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La teologia di Heschel

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LA TEOLOGIA DI HESCHEL

Introduzione a Abraham Joshua Heschel

Nr. 13 della Serie misticismo ebraico


Autore: Monozigote 2023


Abraham Joshua Heschel nel 1964


La Parte I di questo saggio è uno sketch biografico[1] che delinea le fonti che influenzano la teologia e le ambizioni pedagogiche di Heschel. L'enfasi è posta nel dissipare lo stigma che Heschel deve affrontare nella comunità ebraica ortodossa. La Parte II è una panoramica della sua teologia.

PARTE I – CENNI BIOGRAFICI

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Introduzione

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Rabbi Abraham Joshua Heschel (1907–1972) è stato uno dei pensatori ebrei più significativi del ventesimo secolo. Come autore, i suoi scritti riguardano tutta la storia del pensiero ebraico. In America, è stato simbolo sia di autenticità religiosa che di riforma sociale, lasciando dietro di sé un'eredità che ha influenzato la vita di innumerevoli persone attraverso una vasta gamma di affiliazioni religiose. Tra la comunità afroamericana, fu visto come un leader dei diritti civili, camminando notoriamente al fianco di Martin Luther King durante la Marcia di Selma. I cristiani del suo tempo e di oggi lo acclamano come uno dei teologi più importanti del secolo, la cui profondità di comprensione contribuì a creare un ritrovato apprezzamento cristiano dell'Antico Testamento.

Tuttavia, nella sua stessa comunità, il nome di Heschel è controverso. Mentre il movimento conservatore continua a lodare Heschel come il suo leader più importante, la comunità ortodossa lo evita con insistenza, spesso semplicemente sulla base della sua associazione con il Conservatorismo.[2] I leader della comunità ortodossa, molti dei quali studiosi rispettati, spesso vanno ben aldilà dell'ignorare il pensiero di Heschel e diventano ostili, esiliando i suoi libri dalle aule di studio senza essere realmente consapevoli dei valori da lui incarnati.

Suggerisco la possibilità che la saggezza di un importante pensatore ebreo venga sprecata. Heschel ha dedicato la sua vita a censurare le tendenze comportamentistiche della religione che derivano da un'eccessiva enfasi sulla halakhah da parte della destra e dalla sua secolarizzazione derivante dagli sforzi esagerati della sinistra per modernizzarla. Decise che per riuscire al meglio in questa impresa, avrebbe dovuto insegnare in un istituto conservatore, dove senza dubbio considerava che i problemi fossero più urgenti e sentiva che gli avrebbero dato più libertà di concentrarsi su questi obiettivi. Sfortunatamente, la comunità ortodossa continua a soffrire per molte delle questioni discusse da Heschel. Come risultato di un'istruzione inadeguata radicata nel rifiuto di affrontare gli argomenti che Heschel riteneva più urgenti, innumerevoli persone hanno cercato un significato al di fuori di quelli che percepiscono come gli angusti vincoli dell'ebraismo. La mia intenzione è quella di chiarire le accuse contro Heschel e di illustrare perché lo stigma non dovrebbe solo essere abbandonato ma invertito. Consiglio che le opere di Heschel vengano attivamente sostenute nelle nostre comunità.

Nel corso di questo saggio risulterà chiaro che il rifiuto di Heschel da parte della comunità ortodossa è nato da un malinteso. Le posizioni falsamente attribuitegli verranno smascherate come derivanti da una mancanza di studio critico. Risulterà evidente che egli difendeva molti degli stessi valori affermati dalla comunità ortodossa. Il contenuto delle opere di Heschel, una volta spiegato, dimostrerà che egli non era un riformatore se non nella misura in cui cercò di riportare il pensiero ebraico alle sue radici bibliche. Ulteriori letture riveleranno che la sua influenza più importante proveniva dal chassidismo:[3]

« ...in order to grasp that Judaism consists not only of rules and regulations, but also offers a cosmos of inner meaning, one must study the great insights into that spiritual cosmos as set forth in our literature throughout the ages which reached its highest flowering in Hasidism. »
(Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom, p. 217[4])

Inizio con una concisa biografia della vita di Heschel. Il mio obiettivo è fornire il contesto necessario per favorire una discussione colta. Le possibili ragioni del suo ostracismo verranno valutate più nel dettaglio per spiegare perché siano errate o irrilevanti.

Da Varsavia a Berlino

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Nato a Varsavia da una dinastia chassidica d'élite, Heschel discendeva da alcuni dei suoi più grandi leader, la cui influenza plasmò il chassidismo: il Rebbe di Apt, uno studente intimo del Baal Shem Tov; il Maggid di Mezeritch, il Rebbe di Ruzhin; Rabbi Levi Yitzchak di Berditchev e Rabbi Shlomo di Karlin, solo per citarne alcuni. Il più giovane di sei fratelli, fu subito riconosciuto non solo come il più brillante tra loro ma anche come un prodigio (illui). Fu preparato fin dall'infanzia a sostituire suo padre come il successivo Rebbe della sua piccola comunità. Immerso nei testi ebraici classici, studiò anche gli scritti chassidici e cabalistici meno conosciuti. Quando Heschel aveva nove anni, suo padre morì lasciando suo zio, il Novominsker Rebbe, a diventare l'insegnante e mentore del bambino. Fu quindi introdotto ai duri insegnamenti di Kotzk oltre al gioioso chassidismo del Baal Shem Tov. Scriverà più tardi, nel suo ultimo e più intimo libro:

« It was in my ninth year that the presence of Reb Menahem Mendl of Kotzk, known as the Kotzker, entered my life. Since then he has remained a steady companion and a haunting challenge. Although he often stunted me, he also urged me to confront perplexities that I might have preferred to evade.
Years later I realized that, in being guided by both the Baal Shem Tov and the Kotzker, I had allowed two forces to carry on a struggle within me... The Kotzker’s presence recalls the nightmare of mendacity. The presence of the Baal Shem is an assurance that falsehood dissolves into compassion through the power of love. The Baal Shem suspends sadness, the Kotzker enhances it. The Baal Shem helped me to refine my sense of the immediate mystery; the Kotzker warned me of the constant peril of forfeiting authenticity. »
(Abraham Joshua Heschel, A Passion for Truth (Vermont: Jewish Lights Publishing, 1995), pp. xiv–xv)

Heschel continuò il suo apprendimento sotto lo stimato studioso del Talmud, Rabbi Menachem Ziemba, come anche presso la Mesivta Yeshiva. Alla giovane età di sedici anni, dopo aver padroneggiato i tradizionali testi halakhici, fu ordinato rabbino da Rabbi Ziemba.[5] Le sue originali spiegazioni sul Talmud venivano già state pubblicate in una delle riviste halakhiche più rispettate di Varsavia, e suo zio fece in modo che si sposasse, per consolidare il suo status di futuro Rebbe. A quel tempo, molti dei grandi rabbini chassidici della sua famiglia credevano che Heschel sarebbe stato il leader prescelto a rivitalizzare il chassidismo.[6]

Ma nella sua adolescenza, Heschel, come tanti altri giovani degli shtetel dell'Europa orientale dell'epoca, divenne curioso del mondo al di fuori della sua comunità, e sua madre, con grande lungimiranza, si rese conto del bisogno di suo figlio di provare qualcosa di più della ristretta visione del mondo con cui era cresciuto. Impedì che il matrimonio procedesse e ci fu una riunione di famiglia a casa del Tchortkover Rebbe, dove concessero a Heschel il permesso di lasciare la comunità.

la sua dipartita dall'ultra-ortodossia prefigurava un'importante critica che avrebbe espresso contro le comunità religiose. Ebbe poi ad osservare che la fede in Dio non viene perduta a causa di confutazioni logiche, ma piuttosto quando...

« it became irrelevant, dull, oppressive, insipid. When faith is completely replaced by creed, worship by discipline, love by habit; when the crisis of today is ignored because of the splendor of the past; when faith becomes an heirloom rather than a living fountain; when religion speaks only in the name of authority rather than with the voice of compassion, its message becomes meaningless.[7] »

Si trasferì a Vilna, dove studiò al secolare Yiddish Real-Gymnasium. Dopo aver acquisito le qualifiche necessarie, passò all'Università di Berlino per continuare la sua immatricolazione.

Heschel non rinunciò mai alle sue radici ortodosse,[8] ma oltre ai suoi studi di filosofia all'università, decise di frequentare formalmente le lezioni presso il seminario rabbinico liberale (Hochschule für die Wissenschaft des Judentums) in contrapposizione al seminario ortodosso (Hildesheimer).[9] Sembrava aver pensato che, come risultato dei suoi studi precedenti, avrebbe avuto maggiormente da imparare al seminario liberale, dove sarebbe stato introdotto all'approccio secolare, storico e scientifico alla Bibbia, dandogli una prospettiva più completa e una capacità di comprendere le comunità ebraiche al di fuori dell'Ortodossia. Inoltre, il background chassidico di Heschel non si adattava comodamente al seminario ortodosso, dove si concentravano principalmente sul legalismo lituano.[10]

A Berlino, il suo interesse per la rivitalizzazione dell'ebraismo lo attirò verso pensatori come David Koigen e Martin Buber, anche se è importante ricordare che teologicamente Buber e Heschel erano molto distanti, soprattutto nei confronti il loro approccio alla relazione dell'uomo con Dio e l'importanza dei valori ebraici tradizionali come la Halakhah. Heschel una volta osservò che "un errore fondamentale di Martin Buber" fu "il suo rifiuto del regime della halakhah nella convinzione che nulla debba limitare la libertà di risposta umana a una situazione particolare".[11]

Teologia profetica

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Gli anni trascorsi a Berlino mentre i nazisti salivano al potere furono decisivi nella formulazione del pensiero di Heschel. Lì iniziò a pubblicare opere di teologia e fu in quel contesto che giunse alla conclusione che la filosofia occidentale non era fedele ai valori biblici tradizionali e aveva fallito nel suo tentativo di creare una società morale. La Germania che aveva allevato gli artefici del più grande massacro sistematico di esseri umani fu allo stesso tempo l'apice della modernità. Diede vita ad alcune delle più grandi conquiste culturali e scientifiche della storia moderna ma, come riconobbe Heschel, separò il mondo accademico dalla vita dell'umanità:

« The answers offered were unrelated to the problems, indifferent to the travail of a person who became aware of man’s suspended sensitivity in the face of stupendous challenge, indifferent to a situation in which good and evil became irrelevant, in which man became increasingly callous to catastrophe and ready to suspend the principle of truth. »
(Abraham J. Heschel, The Prophets, pp. xxviii)

Egli suggerì non solo che non ci si poteva fidare della sua filosofia, ma che non era in grado di affrontare il problema più urgente dell'uomo: la sua incessante "convenienza" – vedere le cose come nient'altro che materiale per la gratificazione dei desideri – che ostacolava ogni possibilità di sviluppare un vero interesse. per la dignità degli altri. Secondo Heschel era necessario un completo riorientamento dell'atteggiamento dell'uomo nei confronti dell'ambiente circostante. Rifiutando l'approccio etico della filosofia occidentale, secondo cui soltanto la verità può ispirare l'impegno morale, egli suggerì che qualsiasi insegnamento etico staccato dal problema totale dell'essere umano era destinato a fallire. L'impegno verso i valori morali, e di conseguenza la preoccupazione per gli altri, dipende dai momenti che determinano l'attaccamento alla fede, cosa che la filosofia etica occidentale aveva ignorato.

Pertanto, sosteneva un ritorno al monoteismo biblico in cui l'uomo vede Dio non come un simbolo ma come un essere presente e interessato all'umanità, che l'uomo non può più ignorare. Ciò portò Heschel a sviluppare la sua affermazione centrale: che la religione è intesa a spostare l'uomo da una visione del mondo egocentrica a una visione teocentrica, in cui l'uomo diventa consapevole che Dio è il soggetto e tutte le cose sono oggetto della sua preoccupazione. Si sforzò di trasmettere che "tutti i valori sono stimati solo nella misura in cui sono degni agli occhi di Dio" e di ispirare nei suoi studenti una forma di autotrascendenza in cui si rendessero conto che "il sé non è il fulcro, ma il raggio della ruota che gira in cui Dio è il centro".[12] Per Heschel questa era anche l'essenza della preghiera:

« In prayer the “I” becomes an “it.” This is the discovery: what is an “I” to me is, first of all and essentially, an “it” to God. If it is God’s mercy that lends eternity to a speck of being which is usually described as a self, then prayer begins as a moment of living as an “it” in the presence of God. »
(Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence, p. 255)

Questa analisi dell'opportunità, la critica più fondamentale di Heschel alla modernità, e la comprensione che solo la religione, come risposta alla situazione totale dell'uomo, può consentire un cambiamento, è ciò che lo spinse alla sua teologia biblica. I tentativi compiuti dai leader religiosi per trasformare la religione in un'altra permutazione del pensiero filosofico occidentale erano, agli occhi di Heschel, intollerabili;[13] molti rabbini si accontentavano che i loro fedeli pregassero per un'"idea" invece che per un Dio che ascoltava, posizione che Heschel detestava.

Si rendeva conto che la sostituzione di Dio come essere coinvolto nella storia con Dio come simbolo immobile di perfezione e di verità,[14] in una società la cui preoccupazione principale era l'espressione del sé, avrebbe portato rapidamente all'abbandono della religione, aprendo la strada all'ulteriore disumanizzazione dell'uomo da parte di una società consumistica che predica l'utilitarismo e l'opportunità sfrenata. "C'è una strana astuzia nel fatto che quando l'uomo guarda solo ciò che è utile, alla fine diventa inutile a se stesso. La strumentalizzazione del mondo porta alla disintegrazione dell'uomo".[15] Così, nella sua tesi di dottorato – un esame del significato che l'esperienza profetica aveva per il profeta – Heschel gettò le basi per quella che sarebbe diventata la sua teologia dell'autotrascendenza, intesa a contrastare l'incessante convenienza – o autoaffermazione – della modernità.

Nuovo inizio in America

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Heschel consegna a Martin Luther King il Judaism and World Peace Award (1965)

Sfuggendo per un pelo ai nazisti, con l'aiuto del presidente dell'Hebrew Union College Julian Morgenstern,[16] Heschel riuscì ad entrare negli Stati Uniti. Dopo la sua emigrazione nel 1940 e l'adattamento alla cultura americana, fu colpito dall'estrema secolarizzazione dell'ebraismo che sperimentò durante i suoi primi cinque anni di vita nel campus riformato dell'Hebrew Union College. Nel 1945, Heschel iniziò a insegnare al Jewish Theological Seminary of America a New York, dove divenne professore di etica e misticismo ebraico e lì insegnò fino alla sua morte nel 1972.

Attraverso i suoi scritti riuscì a raggiungere un pubblico più vasto e, grazie alla sua attenzione non solo all'ebraismo ma alla religione e alle religioni bibliche in generale, fu elogiato non solo dai leader ebrei ma anche da alcuni dei più importanti leader cristiani del suo tempo.[17] Mentre cominciava a esporre la sua teologia, aveva in mente un ulteriore obiettivo per i suoi scritti. Come sottolinea Edward Kaplan, "Sebbene stimato come filosofo dell'ebraismo, alcuni professionisti gli rimproverano di essere ‘un poeta’ — come se il suo bellissimo stile escludesse automaticamente il rigore intellettuale. Non capivano come Heschel potesse usare la retorica poetica per provocare una visione religiosa".[18]

I valori che Heschel promulgava nei suoi scritti erano condivisi dalla comunità ortodossa. Sebbene non richiedesse l'impegno dei suoi studenti verso uno standard di osservanza ortodosso, Maurice Friedman, un suo studente, scrisse che "aveva reso molto chiaro che l'adempimento della Legge era la via per una reale partecipazione all'ebraismo, o come scrive in God in Search of Man, ‘la dimensione sacra dell'esistenza’".[19]

Mentre teneva numerose conferenze in tutti gli Stati Uniti e continuava a scrivere numerose opere, la sua pedagogia si espanse oltre le sole esposizioni teologiche. Alla fine Heschel ottenne importanza nel movimento per i diritti civili. Aveva una stretta amicizia con Martin Luther King, Jr. e sospendeva le sue lezioni per unirsi alle proteste contro la discriminazione. Alla fine, la sua schiettezza attirò il rimprovero dei suoi colleghi e le sue critiche al coinvolgimento del governo americano nella guerra del Vietnam disincantarono molti dei suoi seguaci. Tuttavia, Heschel non capitolò. Infuriato per l'indifferenza, Heschel dedicò la sua vita a combattere l'apatia che lo spingeva a impegnarsi pubblicamente in quegli affari. Per lui era paradossale prendersi cura degli interessi di Dio e tuttavia rimanere in silenzio di fronte alla crudeltà dell'uomo. Come notoriamente osservò Heschel, "per quanto riguarda le crudeltà commesse in nome di una società libera, alcuni sono colpevoli, mentre tutti sono responsabili".[20]

Mentre alcuni leader ebrei dell'epoca erano contrari al dialogo interreligioso, la posizione unica di influenza di Heschel sul pensiero cristiano gli permise di contribuire a sanare il rapporto tra ebrei e cristiani. Riteneva che il dialogo interreligioso fosse una necessità e avvertiva che la sua alternativa sarebbe stata l'"internichilismo". Pur essendo fermamente contrario all'attività missionaria cristiana nei confronti degli ebrei, esortava i cristiani a riconoscere il significato dell'ebraismo per la loro propria religione. Inoltre, Heschel sosteneva che la Chiesa non incolpasse tutti gli ebrei di deicidio e che condannasse l'antisemitismo cristiano. Entrambi i fini furono raggiunti nel Concilio Vaticano II.

Il suo attivismo non era separato dal suo atteggiamento teologico. Piuttosto, il suo attivismo era una conseguenza logica del modo in cui Heschel vedeva la religione. Ricordava la sua descrizione dell'"ultima trasformazione di Maimonide" come quella "dalla contemplazione alla pratica, dalla conoscenza all'imitazione di Dio. Dio non era solo l'oggetto della conoscenza. Era il Modello da seguire".[21]

Heschel ebbe un infarto nel 1969. Nei suoi ultimi tre anni rimase attivo, viaggiando anche in Italia per un giro di conferenze, finché nel 1972, una sera di Shabbat, morì nel sonno. Gli amici che parteciparono al suo funerale andavano dalla sua famiglia chassidica a funzionari pubblici gentili. Lo strano assortimento di persone presenti alla cerimonia era esemplificativo del profondo amore di Heschel per tutto Israele e della sua capacità di trattare tutte le persone con dignità, consentendo gli stretti rapporti che mantenne attraverso un ampio spettro di affiliazioni. I suoi numerosi scritti rimangono fonte di ispirazione per molti e il suo lascito continua a godere di risonanza in tutto il mondo religioso.

Un rifiuto fuorviante

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Vorrei premettere alla discussione sul rifiuto di Heschel da parte della comunità ortodossa un breve aneddoto. Mentre insegnava al JTS, uno studente di Heschel una volta gli si avvicinò e gli chiese: "Rabbi, in conclusione, sei conservatore o sei ortodosso?" Heschel rispose: "Non sono un sostantivo in cerca di un aggettivo". Indipendentemente dalla veridicità della storia, è ragionevole supporre che Heschel considerasse questi termini limitanti e inutili. Con una crescente disunità tra le affiliazioni ebraiche, essendo un critico di tutte le parti, Heschel probabilmente vide questi termini come dannosi per ciascuna delle denominazioni. Pertanto, tentare di chiamare Heschel ortodosso sarebbe sbagliato, poiché lui stesso non lo avrebbe mai fatto. Desidero solo dimostrare che non si dovrebbe avere paura nel discutere le sue opere nella comunità ortodossa.

Molti di coloro che non hanno familiarità con gli scritti di Heschel presumono che fosse un archetipo del rabbino conservatore, che insegnava valori conservatori.[22] Al di là di questo malinteso, ci sono due ragioni principali per l'assenza dei suoi insegnamenti tra gli ebrei ortodossi. (1) Il primo è il fatto che Heschel avesse deciso di insegnare al Jewish Theological Seminary of America (JTS), bastione dell'ebraismo conservatore, un'istituzione che si separa sempre più dall'ortodossia tradizionale. (2) La seconda ragione fu la forte enfasi che pose sugli aspetti filosofici e teologici dell'ebraismo, aggadico come viene spesso definito, e la sua mancanza di enfasi nel richiedere ai suoi studenti l'impegno verso la halakhah. Questo fu anche motivo di tensione tra lui e il principale leader ortodosso dell'epoca, Rabbi Joseph B. Soloveitchik. Questi problemi non sono ragioni adeguate per avere timore del suo lavoro e vorrei affrontarli ciascuno.

(1) In primo luogo, vorrei contrastare l'affermazione secondo cui la credibilità di Heschel è da mettere in dubbio perché insegnò al JTS. Sebbene sia ragionevole prestare attenzione quando si ha a che fare con rabbini affiliati ad altre denominazioni, un rabbino che mette in dubbio la legittimità della posizione teologica di una persona e ne ostracizza il lavoro dovrebbe prima avere familiarità con le sue opinioni. Non si trova nulla di eretico o in alcun modo antitetico alle opinioni ortodosse in nessuno dei libri di Heschel e la maggior parte di coloro che fanno questa affermazione lo fanno prima di leggerli effettivamente. Sebbene sia vero che ci sono state critiche alla filosofia/teologia del pathos di Heschel, indipendentemente dal fatto che tali critiche fossero fondate o meno, le sue idee non porterebbero al degrado dell'Ortodossia. Inoltre, quelle idee sono solo reiterazioni moderne di idee classiche trovate in opere come il Talmud,[23] e non sue innovazioni. Gran parte della critica nella comunità ortodossa riguardo al contenuto dell'opera di Heschel è priva di qualsiasi reale sostanza.

La mancanza di una discussione onesta intorno al lavoro di Heschel deriva dal problema intrinseco che le persone hanno nel leggere le opere di qualsiasi ebreo conservatore i cui valori differiscono dall'Ortodossia tradizionale. Da un punto di vista educativo questa preoccupazione può essere rilevante per coloro che devono ancora sviluppare una convinzione religiosa abbastanza forte da essere equamente messa alla prova. Rifuggire costantemente da queste sfide, tuttavia, tende a diventare dannoso. Una persona che ritiene che la verità religiosa sia limitata esclusivamente alla sua percezione dell'Ortodossia, ha quindi abbandonato la sua autentica ricerca. Lo scambio di idee tra coloro che differiscono è ciò che permette la crescita del pensiero. Inoltre, come chiarito supra, nei suoi scritti Heschel fa un'evidente distinzione tra il suo pensiero e quello del movimento conservatore. Ciò può essere visto alquanto chiaramente nella sua critica ai diversi atteggiamenti religiosi, nel suo libro Man’s Quest for God,[24] e nei numerosi passaggi in cui discute l'importanza della halakhah, rispetto alla quale molti leader del movimento conservatore erano più moderati.

Questi argomenti potrebbero non rassicurare del tutto coloro che rimangono turbati dal fatto che Heschel abbia rifiutato un posto presso la Yeshiva University, istituto ortodosso tradizionale, per accettare invece un incarico presso quello conservatore. (I tentativi della Yeshiva University di procurarsi Heschel come educatore esprimono qualcosa su come Heschel dovrebbe essere visto. Alcuni dei suoi rabbini avevano elogiato Heschel). La preoccupazione per questa scelta, tuttavia, è mitigata quando si prendono in considerazione sia la storia di Heschel che quella del JTS. Come spiegato supra, Heschel vedeva la sua missione nel rivitalizzare l'ebraismo principalmente combattendone la secolarizzazione. Questo era il suo obiettivo a Berlino quando era affiliato al seminario rabbinico liberale e al Lehrhaus[25] di Francoforte, ed è chiaro in tutti i suoi scritti. Per ovvie ragioni, riteneva il problema più urgente nel movimento conservatore. Inoltre, al momento dell'assunzione di Heschel, il movimento conservatore non era ancora disconnesso dal movimento ortodosso nella misura in cui lo è attualmente: infatti, la maggior parte dei rabbini della facoltà erano anche ebrei ortodossi, molti dei quali erano fuggiti dalla Germania nazista.[26] Pertanto, l’associazione di Heschel con il JTS non dovrebbe essere equiparata all'insegnamento in un istituto di riforma o anche a ciò che il JTS è ora arrivato a rappresentare.

Infine, è probabile che Heschel fosse attratto dall'apertura del movimento conservatore nel permettere che il suo obiettivo principale fosse la comprensione della fede e della filosofia della religione e dell'ebraismo in contrapposizione alla stretta osservanza halakhica. Tuttavia, ciò non dovrebbe essere interpretato erroneamente come un disprezzo per l’halakhah, come visto in un incontro con gli studenti dell'Hebrew Union College, il principale istituto di riforma, dove disse loro:

« I am not an Halakhist. My field is Aggada... But remember, there is no Aggada without Halakha. There can be no Jewish holiness without Jewish law, at least the essence of Jewish Law. Jewish theology and tefillin go together... Why are you afraid of wearing talis and tefillin every morning, my friends? There was a time when our adjustment to Western civilization was our supreme problem... By now we are all well adjusted... Our task today is to adjust Western civilization to Judaism. America, for example, needs Shabbos. What is wrong with Shabbos, with saying a brokho every time we eat, with regularity of prayer? What is wrong with spiritual discipline? It is only out of such spiritual discipline that a new manifestation of human existence will emerge. I say human and not Jewish existence, because Judaism, which can be very concrete, answers universal problems... »
(Samuel H. Dresner, Heschel, Hasidism, and Halakha, pp. 92–93)

(2) Ciò porta alla seconda ragione dell'assenza delle opere di Heschel nelle comunità ortodosse, vale a dire la sua mancanza di esigere il pieno impegno da parte dei suoi studenti verso un livello ortodosso di osservanza halakhica. Heschel scrisse e discusse l'importanza della halakhah,[27] come ho già mostrato supra, ed è un malinteso comune che non ponesse l'accento sull'adesione alla legge ebraica. Per capire, però, perché si rifiutò di pretenderlo sopra ogni altra cosa, sarebbe utile riportare una citazione dal libro di Heschel Man’s Quest for God, in cui critica un approccio all'ebraismo che chiama "comportamentismo religioso (religious behaviorism)". Sebbene non affermi esplicitamente che fosse rivolto alle comunità ultra-ortodosse (e in larga misura agli ortodossi moderni), l'implicazione è abbastanza chiara:

« There are people who seem to believe that religious deeds can be performed in a spiritual wasteland, in the absence of the soul, with a heart hermetically sealed; the external action is the essential mode of worship, pedantry the same as piety; as if all that mattered is how men behave in physical terms; as if religion were not concerned with the inner life.
Such a conception, which we would like to call religious behaviorism, unwittingly reduces Judaism to a sort of sacred physics, with no sense for the imponderable, the introspective, the metaphysical. As a personal attitude religious behaviorism usually reflects a widely held theology in which the supreme article of faith is respect for tradition. People are urged to observe the rituals or attend services out of deference to what has come down to us from our ancestors. The theology of respect pleads for the maintenance of the inherited and transmitted customs and institutions and is characterized by a spirit of conformity, excessive moderation and disrespect of spontaneity…. Wise, important, essential and pedagogically useful as the principle “respect for tradition” is, it is grotesque and self-defeating to make it the supreme article of faith. »
(Abraham Joshua Heschel, Man’s Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism, pp. 55–56)

È evidente che per Heschel l'atto halakhico non era l'essenza della religione, nonostante la sua importanza. Pertanto, fu in grado di agire con clemenza nei confronti dei suoi studenti riguardo agli standard ortodossi di osservanza halakhica quando parlava con coloro per i quali l’halakhah non era nemmeno una preoccupazione. Ciò era difficile per i rabbini che avevano elevato la halakhah al punto da renderla fine a se stessa. Invece, non sorprende che l'enfasi di Heschel fosse sulla relazione dell'uomo con un Dio che è presente e commosso dall'uomo. Heschel stava tentando di ristabilire la fonte della fede e di riportare la religione a uno stile di vita significativo per le persone che avevano già abbandonato il rispetto della legge. Come scrisse: "La crisi è più ampia, l'angoscia è più profonda. Ciò che è in gioco non sono solo articoli di credo, paragrafi di legge; è in gioco l'umanità dell'uomo, la vicinanza di Dio".[28]

Nel saggio di Heschel The Individual Jew and His Obligations, Heschel afferma chiaramente il motivo per cui si avvicina all'educazione ebraica senza la richiesta di una completa osservanza halakhica:

« There is also the notion that you observe everything or nothing; all rules are of equal importance; and if one brick is removed, the whole edifice must collapse. Such intransigence, laudable as it may be as an expression of devoutness, is neither historically nor theologically justified. There were ages in Jewish history when some aspects of Jewish ritual observance were not adhered to by people who otherwise lived according to the Law. And where is the man who could claim that he has been able to fulfill literally the mitzvah of “Love thy neighbor as thyself”?
Intransigence is not the way to this generation. For since only a small minority of those who have forsaken the traditional way of living is prepared to accept the maximum, this notion drives away the overwhelming majority...
Torah as a total way of living has been abandoned by the multitude of our people, and we cannot force it upon them. We must evolve a pedagogy of return; we must devise a ladder of observance. We have no right to abrogate the Halakhah, but we have also no right to abandon the Jewish people. Extremism, minimalism is not the way. Elasticity, flexibility is the way.[29] »

Oltre a queste questioni, la tensione tra Heschel e Rav Soloveitchik deve aver influito sul suo accantonamento da parte di molti rabbini ortodossi moderni. Rav Soloveitchik era una figura molto rispettata nell'ebraismo americano e un leader dell'ortodossia moderna. Mentre Heschel aveva notoriamente criticato il saggio di Rav Soloveitchik Halakhic Man, affermando che non c'è mai stato un concetto di Halakhic Man nel pensiero ebraico,[30] Rav Soloveitchik fu citato che avesse detto a proposito de The Sabbath di Heschel: "Come [Heschel] chiama Shabbat? — un santuario nel tempo. Questa è un'idea di un poeta. È una bella idea. Ma cos'è lo Shabbat? Shabbat è lamed-tet melakhot, sono le trentanove categorie di lavoro e i loro toladot, ed è da quella halakhah e non dalla poesia che bisogna costruire una teoria dello Shabbat".[31] Il loro confronto fu simile a quello che Heschel dovette provare al Seminario Ortodosso di stile lituano a Berlino e ai disaccordi che ebbe al JTS con Saul Lieberman.

Infine, vale la pena riconoscere che, sebbene il lascito di Heschel sia visto principalmente tra gli ebrei conservatori, è una critica ingiusta del contenuto di Heschel sottolinearla come un difetto. Coloro che hanno studiato l’opera omnia di Heschel e sono associati alla comunità conservatrice, erano conservatori fin dall'inizio; il suo ostracismo da parte delle comunità ortodosse gli ha precluso la possibilità di ottenere qualsiasi tipo di riconoscimento tra gli ortodossi. Non è noto che il lavoro di Heschel abbia influenzato le persone a spostarsi dal credo ortodosso a quello conservatore. In effetti, molti dei suoi studenti conservatori divennero più osservanti.[32]

Durante tutto il tempo trascorso a studiare il corpus di opere di Heschel, nonché i libri e i saggi scritti su di lui, sono rimasto immensamente turbato dalle menzogne diffuse sul suo conto. Senza legittima giustificazione, il suo patrimonio letterario è stato offuscato. La bellezza e la complessità dei suoi scritti sono state ignorate a causa di una paura infondata.

Ho scritto questo mio saggio perché sentivo l'urgenza di smascherare tale falsa opinione e di ripristinare lo status di Heschel come pensatore ebreo di spicco nell'Ortodossia. Le sue idee sono rilevanti per l'Ortodossia come lo sono sempre state per gli ebrei conservatori e riformati, e le nostre comunità possono trarre beneficio dal lavoro che tanti altri hanno trovato stimolante.

Sfortunatamente, il suo rifiuto da parte della comunità ortodossa allude a un problema più profondo di chiusura mentale e di esclusione di idee che potrebbero rafforzare la convinzione religiosa dei suoi membri. Come Heschel cercò di trasmettere nel suo ultimo anno in un discorso tenuto in Israele sull'irrigidimento dell'Ortodossia,

Alas, the spirit of Satmar hovers over our rabbis, while Reb Levi Yitzchak of Berditchev [known for his love of every Jew] has been forgotten... Their leaders are busy erecting new fences and walls, instead of building a house for people to live in. As a result, Judaism looks like a jail to the young, instead of a fountain of life and joy.[33]

PARTE II – LA TEOLOGIA

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Il fallimento della filosofia occidentale

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Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Storia della filosofia occidentale, Filosofia ebraica e Haskalah.

There are people who are hesitant to take seriously the possibility of our knowing what the will of God demands of us. Yet we all wholeheartedly accept Micah’s words: "He has showed you, O man, what is good, and what does the Lord require of you, but to do justice, and to love kindness and to walk humbly with your God" (Micah 6:8). If we believe that there is something which God requires of man, then what is our belief if not faith in the will of God, certainty of knowing what his will demands of us? If we are ready to believe that God requires of me "to do justice", is it more difficult for us to believe that God requires of us to be Holy? If we are ready to believe that it is God who requires of us “to love kindness,” is it more difficult to believe that God requires us to hallow the Sabbath and not violate its sanctity?

If it is the word of Micah uttering the will of God that we believe in, and not a peg on which to hang views we derived from rationalist philosophies, then “to love justice” is just as much law as the prohibition of making a fire on the Seventh Day. If, however, all we hear in these words are echoes of western philosophy rather than the voice of Micah, does that not mean that the prophet has nothing to say to any of us?[34]

Questa idea, scritta da Heschel nel 1954, è la base della sua teologia, che egli iniziò ad esporre nella sua tesi di dottorato a Berlino vent'anni prima. Nella sua tesi, Heschel tentò di mostrare che ciò che i profeti esprimevano, sebbene esternamente simile alla morale che proveniva dalla filosofia occidentale, era intrinsecamente diverso. "La Bibbia... non ha coniato molte parole, ma ha dato un nuovo significato alle parole prese in prestito".[35] La radice di questa differenza sta nella fonte che attribuisce valore a quella morale. Mentre la filosofia occidentale utilizzava la verità come fondamento della propria etica, nell'ebraismo l'esperienza profetica conferiva valore alle leggi attraverso la capacità del profeta di riconoscere la loro importanza per Dio "simpatizzando" con le Sue preoccupazioni.

Il pensiero religioso occidentale è stato dominato dall'influenza della sua controparte filosofica. L'impatto della visione aristotelica del mondo e della sua percezione di Dio, è visibile chiaramente nei pensatori medievali come Maimonide, che in gran parte hanno plasmato la nostra visione teologica. L'eredità dell'ebraismo spagnolo, che può essere vista "per certi aspetti come una sintesi della tradizione ebraica e della civiltà musulmana... spesso sembrava enfatizzare gli elementi che l'ebraismo aveva in comune con la filosofia classica trascurando di evidenziare le sue caratteristiche specifiche".[36] O come scrive Heschel in God in Search of Man, "soffermandosi sugli elementi comuni della ragione e della rivelazione, una sintesi delle due potenze spirituali fu raggiunta al prezzo del sacrificio di alcune delle loro intuizioni uniche".[37] Per molte persone, queste idee hanno plasmato il loro approccio all'ebraismo, consapevolmente o meno.[38]

Nell'introduzione all'edizione inglese della sua tesi, ampliata nel suo libro The Prophets, Heschel racconta di una comprensione a cui arrivò mentre studiava filosofia a Berlino:

« What drove me to study the prophets?
In the academic environment in which I spent my student years philosophy had become an isolated, self-subsisting, self-indulgent entity, a Ding an sich, encouraging suspicion instead of love of wisdom. The answers offered were unrelated to the problems, indifferent to the travail of a person who became aware of man’s suspended sensitivity in the face of stupendous challenge, indifferent to a situation in which good and evil became irrelevant, in which man became increasingly callous to catastrophe and ready to suspend the principle of truth. I was slowly led to the realization that some of the terms, motivations, and concerns which dominate our thinking may prove destructive of the roots of human responsibility and treasonable to the ultimate ground of human solidarity. The challenge we are all exposed to, and the dreadful shame that shatters our capacity for inner peace, defy the ways and patterns of our thinking. One is forced to admit that some of the causes and motives of our thinking have led our existence astray, that speculative prosperity is no answer to spiritual bankruptcy. It was the realization that the right coins were not available in the common currency that drove me to study the thought of the prophets. »
(Abraham J. Heschel, The Prophets, pp. xxviii)

In un momento di indicibile tragedia, quando "sulle porte del mondo in cui viviamo c'è lo stemma dei demoni", quando "il marchio di Caino sul volto dell'uomo è arrivato a oscurare l’immagine di Dio",[39] Heschel si rese conto che una filosofia basata esclusivamente sulla verità e sulla "prosperità speculativa" non poteva ispirare nell'uomo una vera preoccupazione per gli altri. Ciò che era necessario, affermava Heschel, era un ritorno a un Dio personale che ripudia l'indifferenza:

« I have tried to elucidate some of the presuppositions that lie at the root of prophetic theology, fundamental attitudes of prophetic religion, and to call attention to how they differ from certain presuppositions and attitudes that prevail in other systems of theology and religion. While stressing the certainty of pathos, a term which takes on major importance in the course of the discussion, I have tried not to lose sight of the ethos and logos in the teaching. »
(Abraham J. Heschel, The Prophets, pp. xxviii–xxix)

Qui Heschel introduce il suo concetto di Pathos, che è in contrasto con la comprensione di Dio influenzata dall'antica filosofia greca. Con la sua conoscenza della storia della filosofia, Heschel era particolarmente adatto a legittimare quello che considerava l'atteggiamento più autenticamente biblico nei confronti di Dio.

I problemi dell'ebraismo ellenizzato

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Parlando a un gruppo di rabbini in una conferenza a New York, Heschel affrontò una questione che vedeva come la causa di grandi problemi nella secolarizzazione dell'ebraismo e nell'ostruzione della sua capacità di insegnare all'uomo una reale preoccupazione transitiva:

« There is another danger, another block to Jewish theology. This danger is a more insidious one. I refer to the Hellenization of Jewish theology... To oversimplify the matter: this approach would have Plato and Moses, for example, say the same thing. Only, Plato would say it in Greek and Moses in Hebrew. Consequently, you can say that Moses was a sort of Hebrew Plato. This view has had a great impact on much of Jewish medieval philosophy. They talk about God in the language of the Greeks.
... We are inclined to think in non-Jewish terms. I am not discouraging exposure to the non-Jewish world. I am merely indicating that it is not biblical thinking. It is not rabbinic thinking. It is not Hassidic thinking. It is non-Jewish thinking. A non-Jewish philosophy is fine. But we would also like to have in our thinking a Jewish view of things… If you take biblical passages or biblical documents or rabbinic statements, and submit them to a Greek mind, they are often absurd. They make no sense... May I say to you personally that this has been my major challenge, ever since I began working on my dissertation; that is: How to maintain a Jewish way of thinking? This was the major concern and the major thesis of my dissertation Die Prophetes»
(Abraham Joshua Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity, pp. 155–156)

Nella seconda parte di The Prophets, come in molti altri punti, Heschel spiegò perché rifiutava il Dio greco della completa attualizzazione o esistenza, introducendo invece Dio come un Dio onnipotente ma passabile di Pathos, bisognoso dell'uomo. Come scrisse: "Platone pensa a Dio a immagine di un'idea; i profeti pensano a Dio a immagine della presenza personale. Per i profeti Dio non era un Essere della Cui esistenza erano convinti nel modo in cui un uomo è convinto della verità di un'idea. Era un Essere supremamente reale e sorprendentemente presente".[40] Heschel "non ha offerto un saggio sistematico di metafisica”, come afferma Shai Held: "Si accontentò, invece, di sottolineare che i principi metafisici che Maimonide dava semplicemente per scontati sono in realtà storicamente condizionati – di provenienza greca piuttosto che biblica".[41]

Fornire una panoramica completa del suo rifiuto va oltre lo scopo di questo saggio; indicherò solo brevemente il modo in cui Heschel screditò l'approccio greco in quanto non biblico e perché riteneva vitale tale rifiuto. Va preliminarmente affermato che Heschel non intendeva arrivare al punto di rivendicare una concettualizzazione dell'essenza di Dio: "L'idea del pathos divino non è una personificazione di Dio ma un'esemplificazione della realtà divina, un'illustrazione o illuminazione della Sua preoccupazione. Non rappresenta una sostanza, ma un atto o una relazione".[42] In effetti, sostenere una simile affermazione significherebbe fraintendere la radice del problema di Heschel con il pensiero greco.

« According to the celebrated statement of Xenophanes, ‘If oxen and horses and lions had hands or could draw with hands and create works of art like those made by men, horses would draw pictures of gods like horses, and oxen of gods like oxen...’ The essential error is not in how man depicts God, but in depicting Him at all. The great revolution in biblical faith was to regard any image of God as an abomination. »
(Abraham J. Heschel, The Prophets, p. 349)

Nella Bibbia, osservò Heschel, non c'è alcuna discussione su Dio che sia parallela al Dio di Aristotele. Sono assenti le nozioni fondamentali su cui si regge il pensiero greco:

« The notion of God as a perfect Being is not of biblical origin. It is not a product of prophetic religion, but of Greek philosophy… In the Decalogue, God does not speak of His perfection, but of His having made free men out of slaves. Signifying a state of being without defect and lack, perfection is a term of praise which we may utter in pouring forth emotion; yet, for man to utter it as a name for His essence would mean to evaluate and to endorse Him. Biblical language is free of such pretentions; it dared to call perfect (tamim) only “His work” (Deut. 32:4), “His way” (II Sam. 22:31), and the Torah (Ps. 19:7). We have never been told: “Hear, O Israel, God is Perfect!” »
(Ibid., p. 352)

Al contrario Heschel afferma:

« To the prophet... God does not reveal Himself in an abstract absoluteness, but in a personal and intimate relation to the world. He does not simply command and expect obedience; He is also moved and affected by what happens in the world and reacts accordingly. Events and human actions arouse in Him joy or sorrow, pleasure or wrath . . . Quite obviously in the biblical view, man’s deeds may move Him, affect Him, grieve Him or, on the other hand, gladden and please Him. This notion that God can be intimately affected, that He possesses not merely intelligence and will, but also pathos, basically defines the prophetic consciousness of God. »
(Ibid., pp. 288–289)

Successivamente chiarisce i presupposti metafisici che hanno portato i pensatori greci e i teologi ebrei da loro influenzati ad arrivare a una nozione di Dio come un essere immutabile e inalterato di completa unità. Quindi spiega le difficoltà che si trovano nel tentativo di riconciliarlo con il Dio della Bibbia e suggerisce che:

« These difficulties arise from the attempt to reduce the biblical insight to an exact rational category. To be sure, the rational component is central to the biblical understanding of unity. However, the biblical intention is not to stress an abstraction, an idea in general, but the fullness of the divine Being; the certainty that the creator is the Redeemer, that the Lord of nature is the Lord of history. God’s being One means more than just being one. It means, we may say, that He is One, not many; unique and only (one-ly), the center and the circle, all-embracing and involved. »
(Ibid., p. 343)

Questo era il problema principale di Heschel riguardo alla comprensione ellenizzata. Riconobbe l'incapacità di questa a rimanere coerente con la narrazione biblica, in cui Heschel vedeva Dio alla ricerca dell'uomo come il tema principale. La Bibbia non è la teologia dell'uomo, direbbe Heschel, ma l'antropologia di Dio. Nessun teologo aristotelico avrebbe potuto sintetizzare in modo coerente i suoi presupposti filosofici con quello che agli occhi di Heschel era questo motif indiscutibile:

« Ribono Shel Olam [master of the universe], why do you bother? Why are you in search of man? Why are you still searching and waiting? Searching for whoever it is that may come? To create a better world; to create a better species? God in search of man? Why? And my answer to this would be: Because God is in need of man. The idea of God being in need of man is central to Judaism and pervades all the pages of the Bible, of Chazal, of Talmudic literature... »
(Abraham Joshua Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity, p. 159)

Come ulteriore tesi, Heschel non pensava che l'approccio greco potesse essere giustificato dall'esperienza dell'uomo e quindi manca della capacità di ispirare veramente un impegno morale verso i suoi ideali. Conclude in The Prophets:

« It is of extreme importance that theology should endeavor to operate with categories indigenous to the insights of depth-theology instead of borrowing its categories from speculative philosophy or science. What is regarded as the ultimate in philosophy must not be regarded as the ultimate in theology. What man thinks or what man says is the ultimate theme of philosophical analysis. To theology, the ultimate theme is that which man is unable to objectify, which he refuses to conceptualize. »
(Abraham J. Heschel, The Prophets, p. 340[43])

Il disaccordo di Heschel con l'interpretazione greca non riguardava solo il modo in cui esprimevano Dio, ma anche il modo in cui si avvicinavano alla Sua comprensione:

« As important as the content of our thinking about God is our way of thinking about Him. There is a reflective way, commencing in ignorance and rising from concept to concept until it arrives at the idea of One Supreme Being described by the attribute of perfection. The other way begins in embarrassment, and, rising from insight to insight, arrives at a vision of one transcendent Being, whom one acknowledges as a source of embarrassment. One cannot describe Him, one can only praise Him. »
(Ibid., pp. 351–352)

Pertanto, per tre motivi Heschel respinse l'approccio greco. In primo luogo, lo respinse per la sua incapacità di conciliare la sua nozione di un Dio che è essenzialmente disconnesso da qualsiasi essere creato, privo di preoccupazione transitiva, con il Dio della Bibbia che Heschel sostiene sia pieno di preoccupazione transitiva.[44] In contrasto con l'interpretazione influenzata dall'ellenismo, in cui nessun contenuto descrittivo della relazione di Dio con l'uomo – che sia il Suo amore oppure la Sua ira – poteva essere preso in senso letterale, secondo Heschel, "divine concern... is the stuff of which prophecy is made".[45]

L'incapacità di prendere sul serio l'interesse di Dio per l'umano renderebbe assurda la simpatia dei profeti per il Suo pathos. Mentre l'approccio speculativo rifiuterebbe tutto ciò che sembra sfidare il concetto greco dell'essere, Heschel non riconosceva la nostra incapacità di concettualizzare il nulla come prova della natura ultima dell'Essere, precludendo così la capacità di Dio di sfidare il perfetto essere.[46] Ciò porta al secondo aspetto, e cioè che le intuizioni speculative sembrano sfidare quelle della teologia del profondo (discussa nella Sezione successiva), che Heschel vede come la radice della vera fede, nata dalla capacità dell'uomo di umiltà intellettuale di fronte a ciò al quale tutti le parole vengon meno: "that which lies within our reach but beyond our grasp".[47]

Infine, Heschel sostiene che l'etica nata dalla filosofia speculativa non tiene conto dell'intera situazione dell'uomo e quindi non può ispirare un vero impegno morale. Come egli afferma, "una causa prima o un'idea dell'assoluto – priva di libertà, priva di vita – è una questione per la scienza o la metafisica piuttosto che una preoccupazione dell'anima o della coscienza... L'anima vivente non si preoccupa di una causa morta, ma di un Dio vivente".[48]

Teologia del profondo

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Vorrei ora spostare la discussione sull'idea di teologia del profondo nell'opera di Heschel e sulla sua relazione con la sua comprensione del pensiero biblico. All'inizio della sua filosofia della religione, Heschel osserva che la questione più importante della religione non è se l'uomo possa dimostrare Dio filosoficamente o scientificamente, poiché...

« ...granted that the existence of a being endowed with supreme genius and wisdom has been demonstrated, the question remains: why should we, poor creatures, be concerned about Him, the most perfect? We may, indeed, accept the idea that there is a supreme designer and still say: “So what?” As long as a concept of God does not overpower us, as long as we can say: “So what?”—it is not God that we talk about but something else...
The issue which philosophy of religion has to discuss first is not belief, ritual or the religious experience, but the source of all these phenomena: the total situation of man; not what or how he experiences the supernatural, but why he experiences and accepts it. The question is: What necessitates religion in my life and in yours? »
(Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone, pp. 54–55)

Facendo eco a questa idea, nella prima di una serie di conferenze che tenne all'Università del Minnesota, a Minneapolis, sulla teologia del profondo, osservò:

« Religion has been reduced to institution, symbol, theology. It does not affect the pretheological situation, the presymbolic depth of existence. To redirect the trend, we must lay bare what is involved in religious existence; we must recover the situations which both precede and correspond to the theological formulations; we must recall the questions which religious doctrines are trying to answer, the antecedents of religious commitment, the presuppositions of faith. A major task of philosophy of religion is, as said above, to rediscover the questions to which religion is an answer. The inquiry must proceed both by delving into the consciousness of man and by delving into the teachings and attitudes of the religious tradition. »
(Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence, pp. 115–116)

Le domande riguardanti la fonte della fede sono l'indagine che Heschel chiama "depth theology":

« While the “content of believing” is the theme of theology, the theme of depth theology is the act of believing, its purpose being to explore the depth of faith, the substratum out of which belief arises. »
(Ibid., pp. 117–118)

Il credo è oggetto di teologia, la fede quella della teologia del profondo. Le due cose sono interdipendenti: mentre la teologia del profondo è la fonte della fede dell’uomo, la teologia deve essere la risposta su come vivere compatibilmente con tale fede.

Il concetto di teologia del profondo fu al centro della prima importante pubblicazione americana di Heschel. Approfondendo la fonte della fede, Heschel tentava di illuminare quelle esperienze che la determinano. Descrisse quei momenti come un incontro faccia a faccia con la realtà. "Ci sono tre aspetti della natura", spiega Heschel, "che attirano l'attenzione dell'uomo: potere, bellezza e grandezza. Sfrutta il potere, gode la bellezza, la grandezza lo riempie di stupore".[49] I primi due non sono ambigui, ma nel sondare lo stupore dell'uomo, i momenti in cui una persona è sopraffatta dallo stupore, Heschel si chiede perché? A cosa gli serve questo meravigliarsi, evocato dalla grandiosità dell'ambiente circostante? Che valore acquista l'uomo quando smette di guardare il mondo come uno strumento a proprio uso e comincia a vederlo senza le proprie prospettive preesistenti? Eppure nessuno, suggerisce Heschel, che guarda oltre la vastità dell'oceano, verso le sue infinite distese, può vedere solo una vasca di pesci.

La conoscenza iniziale dell'uomo con la realtà, la sua consapevolezza preconcettuale, se si industria per individuarla, è quella di percepire l'ineffabile; la soppressione dello stupore può durare solo fino a un certo punto. Mentre pochi sopportano il peso di una riflessione incessante, incapaci di soffocare il richiamo all'autenticità, nessuno è immune a momenti di consapevolezza. Sebbene pochi e distanti tra loro, colpiscono come fulmini, sfondando i nostri gusci callosi e illuminando la disonestà in cui viviamo, implorando l'uomo di lottare per qualcosa di più della semplice autoaffermazione:

« Disregard of the ultimate dimension of human existence is a possible state of mind as long as man finds tranquility in his dedication to partial objectives. But strange things happen at times to disturb his favorite unawareness, which makes it impossible for him not to realize that evasiveness is offensiveness. »
(Abraham J. Heschel, Who is Man, p. 53)

Heschel tentò di ispirare nel suo lettore la consapevolezza che ci sono situazioni nella vita durante le quali la torre d'avorio dell'egocentrismo comincia a sgretolarsi. Sia che avvenga quando l'uomo sperimenta la grandezza della natura, sia quando è colpito dalla natura fugace del tempo che gli scorre accanto, senza prestare attenzione ai suoi tentativi di ignorare la propria temporalità. Sia nello stupore radicale che prende l'uomo quando riflette sul fatto che sta pensando, sia nella meraviglia nel guardare il cielo stellato, quando tutte le parole sembrano mancare.

Alla fine, nella trepidazione dell'uomo di fronte a ciò che non può controllare, fingere che la propria autostima sia la misura della sua autoespressione non sarà più sufficiente. Come scrisse Heschel, "la strada verso la follia è lastricata di tali illusioni".[50] Con notevole intuizione, Heschel sottolineò che non si prova mai riverenza per sé stessi. Privato della possibilità di dire che ciò che esiste è per suo uso, il riconoscimento da parte dell'uomo di un'ineffabile trascendenza che punta a Dio – afferma Heschel – è radicato nella sua domanda intuitiva sullo scopo di cui tutte le cose sono permeate. In altre parole, "perché c’è qualcosa anziché niente?" Infatti, a differenza dell'uomo greco, la mente biblica riconosce la possibilità sia del nulla che dell'esistenza, implicita nella creazione.

« The purpose of depth theology, we have said, is not to establish a doctrine but to lay bare some of the roots of our being, stirred by the Ultimate Question.[51]
We do not owe our ultimate question to stumbling in a mist of ignorance upon a wall of inscrutable riddles. We do not ask because of our being poor in spirit and bereft of knowledge; we ask because we sense a spirit which surpasses our ability to comprehend it. We owe our question not to something less but to something which is more than the known. »
(Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone, p. 61)

La meraviglia non nasce dall'ignoranza scientifica; in effetti, la scienza può potenziare questa meraviglia. Heschel non sta descrivendo un "Dio dei vuoti", né un "designer intelligente". Dio non è un'idea creata per soddisfare la conclusione razionale che l'esistenza di un orologio necessita di un creatore. Il limite di questa visione sta nel dare per scontati sia l'orologio che tutta la realtà. Il problema finale non è solo come è nato, ma anche come è fatto... L’orologio stesso non è un mistero? L’atto di percepire l'orologio e di comprenderne la forma non è forse un fatto assolutamente incomprensibile?[52]

Dio non è una spiegazione ma parte dell'intuizione stessa:

« The question about God is not a question about all things but a question of all things; not an inquiry into the unknown but an inquiry into that which all things stand for; a question we ask for all things. It is phrased not in categories of reason but in acts in which we are astir beyond words. The mind does not know how to phrase it, yet the soul sighs it, sings it, pleads it. »
(Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone, p. 61)

La vera questione sollevata dalla scienza non riguarda i suoi tentativi di confutare Dio, ma l'attenuazione quasi necessaria dello stupore causata dai progressi della civiltà.[53] "Ciò che ci manca non è la volontà di credere ma la volontà di meravigliarsi", dice Heschel, e "il pericolo principale per la filosofia della religione risiede nella tentazione... di spiegare ciò che è intrinsecamente inspiegabile".[54]

Heschel respinge l'affermazione che la meraviglia è semplicemente un fenomeno psicologico e come tale va scartato, privo di qualsiasi capacità di informare l'uomo su qualcosa della realtà:

« We do not sense the mystery because we feel a need for it, just as we do not notice the ocean or the sky because we have a desire to see them. The sense of mystery is not a product of our will. It may be suppressed by the will but it is not generated by it. The mystery is not the product of a need, it is a fact. »

Confrontandolo con un uomo trascinato via dall'oceano, dichiara:

« We do not endow a mere idea with existence, just as I do not do so in asserting: ‘this is an ocean,’ when I am being carried away by its waves. The ineffable is there before we form an idea of it. To the spirit of man his own spirit is a reliable witness that the mystery is not an absurdity, that on the contrary, things known and perceptible are charged with its heart-stripping, galvanizing meaning. »
(Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone, p. 27)

Heschel capì che l'uomo non può scegliere di ignorare la fonte del significato e rimanere sano di mente, sia che lo affermi consapevolmente o meno. "Per la nostra stessa esistenza abbiamo un disperato bisogno di significato, e tutto ciò che richiede significato è sempre un'allusione a Lui [Dio]". 76

Heschel understood that man could not choose to ignore the source of meaning and stay sane, whether he affirmed it consciously or not. “By our very existence we are in dire need of meaning, and anything that calls for meaning is always an allusion to Him [God]".[55] Nel portare questa idea alla sua logica conclusione, Heschel poi affermò:

« Our assumption that there is meaning in things which has the quality of inspiring the human mind with awe implies a principle that may come as a surprise to many readers; namely, that meaning is something which occurs outside the mind... Meaning is not man’s gift to reality… Only those who have lost their sense of meaning would claim that self-expression rather than world-expression is the purpose of living. »
(Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone, pp. 27–29)

Successivamente continua:

« ...the reality of the ineffable meaning is, as we have shown, beyond dispute. The imperative of awe is its certificate of evidence, a universal certificate which we all witness and seal with tremor and spasm, not because we desire to, but because we cannot brave it... The indication of what transcends all things is given to us with the same immediacy as the things themselves... While our minds are upon all things, our souls are carried away beyond them... Those to whom awareness of the ineffable is a constant state of mind know that the mystery is not an exception but an air that lies about all being, a spiritual setting of reality; not something apart but a dimension of all existence. They learn to sense that all existence is embraced by a spiritual presence... There is a holiness that hovers over all things, that makes them look to us in some moments like objects of transcendent meditation, as if to be meant to be thought of by God... To the religious man it is as if things stood with their back to him, their faces turned to God, as if the ineffable quality of things consisted in their being an object of divine thought... It is as if the human mind were not alone in thinking it, but the whole universe were full of it. We do not wonder at things anymore; we wonder with all things. We do not think about things; we think for all things. »
(Ibid., composito dalle pp. 63–65)

L'aspetto più cruciale della ricerca dell'uomo per una vita contenta è il suo bisogno di significato.[56] La religione vuole essere una risposta alla nostra percezione di ciò che conferisce significato ultimo. Il sentimento di meraviglia che evoca quella percezione non è irrilevante per l'uomo. Senza risposta, significa ansia. La sua importanza sta nella domanda che suscita: cosa fare con la meraviglia ultima? Vivere semplicemente nella meraviglia è vivere in costante tensione.

Pertanto, lo scopo dell'uomo religioso è vivere compatibilmente con l'esperienza dello stupore; la sua meraviglia porta all'apprensione che ci sia qualcosa per cui egli è necessario, una necessità di essere necessario. "Eppure quel bisogno inestinguibile viene spesso trasformato in auto-esaltazione o nel desiderio di trovare una garanzia per l'immortalità personale. L'ebraismo dimostra che essere necessari a Dio è una necessità".

Heschel afferma inoltre che il desiderio non nasce in noi ma è una reazione al bisogno di Dio per l'uomo. "Il nostro bisogno di Lui non è altro che un'eco del Suo bisogno di noi".[57] In altre parole, la connessione dell'uomo con Dio non è qualcosa che egli scopre; la sua capacità di risposta a Dio è la sua capacità di recuperare ciò che è latente in lui, in forza del suo essere umano. Come dice Heschel: "Ciò che fa nascere la religione non è la curiosità intellettuale, ma il fatto e l'esperienza che ci venga chiesto... La fede non è il prodotto di ricerca e impegno, ma la risposta a una sfida che nessuno può mai ignorare".[58]

Esiste un'ampia correlazione tra la comprensione biblica di Dio e quella che incontriamo attraverso la teologia del profondo. In breve, il Dio alla ricerca dell'uomo che Heschel vede nella Bibbia è lo stesso Dio di cui l'uomo intuisce la chiamata. In una certa misura, la nostra conoscenza dell'ineffabile evocato dalle nostre esperienze è simile alla rivelazione dell'interesse di Dio nei confronti dei profeti; in altre parole, la meraviglia è l'esperienza che prepara l'uomo ad accogliere la rivelazione — sia essa proveniente dalla profezia o dalla tradizione. È importante ricordare che le nostre esperienze da sole, secondo Heschel, non potrebbero guidarci dallo "stupore all'azione":

« The God whose presence in the world we sense is anonymous, mysterious. We may sense that He is, not what He is. What is His name, His will, His hope for me? How should I serve Him, how should I worship Him? The sense of wonder, awe, and mystery is necessary, but not sufficient to find the way from wonder to worship, from willingness to realization, from awe to action. »
(Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man, p. 108)

"Intuizioni e ispirazioni private", scrive Heschel, "ci preparano ad accettare ciò che i profeti trasmettono".[59]

L'attenzione di Heschel su idee come la teologia del profondo è ciò che gli ha permesso di ispirare un autentico desiderio per uno stile di vita religioso. È una lezione che l'Ortodossia deve prendere a cuore se vuole essere efficace nell'educazione religiosa. L'insegnamento della religione deve cominciare evocando nelle persone le domande che ne fanno una risposta rilevante.

Importanza della Halakhah

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Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Halakhah e Etica ebraica.

Infine, va sottolineata l'importanza della halakhah nel pensiero di Heschel. Nella teologia di Heschel, l'idea di halakhah gioca un ruolo vitale come momento in cui l'uomo e Dio si incontrano. Indipendentemente dalla finalità di qualunque comandamento specifico,[60] l'atto in quanto dedicato alla volontà di Dio è un momento in cui l'uomo cristallizza la presenza di Dio sotto forma di atti:

« ...here and now, in this world, the glory [of God] is concealed. It becomes revealed in a sacred deed, in a sacred moment, in a sacrificial deed. No one is lonely when doing a mitzvah, for a mitzvah is where God and man meet.
We do not meet Him in the way in which we meet things of space. To meet Him means to come upon an inner certainty of His realness, upon an awareness of His will. Such meeting, such presence, we experience in deeds. »
(Ibid., p. 312)

Questo è ancora un altro aspetto su cui Heschel differisce radicalmente da coloro che, come Martin Buber, sostenevano che l'osservanza religiosa sopprime l'autentica religiosità. Per Heschel, idealmente, "tutti i culti e i rituali sono essenzialmente tentativi di rimuovere la nostra insensibilità al mistero della nostra stessa esistenza e delle nostre attività", in altre parole, "l'osservanza ebraica è un costante promemoria, un intenso appello, a essere attenti a Colui che va al di là della natura, anche mentre siamo impegnati a trattare con la natura".[61] Ma la halakhah può svolgere il suo pieno ruolo solo quando è autentica, resistendo alla tendenza dell'uomo a trasformare ciò che è significativo in routine e a permettere che "l’osservanza si deteriori in una mera abitudine".[62] Per rimanere genuino nella sua osservanza, l'uomo deve mantenere le domande che infondono significato alla halakhah, come scrive Heschel:

« Halacha is an answer to a question, namely: What does God ask of me? The moment that question dies in the heart, the answer becomes meaningless. That question, however, is agadic, spontaneous, personal... The task of religious teaching is to be a midwife and bring about the birth of the question. Many religious teachers are guilty of ignoring the vital role of the question and condoning spiritual sterility. But the soul is never calm. Every human being is pregnant with problems in a preconceptual form. Most of us do not know how to phrase our quest for meaning, our concern for the ultimate. Without guidance, our concern for the ultimate is not thought through and what we express is premature and penultimate, a miscarriage of the spirit...
It would be a fatal error to isolate the law, to disconnect it from the perplexities, cravings, and aspirations of the soul, from spontaneity and the totality of the person. In the spiritual crisis of the modern Jew the problem of faith takes precedence over the problem of law. Without faith, inwardness and the power of appreciation, the law is meaningless. »
(Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man, p. 339)

Heschel suggerì che non esiste aggada senza halakhah. Ma ricordò anche, cosa forse di maggiore importanza, che non esiste halakhah senza aggada. Senza l’aggada che anima la nostra osservanza quotidiana della halakhah, essa diventerà meccanica. Senza una discussione su Dio corrispondente alla nostra discussione sulla halakhah, perdiamo la halakhah.

Tra le tante belle espressioni del pensiero ebraico negli scritti di Heschel, ce n'è una in cui Heschel ritrae l'essenza dell'ebraismo come "polarità", toccando il nucleo della sua teologia e dando una conclusione adeguata ai punti affrontati in questo mio saggio:

« Jewish living can only be adequately understood in terms of a... polarity which lies at the very heart of Judaism, the polarity of ideas and events, of mitzva and sin, of kavanah and deed, of regularity and spontaneity, of uniformity and individuality, of halacha and agada, of law and inwardness, of love and fear, of understanding and obedience, of joy and discipline, of the good and the evil drive, of time and eternity, of this world and the world to come, of revelation and response, of insight and information, of empathy and self-expression, of creed and faith, of the word and that which is beyond words, of man’s quest for God and God in search of man. »
(Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man, p. 341)

Ancora una volta tengo a specificare che questo saggio non è affatto un'esposizione completa delle idee di Heschel. Si tratta solo di una breve prefazione alle sue opere con la speranza di suscitare interesse. È importante, però, rendersi conto che l'obiettivo di Heschel non era solo quello di creare un'alternativa al pensiero occidentale. Tramite la sua pietà e le sue intuizioni sulla teologia del profondo, cercava anche di portare i suoi lettori a un livello di sensibilità spirituale. Come osserva Held, negli scritti di Heschel "teologia e spiritualità sono sempre intrecciate; tentare di separarle significa, inevitabilmente, appiattire e falsificare il suo pensiero".[63] Il resoconto dato da Heschel sull'impatto duraturo del Baal Shem Tov – forse la sua più grande ispirazione – narrato nel suo ultimo libro terminato poche settimane prima della sua morte, traccia chiari paralleli con l'eredità propria di Heschel:

« The Jewish people is not the same since the days of the Besht [Baal Shem Tov]. It is a new people. Other personalities contributed great works; they left behind impressive achievements; the Besht left behind a new people. To many Jews the mere fulfilment of regulations was the essence of Jewish living... The Besht taught that Jewish life is an occasion for exaltation. Observance of the Law is the basis, but exaltation through observance is the goal… Other great teachers bore the message of God, sang His praises, lectured about His attributes and wondrous deeds. The Baal Shem brought not only the message; he brought God Himself to the people. His contribution, therefore, consisted of more than illumination, insights, and ideas; he helped mold into being new types of personality: the Hasid and the Tzaddik... [T]he greatness of the Besht was that he was the beginning of a long series of... moments of inspiration. And he holds us under his spell to this very day. He who really wants to be uplifted by communing with a great person whom he can love without reservation, who can enrich his thought and imagination without end, that person can meditate about the life... of the Besht. There has been no one like him during the last thousand years. »
(Abraham Joshua Heschel citato in Samuel H. Dresner, Heschel, Hasidism, and Halakha (New York: Fordham University Press, 2002), p. 41)

Quella di Heschel è una voce estremamente necessaria nelle comunità religiose di oggi. La sua percezione unica di quelle caratteristiche che presentano la vita religiosa come piena di significato è di vitale importanza. C'è molto da guadagnare da un approccio onesto al lavoro di Heschel. Le intuizioni di un pensatore ebreo così eccezionalmente importante non dovrebbero essere ignorate.

Stralcio originale da The Sabbath

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Ritratto artistico di Abraham Joshua Heschel (1968)

ו שִׂימֵנִי כַחוֹתָם עַל-לִבֶּךָ, כַּחוֹתָם
עַל-זְרוֹעֶךָ--כִּי-עַזָּה כַמָּוֶת אַהֲבָה, קָשָׁה
כִשְׁאוֹל קִנְאָה: רְשָׁפֶיהָ--רִשְׁפֵּי, אֵשׁ
שַׁלְהֶבֶתְיָה.
ז מַיִם רַבִּים, לֹא יוּכְלוּ לְכַבּוֹת אֶת-הָאַהֲבָה,
וּנְהָרוֹת, לֹא יִשְׁטְפוּהָ; אִם-יִתֵּן אִישׁ
אֶת-כָּל-הוֹן בֵּיתוֹ, בָּאַהֲבָה--בּוֹז, יָבוּזוּ לוֹ.

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio.
Cantico 8:6-7

Per approfondire, vedi Serie delle interpretazioni, Serie misticismo ebraico e Serie letteratura moderna.
  1. Per uno studio più esteso suggerisco di iniziare con "“Heschel, Hasidism, and Halakha" del suo allievo più intimo, Samuel H. Dresner, e la biografia in due volumi scritta da Edward K. Kaplan e Dresner.
  2. Nella comunità israeliana il nome di Heschel non è riconosciuto dai più. Ci sono diverse cause, tra cui la mancanza di traduzioni dei suoi libri e i conflitti che Heschel ebbe con alcuni degli eminenti accademici israeliani del suo tempo.
  3. Heschel dedicò molto tempo ai pensatori medievali e ne fu influenzato. Si vedano, per esempio, i suoi scritti su Maimonide, Ibn Gabirol, Abravanel e Saadya Gaon.
  4. Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1967), p. 217. Per fedeltà al loro senso esegetico, tutte le citazioni dai testi di Heschel sono lasciate nell'originale (EN) .
  5. La sua conoscenza del Talmud gli permise in seguito di scrivere un monumentale tomo in tre volumi intitolato Torah Min Ha-shamaim be-Aspaklarya Shel ha-Dorot, una panoramica completa delle diverse tendenze teologiche negli scritti dei saggi, usando Rabbi Akiva e Rabbi Yishmael quali identità contrastanti che guidano le opinioni divergenti. Rabbi Hayyim Zimmerman, l'eminente talmudista, osservò, dopo aver letto il libro, che ci dovevano esser voluti almeno dieci anni di lavoro incessante per scriverlo. Heschel in realtà lo scrisse in due anni senza assistenza mentre lavorava su una serie di altri importanti progetti. In seguito spiegò a Rabbi Samuel Dresner: "once he began, it just poured out as if it had been stored away in preparation for that moment". Samuel H. Dresner, Heschel, Chassidismo e Halakha (New York: Fordham University Press, 2002), pp. 100–101. Heschel espresse numerose volte che sentiva che questa era stata la sua opera più importante.
  6. Edward K. Kaplan e Samuel H. Dresner, Abraham Joshua Heschel: Prophetic Witness (New Haven & Londra: Yale University Press, 1998), p. 320 nota 34: "Later, Heschel was sitting at the Tish of his brother-in-law, the Kopitzhinitzer rebbe, Abraham Joshua Heschel, on Henry Street on the Lower East Side of Manhattan. His cousin said to him: ‘We hoped that you would be the Levi Yitzchak of our generation and save Hasidism. And I thought I would be your Hasid. Alas, you have come to sit at my table.’"
  7. Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man (New York: The Noonday Press Farrar, Straus e Giroux, 1983), p. 3. Heschel non disse mai esplicitamente che ciò fosse diretto alle denominazioni ortodosse, ma è difficile comprenderlo come riferito a quelle più liberali, che in larga misura stavano abbandonando tradizioni di lunga data. È chiaro che Heschel aveva certi problemi con la comunità ultraortodossa in cui era cresciuto, ma è anche importante sottolineare il suo profondo apprezzamento per lo stile di vita condotto dagli ebrei dell'Europa orientale e per le sue influenze su di lui. In un’intervista con Carl Stern, Heschel riconobbe... "I was very fortunate in having lived as a child and as a young boy in an environment where there were people I could revere, people concerned with problems of inner life, of spirituality and integrity." Abraham Joshua Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity (New York: Farrar, Straus e Giroux, 1996), p. 395.
  8. Ci sono molti esempi condivisi dai contemporanei tedeschi di Heschel riguardo alla sua stretta osservanza della Halakhah, che Edward Kaplan e Samuel H. Dresner raccontano nel primo volume della loro biografia, Prophetic Witness. Dresner, il suo allievo più intimo, testimoniò anche della sua piena osservanza mentre viveva a Berlino, nel suo libro Heschel, Hassidism, and Halakha (p. 117). Inoltre tornava regolarmente dalla sua famiglia a Varsavia, con la quale mantenne un buon rapporto anche mentre viveva a Berlino. Questo rapporto continuò quando Heschel si trasferì in America. Anche mentre lavorava come professore alla JTS, continuò a visitare regolarmente la sua famiglia ultraortodossa.
  9. A causa dello stretto rapporto che Heschel aveva con gli studenti e i docenti del seminario ortodosso, molti non sapevano perché avesse deciso di studiare ufficialmente presso il seminario liberale. È chiaro che la sua scelta non fu spiritualmente significativa: non progettò mai di diventare un rabbino liberale o riformato e spesso si confrontò con le opinioni dei docenti del seminario.
  10. Per ulteriori informazioni sulla decisione di Heschel di studiare al seminario liberale, cfr. il capitolo sei di Abraham Joshua Heschel: Prophetic Witness.
  11. Samuel H. Dresner, Heschel, Hasidism, and Halakha (New York: Fordham University Press, 2002), p. 87; per un'ulteriore critica di Buber da parte di Heschel, cfr. la sua intervista a Notre Dame pubblicata nelle appendici di Moral Grandeur and Spiritual Audacity.
  12. Abraham Joshua Heschel, Man’s Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism (New York: Charles Scribner’s Sons, 1954), p. 7.
  13. Infatti, Heschel sostiene notoriamente che la religione stessa, quando il linguaggio biblico è costantemente interpretato come simbolico, diventa culto delle invenzioni proprie dell'uomo; il culto diventa espressione di sé e la religione si trasforma in una forma di "solipsismo". Abraham Joshua Heschel, Man’s Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism (New York: Charles Scribner’s Sons, 1954), p. 129.
  14. Si veda anche nella sua introduzione a The Prophets citata sotto. Sebbene questa fosse in gran parte una critica alle denominazioni più liberali, l'enfasi dell'Ortodossia sulla halakhah può essere vista come un parallelo, qualcosa di cui parlerò più avanti nello studio.
  15. Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1967), p. 41.
  16. Nel 1939, sostenuto dal suo consiglio di amministrazione, Morgenstern iniziò numerosi tentativi di salvare quanti più studiosi ebrei europei possibile offrendo loro posti al college. Sebbene il primo luogo di residenza di Heschel fosse il campus dell'Hebrew Union College, non si sentì mai a suo agio lì a causa delle differenze nelle loro prospettive teologiche. Tuttavia si sentiva loro eternamente grato.
  17. Heschel divenne il primo rabbino mai nominato docente del Protestant Union Theological Seminary di New York. In 12 settimane di lezioni di filosofia e teologia ebraica, attirò più studenti di qualsiasi precedente professore in visita nella storia della scuola. Reinhold Niebuhr, probabilmente il più importante teologo protestante del ventesimo secolo in America, disse di Heschel dopo la pubblicazione di Man is Not Alone: "È probabile che diventerà una voce imperativa e autorevole non solo nella comunità ebraica ma nella vita religiosa dell'America". Da allora i due condivisero uno stretto rapporto e come vicini spesso facevano passeggiate insieme.
  18. Edward K. Kaplan e Samuel H. Dresner, Abraham Joshua Heschel: Prophetic Witness (New Haven and London: Yale University Press, 1998), p. 92.
  19. Maurice Friedman, Martin Buber’s Life and Work (Boston: Dutton, 1982), p. 191.
  20. Abraham Joshua Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1996), p. 222.
  21. Abraham Joshua Heschel, Maimonides (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1982), p. 243. È interessante notare che il passaggio di Heschel all'attivismo avvenne nel periodo in cui lavorò alla revisione per la pubblicazione in inglese della sua tesi sui profeti, che considerava come i modelli definitivi di attivismo. In un'intervista, senza alcuna sorpresa, spiegò che fu questo progetto a convincerlo a doversi occupare degli affari umani.
  22. La cosa ironica è che Heschel in realtà non piaceva a molti docenti del JTS per una serie di ragioni, fra l'altro perché ritenevano che non condividesse i loro valori. Ciò fece sì che Heschel ricevesse un posto di insegnante senza pretese presso l'istituto e un ufficio molto piccolo, così piccolo, in effetti, che dovette tenere alcuni dei suoi libri e manoscritti sugli scaffali fuori dal suo ufficio dopo che i suoi numerosi tentativi di modificarlo furono ignorati.
  23. Questo era il fulcro dell'opera di Heschel, Torah Min Hashamayim.
  24. Abraham Joshua Heschel, Man’s Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism (New York: Charles Scribner’s Sons, 1954), pp. 53–57.
  25. La Judische Lehrhaus fu fondata nel 1920 da Franz Rosenzweig per contrastare lo standard tedesco di specialisti scientifici distaccati e lanciare una rivoluzione nella cultura ebraica, raggiungendo gli ebrei privi di conoscenza religiosa. Quando Buber, allora capo della Lehrhaus, si trasferì in Israele, nominò Heschel per assumere molte delle sue responsabilità lì.
  26. Una sorprendente lettera riprodotta nel libro di Marc Shapiro, Professor Saul Lieberman and the Orthodox, illustra l'ambiguità della posizione del JTS in relazione alla comunità ortodossa durante i primi anni degli istituti. Nella lettera, scritta nel 1936, Rabbi Moshe Halevi Soloveitchik scrisse a Louis Ginzberg, allora uno dei professori più rispettati della facoltà del JTS, per raccomandare il rabbino Yitzchok Hutner ad un posto di insegnante presso la scuola. Questo era lo stesso Rabbi Hutner che alla fine divenne il Rosh Yeshiva della Yeshiva Chaim Berlin ultra-ortodossa.
  27. Cfr., ad esempio, il saggio di Heschel in Moral Grandeur and Spiritual Audacity, intitolato "Toward an Understanding of Halacha"; il suo saggio "he Individual Jew and His Obligations" in The Insecurity of Freedom; il capitolo 25 "A Pattern for Living", in Man Is Not Alone; Parte 3 di God in Search of Man; e Samuel H. Dresner, Heschel, Chassidismo e Halakhah.
  28. Abraham Joshua Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1996), p. 295.
  29. Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1967), pp. 205–6. Vale la pena menzionare il saggio di Arnold Eisen, Re-reading Heschel on the commandments, in cui si sottolinea che la filosofia dell’Halakhah proposta da Heschel, e i suoi obiettivi per creare una disciplina spirituale, possono portare alla conclusione che le singole Leggi sono sostituibili. Tuttavia, Heschel sosteneva di "tradurre i comandamenti biblici in programmi richiesti dalle nostre condizioni" e non di sostituirli.
  30. Cfr. Samuel H. Dresner, Heschel, Hasidism, and Halakha (New York: Fordham University Press, 2002), p. 102 per tutti i commenti di Heschel sul libro.
  31. Jonathan Sacks, "A Hesped in Honor of Rav Yosef Soloveitchik", Memories of a Giant: Eulogies in Memory of Rabbi Dr. Joseph B. Soloveitchik zt”l, Michael A. Bierman, cur. (Gerusalemme/New York: Urim Publications, 2003), pp. 286–287.
  32. Ci sono quelli che indicano la mancanza di indossare una kippah da parte di Heschel come un'affermazione che non deve essersi sentito obbligato verso la Halakhah. Anche questo è un errore. Heschel non decise mai che non avrebbe indossato la kippah. Indossava sempre la kippah se era consapevole del fatto che gli era caduta (questo a volte passava inosservato a causa dei suoi capelli lunghi). Si assicurava sempre di averne una quando pregava o faceva una benedizione. Questo è stato spesso affermato da sua figlia Susannah Heschel.
  33. Samuel H. Dresner, Heschel, Hasidism, and Halakha (New York: Fordham University Press, 2002), p. 111. Vale anche la pena ricordare che Heschel era immensamente turbato dalla natura secolare dello Stato ebraico. Gran parte dei suoi scritti su Israele erano un appello allo Stato affinché diventasse un faro religioso e spirituale.
  34. Abraham Joshua Heschel, Man’s Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism (New York: Charles Scribner’s Sons, 1954), p. 103.
  35. Abraham J. Heschel, The Prophets (Harper Perennial Modern Classics, 2001), p. 354.
  36. Abraham Joshua Heschel, The Earth is the Lord’s (Vermont: Jewish Lights Publishing, 1995), p. 25.
  37. Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man (New York: The Noonday Press Farrar, Straus and Giroux, 1983), p. 15.
  38. Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1967), pp. 238–239.
  39. Abraham Joshua Heschel, Man’s Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism, p. 147.
  40. Abraham J. Heschel, The Prophets (Harper Perennial Modern Classics, 2001), p. 353.
  41. Shai Held, Abraham Joshua Heschel: The Call of Transcendence (Bloomington and Indianapolis: Indiana University Press, 2013), p. 144.
  42. Abraham J. Heschel, The Prophets (Harper Perennial Modern Classics, 2001), p. 351.
  43. Come sottolinea Shai Held, l'affermazione di Heschel non è mancanza di onnipotenza ma una scelta di autocontrollo da parte di Dio. Pertanto, "the meaning of covenant is, at bottom, not that God needs man, but that God has chosen to need man". Shai Held, Abraham Joshua Heschel: The Call of Transcendence (Bloomington and Indianapolis: Indiana University Press, 2013), p. 10.
  44. "The God of the philosophers is all indifference, too sublime to possess a heart or to cast a glance at our world. His wisdom consists in being conscious of Himself and oblivious to the world. In contrast, the God of the prophets is all concern, too merciful to remain aloof to His creation". Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1979), p. 244.
  45. Abraham J. Heschel, The Prophets, p. 279: lascio l'originale idiomatico (EN) .
  46. Come notato in precedenza, l’obiettivo di Heschel qui era quello di legittimare altre prospettive metafisiche, consentendo il suo rifiuto dei presupposti greci per le ragioni che ho esposto.
  47. Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone, pp. 4–5: anche qui lascio la frase hescheliana nell'originale (EN) e in corsivo, per sottolinearne la sua specificità semantica.
  48. Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man (New York: The Noonday Press Farrar, Straus and Giroux, 1983), p. 125.
  49. Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1979), p. 3.
  50. Ibid. p. 58.
  51. Ibid., p. 124.
  52. Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man (New York: The Noonday Press Farrar, Straus and Giroux, 1983), p. 109.
  53. Questo è il tema principale di The Sabbath di Heschel.
  54. Abraham J. Heschel, The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1967), p. 119.
  55. Abraham Joshua Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1996), p. 330.
  56. Su questo punto Shai Held nota che, sebbene qui possa sembrare che Heschel cada nella trappola (da cui lui stesso metteva in guardia) di convertire Dio in un'altra risposta ai bisogni dell'uomo, la concezione del significato proposta da Heschel invalida tale affermazione. Per Heschel, le domande fondamentali dell'uomo, da cui nasce il significato, non sono infatti una questione dell'uomo ma una domanda posta all'uomo. Pertanto, anche la ricerca di significato da parte dell'uomo è una ricerca di autotrascendenza; o come dice Held: "the question human beings ask is, at its core, not so much a human question as it is a human readiness to respond to a question posed by God". Shai Held, Abraham Joshua Heschel: The Call of Transcendence (Bloomington and Indianapolis: Indiana University Press, 2013), p. 87.
  57. Abraham Joshua Heschel, Man is Not Alone (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1979), pp. 247–248.
  58. Ibid., p. 76.
  59. Ibid., p. 164.
  60. Ci sono, tuttavia, momenti in cui Heschel sottolinea la natura paradigmatica dei comandamenti, ad esempio in God in Search of Man quando afferma: "The prophets tried to extend the horizon of our conscience and to impart to us a sense of the divine partnership in our dealings with good and evil and in our wrestling with life's enigmas. They tried to teach us how to think in categories of God: His holiness, justice and compassion. The appropriation of these categories, far from exempting us from the obligation to gain new insights in our own time, is a challenge to look for ways of translating Biblical commandments into programs required by our own conditions". Ibid., p. 273.
  61. Ibid., p. 63.
  62. Abraham Joshua Heschel, A Passion for Truth (Vermont: Jewish Lights Publishing, 1995), p. 168.
  63. Shai Held, Abraham Joshua Heschel: The Call of Transcendence (Bloomington e Indianapolis: Indiana University Press, 2013), p. 3.
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