelssohn dell'ebraismo come religione influenzò la formazione praticamente di tutte le correnti di pensiero ebraico europeo moderno e la divisione definitiva dell'ebraismo (europeo) in "denominazioni" separate.

Forse, nell'immediato, il suo pensiero fu la forza trainante dell'ebraismo liberale e del movimento riformista. L'ebraismo liberale cercò di risolvere la tensione tra l'impegno dell'ebreo nei confronti della legge ebraica e il suo impegno nei confronti della legge "secolare" dello Stato rinunciando, in termini pratici, alla legge ebraica. Fermamente fedele allo Stato sovrano, la posizione liberale/riformista presentava l'ebraismo come del tutto apolitico. Cercava anche di reinterpretare, o ricostruire, l'ebraismo come religione moderna utilizzando gli strumenti concettuali della cultura dominante. Considera l'essenza dell'ebraismo esattamente come l'"elemento religioso universale",[28] cioè il suo essere una religione (protestante). In altre parole, questa visione del mondo comprende la modernità principalmente in termini protestanti e cerca di mostrare che questa modernità è piuttosto l'essenza dell'ebraismo stesso.[29]

Nella lettura liberale, la storia dell'ebraismo non può che essere una storia di conquiste "spirituali", proprio a causa della natura apolitica dell'ebraismo, che ne ha garantito la continuità storica, la sua stessa sopravvivenza. Ciò significa che l'unico valore veramente essenziale dell'ebraismo è quello religioso, quello apolitico. Questo argomento è direttamente collegato all'argomento politico a favore dell'assimilazione ebraica nella cultura tedesca – cioè nel moderno, sovrano, stato nazionale tedesco – che è vista come la privatizzazione della fede ebraica all'interno di un ordine politico "neutrale". La mossa principale che consentirebbe la "spiritualizzazione" dell'ebraismo (cioè la trasformazione dell'ebraismo in modo da rimanere fedele alla sua essenza spirituale, eliminando aggiunte anacronistiche, che inibiscono l'assimilazione culturale e politica) è la liberazione dell'ebraismo dalla sua "fissazione" sulla legge ebraica.

In altre parole, l'invenzione della religione ebraica nella sua formulazione riformista/liberale si oppone esattamente al "dat" ebraico (come "religione" viene comunemente tradotto oggi in ebraico), nel suo significato originale, cioè legge. Mentre Mendelssohn cercava comunque di preservare l'essenza della "religione ebraica" come legge ebraica (per di più, una legge apparentemente apolitica), nel contesto liberale/riformista questo paradosso viene risolto in modo piuttosto semplice: l'invenzione di una religione ebraica apolitica e interiormente spirituale richiede la sua negazione come legge.[30]

Uno dei segni più chiari dello strapotere di questa invenzione di ebraismo come religione è un'altra invenzione, quella dell'ebraismo ortodosso, che è arrivata come controreazione alla maturazione liberale/riformista dell'esercizio originale di Mendelssohn. Cercando di respingere la Riforma e di contrastare alcune delle conseguenze più evidenti dell'invenzione di "religione ebraica" da parte di Mendelssohn, la posizione ortodossa accetta tuttavia le premesse fondamentali di Mendelssohn. Accetta cioè la condizione stessa di un discorso che spera di negare: "Orthodoxy is actually predicated not on a rejection but rather an intensification of Mendelssohn’s premise that Judaism is a religion that in no way conflicts with the sovereignty of the modern nation-state. Moreover, Orthodoxy’s commitment to this notion is what renders it like Jewish religion more generally, a modern invention".[31]

Significativamente, la posizione ortodossa afferma di essere contraria alla forzatura dell'ebraismo in quadri di comprensione cristiano-protestanti, sottolineando invece la natura onnicomprensiva dell'ebraismo, vale a dire il suo essere uno stile di vita totale. Ciò sembrerebbe basarsi esattamente sulla negazione della tesi secondo cui l'ebraismo è una religione: "Judaism is not a religion, the synagogue is not a church, and the Rabbi is not a priest".[32]

Tuttavia, la dipendenza di questa posizione dalle premesse fondamentali poste da Mendelssohn è abbastanza evidente. Sostiene che l'ebraismo, e in particolare la legge ebraica, non sono per definizione politici. Qui si rivela che l'Ortodossia è costruita esattamente sugli stessi concetti moderni usati da altri per negare le identità ebraiche tradizionali: "Drawing on the very modern concepts that have usurped traditional Jewish identity and authority,” the Orthodox stance “agrees with Mendelssohn in arguing that Jewish religion is not coercive but instead concerns only the heart and mind".[33]

Come dovremmo allora comprendere l'affermazione ortodossa, citata sopra, secondo cui l'ebraismo non è una religione? Batnitzky offre un giudizio piuttosto categorico al riguardo: "Despite [Orthodox] protestations to the contrary, this stance nevertheless “understand[s] Judaism as a religion".[34] Si mantiene su una nozione apolitica dell'ebraismo, accettando proprio il quadro epistemologico che separa il teologico dal politico. Inoltre, considera questa concezione apolitica e non coercitiva dell'ebraismo e della legge ebraica come il vero ebraismo, distinguendolo dalle false rivendicazioni sull'identità ebraica.

Per inserire questo nel contesto di un discorso israeliano-sionista, l'Ortodossia si collega direttamente all'invenzione della religiosità ebraica ("datiyut"), che nella cultura politica israeliana (seguendo l'esempio dell'ideologia sionista) viene identificata con l'ebraismo ortodosso, e in effetti anche con autenticità ebraica. Dovrebbe essere sottolineato già in questo primo punto della mia discussione che il sionismo ha una relazione piuttosto complicata con questa identità ortodossa: rifiutando l'ebraismo riformato, il pensiero sionista ha accettato, spesso implicitamente ma tuttavia con forza, la pretesa dell'ebraismo ortodosso all'autenticità ebraica (religiosa). Naturalmente, lo aveva fatto a partire dalla negazione di alcuni elementi essenziali (quelli che riteneva "esilici") di questa identità; tuttavia, è rimasto fortemente debitore nei confronti della definizione di identità ebraica data dall'Ortodossia. Approfondirò questo punto nella Seconda Parte del wikilibro.

È anche importante notare il grado in cui questa identità ortodossa, per la sua natura settaria, è debitrice all'ebraismo riformato e al secolarismo ebraico-europeo (come formulato dall’haskalah, o movimento illuminista ebraico) come suoi significativi "Altri". Il suo senso autoimposto di separazione dal più vasto mondo delle identità ebraiche si basa su un quadro concettuale distintamente cristiano e occidentale, costituito su nozioni di "fede", "spiritualità" e una distinzione tra "teologia" e "politica".[35] Questa ironia non può essere ignorata: "Orthodoxy is not only modern but rather in a certain sense the most modern of modern Judaisms in molding itself as a religion on the German Protestant model".[36]

Inoltre, è questa posizione conservatrice, e la sua nozione di una distinzione fondamentale tra il "religioso" e il "politico" che consente un senso di pluralismo interreligioso. Dopo tutto, la posizione ortodossa accetta lo stato apparentemente secolare, moderno e sovrano come l'incarnazione della politica (che è esterna all'ebraismo); ciò lascia spazio alla "politica secolare" e a un certo senso di tolleranza religiosa.[37] In sintesi, l'ebraismo ortodosso europeo si rivela un'altra invenzione dell'ebraismo come religione, che presuppone l'ordine politico dello stato-nazione sovrano e la distinzione tra il secolare (identificato con il politico) e il religioso (che ora è identificato come settario per natura). Il disaccordo essenziale tra l'ebraismo liberale/riformato e quello ortodosso riguarda il contenuto di questa "religione ebraica"; entrambe le parti accettano la base concettuale tedesco-protestante come fondamento costitutivo della loro visione del mondo.

Nella lettura di Batnitzky, quello che oggi viene definito Ebraismo conservatore – o, nella sua iterazione originale, Scuola Storico-Positiva – si avvicina di più a una comprensione completa e ricca della tradizione ebraica come dinamica e in evoluzione. In questa lettura, è anche quella che riesce meglio ad evitare le implicazioni di una definizione dell'ebraismo come religione. Criticamente, l'ebraismo conservatore lo fa all'interno di una cornice hegeliana di comprensione storica.

A differenza delle "denominazioni" riformate e ortodosse, la posizione storico-positiva vede l'ebraismo come una forza attiva nella storia degli ebrei. Riconosce la natura dinamica della legge ebraica, ma – contrariamente all'argomentazione della Riforma – vede i cambiamenti apportati da questo dinamismo come il risultato della creatività ebraica e dell'attività storica, che dovrebbero essere adattate alla modernità e non semplicemente trascurate.

1. Proto-Haskalah: Raphael Levi HannoverSolomon DubnoTobias CohnMarcus Elieser Bloch
2.Haskalah berlinese: Salomon Jacob CohenDavid FriedländerHartwig WesselyMoses Mendelssohn
3. Austria e la Galizia: Judah Löb MiesesSolomon Judah Loeb RapoportJoseph PerlBaruch Jeitteles
4. Russia: Avrom Ber GotloberAbraham MapuSamuel Joseph FuennIsaac Baer Levinsohn

Rifiutando la valutazione sprezzante di Hegel sull'ebraismo, pur mantenendo una comprensione dell'ebraismo nei termini della storia filosofica hegeliana, la posizione storico-positiva riporta in primo piano la politica ebraica. Vede l'ebraismo come una relazione dialettica tra teologia e politica in cui il trascendentale acquisisce una presenza politica. Questa dialettica esige che l'ebraismo non sia una religione, che per definizione è limitata alla sfera privata. L'ebraismo è pubblico, comunitario e politico. Pertanto, pur accettando l'epistemologia che separa la religione dalla politica, questa posizione tuttavia non accetta la separazione storica dei due reami. L'ebraismo e la storia ebraica, si sostiene, sono sempre stati caratterizzati simultaneamente da elementi sia politici che religiosi.[38]

I passaggi ideativi esaminati sopra sono lungi dall'esaurire la discussione filosofica in questione. Una simile analisi esula sicuramente dallo scopo di questo studio. Ciò che è importante per il nostro scopo qui è il modo in cui l'invenzione della religione ebraica guida e consolida l'idea sionista. Come verrà discusso tra breve, la posizione del sionismo in relazione agli sviluppi ideologici sopra esaminati è stata complicata. Per quanto riguarda la politica ebraica, si oppone alla costruzione/invenzione dell'ebraismo come religione, ma in quanto ideologia che mira alla creazione di uno stato nazionale di tipo europeo è, in realtà, costituita su questa costruzione. È mia opinione che focalizzare l'attenzione su questo argomento ci consentirà di comprendere meglio le questioni comunemente etichettate come "religione e politica" e/o "religione e nazionalismo" nell'ideologia sionista e nello Stato di Israele.

La prossima Sezione del libro svilupperà questo argomento. Ciò suggerirà di concentrarci sulla relazione del sionismo con le precedenti tradizioni ebraiche, prestando allo stesso tempo molta attenzione alla posizione piuttosto peculiare dell'ideologia sionista: rifiutare l'idea che l'ebraismo sia una religione apolitica e allo stesso tempo fare affidamento sulla stessa epistemologia che lo ha fatto nascere in primo luogo, e accettando come dato naturale il concetto stesso di "religione". Ma prima di soffermarsi sulla questione del sionismo, desidero presentare un'interpretazione più dettagliata del concetto di tradizione, che, a mio avviso, può essere un'alternativa più fruttuosa all'epistemologia della dicotomia secolare-religiosa. Lo farò nel Capitolo successivo.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico e Serie letteratura moderna.
  1. Per lo più, meno riuscite. Cfr. la mia discussione più oltre sulla trasformazione dell'italiano "religione" nell'ebraico dat.
  2. Ciò è vero, ovviamente, anche in contesti cristiani. Faur cita come esempio la ricorrente sorpresa dei "secolaristi moderni" nell'apprendere che Francis Bacon, oggi definito il fondatore dell'empirismo, "was a man of God, of the Judaic monotheistic persuasion, like Isaac Newton" — Faur, The Horizontal Society, 10.
  3. Ibid., 10ff. 27.
  4. Cfr. Benamozegh, Jewish and Christian Ethics.
  5. Ibid., xxi.
  6. Vi sono, infatti, buone ragioni per mettere in dubbio anche la rilevanza dell'uso di "misticismo" per lo studio delle tradizioni ebraiche. Ma questo va oltre lo scopo della mia discussione attuale.
  7. Dan, "Religion Studies".
  8. Smith, "Religion, Religions, Religious".
  9. Cfr. Yadgar, Beyond Secularization, cap. 3; Fischer, "The Concepts of ‘Religion’ and ‘Secularism’ in Hebrew".
  10. Questo utilizzo problematico del termine è ulteriormente esasperato nella tesi di Faur secondo cui la tradizione ebraica sefardita dovrebbe essere letta secondo il termine di Vico di "umanesimo religioso". Cfr. Faur, "Vico, Religious Humanism and the Sephardic Tradition".
  11. Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 1.
  12. La mia, come quella di Batnitzky, è un'analisi prevalentemente intellettuale. Inutile dire che tale analisi è lungi dall'essere esaustiva; l'enfasi dell'ebraismo sulla pratica dovrebbe indirizzarci anche alle realtà storico-sociali portate dalle categorie qui discusse. Per un’analisi dell'ebraismo moderno attraverso un focus sulla pratica, cfr. Eisen, Rethinking Modern Judaism.
  13. Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 1.
  14. Ibid., 2.
  15. Ibid., 18.
  16. Ibid.
  17. José Faur offre una lettura critica di questo esercizio, come anche un'alternativa sefardita tradizionalista. Cfr. specialmente Faur, The Horizontal Society.
  18. Specialmente Mendelssohn, Jerusalem.
  19. Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 21.
  20. Ibid.
  21. Tale, ad esempio, fu il rifiuto da parte di David Friedländer della distinzione di Mendelssohn tra i costrutti politici e teologici della comunità ebraica. La soluzione di Friedländer alla tensione fu quella di negare qualsiasi status – politico o religioso – alla legge cerimoniale ebraica. Ibid., 22–28.
  22. Ibid., 25.
  23. Raz-Krakotzkin, "Exile within Sovereignty pt. 1", 30.
  24. Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 33.
  25. Ibid.
  26. Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 35.
  27. Ibid., 36.
  28. Geiger, Abraham Geiger and Liberal Judaism, 178; citato in Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 36.
  29. Qui è utile la nota di José Faur sull'argomento: Faur identifica l'incapacità delle "scienze ebraiche" di apprezzare adeguatamente la natura libraria (alfabetica, nei suoi termini) dell'ebraismo come derivante dalla dottrina secondo la quale "to be legitimate, ‘Jewish history’ needs to have been first regurgitated by non-Jews". Faur, The Horizontal Society, 63.
  30. Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 37.
  31. Ibid., 34.
  32. Hirsch, Judaism Eternal, 103; citato in Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 41.
  33. Batnitzky, How Judaism Became a Religion, 41.
  34. Ibid., 41–42.
  35. Ibid., 43.
  36. Ibid.
  37. Ibid.
  38. Ibid., 45–46.