Sovranità Ebraica/Capitolo 7

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Indice del libro
Ingrandisci
Bandiera di Israele

LO STATO-NAZIONE ISRAELIANO E LE TRADIZIONI EBRAICHE[modifica]

La parte attuale del mio studio sposta la sua attenzione dal sionismo pre-statale allo stato-nazione israeliano. Se questo libro avesse seguito lo spunto del mainstream accademico, questa sua parte avrebbe potuto intitolarsi "Religione e politica in Israele". Invece, rimanendo fedele alla discussione epistemologica con cui ho aperto, offrirò qui una riconsiderazione delle questioni solitamente discusse sotto questa etichetta come questioni relative al rapporto tra la teopolitica dello Stato e le tradizioni ebraiche che lo hanno preceduto e continuano a convivere con esso. Questa Sezione si propone quindi di studiare i modi in cui lo stato-nazione sovrano, che si identifica come Stato degli ebrei, o anche come Stato ebraico, ha negoziato alcune delle apparenti tensioni nella posizione sionista rispetto alle precedenti tradizioni ebraiche. Lo Stato ha assunto un ruolo centrale e dominante nella costruzione dell'identità nazionale israeliana, che implica un mantenimento attivo dell'ebraicità degli ebrei israeliani. Ciò si riflette necessariamente sull'autoidentificazione dello Stato come Stato democratico degli ebrei.

Il Capitolo 7 studia alcuni dei significati intersoggettivi comunemente associati all'identità nazionale israeliana. Più specificamente, il Capitolo si concentra sulla tensione tra statualità israeliana e nazionalità ebraica. Si arriva a questo attraverso l'esame delle sentenze della Corte Suprema di Israele, secondo la quale non esiste una nazione israeliana. I Capitoli 8 e 9 sono dedicati allo studio dell'identità ebraica mantenuta dallo stato-nazione.

Inizio, quindi, con il caso piuttosto curioso della Corte israeliana che nega il nazionalismo israeliano. Come vedremo, questo getta una luce illuminante sulla questione in esame.

Israelianità ⇔ Ebraicità: Identità Nazionale in Israele e Tradizioni Ebraiche[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Israele e Portale:Israele.

Israelianità, Ebraicità e Corte Suprema[modifica]

Esiste una nazione israeliana o un'identità nazionale israeliana? L'israelianità costituisce una nazionalità, nel significato "più denso" del termine, così come è comunemente usato nel discorso pubblico e accademico?

Questa, in effetti, può sembrare una domanda assurda. Inoltre, esaminata più da vicino, può sembrare "doppiamente assurda": una risposta semplice alla domanda può essere allo stesso tempo evidente e logicamente impossibile; vista da diversi punti di vista, la risposta è ovviamente "sì" e sicuramente "no". Da un lato, possiamo supporre che uno stato nazionale alquanto vitale da circa settant'anni (lo Stato di Israele, ovviamente), basato a sua volta su un'ideologia nazionalista politicamente trionfante vecchia di più di 100 anni (cioè il sionismo) non dia vita a un'identità nazionale altrettanto vitale? Dall'altro, se accettiamo che l'identità nazionale israeliana sia un'identità vitale e distinta, cosa dobbiamo pensare dell'autoidentificazione dello stato come stato degli ebrei – e non degli israeliani? O, cosa ancora più problematica, come possiamo conciliare l'identità nazionale israeliana con l'autoidentificazione ormai costituzionale dello stato come stato ebraico (e democratico)?[1]

Lasciatemi spiegare solo due delle implicazioni problematiche – anzi, politicamente e ideologicamente caustiche – di queste risposte binarie. La possibilità che lo stato-nazione israeliano abbia effettivamente dato vita a un'identità nazionale "nativa" può gettare una luce negativa su un principio fondamentale dell'ideologia guida dello stato, secondo il quale tutti gli ebrei compongono una nazione distinta – e unificata. Potrebbe equivalere (e, come vedremo tra breve, è effettivamente equivalente) ad affermare che gli israeliani sono un gruppo nazionale distinto, separato dagli ebrei; che i due termini, da un punto di vista nazionalista, si escludono a vicenda: identificarsi come appartenenti alla nazione israeliana significherebbe non appartenere alla nazione ebraica.[2]

D'altro canto, un'identificazione esplicita dell'israelianità come uguale all'ebraicità significherebbe che l'identità nazionale israeliana è riservata esclusivamente agli ebrei, o almeno che i non-ebrei non possono parteciparvi equamente. Ciò equivarrebbe ad affermare che i cittadini arabo-palestinesi di Israele non possono, per definizione, prendere parte vitale, genuina ed equa nell'identità sponsorizzata e sostenuta dal loro Stato. Per dirla in modo ancora più schietto, equivarrebbe ad affermare che Israele non è il loro Stato, anche se li proclama suoi cittadini. Ciò dovrebbe gettare una luce negativa sul presunto carattere democratico di Israele.[3]

Ma abbiamo davvero la capacità di decidere in un modo o nell'altro, in modo binario, se un'identità nazionale di qualche tipo è "reale" o no, se esiste o no? Gli scienziati sociali (o, per meglio dire, studenti di scienze/studi umanistici), che accettano come un dato di fatto ovvio (sociale, umano) che tali questioni non sono date naturalmente ma piuttosto costruite sociopoliticamente, sarebbero comprensibilmente critici nei confronti dell'assurdità di questa domanda. Sicuramente faremmo meglio a non scherzare con tali enigmi assolutisti e quasi empirici, e a concentrarci invece su un'analisi e un'interpretazione del significato intersoggettivo[4] che persone, culture, individui, ecc., portano o manifestano riguardo al più ampio contesto della realtà simbolica, materiale, sociale e politica che è ciò che solitamente chiameremmo "identità nazionale".

Tuttavia, la Corte Suprema israeliana si è impegnata più di una volta a fare esattamente questo: decidere in un modo o nell'altro – una risposta sì o no – se l'esistenza di una nazione israeliana sia stata positivamente dimostrata. E così è successo che la Corte Suprema dello Stato (nazionale) di Israele, più e più volte, ha deciso che la risposta fosse negativa. In tal modo, la Corte ha evidenziato la natura complicata dell'autoidentificazione dello Stato di Israele come Stato nazionale democratico degli ebrei. Ha messo in luce alcuni dei fili più delicati ed esplosivi del rapporto irrisolto e complicato del sionismo con le tradizioni ebraiche che lo hanno preceduto. In quanto tale, questa sentenza ci fornisce un'articolazione piuttosto diretta di ciò che è in gioco qui, vale a dire, l'incapacità di Israele di decifrare pienamente il significato stesso del suo essere uno Stato ebraico, in seguito alla pretesa del sionismo di essere un movimento politico della nazione ebraica.

Dopo aver esplorato il modo in cui il tribunale israeliano ha affrontato la questione, nonché spiegato il contesto storico in cui dovrebbe essere studiata, offrirò quello che ritengo sia un modo più sensato di affrontare la questione dell'identità israeliana, vale a dire un esame della costruzione, dello sviluppo e della pratica del significato che questa nozione porta con sé. Ciò comporterà innanzitutto una considerazione della capacità di questo costrutto identitario di accogliere o pronunciare l'identificazione di Israele come stato sovrano democratico degli ebrei. Sosterrò che, anche se sarebbe piuttosto difficile negare la vitalità dell'identità nazionale israeliana, questa identità non è indipendente da una certa comprensione dell'identità ebraica e delle tradizioni ebraiche che è, alla radice, un prodotto dello stato-nazione che si auto-identifica come lo stato degli ebrei, non degli israeliani. Ciò dà vita a un'identificazione de facto tra israelianità ed ebraicità, che rende qualsiasi discussione sull'identità nazionale israeliana una questione "complicata".

Ebrei, (nuovi) Hebrews e israeliani: Contesto storico-ideologico[modifica]

Per approfondire, vedi Canaanism, Neo-Zionism, Category:Post-Zionists, Post-Sionismo e Antisionismo.

Come vedremo, il caso giudiziario in questione affonda le sue radici direttamente nella tensione sopra discussa tra il senso dell'ideologia sionista di un risveglio nazionale moderno e "secolare" e la storia o tradizione etnoreligiosa ed ebraica del movimento. Sia il ricorso che la risposta della Corte non possono essere pienamente valutati senza prendere in considerazione questo contesto storico-ideologico.

Una conclusione ovvia dello studio della posizione del sionismo rispetto alle precedenti tradizioni ebraiche (posizione presentata nella Sezione precedente di questo libro) è che tale posizione è stata "ambigua". Questa ambivalenza non era solo una questione di biografia personale o collettiva degli ideologi sionisti, ma anche una caratteristica piuttosto centrale della stessa ideologia sionista tradizionale. Per quanto dura possa essere la sua critica contro la tradizione/"religione" ebraica, il sionismo ha comunque rivendicato un’identità nazionale ebraica che semplicemente non poteva rinunciare né alla storia ("religiosa") ebraica né alla collettività ebraica. In questo contesto, dovremmo tenere presente che il sionismo ha cercato di posizionarsi come un movimento universalmente ebraico che include – almeno in linea di principio, per pura logica di coesione nazionale – tutti gli ebrei: religiosi o meno, esiliati o meno, finanche sionisti o meno.

Come i critici hanno da tempo sottolineato, questa ambivalenza ha messo il sionismo tradizionale in una posizione compromessa rispetto alle narrative concorrenti del nazionalismo ebraico, che cercavano di negare completamente ed esplicitamente qualsiasi relazione tra quei ("nuovi") ebrei e il loro lignaggio ebraico.[5] Portata alla sua logica conclusione, la "negazione dell'esilio (ebraico)" contrapponeva gli Hebrews (nome preferito dagli ideologi sionisti) ai Jews. Era diventato piuttosto difficile, se non addirittura incoerente, difendere l'elemento "ebraico (Jewish)" in questa immagine di rinascita nazionale. Non è difficile capire perché l'"insistenza" del sionismo tradizionale su un'autoidentificazione ebraica, combinata con la sua severa negazione di quella stessa ebraicità tradizionale, alla fine diventerebbe piuttosto difficile da difendere, soprattutto se si considerano i sionisti di seconda e terza generazione, giovani donne e uomini nati nel focolaio ideologico del sionismo socialista, alimentati com'erano da un risentimento verso la "religione" e la "tradizione" ebraica, ma privi di una conoscenza immediata di questa tradizione conservata invece dai loro genitori.

“Young Hebrews” era infatti il nome originale di un gruppo politicamente debole ma intellettualmente e culturalmente influente di intellettuali ex-sionisti, che aveva articolato e sviluppato ulteriormente questa conclusione logica della negazione dell'esilio e dell'ebraicità tradizionale. Senza soffermarsi troppo in profondità nell'esposizione di questo gruppo piuttosto affascinante, sarebbe sufficiente descrivere i Young Hebrews come coloro che hanno costruito una narrazione/identità storica, culturale e politica, che presentava il nazionalismo ebraico come originatosi in tempi di Storia pre-(o, per meglio dire, non‑)ebraica. Inoltre si presentavano come del tutto estranei agli ebrei in esilio e criticavano severamente l'establishment sionista apparentemente laico per essere intrappolato nelle mani dell'autorità ebraica rabbinica. Per loro l'identità nazionale ebraica era innanzitutto una questione di territorio e di lingua, identità esclusiva di coloro che vivono sulla terra degli antichi Hebrews e parlano la loro lingua. L'identità nazionale Hebrew, sostenevano, non ha nulla a che fare con la religione ebraica. Inoltre, consideravano questa religione come una catena storica posta alle gambe della nazione ebraica in esilio. Culturalmente, i Young Hebrews cercarono di riappropriarsi delle risorse culturali pre-ebraiche – vale a dire miti, simboli, eroi ed eroine, narrazioni cananei (pagani) – come elementi costitutivi di una rinascita dell'identità Hebrew. Da qui il nome “Canaanites (Cananei)”, nato come peggiorativo sionista contrapposto ai Young Hebrews e successivamente da loro ripreso.[6]

L'"alterità" degli ebrei da parte dei Young Hebrews non era così semplice come la loro ideologia professata potrebbe suggerire. Per prima cosa, fondamentale, non potevano negare o sfuggire al senso di identificazione, empatia e, in definitiva, di fratellanza che gli ebrei come loro provavano nei confronti delle vittime ebree dell'antisemitismo europeo. A questo proposito, l'Olocausto ha segnato la natura limitata di tale identificazione nazionale territoriale-linguistica di quelli che potremmo chiamare nazionalisti "ex ebrei".[7]

Questa potrebbe essere la ragione principale per cui i Young Hebrews non sono mai riusciti a porre una vera sfida politica all'establishment sionista. Tuttavia, riuscirono ad articolare e a professare un senso di identità nazionale distinta – territoriale, linguistica e storica – separata dall'identità ebraica.

Questo pezzo di storia culturale è rilevante ai fini della valutazione del caso giudiziario in questione, poiché il caso riproduce l'ambivalenza del sionismo riguardo alla propria ebraicità. Come ho accennato supra, seguendo Kurzweil, i Young Hebrews presentano una posizione "purista" nazionale ebraica che mette in luce la natura irrisolta del rapporto del sionismo con la propria eredità ebraica – un punto che viene ripreso nel caso giudiziario discusso. Questa breve nota storica può anche essere utilizzata come preludio biografico a tale caso giudiziario, poiché molti dei querelanti in questo caso erano personalmente coinvolti nel movimento storico (ora defunto) dei Young Hebrews. Passerò ora a presentare il caso in modo più dettagliato.

Sulla sostenibilità (legalista) di una nazione israeliana[modifica]

Allora, come è potuto accadere che la Corte Suprema dello Stato di Israele sia giunta alla conclusione decisiva – e abbia dichiarato ufficialmente in tal senso, come una questione di fatto legale, secondo la prassi dei tribunali – che non esiste una nazione israeliana?

Registro della popolazione di Israele: nazione, religione e cittadinanza[modifica]

Si tratta del fatto che lo Stato di Israele, attraverso il suo Ministero degli Interni, tiene un registro della popolazione, che comprende, oltre ai nomi, al sesso, allo stato personale, agli indirizzi, ecc., anche le categorie di Religione e Nazionalità (leom in ebraico). Questi termini possono creare confusione, poiché nei paesi di lingua inglese la parola "nationality" può essere letta come uguale a cittadinanza; nel registro israeliano, "Cittadinanza" è una categoria separata. Nazionalità ha a che fare con l'appartenenza ad una determinata nazione, nel senso piuttosto ideologico del termine.

Dato che lo Stato di Israele concede la cittadinanza quasi immediata a coloro che identifica come ebrei – probabilmente l'aspetto più importante dell'autoidentificazione dello Stato come Stato degli ebrei – la maggior parte delle sfide politiche e legali che coinvolgono questo registro e le sue interpretazioni/pratiche formali sono ruotate attorno a quella che alla fine divenne una questione apparentemente religiosa di "Chi è ebreo?" vale a dire, questioni di inclusione o esclusione di individui come membri del popolo ebraico attraverso le categorie "Religione" e, implicitamente, "Nazionalità". Alcune decisioni legislative storiche e precedenti legali ben discussi hanno reso una questione di pratica legale e procedurale che nel caso degli ebrei le due categorie (Religione e Nazionalità) siano considerate essenzialmente identiche.[8]

Lo Stato quindi "impone" un'identità etnico-nazionale ebraica a coloro che ritiene (indipendentemente dalle loro opinioni soggettive sulla questione) membri della maggioranza ebraica. Per fare solo un esempio: se una non-ebrea con cittadinanza/passaporto francese diventasse cittadina israeliana, verrebbe registrata come francese sotto Nazionalità (cioè in questo caso l'anagrafe identificherà la nazionalità con la cittadinanza). Se, tuttavia, fosse un'ebrea, che sta acquisendo la cittadinanza israeliana in base alla sua origine ebraica, verrebbe "nationally converted" – la sua nazionalità sarà contrassegnata come “Jewish”. Questa logica funziona anche negativamente: lo Stato non accetta, ad esempio, ex-ebrei che si sono convertiti al cristianesimo come membri della nazione ebraica (vale a dire, se sono registrati come "cristiani" sotto Religione, non possono registrarsi come "ebrei" sotto Nazionalità, anche se nati ebrei).

"Io sono israeliano" contro lo Stato di Israele[modifica]

Uriel Shelaḥ (1967)
 
Uzzi Ornan (2010)
Uzzi Ornan (2010)

Questo è il contesto procedurale e ideologico contro il quale un gruppo di cittadini israeliani, registrati dallo Stato (nella maggior parte dei casi) come ebrei o come membri di altre nazionalità (arabi, drusi, buddisti, georgiani, birmani) hanno presentato ricorso alla corte nel 2003 con la richiesta che lo Stato li registri come "israeliani" sotto Nazionalità.[9] Si trattava di un ricorso distintamente dichiarativo, in quanto i ricorrenti avevano chiesto alla Corte di dichiarare la "nazionalità israeliana" una categoria valida. Soprattutto, i ricorrenti spiegavano che la loro richiesta positiva di essere registrati come "israeliani" presenta anche un aspetto negativo. Come ha affermato la Corte: "They do not feel themselves to be members of the Jewish nation.[10]

Il principale ricorrente nel caso – e il suo istigatore – era Uzzi Ornan, un ex membro degli originali Young Hebrews (suo fratello, Uriel Shelaḥ, era il leader del gruppo), e un attivista di lunga data dedito alla causa della separazione dell'elemento "religioso" ebraico dal nazionalismo Hebrew/Israeli. Spesso conducendo campagne all'insegna del secolarismo o della secolarità, l'attivismo di Ornan si concentrava anche sulle formalità del Registro Statale della Popolazione. In precedenti ricorsi amministrativi e giudiziari riusciva a far sì che il Ministero dell'Interno cambiasse la sua registrazione da "Jewish" sia sotto Religione che Nazionalità a "Hebrew" sotto Nazionalità, e come "Of No Religion" sotto Religione. La sua retorica sembra essersi spostata nel corso degli anni da un discorso nazionale di distinta identità ebraica (in linea con l'ideologia dei Young Hebrews) a un discorso sui diritti civili che protesta contro la preferenza prevalente degli ebrei rispetto ai non-ebrei in Israele. Come spiega una delle sue incarnazioni come attivista politico, l'associazione civile “I am Israeli”:

« A regime of discriminations prevails in the State of Israel. Citizens are granted or denied rights based on their being Jews or non-Jews [. . .] The Interior Ministry works diligently to classify each citizen as belonging to one of the religious groups [. . .] If you are classified with the Jewish group, for example, then rabbis (who live on our expanse) will tell you what to eat, will halt public transportation on Saturdays, and will disallow or “permit” you to marry [. . .]
The [State of Israel’s] Population Registry and Identification Card are the main tools of “classification.” You pull out your card—and based on it or based on the registry kept with the Interior Ministry—the clerk knows which sector you “belong” to [. . .] and what you are not entitled to, because you do not “belong.” »
(Ornan, "Haleum sheli: Yisraeli")

Questo è il contesto generale contro il quale Ornan e i suoi colleghi appellanti hanno chiesto alla Corte di concedere una decisione dichiarativa che obblighi lo Stato a registrarli come “Israeli” nella categoria della Nazionalità. Come ha spiegato Ornan, in virtù dell'esistenza stessa dello Stato, i suoi cittadini dovrebbero essere tutti considerati membri della "nazionalità dello Stato" (o, la nazione dello Stato – leom medina in ebraico; presumibilmente il rovescio della medaglia della nozione di uno stato-nazione):

« Even by Israel’s constitutive document, the Declaration of Independence, all citizens of Israel are considered members of the common nationality of the state, that is the Israeli nation. [. . . Nevertheless], there is just one nationality of state [leom medina in the Hebrew original] not recognized by the State of Israel [. . .] This is the Israeli nation! [. . .]
In order to enable a citizen who views himself as just Israeli, and does not want to be forcibly ascribed as belonging to a certain, separate religious-ethnic group, the ‘I am Israeli’ association [. . .] appealed to the court with a request to order the Interior Ministry to register the appellants as ‘Israeli Nationality’ in all formal documents of the state. »
(Ornan, "Haleum sheli: Yisraeli")

Il precedente di Tamarin[modifica]

A dir il vero, Ornan & Altri non sono i primi ad aver presentato una petizione per essere registrati come membri della nazione israeliana. Tutte le istanze della Corte riguardo al loro ricorso si basavano su una sentenza precedente del 1972, il ricorso "Tamarin vs The State of Israel" alla Corte Suprema,[11] in cui Georg Refael Tamarin, un cittadino israeliano di origini croate, all'epoca registrato come Jewish sotto Nazionalità e “Of No Religion” sotto Religione, aveva chiesto che il tribunale ordinasse allo Stato di cambiare la sua registrazione in “Israeli” sotto Nazionalità.

Tamarin è stato critico nei confronti della recente legislazione su questioni su "Chi è ebreo?" (una legislazione che in sostanza identificava la nazionalità ebraica con la religione ebraica, e assegnava agli interpreti ortodossi della legge ebraica il compito di determinare chi può ottenere la cittadinanza quasi immediata in virtù delle proprie origini ebraiche). Era sconvolto da quella che considerava la misura "razziale-religiosa" stabilita dalla nuova legislazione per determinare l'appartenenza alla nazione ebraica. "This changed his feeling regarding his own belonging to this nation".[12] Aveva quindi chiesto che il tribunale ordinasse allo Stato di cancellare la sua registrazione come ebreo e di registrarlo invece come israeliano sotto Nazionalità.

L'appello di Tamarin alla Corte è stato quindi un primo esempio di una richiesta dichiarativa che, come compreso da tutte le parti coinvolte, avrebbe separato l'identità israeliana dall'identità ebraica. Il ragionamento addotto dalla Corte per respingere la sua richiesta tendeva a rientrare pienamente nel quadro dell'ideologia sionista tradizionale. Ciò che è davvero notevole è la negazione molto schietta da parte della Corte della fattibilità o dell'esistenza di un'identità nazionale israeliana; e questo precedente diniego, come vedremo, si è dimostrato duraturo.

Lo stesso Tamarin sembra aver mostrato una visione più sfumata e socio-storica. Il suo appello del 1972 riconosceva che nel 1949, quando fu registrato per la prima volta presso il Ministero degli Interni, era titubante riguardo alla fattibilità del concetto di nazione israeliana. Concludeva quindi che il processo di formazione di una nazione israeliana fosse ancora nella sua fase iniziale. Quindi, decise allora di essere registrato come ebreo sotto Nazionalità (una formulazione più accurata, sostenne, lo avrebbe registrato come ebreo e croato). Dopo più di due decenni di – beh, statualità-israeliana – sostenneva: "to the best of my understanding, today, a consolidated Israeli nation already exists, [and] I belong to it by all subjective criteria (identification, the feeling of belonging, loyalty, and a declaration reaffirming this)".[13]

Un tribunale di grado inferiore, la cui decisione alla fine fu confermata dalla Corte Suprema, stabilì che le suddette misure soggettive di Tamarin fossero irrilevanti: "A person cannot create a new nation" semplicemente dicendo che esiste e sentendo affinità con essa. Piuttosto, secondo la Corte, la questione in esame riguarda una misurazione oggettiva – si sarebbe tentati di dire: scientifica – che determina l'esistenza stessa di un determinato oggetto o essere, in questo caso: una nazione israeliana. Tuttavia, l'istanza inferiore non si sentì obbligata ad affrontare misure così oggettive, poiché "by my own feeling as a judge who lives within his people, and possibly out of my judicial knowledge, I can say unhesitatingly that an Israeli nation does not exist separately from a Jewish nation".[14]

Le implicazioni ideologiche sembrano aver dominato gran parte dell'attenzione della Corte. Così, ad esempio, dopo aver notato che la Dichiarazione di Indipendenza designa esplicitamente lo stato costituito come stato-nazione ebraico, la Corte Suprema, considerando l'appello di Tamarin, ha messo in guardia contro il potenziale risultato di un riconoscimento esplicito di un'identità nazionale israeliana:

« The renewal of the political life of the Jewish People in its homeland did not come to us in order to create a schism inside the people settled in Zion, so as to divide and break it up into two nations—a Jewish one and an “Israeli” one. Such a division, if happened, may it never happen [ḥalila in the Hebrew original], would have been contradictory to the national goals, for which the state was established. »
(Agranat, CA 630/70 Tamarin v. The State of Israel (1972))

In effetti, all'interno del quadro ideologico che ha dominato la creazione dello Stato di Israele (vale a dire, quello che viene solitamente definito Sionismo Politico), il risultato potenziale di tale separazione nazionale è devastante. Significherebbe "hindering those [national] goals, and undermining the unity of the whole Jewish People".[15] La Corte ha ritenuto che il ricorso manifestasse una "separatist course of action" e ha deciso che è illegittimo, poiché comporta "the political and social disintegration of the whole people".[16] Ha quindi concluso: "It has not been proven that [. . .] an ‘Israeli nation’ exists, and it is not proper to encourage the creation of new ‘slivers’ of nations".[17]

Quarant'anni dopo, e ancora nessuna prova[modifica]

Ornan e i suoi colleghi d'appello sostenevano che i quaranta e passa anni trascorsi da quando questo precedente era stato stabilito lo avevano reso irrilevante. La Corte Distrettuale, prima istanza a dibattere il loro ricorso, non fu d'accordo. La Corte concluse che, sebbene non potesse negare la sensazione soggettiva di Ornan di appartenere a una nazione israeliana, da un punto di vista legalista "there is no Israeli nation, and the court should not create such a creation out of nothing".[18] In altre parole, la Corte Distrettuale semplicemente non accolse la tesi "naturalistica" degli appellanti, secondo cui un gruppo di persone che convivono da diversi decenni, avendo a cuore il loro territorio comune e condividendo lo stesso sistema politico (vale a dire, il stato-nazione di Israele), compongono naturalmente una nazione. La Corte quindi considerò la richiesta dei ricorrenti come una questione di “new creation”, di “creating a new status”.[19]

Tuttavia, la Corte Distrettuale era riluttante ad approfondire l'argomentazione sociopolitica e ideologica in questione. Invece negava agli appellanti la decisione dichiarativa da loro richiesta, interpretando la fattispecie come collocata essenzialmente al di fuori dell'ambito decisionale giuridico-istituzionale: "Normatively, the matter can be examined by judicial tools, but institutionally it is not a matter for judicial decision".[20]

Gli appellanti presentarono ricorso contro la decisione della Corte Distrettuale e la Corte Suprema ha riconosciuto che si tratta, dopo tutto, di una questione soggetta a decisione giudiziaria. Tuttavia, ha respinto la loro richiesta, questa volta sulla base del fatto che non sono riusciti a dimostrare oggettivamente l'esistenza di una nazione israeliana. La Corte ha concluso che il precedente di Tamarin è ancora valido: non esiste una nazione israeliana.

Come nel precedente di Tamarin, la decisione della Corte Suprema è stata esplicitamente attenta all'ideologia sionista. A questo riguardo, il dibattito legalistico tra i ricorrenti e la Corte si legge come una ripetizione del dibattito ideologico/politico tra i Young Hebrews e la corrente principale sionista. Così, ad esempio, gli appellanti negavano l'idea fondamentale del sionismo secondo cui l'ebraismo è una nazionalità, cioè che esiste una nazione ebraica: "One cannot define all Jews in the world as belonging to ‘the Jewish nation,’ since all Jews [...] belong to the nation of the state of which they are citizens".[21] Si tratta, ha insistito la Corte, di una "delicate, controversial issue, that has accompanied the Jewish people for many years and the Zionist movement from its inception. The notion that Judaism is not just a matter of religiosity but rather of national belonging is a cornerstone of Zionism".[22] Un giudice concordante fu più determinato:

« Regarding the Jewish nation—it has been proven that the Visionary of the State, Dr. Binyamin Zeev Herzl, was right when he determined in his book, The Jewish State (1896): “I think the Jewish question is no more a social than a religious one, notwithstanding that it sometimes takes these and other forms. It is a national question . . . We are a nation—one nation!” »
(Giudice Hanan Melcer in Vogelman, CA 8573/08 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 18 (2013))

Inoltre, la Corte adottò anche una posizione esplicitamente sionista, piuttosto polemica, formulata da due studiosi che si proponevano di difendere alcune delle premesse fondamentali del sionismo contro la critica contemporanea.[23] Uno degli aspetti intriganti di questa posizione è il modo in cui reindirizza un argomento centrale dei ricorrenti contro di loro: mentre i ricorrenti sostengono che l'insistenza di Israele su un'identità nazionale ebraica esclude per definizione i non-ebrei, e che un'identità nazionale israeliana sarà, sempre per definizione, inclusiva in quanto si applica equamente a tutta la popolazione indipendentemente dalle differenze etnoreligiose, l'argomentazione richiamata dalla Corte sostiene il contrario. Afferma che l'adozione di una nazione israeliana potrebbe, invece di includere la minoranza palestinese[24] come parte della nazione, escluderla civilmente; che negherebbe il loro status paritario come cittadini dello Stato di Israele. In merito la Corte cita Yakobson e Rubinstein: "In the Arab sector, many avoid or even expressly refuse to define themselves as Israelis, either because of the term’s lack of national neutrality or simply for political reasons".[25] Una riaffermazione dell'identità nazionale israeliana (non necessariamente ebraica) significherebbe quindi, secondo questa logica, un’esclusione dei cittadini palestinesi di Israele. Inutile dire che, affinché questa logica sia valida, dobbiamo dare come scontata l'identificazione pratica tra israelianità ed ebraicità, così come l'opposizione tra ebreo e arabo quali categorie mutuamente esclusive (questioni sulle quali mi occuperò tra breve). Ignora, in altre parole, la ridefinizione non-ebraica (o addirittura antiebraica) dell'israelianità da parte dei ricorrenti, così come le varie alternative alla costruzione di “ebreo” e “arabo” come opposti che si escludono a vicenda.

La decisione della Corte Suprema prosegue sottolineando la controversia accademica che circonda il concetto stesso di "nazione". Fa riferimento alle principali opere di Gellenr, Hobsbaum e Anderson,[26] ma sembra ignorare completamente la loro visione critica del nazionalismo. Seguendo Yakobson e Rubinstein, la Corte identifica lo Stato di Israele come basato sul "‘Ethno-Cultural Nationalism,’ in which the individual’s association with the national group is mainly the outcome of common objective characteristics (language, religion, culture and common history)".[27] La corte ha quindi ritenuto essenziale che i ricorrenti "prove in objective criteria the existence of an Israeli nation".[28] Ciò implicherebbe una prova oggettiva che la decisione del 1972 (il caso Tamarin), in cui si stabilì che "the existence of an Israeli nation has not been proven in objective criteria",[29] dovrebbe essere annullata. La Corte ha stabilito che gli appellanti non lo hanno fatto, da qui la sua reiterazione che non esiste alcuna prova oggettiva dell'esistenza di una nazione israeliana.

La posizione dello Stato[modifica]

Uno degli aspetti più notevoli di questo caso è racchiuso nelle argomentazioni dello Stato di Israele in tribunale. Lo Stato ha chiesto al tribunale di respingere la richiesta dei ricorrenti. Ha insistito sul fatto che non esiste alcuna identità nazionale israeliana, o meglio, nessuna nazionalità/nazione israeliana, nel senso "thick" e ideologicamente significativo del termine. Lo Stato ha sostenuto che ciò che unisce il proprio collegio elettorale – cioè i vari gruppi etnici e nazionali su cui governa – è la cittadinanza israeliana, non la nazionalità. Ha inoltre sostenuto che la divisione etnico-nazionale all'interno della società in Israele (data la posizione dello Stato, bisogna stare attenti ad usare termini unificanti non basati sulla cittadinanza, come ‘società israeliana’) è un dato che non può – e apparentemente non dovrebbe – essere negato.[30] Inoltre, ciò è stato preceduto da un chiarimento procedurale da parte del rappresentante dello Stato (uno Stato i cui fondatori tendevano a preferire considerarsi Hebrews piuttosto che Jews) presso la Corte Distrettuale secondo cui la registrazione di Ornan come “Hebrew” sotto Nazionalità è "a historical mistake" e che non esiste una base reale per tale registrazione.[31]

La posta liberal-sionista nel nazionalismo israeliano[modifica]

La decisione della Corte non ha mancato di sollevare le ire di alcuni partiti che non si identificano necessariamente con l'implicita posizione non-sionista di Ornan e altri, ma che hanno comunque un interesse ovviamente alto nella stessa vitalità di un progetto "secolare" (come indipendente dal una lettura "religiosa" dell'ebraicità), un'identità liberal-democratica – anzi sionista – israeliana. Questi partiti hanno considerato la negazione da parte della Corte dell'esistenza di un'identità nazionale israeliana non solo come offensiva (poiché, alla radice, si identificano come appartenenti a una nazione israeliana; la loro identità nazionale è israeliana), ma anche come regressiva. Per loro, la decisione della Corte equivale a una dichiarazione secondo cui l'ebraismo non-liberal-democratico, basato sulla religione, è e dovrebbe essere dominante rispetto alle letture concorrenti e secolariste dell'identità israeliana. Il fatto che ciò provenga dalla Corte Suprema, probabilmente il simbolo/istituzione più venerato dei liberali-sionisti in Israele, non ha fatto altro che accrescere ulteriormente la loro sensazione di aver subito un torto. Probabilmente la più coerente tra queste è stata la voce del quotidiano Haaretz, che ha dedicato il suo editoriale celebrativo del Giorno dell'Indipendenza del 2014 alla rinuncia al verdetto della Corte Suprema. L'argomentazione presentata dal giornale è catturata abbastanza chiaramente nel titolo dell'editoriale: "There is Such a Thing as ‘Israeli’". Il comitato editoriale considerava la questione strettamente correlata alla controversa misura legislativa che avrebbe sancito costituzionalmente l'autoidentificazione di Israele come lo stato-nazione del popolo ebraico:[32]

« Both the court ruling and the ceaseless parliamentary efforts to legislate such a law [i.e., the Basic Law: Israel—the Nation State of the Jewish People] put forth a very narrow portrait of “Israeliness.” For 66 years now “Israeliness” has attempted to gain recognition and win independence, and has been rejected repeatedly by the establishment. It has been described as the “slivers of peoplehood” whose existence has not been proven, while at the same time, no one seeks to legislate a law that will define and protect it. Again and again it is forced to bow before its “big sister,” the Jewish state.
But while [Binyamin] Netanyahu’s motivation [in promoting the aforementioned Basic Law] can be explained by his obsessive desire to Judaize Israel and not to allow its minorities to “feel at home,” it is hard not to wonder what exactly the basis was for the court’s determination that there is no such thing as an Israeli nationality [...] Does it not suffice that a group of people lives together for decades in a country called Israel, to call this people “Israeli”? The creation of Israeli literature, Israeli art, Israeli music, Israeli theater, Israeli humor, Israeli politics, Israeli sports, an Israeli accent, Israeli grief—are all of these not enough to speak of an “Israeli people”? »
(Haaretz, 5 maggio 2014; traduz. ingl. da Haaretz Editorial, “There Is Such a Thing as ‘Israeli’–Opinion”)

Un approccio sociopolitico all'israelianità: Sullo sviluppo e la vitalità dell'identità ebraico-israeliana[modifica]

Come attestato sia dai commenti esplicitamente ideologici della Corte che dalla critica altrettanto ideologica di Haaretz alla sentenza della Corte stessa, la presunta questione giudiziaria in esame tocca due dimensioni sociopolitiche critiche. Nel senso più immediato, questi hanno a che fare con il nucleo stesso del progetto sionista di creare uno stato-nazione ebraico: (1) il rapporto tra gli ebrei israeliani e gli ebrei della "diaspora"; vale a dire la questione del giusto rapporto tra "lo Stato degli ebrei" (e i suoi cittadini ebrei) e gli ebrei del mondo; e (2) il rapporto tra la maggioranza degli ebrei e la minoranza dei non-ebrei, in particolare i cittadini musulmani e cristiani palestinesi di Israele; vale a dire, di chi è lo stato? "Appartiene" – o piuttosto soddisfa gli interessi degli "Jews" (come definiti, ovviamente, dallo Stato), o piuttosto quelli di (tutti) i suoi cittadini?

In termini più ampi, il caso giudiziario-procedurale in questione ha dato vita a una discussione piuttosto paralizzata (paralizzata, poiché vincolata dalle regole giudiziarie in gioco) sul significato stesso di essere israeliano o di israelianità. Oltre alle due succitate questioni, ciò tocca anche il rapporto irrisolto e conflittuale del sionismo con la propria identità ebraica; il tentativo fallito di forzare le tradizioni, le storie e le identità ebraiche in quadri concettuali che le classificherebbero come religione o nazionalità; e il senso e il significato dell'ebraismo israeliano.

Come nella maggior parte dei casi in argomentazioni così nettamente opposte – argomentazioni enunciate da due pilastri del sionismo liberale nel caso qui discusso (la Corte e l'editoriale di Haaretz) – la realtà sociopolitica sembra sfidare entrambe le argomentazioni. In un certo senso, entrambe hanno ragione in una certa misura, ed entrambe hanno torto nell'ignorare forti argomentazioni contrarie. Ognuno di loro presuppone una risposta data, ideologicamente guidata, alla domanda fondamentale: "What does it mean to be Israeli?" e ignora la natura molto contestata delle loro risposte.

Una considerazione sociopolitica della questione in ballo dovrebbe iniziare, quindi, con un tentativo di comprendere come il significato di israelianità viene costruito e interpretato dai suoi "praticanti", o portatori. In altre parole, abbiamo a che fare qui con la questione (umana) fondamentale di come le identità collettive e private vengono costruite, comprese, negoziate e sviluppate. Inutile dire che queste domande sono fondamentali per comprendere la politica. Se riusciamo a cominciare a comprendere il significato associato all'identità israeliana da parte di chi la porta, cioè il significato che gli israeliani associano all'essere israeliani, potremmo anche essere in grado di iniziare a comprendere il mondo politico che mantengono e la sua relazione con altri mondi politici, vicini e lontani.

Stato israeliano e identità israeliana[modifica]

Il caso israeliano presenta un bisogno ancora più urgente di offrire tale analisi, poiché il progetto di costruzione e mantenimento di un'identità nazionale collettiva (il cui nome – Israeliano? Ebraico? Sionista? – può essere lasciato irrisolto a questo punto)[33] è stato stato uno degli sforzi centrali dello stato-nazione di Israele. La storia conflittuale dello Stato e la natura controversa di questa costruzione identitaria non fanno altro che evidenziare ulteriormente l'importanza – e la sensibilità – di tale studio.

In effetti, il ruolo dello Stato nella costruzione di ciò che equivale, in definitiva, a un'identità personale (la propria identificazione come israeliano, o come ebreo, o altro), non può essere sopravvalutato. Ciò può essere spiegato se, ad esempio, consideriamo la stessa pratica politico-amministrativa che la Corte ha dato per scontata: la tenuta da parte dello Stato di un registro, che segna “religione” e “nazionalità” di ogni individuo. La storia dell'applicazione e della formazione di questo registro va oltre lo scopo di questo wikilibro. Ciononostante viene da chiedersi cosa voglia realizzare ed esprimere tale registro. In fondo, non tutti i moderni stati-nazione si sforzano di classificare così categoricamente la propria popolazione secondo criteri religiosi e nazionali; altri potrebbero non pretendere, come nel caso dell'anagrafe israeliana, di avere prova "oggettiva" della propria appartenenza (o non appartenenza, come suggerisce il caso in esame) ad una determinata categoria.[34]

Preso alla lettera, il registro mette immediatamente in primo piano diversi punti critici: (a) la nozione ideologica (radicata nel nucleo stesso dell'idea sionista) secondo cui l'ebraismo non è, o non solo, una religione, ma principalmente una nazionalità, che a sua volta è, essenzialmente, separata e superiore all'appartenenza "religiosa" ebraica; (b) il senso pratico in cui il registro consente allo Stato di distinguere gli ebrei dai non-ebrei, in particolare i musulmani e i cristiani palestinesi, e di mettere in pratica una preferenza dei primi rispetto ai secondi (o per una questione di ideologia esplicita o come una misura di "sicurezza"); e (c) i modi in cui il registro viene utilizzato per raggiungere obiettivi esplicitamente politici volti a ottenere dominio mediante la manipolazione delle identità (come nella pratica di separare i cittadini drusi palestinesi di Israele dagli altri palestinesi, identificando drusi come nazionalità).[35] Va inoltre spiegato che la Corte non ha mai messo in discussione la pratica di tenere questo registro nella sua forma attuale.

La pratica statalista di mantenere questo registro dovrebbe essere presa in considerazione all'interno di un quadro più ampio che si occupa del progetto in corso o del processo di autocreazione e autodefinizione dello Stato (nazione) di Israele. Il fatto che Israele sia uno Stato-nazione piuttosto giovane, la cui creazione è stata il culmine di un progetto ideologico, evidenzia una caratteristica che a volte viene lasciata nascosta in bella vista: il nazionalismo israeliano – o, per dirla diversamente, l'identità nazionale mantenuta dallo Stato di Israele, non ha una lunga tradizione. Anche rispetto ad altre tradizioni nazionali inventate (o, per meglio dire, costruite sociopoliticamente), questa ha una storia piuttosto breve. Naturalmente, parte di questa tradizione inventata è un tentativo di riappropriazione di alcuni capitoli della storia ebraica, ma ciò non deve essere confuso con il senso più profondo della tradizione. In altre parole, quando si considerano le questioni in ballo, sarebbe meglio ricordare il fatto piuttosto semplice che Israele è uno stato costruito su un fondamento ideologico e, in larga misura, ha preceduto la propria popolazione; è uno stato che ha preso vita prima della sua società. E lo Stato ha assunto un ruolo formidabile proprio nella "creazione" e nella formazione di questa società. In effetti, uno dei progetti più grandi intrapresi dallo Stato di Israele è quello che riguarda la creazione stessa di quella che (in linea con l'ideologia sionista) considerava l'identità nazionale ebraica.

Il rovescio della medaglia di quest'ultimo fatto è spesso trascurato dagli osservatori della politica israeliana: lo Stato di Israele non ha fatto molti sforzi, se non addirittura nessuno, nella costruzione di un'identità israeliana. Infatti, come sostenuto dai rappresentanti dello Stato in tribunale, e come fatto eco dalla Corte stessa nei casi discussi sopra, lo Stato di Israele vede l'israelianità come una questione procedurale relativa alla cittadinanza di un individuo. Nel senso più fondamentale, si considera uno stato della nazione ebraica, cioè degli ebrei, non degli israeliani. Pertanto, il formidabile progetto di creazione di un'identità nazionale ebraica in Israele – che ha comportato il dominio del governo o un suo pesante intervento nel sistema educativo, nel campo culturale, nei media, nell'esercito come agente di socializzazione, ecc. – è stato dedicato alla creazione di "nationals" ebrei-sionisti, e non di "nationals" israeliani. Considerati alcuni accesi dibattiti sui programmi di Educazione civica,[36] si potrebbe addirittura sostenere che lo Stato tende a preferire la creazione di nationals sionisti rispetto a cittadini israeliani. In ogni caso, il punto da tenere a mente quando si considera la fattibilità di un'identità israeliana è che lo stato-nazione in cui si dice che questa identità sia stata forgiata non è impegnato a promuovere l'israelianità; infatti, come ha chiarito la Corte, lo Stato (così come la Corte stessa) tende a considerare l'identità israeliana come una minaccia all'autoidentificazione sionista e fondatrice dello Stato come Stato di Ebrei.

L'israelianità, quindi, potrebbe essere vista non come un'identità di stato-nazione (questo, devo menzionarlo, era l'argomento centrale di Ornan e altri che si appellavano alla Corte; ciò che Ornan definì “a state’s nation”, leom medina), ma piuttosto come un'identità forgiata, negoziata e mantenuta in altre sfere, vale a dire il mercato, la società civile e, ovviamente, la sfera privata. Data la natura "meno formalmente istituzionalizzata" di queste sfere, la discussione in corso non può, come la Corte ha ipotizzato, fornire prove e confutazioni "oggettive".

Sarebbe invece meglio discutere, attraverso l'interpretazione, della vitalità e della natura delle tradizioni israeliane, vale a dire: (a) il grado in cui le tradizioni israeliane sono state effettivamente forgiate e mantenute in queste sfere; (b) gli agenti che svolgono un ruolo centrale nella formazione e nel mantenimento di queste tradizioni; (c) le fonti da cui si nutrono queste tradizioni; (d) il vocabolario simbolico e la grammatica di queste tradizioni; in modo più critico: (e) i mondi di significato che portano o ai quali sono associate; e, infine, (f) la vitalità di queste tradizioni, soprattutto se confrontate con tradizioni concorrenti (principalmente, in questo caso, la tradizione ebraico-sionista propagata dallo Stato).

Israeliani, ebrei, sionisti — e palestinesi[modifica]

Yoav Peled (2007)
Yoav Peled (2007)
Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Portale:Ebraismo e Chi è ebreo?.

Quelli sopra riportati sono, in effetti, criteri generali che non riguardano esclusivamente la storia sionista o israeliana. Le particolari caratteristiche del caso in esame richiedono la considerazione di due punti cruciali. In una formulazione molto cruda queste includono le questioni complementari della "ebraicità" di questa israelianità, e della sua "civiltà"; in altre parole, il rapporto tra l'israelianità e l'ebraicità-sionista sponsorizzata dallo stato da un lato, e l'inclusione o l'esclusione da parte dell'israelianità dei non-ebrei dall'altro. In effetti, questa può sembrare una formulazione scomoda della presunta contraddizione, spesso discussa, tra l'identità ebraica di Israele e il suo regime democratico. Ma, come spero che la mia discussione fino ad ora abbia chiarito, un simile quadro unidimensionale – vale a dire, un'identificazione piuttosto ingenua dello stato-nazione israeliano come un'entità politica "essenzialmente secolare" il cui impegno verso i principi democratici è limitato da un giogo "ebraico" impostogli in quanto Stato ebraico — è più fuorviante che chiarificatore. Per prima cosa, ignora completamente il rapporto complicato e irrisolto del sionismo con le tradizioni ebraiche che lo hanno preceduto. Inoltre, ciò avviene attraverso l'imposizione di strutture concettuali e binarie del tutto estranee (vale a dire, il secolare contro il religioso, la modernità contro la tradizione, la politica contro la religione, ecc.) sulle storie, sulle identità, sulle culture e sui sistemi di significati intersoggettivi ebraici.

Dobbiamo ricordare che la relazione tra israelianità, ebraicità e cittadinanza israeliana deve essere presa in considerazione nel quadro più ampio del dominio dell'ideologia sionista e della sua applicazione nello stato-nazione di Israele. Come hanno affermato Gershon Shafir e Yoav Peled,[37] una considerazione su "chi è israeliano" deve tenere conto di tre dimensioni critiche del sionismo e dello stato-nazione israeliano: queste includono non solo l'etno-nazionalismo e la democrazia ebraico-israeliana, ma anche il colonialismo. Dato che il tratto principale, fondamentale – anzi, costitutivo – del progetto politico sionista/israeliano è il conflitto sulla terra, contro i suoi abitanti (vale a dire i palestinesi non-ebrei), il progetto di creare uno stato di ebrei – o uno stato ebraico – viene principalmente interpretato e applicato come una spinta incessante a garantire una "maggioranza ebraica" (un progetto messo sotto la bandiera di una "minaccia demografica") e a garantire la sovranità degli ebrei.[38]

Un'analisi completa del significato di israelianità richiederebbe una considerazione molto più ampia di quella qui consentita.[39] Al fine di spiegare la natura complessa della questione in esame, vale a dire ciò che la discussione giudiziaria sulla questione non è riuscita a cogliere, nel resto di questo Capitolo mi limiterò alla questione critica dei modi in cui l'identità ebraica viene negoziata come lineamento/carattere israeliano.

Israelianità = ebraicità israeliana[modifica]

Considerato dal punto di vista sociopolitico, il rapporto tra israelianità ed ebraicità getta una luce piuttosto critica sia sulla Corte che sugli appellanti nei casi sopra menzionati. I diversi partiti sembrano aver completamente ignorato un'identificazione de facto piuttosto semplice tra israelianità ed ebraicità nella mentalità israeliana dominante. Considerata dal punto di vista della cultura politica israeliana, la distinzione stessa tra nazionalismo ebraico e identità israeliana sembra essere del tutto artificiale. I due termini sono spesso usati come sinonimi, e il discorso comune in Israele tende chiaramente a vedere l'"autentica" israelianità come manifestazione di un carattere distintamente ebraico. Questa identificazione è, ovviamente, applicabile reciprocamente: quelli che potrebbero essere visti dagli esterni come atti "ebraici" sono spesso interpretati dagli ebrei israeliani come manifestazioni della loro israelianità – della loro identità nazionale (presumibilmente "secolare"), che ha poco o niente a che fare con la "religione" ebraica.

Questo fatto sociopolitico ha a che fare con il modo in cui lo Stato costruisce la propria identità come stato-nazione ebraico: l'identificazione tra israelianità ed ebraicità dipende in gran parte dal sistema piuttosto elaborato di simboli, rituali e ideologia che lo stato promuove come nazionale e politico (quindi come presumibilmente laico), che deriva in larga misura da una specifica interpretazione delle tradizioni ebraiche ("religiose").[40] Questa "mescolanza" tra israelianità ed ebraicità può quindi essere attribuita alla cultura sponsorizzata dallo stato, alle pratiche popolari, alla memoria collettiva (in particolare, al trauma dell'Olocausto) e, naturalmente, al sistema educativo, che sostiene un contenuto ebraico piuttosto "scarso", ma trasmette comunque un messaggio chiaro secondo cui si dovrebbero rispettare e osservare alcuni elementi della tradizione ebraica come espressioni del proprio autentico nazionalismo, cioè della propria israelianità.

La sfera pubblica israeliana, e in particolare i media popolari, dove l'israelianità è costantemente costituita e mantenuta, adibiscono questa identificazione ad un certo significato di ebraicità e identità israeliana, la riaffermano e la commercializzano (anzi, di solito a servire gli interessi del mercato stesso) come una questione di pratica quotidiana data per scontata. Una recente esposizione esplicita di questa realtà culturale/politica sostiene semplicemente che il modo migliore, se non l'unico, per comprendere la cultura israeliana (nota: non solo ebraico-israeliana) è vederla come una cultura ebraica: dato che è "a culture that is (1) carried by Jews, (2) relates directly to their Jewishness, and (3) pertains to other Jewish cultures, we must conclude that Israeli culture should be analyzed as an independent Jewish culture... Moreover, there are Jewish cultures that are not Israeli, but there is no mainstream Israeli culture that is not Jewish".[41] L'autore giunge alla conclusione manifestamente positiva che, considerato quanto sopra, "there is little sense, if any at all, to the supposed contradiction between ‘Jewish’ and ‘Israeli.’".[42]

Come già accennato, l'identificazione di fatto tra israelianità ed ebraicità è bidirezionale: non solo rende l'identità israeliana "essenzialmente" ebraica, ma rende anche certe pratiche ebraiche (religiose o quasi religiose) una questione politica di manifestazione della propria (presumibilmente laica) identità nazionale israeliana. La dipendenza dello stato da un'interpretazione/appropriazione piuttosto ristretta di alcune pratiche e istituzioni ebraiche tradizionali (come il calendario ebraico o Hebrew, lo Shabbat e le festività ebraiche) crea una novità storica: lo Stato di Israele è l'unico luogo (e periodo storico) in cui l'identità ebraica di un individuo può essere mantenuta e sostenuta in modo significativo senza che quest'ultimo prenda parte attiva all'osservanza/sostentamento comunitario o pratico della sua ebraicità.

Lo Stato, in altre parole, mantiene per loro l'identità ebraica degli israeliani. Permette loro di partecipare passivamente a un progetto continuativo di affermazione della propria identità ebraica e di godere dei frutti politici della loro identificazione con il gruppo di maggioranza, senza mantenere esplicitamente o attivamente la propria ebraicità. Gli ebrei israeliani possono evitare di prendere parte attiva, ad esempio, nella celebrazione delle festività ebraiche e tuttavia viverle o addirittura celebrarle, essendo trasferiti – in virtù di atti compiuti dagli agenti dello Stato, dai media, ecc. – in un quadro di tempo e spazio svincolati dal flusso routinario della costruzione quotidiana del tempo e dello spazio pubblico. Inutile dire che i non-ebrei non possono godere di questo privilegio.

Facendo eco alla natura doppiamente assurda della succitata discussione, questa identificazione di fatto tra israelianità ed ebraicità getta una luce critica sia sulla nozione di un'identità nazionale israeliana vitale e indipendente dall'ebraismo, sia sulla negazione dell'esistenza di un'identità nazionale israeliana. Per dirla senza mezzi termini, sembrano esserci pochi dubbi sull'esistenza di un'identità israeliana, ma questa identità dipende fondamentalmente dallo stato che nega la vitalità dell'israelianità. Esiste ovviamente ciò che un osservatore onesto può identificare come un'identità nazionale israeliana, ma non è indipendente da una certa comprensione di un'identità/tradizione ebraica che è, alla radice, un prodotto dello stato-nazione che si autoidentifica come Stato degli ebrei.[43]

Israelianità della Diaspora?[modifica]

L'identità israeliana dipende fondamentalmente da un'interpretazione statalista e dal mantenimento di una tradizione e identità politicamente ebraica. Al contrario, questa ebraicità è distintamente israeliana: è praticabile solo nel quadro dello stato-nazione di Israele. È difficile, se non del tutto impossibile, vedere l'israelianità, nel suo significato più profondo, perpetuarsi al di fuori dei confini, del patrocinio e dell'autorità dello Stato, come nella continuazione intergenerazionale nelle comunità israeliane della Diaspora.

Per prima cosa, questi israeliani della Diaspora non possono più godere del privilegio di essere identificati come ebrei quando sono totalmente indifferenti a praticare o contrassegnare istituzionalmente la loro ebraicità. Da qui il fenomeno piuttosto curioso di ebrei israeliani "totally secular" che si uniscono a denominazioni e sinagoghe ebraiche una volta emigrati negli Stati Uniti – cosa che non si prenderebbero nemmeno la briga di considerare mentre si trovano in Israele. Senza il sostegno del loro Stato (ebraico), la loro stessa israelianità (che è, ancora una volta, identificata con l'ebraicità) è minacciata. Compiono quindi un atto piuttosto semplice di ciò che Herbert Gans[44] ha definito "symbolic religiosity", cioè "the consumption of religious symbols apart from regular participation in a religious culture or in religious organizations". Ma a differenza di ciò che Gans ha identificato come il motivo che guida questa religiosità simbolica, il caso ebraico-israeliano diasporico è guidato – dal punto di vista degli stessi agenti praticanti – non da "the purpose of expressing feelings of religiosity and religious identification",[45] ma piuttosto da sentimenti di identificazione (etno-)nazionale (che sono, in effetti, del tutto indistinguibili da ciò che potrebbe essere considerato religioso; ciononostante, sono visti come "basically secular").[46] In effetti, l'identificazione tra israelianità ed ebraicità rende questo tentativo di districare le due categorie del tutto privo di significato e sicuramente fonte di confusione.

Israelianità e non-ebrei[modifica]

Ciò, quindi, getta anche una luce critica sui modi in cui l'israelianità, per definizione socioculturale, tende a escludere i non-ebrei. Lo Stato propaga e mantiene un costrutto identitario collettivo che mette i non-ebrei in una posizione di pericolo: se accettano il sistema "nazionale" di simboli , devono anche accettare un costrutto identitario che si autoidentifica come ebraico.

La storia sociopolitica delinea due opzioni principali, o meglio percorsi (poiché le parti coinvolte sembrano avere qui una scelta molto limitata) verso cui lo Stato indirizza la sua popolazione non-ebraica. Un percorso è un derivato diretto del succitato fatto fondamentale del conflitto sionista-palestinese per la terra, vale a dire la continua costruzione dell'israelianità/ebraicità come opposto di "arabo" o "palestinese". Parlando simbolicamente, non ci sono dubbi sul fatto che "significant Other"[47] nella narrativa nazionale israeliana sia "l'arabo". In effetti, il sionismo ha introdotto nel discorso ebraico un'opposizione piuttosto nuova, in cui arabo ed ebreo sono considerati totalmente opposti, i due poli di una dicotomia che presumibilmente definisce la storia del moderno Israele.

Ciò lascia i palestinesi israeliani in una posizione peculiare: se adottassero l'identità nazionale israeliana, in sostanza si autosegnalerebbero (essendo arabi non-ebrei) come i loro peggiori nemici. Questo, ovviamente, non è altro che un enigma teorico. In senso pratico, l'opzione qui discussa è nulla. I palestinesi israeliani non hanno una via percorribile in cui unirsi, se lo volessero, al nazionalismo israeliano o all'identità nazionale. Tutto ciò che rimane loro è uno status distinto di minoranza che non può condividere l'identità della maggioranza. Sono contrassegnati come l'Altro israeliano ultimo e significativo. I palestinesi, in altre parole, non potranno mai essere veramente "israeliani".

Ma l'israelianità dimostra anche che può aprirsi, e lo fa, per includere i non-ebrei (purché non siano arabi/palestinesi, ovviamente) e per assimilarli in una sorta di ebraicità. Il caso principale in questione è quello degli immigrati non-ebrei provenienti dall'ex Unione Sovietica, ai quali viene offerta non solo la cittadinanza quasi immediata (in virtù della loro lontana parentela con gli ebrei), ma anche un chiaro percorso verso l'inclusione nel quadro della Israelinità/ebraicità. Ciò ha portato gli studiosi della società israeliana a coniare termini come “social conversion” ed “non-Jewish Jews”[48] per cogliere l'inclusione di questi non-ebrei come membri del collettivo etnico-nazionale ebraico-sionista. Ciò attesta il fatto che, diventando “authentic Israelis”, questi non-ebrei (i quali, va sottolineato, scelgono di non convertirsi alla "religione" ebraica, né si identificheranno come ebrei, indipendentemente dalla religione), diventano anche ebrei. Altri studiosi, più critici, della società israeliana ritengono che questo fatto renda necessaria l'identificazione di Israele come uno "stato non-arabo".[49]

Ḥiloniyut ebraico-israeliano e il significato di israelianità[modifica]

L'identificazione de facto tra israelianità ed ebraicità getta luce anche sull'identità (ebraica) dominante tra gli israeliani, vale a dire l’ḥiloniyut, o secolarismo israeliano. Uno dei fatti più intriganti sulla società israeliana, un fatto che tende a confondere gli esterni ed è ignorato da molti addetti ai lavori, è che mentre molti, finanche la maggior parte (i sondaggi di solito collocano il numero intorno al 50% della popolazione ebraica-israeliana totale) degli ebrei israeliani si autoidentificano come “secular”, la secolarità, come fenomeno sociale (come il termine è comunemente inteso in contesti occidentali non-israeliani), è estremamente raro, se non del tutto assente dal contesto israeliano. In effetti, il lamento sull'insostenibilità del gruppo/categoria dei secolari israeliani è stato un tropo ricorrente in circoli liberali-sionisti (e orgogliosamente secolari per autodefinizione) come Haaretz.[50] Questo enigma può essere almeno parzialmente risolto se prendiamo in considerazione la natura peculiare dell'identità nazionale israeliana.

Una chiave per comprendere l’ḥiloniyut israeliano è proprio la già discussa "mischia" tra israelianità ed ebraicità, o la natura etno-nazionale (ebraica, in una versione sionista del termine) dell'identità israeliana. Considerati da un punto di vista tradizionalista, che si concentra sugli atteggiamenti degli ebrei-israeliani verso le loro storie e tradizioni ebraiche, gli ḥilonim (secolari) ebrei-israeliani sembrano infatti avere poca, se non nessuna, pronunciata lealtà personale o impegno nei confronti delle loro tradizioni ebraiche. Ma questo è lungi dal dire che queste tradizioni, o qualche versione rozza e "nazionalizzata" (cioè dominata da un'interpretazione politico-sionista) di esse, non svolgano un ruolo fondamentale nella loro vita. Questi ebrei-israeliani sono in grado di considerarsi laici e fanno ancora molto affidamento su quella che loro stessi possono considerare come "religione" ebraica, poiché il loro atteggiamento verso la propria tradizione ebraica è costituito principalmente dalla loro identità etno-nazionale, cioè dalla loro identità politica (non necessariamente civica). Sono, in altre parole, politicamente ebrei. In effetti, dato il predominio dello stato-nazione israeliano su questa definizione politica, potrebbe essere più corretto chiamarli "statist Jews/ebrei statalisti". Approfondirò questo aspetto nel prossimo Capitolo.

L'identità ebraica di questi ebrei "non-religiosi"[51] è principalmente una questione politica, poiché li contrassegna chiaramente come membri del gruppo di maggioranza, il gruppo il cui Stato è Israele. Ciò che potrebbe essere considerato, in un contesto "religioso", "ortodosso" o anche "tradizionista", come una pratica prevalentemente ebraica (cioè una pratica che non è necessariamente legata all'israelianità come identità politica), è comunemente intesa in un contesto ḥiloni come espressione dell'identità politica, (etno-)nazionale propria o del proprio gruppo. In altre parole, queste pratiche apparentemente "ebraiche" manifestano l'israelianità degli ḥilonim. La natura macchinosa della mia formulazione qui può essere attribuita non solo alla mia ineloquenza, ma anche alla natura davvero peculiare del tentativo stesso di districare "l’israelità" dall’"ebraicità". Le due sono, infatti, indistinguibili. Nel contesto di uno stato-nazione che favorisce – sia in modo simbolico/ideologico che in senso materiale/politico-pratico – gli ebrei rispetto ai non-ebrei, l'identificazione con l'ebraicità mantenuta dallo Stato ha ovvie implicazioni.

Le pratiche "ebraiche" osservate o mantenute da quegli israeliani "non religiosi" (di solito seguendo un'interpretazione sionista piuttosto ristretta di queste pratiche) contrassegnano coloro che le praticano come membri della maggioranza (ebraica) e li allontanano dalle minoranze indebolite. "Religione" o "ebraicità" viene utilizzata, in questo contesto, come strumento politico "israeliano" in un contesto di conflitto etnico-nazionale. Pertanto, si può osservare quella che all'esterno può sembrare una pratica del tutto ebraica, persino "religiosa", e tuttavia considerarsi un laico che non ha nulla a che fare con l'ebraismo come religione. Per lui questa identificazione è una questione della propria israelianità, cioè della sua identificazione politica.

Dovremmo notare che questa dimensione politico-nazionale dell'israelianità gioca un ruolo importante anche nei costrutti identitari dei gruppi nonsecolari di ebrei israeliani (come gli ebrei ortodossi e tradizionalisti). Anche tra questi gruppi è abbastanza evidente la mano pesante della "nazionalizzazione" dell'identità ebraica da parte del sionismo e dello Stato di Israele. La differenza tra loro e la maggioranza degli ḥilonim israeliani è il diverso equilibrio che mantengono tra la loro israelianità (cioè il prodotto della teopolitica dello stato, sulla sua appropriazione dell'identità ebraica) e le loro tradizioni ebraiche: questo equilibrio consente agli ebrei israeliani nonsecolari di mantenere ed esprimere identità non-israeliane (come la loro etnia intra-ebraica) insieme alla loro israelianità.

L'identificazione pratica tra israelianità ed ebraicità è quindi più forte e più evidente tra gli ebrei israeliani “secular by default”,[52] vale a dire coloro per i quali la loro identificazione come laici non ha alcun significato ideologico. A differenza degli ebrei israeliani secolari ideologicamente guidati, gli ebrei israeliani “secular by default” non cercano un'esplicita identificazione politico/ideologica come secolaristi, ma cercano piuttosto di risiedere comodamente entro i confini dell'identità dominante "data per scontata" del mainstream israeliano. Non desiderano autoidentificarsi con un gruppo minoritario, cioè con coloro che mancano di capitale simbolico e sociale, né sono “anti-religion” (come vengono visti alcuni laici radicali).[53] Come afferma una serie di sondaggi spesso citati sulle pratiche ebraiche tra gli ebrei israeliani, questi ebrei israeliani "are not religious but not anti-religion";[54] cioè sono simply Israelis=semplicemente israeliani – ebrei, ovviamente!

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico e Serie letteratura moderna.
  1. Questa autoidentificazione è proclamata nelle “purpose clauses” di alcune Basic Laws, che determinano l'identità dello Stato di Israele come “Jewish and Democratic State”. Cfr. ad esempio clause 1 della Basic Law: Human Dignity and Liberty.
  2. Ciò fu effettivamente previsto da Klatzkin; cfr. supra, Jacob Klatzkin.
  3. Questo, ovviamente, è in parte ciò che ha portato gli studiosi della politica israeliana a limitare il senso in cui i principi democratici sono visti come applicabili alla comprensione della politica israeliana, identificandola invece come una "democrazia etnica". Cfr. Peled, “Ethnic Democracy”; Peled, The Challenge of Ethnic Democracy; Smooha, “The Model of Ethnic Democracy”; Smooha, “Ethnic Democracy.” Cfr. anche Gavison, “Jewish and Democratic?” Più profondamente, Israele è stato identificato come una "etnocrazia". Cfr. Yiftachel, “‘Ethnocracy’”; Yiftachel, Ethnocracy.
  4. Taylor, "Interpretation and the Sciences of Man", 27.
  5. L'opera di Baruch Kurzweil è una delle critiche più acute in tale merito. Cfr. Kurzweil, "The New Canaanites in Israel"; Kurzweil, In the Struggle Over the Values of Judaism; Kurzweil, Our New Literature.
  6. Sui “Young Hebrews” cfr. Shavit, The New Hebrew Nation; Porath, The Life of Uriel Shelah.
  7. Porath, The Life of Uriel Shelah, 397, ne fornisce un resoconto personale.
  8. Per una rassegna storico-giuridica della controversia "Chi è ebreo?", cfr. Gavison, The Law of Return.
  9. Il procedimento giudiziario, nei suoi diversi ricorsi, è durato fino al 2013.
  10. Solberg, HP (Jerusalem) 6092/07 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 6 (2008).
  11. Agranat, CA 630/70 Tamarin v. The State of Israel (1972).
  12. Ibid.
  13. Citato in ibid.
  14. Citato in ibid.
  15. Ibid.
  16. Ibid.
  17. Come affermato dal giudice concordante, Zvi Berenson, ibid.
  18. Solberg, HP (Jerusalem) 6092/07 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 60 (2008).
  19. Come sintetizzato dalla Corte Suprema; Vogelman, CA 8573/08 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 2 (2013).
  20. Solberg, HP (Jerusalem) 6092/07 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 59 (2008).
  21. Citato in Vogelman, CA 8573/08 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 18 (2013).
  22. Ibid.
  23. Per la rispettiva versione inglese cfr. Yakobson e Rubinstein, Israel and the Family of Nations.
  24. “Arab” nello loro formulazione.
  25. Ibid., 184; l'originale in (HE) è citato in Vogelman, CA 8573/08 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 19 (2013).
  26. Vogelman, CA 8573/08 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 20 (2013).
  27. Ibid.
  28. Ibid.
  29. Ibid.
  30. Come sintetizzato in Corte: Ibid.
  31. Solberg, HP (Jerusalem) 6092/07 Ornan, et al. v. Interior Ministry, 8 (2008).
  32. Per una valutazione critica e liberal-sionista della proposta di Basic Law: Israel—the Nation State of the Jewish People, cfr. Gavison, A Constitutional Anchoring. Al momento della pubblicazione dell'editoriale, il provvedimento doveva ancora essere approvato dalla Knesset, il parlamento israeliano.
  33. Inutile dire che la preferenza dei fondatori di chiamare il nuovo Stato "Israele" (e non, per esempio, Yehouda, o Giudea, Sion, Stato ebraico, ecc.) è una chiave per il modo in cui percepivano alcuni degli argomenti qui discussi. Per una testimonianza storica e una valutazione della vicenda, cfr. Reouveni, "Hamedina, Ma Shema?"
  34. Questo è il punto da ricordare che, per quanto ne so, Israele è l'unico stato al mondo che si assume la responsabilità di determinare l'identità ebraica di ognuno.
  35. Sui Drusi e lo Stato di Israele, cfr. Yiftachel e Segal, "Jews and Druze in Israel"; Firro, "Reshaping Druze Particularism in Israel"; Firro, The Druzes in the Jewish State; Oppenheimer, "The Druze in Israel".
  36. Per alcune relazioni su questa controversia, cfr. Nesher, "Education Ministry Suspends Dismissal of Civics Supervisor"; Nesher, "Israel Education Ministry Fires Civics Studies Coordinator Attacked by Right–News"; Haaretz Editorial, "Stop Politicization of the Education System".
  37. Shafir e Peled, Being Israeli.
  38. Sul concetto ebraico-israeliano di “demographic threat”, cfr. Yonah, "Israel’s Immigration Policies"; Melamed, "Motherhood, Fertility, and the Construction of the ‘demographic Threat’ in the Marital Age Law".
  39. Almog, Farewell to Srulik.
  40. Sugli usi dell'ebraismo tradizionale da parte del nazionalismo sionista-israeliano, cfr. Liebman e Don-Yehiya, Civil Religion in Israel.
  41. Shoham, Let’s celebrate, 9.
  42. Ibid., 10.
  43. Inutile dire che la scena israeliana in generale ospita anche quelle che possono essere viste come "eccezioni" alla "regola" di identificazione tra israelianità ed ebraicità di cui sto discutendo qui. Queste includono, ad esempio, scrittori arabo-palestinesi che scrivono in ebraico e prendono parte alla scena culturale tradizionale. Questi casi meritano un'attenta considerazione che va oltre l'ambito della mia discussione attuale. Tuttavia, è interessante notare che un recente rapporto sullo scrittore arabo-palestinese di cittadinanza israeliana, probabilmente più famoso e di successo contemporaneo, Sayed Kashua, rivela che questa eccezione alla regola è sopraffatta dalla logica escludente della regola stessa: "[Kashua] is openly undergoing an identity crisis [...] Kashua says that he was a ‘hostage’ who lived in ‘fear’ when he was in Israel; all his efforts to fit in and change Israeli society by making jokes to Jewish Israelis did nothing to change the balance of power; he feels he took the ‘wrong paths’ in language and work. He said he had been trying to quit his Haaretz column for over a year, and did so again just last week [. . .]; he does not know why he writes in Hebrew, the language of the ‘enemy’ or the ‘oppressor.’ [Kashua:] ‘The only reason I’m there [in the U.S., having left Israel in 2014] is the political situation, the racism and the despair. I think that I couldn’t handle it any more back in the summer of 2014. [...] I think that I’m still suffering some kind of traumatic situation. I didn’t recover yet from that traumatic period [...] I had a very strong feeling that I took the wrong paths in my life. And all the decisions [...] writing for TV, and choosing the wrong language, and living in the wrong place—I very much hope that I will gain some powers and recover [...]’" Weiss, "Sayed Kashua Doesn’t Want to Write in Hebrew for ‘Haaretz’ Anymore".
  44. Gans, "Symbolic Ethnicity and Symbolic Religiosity", 577.
  45. Ibid.
  46. Sugli ebrei israeliani negli USA, cfr. Gold e Phillips, "Israelis in the United States"; Mittelberg e Waters, "The Process of Ethnogenesis".
  47. Triandafyllidou, "National Identity and the ‘Other’"; Yadgar, "Between ‘the Arab’ and ‘the Religious Rightist’".
  48. I termini si trovano in Asher Cohen, Non-Jewish Jews in Israel; Cohen reputa questi “non-Jewish Jews” quale risposta centrale a "the challenge of expanding the Jewish nation" (come attestato proprio dal sottotitolo del suo libro in ebraico).
  49. Lustick, "Israel as a Non-Arab State".
  50. Si veda per esempio, Segev, "Mihu ḥiloni?", e lo si confronti con Inbari, "The End of the Secular Majority".
  51. Avendo concluso che il termine “ḥiloni”, o “secular” non ha alcun significato coerente (a causa del fatto che la stragrande maggioranza di coloro che si autodefiniscono secolari sono anche almeno “parzialmente osservanti” di alcune tradizioni religiose), gli studiosi che supervisionavano le più grandi indagini sull'osservanza e sulle credenze “religiose” tra gli ebrei israeliani avevano deciso di sostituire “ḥiloni” con lo-dati, cioè “non religioso” nei loro questionari. Cfr. Levy, Levinsohn e Katz, Beliefs, Observances, and Social Interaction Among Israeli Jews; Levy, Levinsohn, e Katz, A Portrait of Israeli Jews; Arian e Keissar-Sugarmen, A Portrait of Israeli Jews.
  52. Liebman e Yadgar, "Secular-Jewish Identity and the Condition of Secular Judaism in Israel", 156.
  53. I succitati sondaggi hanno introdotto “ḥiloni anti-dati”— cioè, secolari anti-religione — come categoria opzionale di autoidentificazione nei loro questionari e hanno concluso che circa il 5% degli ebrei israeliani si autoidentificano così - cfr. Levy, Levinsohn, e Katz, Beliefs, Observances, and Social Interaction Among Israeli Jews; Levy, Levinsohn, e Katz, A Portrait of Israeli Jews; Arian e Keissar-Sugarmen, A Portrait of Israeli Jews.
  54. Levy, Levinsohn, e Katz, Beliefs, Observances, and Social Interaction Among Israeli Jews; Levy, Levinsohn, e Katz, A Portrait of Israeli Jews; Arian e Keissar-Sugarmen, A Portrait of Israeli Jews.