Ascoltare l'anima/Capitolo 2

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La morte del becchino di Carlos Schwabe (1890)

Reazioni emotive[modifica]

L'importanza centrale dei cambiamenti fisiologici nelle emozioni[modifica]

William James, il padre della psicologia moderna, ha affermato che il cambiamento fisiologico è essenziale per le emozioni. Nel suo epocale Principles of Psychology[1] affermò che "the bodily changes follow directly the perception of the exciting fact, and... our feeling of the same changes as they occur is the emotion".

James aveva quasi certamente torto nel dire che "every one of the bodily changes, whatsoever it be, is felt, acutely or obscurely, the moment it occurs", poiché non è vero che siamo consapevoli di tutti i cambiamenti fisiologici che si verificano durante l'esperienza emotiva. Molti cambiamenti viscerali in particolare avvengono al di sotto del livello di consapevolezza: non abbiamo idea della maggior parte di ciò che accade nel nostro stomaco e intestino. Inoltre, molti animali non umani sembrano manifestare emozioni come paura, rabbia e contentezza, ma non è chiaro se e in che misura tali animali possano essere coscientemente consapevoli dei loro stati corporei. Tuttavia, nei suoi punti principali sull'emozione, James, come spesso accade, ha ragione. Come vedremo, ha ragione nel notare che "objects do excite bodily changes by a preorganized mechanism", ed ha ragione nel dire che "If we fancy some strong emotion, and then try to abstract from our consciousness of it all the feelings of its bodily symptoms, we find we have nothing left behind, no ‘mind‐stuff’ out of which the emotion can be constituted, and that a cold and neutral state of intellectual perception is all that remains."

Si ritiene spesso che James sostenga l'opinione che un'emozione non sia altro che una sensazione di cambiamenti corporei. Ma in questa citazione ciò che sembra dire è che deve esserci una "intellectual perception" prima che possa esserci qualsiasi emozione. È solo che una percezione intellettuale da sola non è sufficiente a produrre un'emozione. I cambiamenti fisiologici sono essenziali per trasformare una percezione intellettuale in uno stato emotivo. In breve, James fa l'importante osservazione che senza cambiamenti fisiologici ci potrebbe essere una percezione intellettuale che qui è una situazione pericolosa, ma non ci sarà una risposta emotiva di paura.[2] Nella terminologia del Cap. 1, "evaluations" non sono sufficienti per l'emozione; ci devono essere anche cambiamenti fisiologici. Da notare che James ovviamente non sta parlando di emozioni a lungo termine, come il mio amore duraturo per Anna o la mia fastidiosa invidia per Luca; sta parlando di risposte emotive, che sono reazioni a breve termine, anche se, come vedremo, possono verificarsi una dopo l'altra.

In gran parte a causa dell'influenza di James, c'è stata una lunga tradizione in psicologia sullo studio dei sintomi fisiologici delle emozioni. Ma c'è controversia sul fatto che l'emozione comporti una sorta di eccitazione generalizzata o se ci siano cambiamenti fisiologici distinti caratteristici di particolari stati emotivi. La posizione di James era che ogni emozione ha una "sensazione" distintiva causata da sintomi fisiologici distintivi. Tuttavia, egli non produce alcuna prova empirica concreta che emozioni diverse mostrino modelli diversi di attività fisiologica. Il suo vecchio studente diventato poi critico, Walter B. Cannon, al contrario, pensava che l'emozione implicasse un modello generalizzato di eccitazione nel sistema nervoso simpatico, che chiamò "emergency reaction", e che riteneva si verificasse non solo a livello emotivo ma anche in stati non emotivi come dolore, fame e freddo.

La "emergency reaction" – a volte indicata come reazione di "fight or flight" – è un modello di attività fisiologica che mobilita l'energia, "either directly or by inhibiting physiological activity that does not contribute to energy mobilization". Nico Frijda (1986) descrive le risposte che compongono il modello di eccitazione come segue:

« increase in heart rate and heart stroke volume: increase in muscular blood flow; bronchial dilation; increase in activity of the sweat glands that results in the psychogalvanic skin response; increase in blood glucose level; constriction of the blood vessels in the skin, stomach, intestines, and sexual organs; decrease of gastric and intestinal motility; decrease of saliva flow; contraction of anal and urinary sphincters; pupillary dilation; increase in epinephrine secretion, which in turn triggers a number of the responses just mentioned. In addition deeper and faster respiration serves to meet increased oxygen requirements. »
(Nico Frijda, The Emotions, 155)

Questo pattern è integrato da cambiamenti ormonali caratteristici, come il rilascio di ACTH (ormone adrenocorticotropo), il cosiddetto "ormone dello stress", che risponde agli eventi stressanti e mobilita l'energia per resistere allo stress. Ad esempio, stimola la corteccia surrenale ad aumentare la produzione di cortisolo, che genera la produzione di glucosio nel flusso sanguigno. Quando un animale è sotto stress, gli ormoni catabolici (quelli che potenziano il metabolismo) tendono ad aumentare e gli ormoni anabolici tendono a diminuire. Quando la situazione stressante è finita, gli ormoni anabolici (quelli che ripristinano l'energia) tendono a riformarsi.

Sebbene la "emergency reaction" di Cannon si verifichi in situazioni di stress, non è vero che questa stessa reazione sia presente in tutte le emozioni. Ovviamente, mentre l'attività simpatica è associata all'eccitazione e allo stress, il sistema parasimpatico è associato al riposo e alla tranquillità. Gli stati emotivi calmi o passivi riflettono il predominio del sistema nervoso parasimpatico piuttosto che del sistema nervoso simpatico. In secondo luogo, anche tra gli stati emotivi di eccitazione, sembrano esserci differenze nel modello di eccitazione tra un'emozione e l'altra. Già negli anni 1950, A. F. Ax scoprì che "fear and/ or anxiety is associated with increased secretion of epinephrine [adrenaline] and anger with increased secretion of norepinephrine [noradrenaline]".[3]

Uno dei segni della "reazione di emergenza" è un aumento della conduttività elettrica della pelle (un aumento della sua capacità di condurre elettricità); si misura meglio sui palmi delle mani o sulla pianta dei piedi, dove c'è un'alta densità di ghiandole sudoripare. La conduttanza cutanea non è la stessa cosa della sudorazione, ma sono fortemente correlate.[4] È interessante notare che emozioni diverse possono in una certa misura essere distinte per mezzo di differenze nella conduttanza cutanea. Negli anni 1950, gli studi di Ax hanno scoperto che la paura rispetto alla rabbia mostrava una maggiore conduttanza cutanea media, "more muscle tension peaks, higher heart rate, and faster respiration".[5] Altri studi, rispettivamente di Averill, Schwartz et al., ed Ekman, hanno ha dimostrato che la tristezza immaginata o la tristezza indotta dai film mostravano una conduttanza cutanea fortemente aumentata rispetto alla rabbia immaginata o alla paura immaginata.

Più recentemente, uno dei collaboratori di Ekman, Robert Levenson, ha affermato che possiamo identificare "four reliable differences among the negative emotions of anger, disgust, fear, and sadness’" e una possibile quinta.

« These are: (a) anger produces a larger increase in heart rate than disgust; (b) fear produces a larger increase in heart rate than disgust; (c) sadness produces a larger increase in heart rate than disgust; and (d) anger produces a larger increase in finger temperature than fear...The possible fifth difference is that sadness produces greater peripheral vascular dilation and greater speeding of blood to the periphery than the other negative emotions. »
(Robert Levenson, "The Search for Autonomic Specificity"[6])

In sintesi, l'evidenza suggerisce che la "emergency reaction" di Cannon non è un segno di tutte le emozioni e che emozioni diverse mostrano modelli diversi di attività fisiologica.[7] Ma l'evidenza della fisiologia emotiva specifica non è affatto sbalorditiva. Finora, penso, non dobbiamo dedurre che ogni emozione "basilare" abbia un profilo fisiologico identificante in modo univoco. Le differenze che Levenson e altri hanno riscontrato, sebbene intriganti, non sono sufficienti per individuare ogni emozione in modo univoco.

Nico Frijda ha un approccio diverso. Dopo aver catalogato esaurientemente ciò che si sa sui vari segni fisiologici delle diverse emozioni, conclude che le risposte differiscono sia da uno studio all'altro che da un tipo di "paura" o "piacere" all'altro. In generale, sostiene quanto segue:

« Physiological response patterns correspond to the functional requirements of dealing with the environment rather than to different emotions. ... Physiological response in emotion, in Cannon's view, is functional for preparation of active, energy‐requiring response. Other modes of dealing with the environment—other modes of activity or activity control, or of coping response—can be expected to correspond to other physiological response patterns, or of variations within some given pattern. »
(Frijda, The Emotions, 165.)

In altre parole, per Frijda diversi modelli di attività fisiologica corrispondono ai requisiti di azione di una data situazione che suscita emozioni. In alcuni casi, emozioni diverse come paura e rabbia mostreranno lo stesso schema di attività, ma a volte no. Allo stesso modo, la stessa emozione (cioè rabbia, paura o tristezza) non mostrerà sempre lo stesso schema di attività fisiologica: "There is calm joy and active joy, there is rigid and mobile fear, there is active and blocked or inner‐directed anger, and so forth".[8] In breve, per Frijda i cambiamenti fisiologici sono associati a particolari stati di prontezza all'azione, piuttosto che a particolari stati emotivi.

Finora, quindi, la conclusione ragionevole di questa discussione sembrerebbe essere che, sebbene si possano fare alcune distinzioni – in particolare nella conduttanza cutanea e nella frequenza cardiaca – tra alcune risposte emotive "basilari", tuttavia nei casi "standard" in cui non c'è soppressione della risposta o di altre condizioni di scapito, non sono stati scoperti profili fisiologici identificativi univoci che distinguerebbero inequivocabilmente ogni caso di un'emozione da ogni caso di un'altra. A questo punto sembra che le emozioni debbano essere individuate non da un modello specifico di cambiamenti fisiologici, ma per mezzo di una sorta di valutazione.

Emozione ed espressione facciale[modifica]

Tale conclusione, tuttavia, potrebbe essere troppo affrettata. C'è una serie di prove particolarmente interessante che mostra che, almeno per alcune emozioni, possiamo distinguere uno stato emotivo da un altro per mezzo di un particolare tipo di cambiamento fisiologico, vale a dire i cambiamenti nella muscolatura facciale. Ancora più sorprendentemente, forse, sembra che almeno alcune emozioni possano essere evocate senza che venga fatta alcuna valutazione appropriata.

Il pioniere nello studio dell'espressione emotiva nei volti umani è Paul Ekman, che ha definitivamente dimostrato che per diverse emozioni esistono espressioni facciali universali.[9] Ha dimostrato che esiste un notevole accordo tra i diversi ricercatori che utilizzano metodi diversi sulle espressioni facciali di rabbia, paura, gioia, tristezza e disgusto. Nel suo libro più recente esprime fiducia che esistano anche espressioni facciali universali per la sorpresa e il disprezzo.[10] Allo stesso tempo, Ekman non pensa che esista un'unica espressione per ogni istanza di queste emozioni. Piuttosto, ci sono espressioni identificative per ogni famiglia di emozioni. "Anger, for example, can vary in strength, ranging from annoyance to rage, and in type, such as sullen anger, resentful anger, indignant anger, and cold anger, to mention just a few"[11] e queste differenze sono scritte sulla faccia. Ekman e il suo collega W. V. Friesen hanno trovato più di sessanta espressioni di rabbia. Tuttavia, ciò che è importante è che ciascuna delle espressioni di rabbia condivida particolari schemi muscolari, per mezzo dei quali possono essere distinte in modo affidabile dalla famiglia delle espressioni di paura, di disgusto e così via. "For example, in all members of the anger family the brows are lowered and drawn together, the upper eyelid is raised and the muscle in the lips is tightened." Altre azioni muscolari possono essere evidenti o meno nelle espressioni di rabbia, come "a tightened lower eyelid, lips pressed together tightly or tightly open in a square shape, tightening of the lip corners, pushing the lower lip upwards, etc."[12] Ekman è responsabile del più noto dispositivo di misurazione della mimica facciale, che distingue ciascun movimento muscolare in una data espressione.

L'evidenza per le espressioni facciali universali delle sette "basic emotions" di Ekman si basa non solo su "high agreement across literate and preliterate cultures in the labelling of what these expressions signal", ma anche da "studies of the actual expression of emotions, both deliberate and spontaneous, and the association of expression with social interactive contexts".[13] Ekman ha condotto diversi tipi di esperimenti. Tipico è uno studio incentrato su persone in Nuova Guinea che non avevano avuto contatti precedenti con gli occidentali. In una serie di esperimenti, ai soggetti è stata raccontata una storia e gli è stato chiesto di scegliere dalle fotografie l'espressione facciale più appropriata alla storia. In un'altra serie di esperimenti, ai soggetti è stato chiesto di prendere/riprodurre l'espressione stessa; le loro espressioni facciali sono state quindi videoregistrate e mostrate agli studenti negli Stati Uniti, a cui è stato chiesto di identificare le espressioni.

Espressioni facciali, di Charles Le Brun (XVII sec.)

Se Ekman ha ragione, allora c'è una fisiologia specifica delle emozioni, almeno per alcune emozioni, o famiglie di emozioni.[14] Possiamo distinguere le diverse "emozioni basilari" dalle loro espressioni facciali distintive.

Se le espressioni facciali per le emozioni di base sono universali, come mai persone di culture diverse esibiscono espressioni facciali diverse nelle stesse circostanze? Ekman ha condotto un ingegnoso esperimento progettato per dimostrare che, nonostante le apparenze, esistono espressioni facciali universali per le emozioni di base e che le differenze culturali devono essere spiegate in termini di diverse "display rules" nelle diverse culture. A studenti americani e giapponesi (rispettivamente in America e in Giappone) è stato mostrato un film cruento e spiacevole e le loro espressioni facciali sono state monitorate a loro insaputa. Ogni gruppo di studenti ha risposto con la stessa espressione facciale di disgusto e repulsione. Quindi agli studenti è stato detto che uno scienziato sarebbe stato presente mentre guardavano. In questo scenario, gli americani continuavano a esprimere repulsione, ma i giapponesi sorrisero educatamente: in presenza di una figura autoritaria le regole di esibizione per la loro cultura imponevano che non dovessero mostrare emozioni negative.[15] Tuttavia, quando le persone seguono le regole di esibizione, c'è quasi sempre una "leakage (= fuga)" dell'emozione che stanno veramente provando, anche se è solo per una frazione di secondo (quella che Ekman chiama una "micro‐expression").

Ekman ha dimostrato che esistono differenze significative tra le espressioni emotive spontanee non pianificate e le espressioni deliberate e volontarie.[16] I sorrisi deliberati, ad esempio, sono più spesso asimmetrici dei sorrisi spontanei; hanno tempi diversi dai sorrisi spontanei, essendo o troppo corti o troppo lunghi; e tendono a non coinvolgere il muscolo intorno agli occhi.

È interessante notare che ci sono buone testimonianze che diversi percorsi neurali siano impiegati nelle espressioni emotive spontanee e deliberate. Antonio Damasio ha notato che i pazienti in cui un ictus ha distrutto la corteccia motoria nell'emisfero sinistro del cervello, non possono produrre un sorriso normale deliberatamente: i muscoli non possono agire e la bocca tende ad essere tirata verso il lato che può ancora muoversi normalmente. Ma quando il paziente sorride o ride per una barzelletta (cioè spontaneamente) l'espressione facciale è del tutto normale.[17] Al contrario, i pazienti con un diverso deficit neurale possono sorridere solo spontaneamente, non deliberatamente.

Ekman ha anche studiato il poligrafo – cioè macchina della verità o "rivelatore di bugie" – e nel suo libro più recente, Emotions Revealed, osserva che il suo lavoro sul mentire lo ha messo in contatto con "judges, police, lawyers, the FBI, CIA, AFT, and similar agencies".[18] Spesso è di vitale importanza sapere cosa significa l'espressione facciale di qualcuno, specialmente quando è in conflitto con altre indicazioni di quale emozione sta provando la persona. Non solo alcune persone sono più brave di altre a leggere le espressioni facciali di altre persone, ma a quanto pare alcune persone, come agenti della CIA e terroristi ben addestrati, sono più brave di altre a nascondere le proprie emozioni, sia sul viso che in altri modi. Nel suo libro Telling Lies, Ekman sottolinea alcuni dei pericoli che derivano dal fare troppo affidamento sui test del poligrafo.[19]

Emotions Revealed è in parte pratico nel suo intento. Ekman mostra scrupolosamente le varie posizioni del viso nell'espressione spontanea delle varie emozioni basilari, come anche le miscele di quelle emozioni, e alla fine i lettori sono invitati a fare un test per vedere quanto bene possono discriminare le espressioni facciali. I suoi risultati fanno luce anche sulle possibili conseguenze della recente mania per il Botox.[20] Le iniezioni di Botox paralizzano i muscoli del viso tanto che il prezzo della bellezza risulta essere l'inespressività e i conseguenti problemi nelle relazioni personali!

In altre ricerche, Ekman ha prodotto alcuni risultati affascinanti, presi da studi sulle espressioni facciali e sui cambiamenti del sistema nervoso autonomo caratteristici delle emozioni. Ci sono prove che i cambiamenti fisiologici caratteristici di emozioni specifiche possono essere indotti direttamente dalla manipolazione della muscolatura facciale. Ekman ha scoperto che quando i soggetti muovevano i muscoli facciali senza sapere quale espressione gli veniva chiesto di configurare, c'era un'attività sia nella temperatura della pelle che nella frequenza cardiaca distintiva della particolare emozione.[21] In altre parole, l'espressione facciale da sola è sufficiente per produrre cambiamenti del sistema nervoso autonomo caratteristici di particolari emozioni. Ekman commenta che, sebbene la mediazione cognitiva non possa essere esclusa, ritiene che esista una connessione centrale e diretta tra i percorsi della corteccia motoria che dirige la muscolatura facciale e le aree ipotalamiche coinvolte nell'attività del SNA.[22] Entrambi appartengono a un sistema di reazioni indotto automaticamente, tra cui le espressioni autonome, facciali e vocali, che fanno parte di ciò che Ekman definisce un "affect program",[23] un insieme di risposte che è "complex, coordinated, and automated".

Per riassumere i nostri risultati finora: abbiamo ampie ragioni per credere che una "valutazione" non sia tutto ciò che è necessario per le emozioni, e i risultati di Ekman suggeriscono che forse una valutazione non è nemmeno necessaria in alcuni casi. Cambiamenti corporei di vario genere, tuttavia, sembrano essere ingredienti essenziali dell'emozione. Come suggerisce William James, è il cambiamento fisiologico che trasforma l'"emotività" in emozione. James sembra avere ragione su questo, sia su basi concettuali che empiriche. Concettualmente, non c'è nulla che possiamo identificare come una risposta emotiva a meno che non vi sia una marcata attività fisiologica di qualche tipo. Infatti una risposta emotiva è, almeno in parte, un insieme di risposte fisiologiche. Quando — alla vista del mio bambino di 2 anni smarrito che si trascina verso di me fuori dalla folla — rispondo correndo verso di lui, gridando, sussultando, ridendo, tremando e impallidendo, in un inebriante misto di paura e gioia, quell'insieme di gesti, comportamenti e risposte fisiologiche è la mia risposta emotiva. Inoltre, le idee di James sono state confermate empiricamente nella misura in cui ci sono cambiamenti fisiologici caratteristici di alcune particolari emozioni "basilari", specialmente i cambiamenti nell'espressione facciale, sebbene sembri sbagliato pensare che ogni singola emozione con un nome distinto ha una fisiologia distinta.

Nel Capitolo 1 abbiamo visto buone ragioni per pensare che un qualche tipo di valutazione sia necessaria per l'emozione. Ora scopriamo che i cambiamenti fisiologici sono necessari anche alle emozioni. Forse, quindi, dovremmo accettare il suggerimento di Lyons che le emozioni sono, almeno nella maggior parte dei casi, cambiamenti fisiologici "anormali" causati da una valutazione cognitiva di qualcosa in termini della sua importanza per i nostri desideri, interessi e obiettivi? Tuttavia, abbiamo anche visto nel Cap. 1 che ci sono argomentazioni potenti da parte di alcuni filosofi secondo cui le valutazioni caratteristiche dell'emozione non sono valutazioni cognitive se ciò significa ordinari giudizi valutativi spassionati. Gli psicologi hanno anche fornito buoni motivi per dubitare che le valutazioni cognitive o "cognizioni" siano ciò che innesca una risposta emotiva. Passo ora alle loro prove.

L'affetto può precedere la cognizione?[modifica]

Ci sono diversi tipi di prove che gli psicologi hanno escogitato, tutte tendenti a dimostrare che le valutazioni cognitive non sono ciò che inducono le emozioni. Un tipo di prova che mette in dubbio la tesi che l'emozione sia o implichi una valutazione cognitiva viene dalla psicologia dello sviluppo. Ci sono buone testimonianze che le nostre prime emozioni o affetti non richiedono una cognizione complessa. Il fondatore del comportamentismo, John Watson, eseguì alcuni notori esperimenti sui neonati.[24] Scoprì che limitare la capacità del neonato di muovere la testa era uno stimolo universale per la rabbia, che l'improvvisa perdita di sostegno (lasciare cadere il bambino) era un stimolo della paura, e che carezze gentili suscitavano universalmente piacere (sebbene Watson abbia soprannominato questa risposta "amore"). Eppure i neonati non sembrano avere le risorse cognitive necessarie per effettuare valutazioni cognitive come "Quella è stata un'offesa!" Più recentemente, e in modo più etico, Andrew Meltzoff e Tiffany Field hanno studiato la capacità innata dei neonati di imitare il sorriso della madre e altre espressioni.[25]

Alan Sroufe ha studiato il modo in cui i vari sistemi emotivi progrediscono nel tempo con lo sviluppo della cognizione. Ad esempio, alla nascita il bambino mostra "intense crying and flailing, which may be considered the prototype of rage", a causa di "covering the face, physical restraint" oppure "extreme discomfort", verso il quinto mese la rabbia può essere dovuta a "disappointment",[26] a causa dell'interruzione di alcune attività specifiche in corso, come l'impossibilità di raggiungere un oggetto visibile. Ciò che Sroufe considera la rabbia vera e propria emerge più tardi, quando, ad esempio, il bambino può percepire la causa dell'interruzione. In altre parole, alla nascita sono presenti almeno i "prototipi" dell'emozione, prima che siano presenti le cognizioni tipiche della rabbia. Klaus Scherer è d'accordo. Sostiene che le emozioni dipendono da una sequenza di quelli che chiama "stimulus evaluation checks", i più elementari dei quali secondo lui sono probabilmente almeno in parte indipendenti dalle funzioni corticali superiori e possono essere il risultato diretto di schemi di attivazione neurale. I più elementari, presenti alla nascita, sono il controllo della novità e il controllo di piacevolezza o spiacevolezza intrinseca. Una delle molte caratteristiche interessanti della ricerca di Scherer è che mostra come particolari emozioni si evolvono nel neonato e nel bambino in parallelo con l'evoluzione della capacità di effettuare certi tipi di valutazione cognitiva.[27] Sroufe e Scherer concordano sul fatto che casi conclamati di rabbia, amore e paura adulti sorgono e richiedono come precondizioni emozioni o affetti primitivi di rabbia, piacere e paura infantili.

Ciò che questa ricerca dimostra è che ci sono alcuni stati emotivi che sono intrinseci negli esseri umani e che non sembrano richiedere la cognizione. Lo stesso vale anche per altre specie. Nico Frijda, in una discussione sugli "unlearned stimuli", sottolinea che molte specie, inclusi gli esseri umani, rispondono "istintivamente" allo strano e all'insolito. Ad esempio, cani e scimmie hanno paura delle persone che si vestono o si comportano in modo sconosciuto; i cavalli hanno paura di sacchetti di plastica che sventolano; e le scimmie Rhesus sono terrorizzate da mostri in movimento meccanico.[28] Inoltre, altre reazioni alla paura, sebbene non siano intrinseche o presenti alla nascita, sono facilmente acquisite con pochissimo apprendimento, come la paura umana dei ragni e dei serpenti.

La persona che ha fatto di più per mettere in discussione il primato della cognizione sull'affetto, tuttavia, è lo psicologo sociale Robert Zajonc, il quale, in una serie di articoli,[29] ha affermato che, almeno nei casi primitivi di emozione, l'"affetto" può avvenire senza alcuna valutazione cognitiva preventiva. Gli psicologi tendono a parlare di "affetto" e "cognizione", piuttosto che di "emozione" e "giudizio", ma sia i filosofi che gli psicologi parlano più o meno della stessa cosa. Affermando di mostrare che l'affetto precede la cognizione, Zajonc monta una minaccia diretta contro la teoria del giudizio, sia nella sua forma più estrema in cui si dice che le emozioni siano identiche ai giudizi, sia nella forma meno estrema secondo cui la valutazione cognitiva è una condizione necessaria (ma non sufficiente) per l'emozione. Zajonc ha accumulato una grande quantità di dati volti a dimostrare che l'affetto può precedere e quindi non richiede attività cognitiva. A mio avviso, le prove più convincenti provengono in particolare da quattro fonti:

  1. Negli esperimenti di "mere exposure effect", Zajonc e altri hanno stabilito in modo convincente che le persone preferiscono gli stimoli a cui sono state esposte più spesso, anche quando gli stimoli vengono presentati così velocemente che i soggetti non possono riconoscere consapevolmente ciò che stanno vedendo. Ad esempio, in un esperimento, Zajonc e il suo collega W. R. Wilson (in seguito, Kunst-Wilson) hanno mostrato diapositive di poligoni irregolari a un gruppo di soggetti, che – stabilito in modo indipendente – sembravano troppo veloci per essere riconosciuti. Ai soggetti è stato chiesto di discriminare quale dei due poligoni piacesse loro di più e quale avessero visto prima. In questo studio, il tasso di riconoscimento era praticamente equivalente al caso, ma le risposte di gradimento distinguevano in modo affidabile tra quei poligoni che erano "vecchi" o (in un certo senso) "familiari" e quelli che erano "nuovi" o "non familiari". Kunst-Wilson e Zajonc concludono: "Individuals can apparently develop preferences for objects in the absence of conscious recognition and with access to information so scanty that they cannot ascertain whether anything at all was shown. The results thus suggest that there may exist a capacity for making affective discriminations without extensive participation of the cognitive system."[30]
  2. Più recentemente, Zajonc ha intrapreso una serie di esperimenti volti a dimostrare che nuove reazioni affettive possono essere indotte apparentemente senza l'intervento della cognizione. In questi esperimenti lui e i suoi colleghi hanno studiato quello che egli chiama "nonconscious affective priming", cioè l'induzione di una reazione affettiva a uno stimolo neutro come un ideogramma cinese (presentato a qualcuno che non conosce il cinese!) innescando lo stimolo con un'immagine affettiva, come l'immagine di un volto umano felice o arrabbiato. Lo stimolo viene mostrato ai soggetti sperimentali così brevemente che non sono consapevoli di aver visto nulla, tuttavia gli ideografi cinesi che sono stati innescati da una faccia sorridente sono di gran lunga preferiti a quelli innescati da una faccia arrabbiata. Tuttavia, quando gli stimoli vengono presentati più lentamente in modo che possano essere riconosciuti consapevolmente, questo effetto svanisce. Zajonc riassume i suoi risultati mostrando che: "suboptimal [i.e. too fast for awareness] affective primes — in the form of facial expressions presented for only 4ms [milliseconds] — generated significant shifts in subjects' preferences for the target ideographs, whereas the same primes presented at optimal exposure durations [i.e. not too fast for awareness] did not".[31]
  3. Alcuni dei dati più convincenti che Zajonc cita provengono da esperimenti classici condotti all'inizio degli anni 1950 da Richard Lazarus (il teorico della valutazione) e dal suo collega R. A. McCleary, chiamati esperimenti di "subception".[32] In questi esperimenti venivano presentati alle persone dieci parole senza senso di cinque lettere. Le risposte galvaniche della pelle dei soggetti sono state quindi condizionate a cinque su dieci, utilizzando la scossa elettrica come stimolo incondizionato. In altre parole, cinque delle dieci "parole" sono state associate a uno shock e quando i soggetti hanno visto quelle parole hanno risposto con un'accresciuta risposta galvanica della pelle. Come abbiamo appena discusso, una tale reazione fa parte della risposta di "emergenza" postulata da Walter Cannon. Tutti e dieci gli stimoli sono stati presentati un numero uguale di volte, in modo che i soggetti fossero ugualmente familiari con tutti e dieci. Dopo che i soggetti erano stati condizionati in questo modo, è stato somministrato un test in cui le parole sono state presentate a velocità tachistoscopiche (troppo veloci per essere riconosciute) e ai soggetti è stato chiesto di dire qual era la parola che avevano "visto". Nel test stesso non sono stati somministrati shock, ma ai soggetti non è stato detto questo. Il notevole risultato di questo esperimento è stato che la risposta galvanica della pelle era molto più alta per le parole associate allo shock rispetto a quelle associate al non-shock, anche quando i soggetti non erano in grado di identificare le parole che erano state loro presentate. Lazarus chiamò questo effetto "subception", indicando un tipo di percezione che si verifica al di sotto della consapevolezza: i soggetti non sapevano quale parola fosse apparsa loro, ma la loro pelle sì! Nei termini di Zajonc, ai soggetti non piacevano certe parole anche se non le avevano elaborate cognitivamente: non sapevano cosa fossero.
  4. Zajonc cita anche una serie di studi di altre persone che ritiene diano peso alle sue conclusioni. Ad esempio, cita un articolo del 1980 di John Garcia e del suo collega K. W. Rusiniak sui meriti relativi dell'olfatto e del gusto come mezzo per condizionare contro cibo avvelenato.[33] Garcia riferisce che in un esperimento ai topi fu presentato un nuovo gusto (una soluzione aromatizzata), e poi quindici minuti dopo con una sostanza nauseante. Dopo aver assorbito la sostanza nauseante (non ci è stato detto cosa fosse), i topi hanno sviluppato un'avversione per il gusto presentato in precedenza. La cosa interessante di questo esperimento è che la sostanza nauseante è stata somministrata mentre l'animale veniva anestetizzato. Dalla prospettiva di Zajonc, il punto importante è che se il topo stava facendo una "valutazione", tale valutazione avrebbe dovuto stabilire "a rather remote connection between the ingested food and the nausea that occurred during anesthesia (and has probably been only vaguely registered)". Zajonc conclude: "it is highly unlikely that any sort of appraisal process, even unconscious, could have been involved when the animal rejected the [new taste] following conditioning".[34]

Valutazioni affettive[modifica]

Abbiamo visto nel Capitolo 1 che i filosofi che sostengono una teoria del giudizio sull'emozione sono ampiamente d'accordo sul fatto che i giudizi rilevanti riguardano questioni di grande importanza per i nostri bisogni e obiettivi. Gli psicologi che sono teorici della valutazione concordano. Richard Lazarus sottolinea che il giudizio che costituisce il "nucleo" di un'emozione è sempre una valutazione "of the significance of the person‐environment relationship". Sostiene che "without a personal appraisal (i.e., of harm or benefit) there will be no emotion; when such an appraisal is made, an emotion of some kind is inevitable".[35] Ortony e i suoi colleghi concordano sul fatto che le valutazioni centrali per le emozioni riguardano il modo in cui l'ambiente può avere un impatto sul proprio benessere: nei loro termini le valutazioni rilevanti sono quelle che hanno un impatto sui propri obiettivi, valori o gusti e atteggiamenti.

Tuttavia, come ho sottolineato nel Cap. 1, una mera valutazione cognitiva non è sufficiente per generare una risposta emotiva. Si può valutare cognitivamente la situazione, come quella in cui ci si trova in una posizione scomoda, senza tuttavia provare imbarazzo; si può valutare cognitivamente la situazione come pericolosa senza rispondere con paura. Come può succedere?

La risposta suggerita dai risultati della ricerca di Zajonc è che esiste una valutazione affettiva che riguarda quelle cose che contano per l'organismo e che avviene molto velocemente, automaticamente e al di sotto della soglia della consapevolezza. Questa valutazione affettiva è non-cognitiva in quanto avviene prima e indipendentemente da qualsiasi valutazione cognitiva. Serve a individuare e focalizzare l'attenzione su quelle cose nell'ambiente interno o esterno che contano per l'animale o l'essere umano, e per valutarle o stimarle in base a come contano, ad esempio, se sono una cosa buona o cattiva, una minaccia o un'offesa. La valutazione affettiva o non-cognitiva provoca cambiamenti fisiologici che poi servono come feedback, rafforzando la valutazione della minaccia o del gradimento o altro, e aiutando a fissare l'attenzione sul suo oggetto.

Lo stesso Zajonc interpreta i suoi risultati come prove che l'affetto precede la cognizione e che quindi la valutazione cognitiva non è necessaria all'emozione. Tuttavia, i dati che cita possono essere interpretati altrettanto plausibilmente nel mostrare che almeno alcune emozioni implicano valutazioni primitive che si verificano al di sotto della coscienza e indipendentemente dall'elaborazione cognitiva superiore. Gli esempi includerebbero le preferenze manifestate dai soggetti nei semplici esperimenti di esposizione, in cui i soggetti "valutavano" i toni o i poligoni a cui erano stati esposti più spesso come più piacevoli degli altri. Allo stesso modo, negli esperimenti di subcezione, i soggetti "valutavano" alcune sillabe come minacce. Nell'esperimento citato da Garcia, i topi "valutavano" come disgustosa la bevanda aromatizzata che erano stati condizionati (in anestesia) a collegare una sostanza nauseante: non piaceva. Allo stesso modo, il lavoro di Scherer e Sroufe sulle emozioni infantili come la paura, la rabbia e l'attaccamento, può essere considerato una dimostrazione non che le emozioni "primitive" del neonato non comportino valutazioni, ma che implicano valutazioni di un tipo speciale, in particolare valutazioni che non implicano alcuna elaborazione cognitiva superiore.

I tipi di affetti che Zajonc ha enfatizzato si verificano molto velocemente e automaticamente. Se pensiamo a questi affetti come a valutazioni rapide e automatiche, allora tali valutazioni includono valutazioni di simpatia o antipatia, disgusto e minaccia. (Di più nel Cap. 3.) Da una prospettiva evolutiva, sembra plausibile ipotizzare che le valutazioni automatiche e veloci siano adattive solo perché hanno luogo più rapidamente dei processi cognitivi superiori. Forse questo spiega perché abbiamo bisogno di valutazioni emotive oltre che di cognizioni: le valutazioni emotive o non-cognitive possono avvenire molto velocemente perché spesso è importante per noi rispondere molto velocemente a ciò che percepiamo. Potrebbe essere molto importante per noi sapere immediatamente se qualcosa nell'ambiente è amichevole o ostile, se favorisce il nostro benessere o meno. Sembra probabile che le valutazioni emotive rapide siano elaborate in modo diverso dalle valutazioni lente, deliberate e spassionate in cui la verità e l'accuratezza sono più importanti di una risposta tempestiva. Inoltre, come abbiamo visto, vi è un ampio consenso tra i teorici della valutazione sul fatto che le valutazioni emotive riguardano questioni che sono importanti per noi, per la nostra sopravvivenza e/o per il nostro benessere. Quando facciamo valutazioni emotive dell'ambiente, non ci poniamo domande in uno spirito di ricerca filosofica o curiosità intellettuale. Ancora una volta, ha senso che tali valutazioni possano, almeno a volte, dover essere fatte rapidamente perché è necessaria una risposta urgente per l'autoconservazione.

Dovremmo anche ricordare che le emozioni servono come dispositivi di segnalazione. Quegli psicologi, come Zajonc ed Ekman, che hanno sottolineato il ruolo nelle emozioni dell'attività motoria e dei cambiamenti del sistema nervoso autonomo, hanno notato che l'attività motoria, compreso il movimento della muscolatura facciale, gioca un ruolo importante nelle emozioni come segnali per gli altri (e forse per se stessi) che si è in uno stato particolare, e anche per assecondare schemi di comportamento motorio adattivi per una particolare emozione, preparando l'organismo ad un'azione appropriata (come combattere o fuggire). Può darsi che tali segnali debbano spesso essere emessi e riconosciuti molto rapidamente, forse prima che ci sia il tempo per deliberare sul proprio stato mentale o su quello dell'altra persona (o altro organismo) percepita. Le espressioni facciali sono segnali cruciali per gli altri: se mi stai minacciando con i denti scoperti e le orecchie inclinate, allora so immediatamente che farei meglio a tirarmi indietro e sembrare umile. La mia valutazione della tua espressione può essere molto rapida e quindi inaffidabile. Ma è meglio avere un organismo che risponde velocemente e scambia il tuo sorriso per un ringhio piuttosto che uno che si ferma a riflettere e viene attaccato. L'idea che le valutazioni emotive possano essere rapide e automatiche e utilizzare percorsi neurali diversi dalla cognizione, combinata con l'idea che le valutazioni emotive siano modi per concentrarsi strettamente su quegli aspetti particolari dell'ambiente che sono cruciali per la nostra sopravvivenza e/o benessere, suggerisce l'idea che le emozioni dovrebbero essere concettualizzate come tipi speciali di dispositivi di elaborazione delle informazioni, e che centrale per le emozioni è ciò che ho chiamato una valutazione non-cognitiva o affettiva.

È ironico che Zajonc citi gli esperimenti di subcezione di Lazzaro a sostegno della propria posizione che l'affetto precede la cognizione, poiché Lazzaro stesso, come abbiamo visto, è un esponente di spicco della teoria che l'emozione richieda una valutazione. Negli anni 1980, Zajonc si impegnò in una disputa abbastanza aspra con Lazarus, durante la quale Lazarus affermò che poiché le emozioni richiedono una valutazione, gli esempi di Zajonc non erano affatto di emozione, mentre Zajonc a sua volta accusava Lazarus di definire semplicemente l'emozione in un modo tale che richiede necessariamente valutazione, e tutti i fenomeni che non lo richiedono, non possono proprio per questo motivo contare come emozioni. Più recentemente, tuttavia, Lazzaro sembra aver accettato che gli esempi di Zajonc siano esempi di affetto, pur sostenendo che l'affetto implica una valutazione.[36] La sua soluzione è postulare due tipi di valutazione, uno conscio e deliberativo, l'altro inconscio e automatico.

Nel suo libro del 1991, Emotion and Adaptation, che rappresenta la sintesi di oltre quarant'anni di ricerca sulle emozioni, Lazarus afferma che "there are two different modes (perhaps systems) of appraisals: one conscious, deliberate, and under volitional control, the other automatic, unconscious, and uncontrollable". Ad esempio, gli esperimenti di subcezione "leave little doubt that discrimination between threat and no threat had occurred at a preconscious or unconscious level... Put differently, subjects were making an automatic appraisal without awareness".[37] In breve, Lazarus ammette che i soggetti stavano sperimentando "affect", ma sostiene che stavano comunque "valutando" gli stimoli in un modo semplice e automatico: "it is not so outrageous to argue that meaning is always (a high‐risk word) involved in emotion, because most if not all mammalian creatures are capable of simple, learned evaluations of elemental categorical distinctions of harm, threat, and benefit. There is no logical or empirical reason why cognitive activity should not be regarded as a necessary condition of emotion."[38]

Come sottolinea Lazarus, poiché possiamo elaborare la stessa parte dell'ambiente in due modi diversi, è possibile per noi credere simultaneamente a cose contraddittorie al riguardo. Ad esempio, come risultato di una deliberazione razionale consapevole, compreso uno studio dei dati statistici rilevanti, posso concludere che volare è sicuro. Ma allo stesso tempo, mentre sto per decollare con un aereo, faccio l'incontrollabile, inconsapevole, automatica valutazione che è molto pericoloso. Nei miei termini, valuto la situazione "non-cognitivamente" come spaventosa, mentre cognitivamente valuto la situazione come sicura; so che razionalmente non dovrei avere paura. Lazarus fa notare che le "valutazioni preconsce" fanno solo distinzioni grossolane, come "buono o cattivo", piuttosto che "finely grade analogical distinctions"[39] consentite dalla coscienza e dal linguaggio.

È interessante notare, tuttavia, che Lazarus si aggrappa ancora all'idea che questi due tipi di valutazione siano entrambi basati sull'attività cognitiva, mentre Zajonc vuole insistere sul fatto che l'affetto può precedere qualsiasi attività cognitiva. Tuttavia, come ha sottolineato Phoebe Ellsworth,[40] se l'affetto può precedere la cognizione, dipende da cosa intendi per affetto e cognizione. La maggior parte dei teorici concorda sul fatto che dovremmo mantenere il termine "cognizione" per processi superiori, sebbene ciò che conta come "superiore" e "inferiore" non sia definibile in modo molto preciso, dato il nostro attuale stato di conoscenza. Penso di essere dalla parte della maggioranza nell'usare il termine "cognizione" solo quando si parla di processi localizzati nella neocorteccia. Lazarus, al contrario, evidentemente pensa che anche le valutazioni fatte a livello sottocorticale valgano come cognizioni. La linea di fondo, tuttavia, è che se queste valutazioni emotive rapide sono cognitive o meno dipende da come definisci la "cognizione". Il punto sostanziale è che esistono valutazioni emotive così veloci e che non richiedono un'elaborazione più elevata. Se una valutazione automatica del piacere, dell'avversione o della novità conta come affetto, praticamente tutti ora concordano sul fatto che l'affetto può verificarsi prima di qualsiasi elaborazione cognitiva superiore. Chiamerò tali valutazioni "valutazioni affettive (= affective appraisals)" e assumerò che sono "non-cognitive (= non‐cognitive)", nel senso che si verificano senza alcuna deliberazione o consapevolezza e che non implicano alcuna elaborazione complessa di informazioni.[41]

Altri teorici hanno fatto una distinzione simile tra due tipi di valutazione, uno rapido e automatico e vitale per le emozioni, e un altro più lento, deliberativo e cosciente. Keith Oatley fa quella che penso sia essenzialmente la stessa distinzione, anche se lo fa in modo meno chiaro di Lazarus. Oatley contrappone quelli che chiama "semantic messages", che hanno un contenuto proposizionale, con "control messages", che "need not be parsed or interpreted",[42] ma che funzionano semplicemente per attivare particolari sistemi cognitivi e/o motori. Oatley afferma che i segnali emotivi sono una sorta di messaggio di controllo. Uno di questi messaggi potrebbe prepararci ad attaccare; un altro potrebbe attivare una paurosa vigilanza. Oatley descrive i "basic emotion signals" in un modo che suggerisce di pensarli come il tipo di "non‐cognitive appraisal" che ho cercato di descrivere.

« First, they make the system capable of rapid and unified response, interrupting ongoing activity and causing transition to readiness for a new one, without parsing, interpretation, or other computations that could be lengthy and may not reach completion. Second, longer‐term maintenance becomes possible so that the system can stay in one of the organized states, or moods, that resist further transitions or the intrusions of other concerns. »
(Ibid. 54.)

In breve, i "emotion control signals" concentrano l'attenzione su alcune situazioni o eventi nell'ambiente che sono cruciali per i nostri desideri, bisogni e preoccupazioni; mantengono l'attenzione così concentrata fintanto che quella situazione prevale; e "valutano" la situazione in modo rapido e automatico, senza "semantic content".

Ora, si potrebbe obiettare che mentre prestare attenzione selettiva a determinati eventi nell'ambiente e valutarli rapidamente e automaticamente può essere essenziale per le emozioni, essi sono presenti anche in situazioni non emotive. Un falegname che ispeziona una casa di nuova costruzione presterà senza dubbio un'attenzione selettiva a quelle cose che lo interessano e di cui è a conoscenza, ma non è necessario che si trovi in ​​quello che normalmente considereremmo uno stato emotivo. La risposta a questa obiezione è che "non‐cognitive appraisals" presenti nelle emozioni provocano sempre un'eccitazione fisiologica, un cambiamento nell'espressione facciale o qualche altra risposta fisiologica, mentre il falegname può essere piuttosto spassionato. Le persone in uno stato emotivo non solo "valutano" automaticamente la situazione come importante per i loro desideri, bisogni, valori, obiettivi, interessi e preoccupazioni, ma rispondono anche fisiologicamente alla situazione. Sono in uno stato fisiologico modificato, che serve a rafforzare la valutazione e mantenere l'attenzione, e che segnala agli altri (e forse a se stessi) in quale stato si trovano.

La funzione biologica di un'emozione umana è di allertare la persona a qualcosa nell'ambiente (interno o esterno) che è di vitale importanza per gli interessi, gli obiettivi, i desideri o i valori dell'organismo. Insetti e pesci presumibilmente non hanno valori e obiettivi, almeno nessun valore e obiettivo che possano essere articolati in forma proposizionale, ma le loro emozioni svolgono più o meno la stessa funzione biologica delle emozioni umane per noi. La valutazione affettiva seleziona dalla moltitudine di stimoli concorrenti quelli che sono importanti per l'organismo e devono essere affrontati. I cambiamenti fisiologici aiutano l'organismo a prepararsi per un'azione appropriata. In effetti, alcuni teorici ritengono che le tendenze all'azione siano l'aspetto più importante del processo emotivo.

I cambiamenti fisiologici giocano tuttavia altri due ruoli importanti, che non vanno dimenticati. In primo luogo, molti di questi cambiamenti influenzano l'aspetto dell'organismo, che funge da segnale agli altri che l'organismo si trova in uno stato particolare. Il bambino sorride in risposta al sorriso della madre, rafforzando così l'affetto della madre. L'espressione facciale del gorilla arrabbiato avverte gli altri gorilla che è meglio che indietreggino se vogliono evitare di essere attaccati. Un'espressione triste – del gorilla o umana – fa sapere agli altri membri del gruppo che un individuo ha bisogno di conforto. Un'espressione di vergogna fa sapere ai membri del gruppo che l'individuo ha sbagliato; forse è anche un segnale che l'individuo accetta gli standard e le sanzioni del gruppo e chiede il reinserimento nel gruppo.

Un altro ruolo importante dei cambiamenti fisiologici che costituiscono la risposta emotiva, è che agiscono come feedback al sistema, rafforzando la valutazione affettiva e aiutando a focalizzare l'attenzione su di essa. Quando una persona o un altro animale viene spaventato da uno sparo improvviso o da qualche altro forte rumore molto improvviso, c'è una risposta automatica immediata, che aiuta a fissare l'attenzione sullo stimolo. Una versione blanda di tale risposta è ciò che gli psicologi chiamano il riflesso "di orientamento". Similmente, quando sono gioioso, i cambiamenti fisiologici caratteristici della gioia aiutano a fissare la mia attenzione su tutte le cose meravigliose che sono accadute; nella tristezza, i cambiamenti fisiologici rafforzano le valutazioni tristi che faccio.

Una prospettiva neurofisiologica[modifica]

In una serie di articoli culminati nel suo libro del 1996, The Emotional Brain, il neurofisiologo Joseph LeDoux ha affermato che non esiste un fenomeno unitario chiamato "emozione", ma solo una varietà di sistemi emotivi. Le emozioni non sono peculiari degli esseri umani o degli animali "superiori"; i sistemi emotivi basilari si trovano in molte specie "inferiori", persino insetti e pesci. Questi sistemi emotivi basilari sono progettati in modo che l'organismo possa far fronte agli incontri fondamentali della vita. È importante pensare a un sistema emotivo di base adattato attraverso l'evoluzione a particolari tipi di importanti interazioni tra l'organismo e il suo ambiente. LeDoux pensa che un elenco di emozioni basilari corrisponderebbe a un elenco di "special adaptive behaviors that are crucial to survival". La sua "working hypothesis" è che "different classes of emotional behavior represent different kinds of functions that take care of different kinds of problems for the animal and have different brain systems devoted to them".[43]

Il sistema emotivo che LeDoux ha studiato più a fondo è il sistema della paura. L'oggetto del suo studio è stata la paura condizionata nei topi, ma la sua ricerca ha implicazioni ampie e importanti per la paura naturale, inclusa la paura negli esseri umani, come anche per lo studio delle emozioni in generale. LeDoux pensa che qualunque sia la tua teoria dell'emozione, il "nucleo" di un sistema emotivo è "a mechanism for computing the affective significance of stimuli".[44] In altre parole, l'organismo può in qualche modo "appraise" o valutare il significato emotivo di uno stimolo. Come ho spiegato, i risultati di Zajonc (tra gli altri) mostrano che tale "appraisal" può aver luogo molto rapidamente e prima di qualsiasi cognizione cosciente o elaborazione di informazioni complesse. Il grande contributo di LeDoux alla ricerca sulle emozioni è stato quello di mostrare come ciò possa accadere. Lui e i suoi colleghi hanno scoperto un circuito della paura nel cervello che opera molto rapidamente e senza consapevolezza; può calcolare il significato affettivo di uno stimolo senza che l'organismo sia in grado di riconoscere quale sia lo stimolo.

LeDoux ha condizionato la paura nei topi al suono di un cicalino (lo stimolo condizionato) usando lo shock (lo stimolo incondizionato). Una "appraisal" della minaccia scatena una serie di risposte diverse che preparano l'organismo ad affrontare il pericolo imminente. È interessante notare che LeDoux ha scoperto che non importa molto su quale risposta si concentra e misura lo sperimentatore. Lo stesso circuito cerebrale sembra essere sempre coinvolto. Egli stesso ha studiato la risposta di irrigidimento (= freezing), in cui un animale spaventato interrompe tutti i movimenti e le variazioni concomitanti della pressione sanguigna. L'irrigidimento come risposta al pericolo percepito è molto diffuso tra le diverse specie. Spesso è la cosa più sicura da fare di fronte al pericolo; prepara inoltre l'animale alla successiva rapida fuga o al combattimento difensivo. Anche la fuga e il combattimento difensivo sono risposte molto diffuse, anche se ovviamente la forma che assumeranno dipenderà dalla costituzione fisica dell'animale: un uccello volerà via dal pericolo, un pesce nuoterà. La risposta alla paura condizionata attiva anche il sistema nervoso autonomo (SNA): i muscoli richiedono sangue extra, quindi ci sono varie risposte cardiovascolari e altre risposte viscerali che aiutano a mantenere la risposta di irrigidimento e gli ormoni dello stress vengono rilasciati nel flusso sanguigno "to further help the body cope with the threatening situation". Anche i riflessi, come il riflesso di sussulto e di ammiccamento, sono "potenziati", consentendo "quicker, more efficient reactions to stimuli that normally elicit protective movements".[45] In sintesi, la risposta condizionata è una risposta innata artificialmente indotta dal condizionamento a il suono del cicalino.

Localizzazione dell'amigdala nell'encefalo umano, evidenziato in rosso
Localizzazione dell'amigdala nell'encefalo umano, evidenziato in rosso
 
Sezione MRI, in cui è indicato il talamo
Sezione MRI, in cui è indicato il talamo

La chiave del sistema della paura nel cervello è l'amigdala, un piccolo corpo o complesso nucleare a forma di mandorla in quello che viene spesso definito il "sistema limbico", che è dove viene registrato il significato emotivo della minaccia.[46] LeDoux ha scoperto che quando il topo sente il suono del cicalino, si attiva il talamo uditivo. Il talamo è stato chiamato una "way station" nel cervello, perché riceve gli stimoli in arrivo e li invia a diverse parti della corteccia, responsabili di un'elaborazione superiore nelle varie modalità sensoriali (visione, udito ecc.). Il talamo uditivo riceve segnali uditivi e li invia alla corteccia uditiva dove il suono viene "elaborato cognitivamente": ad esempio, il suono viene identificato. La corteccia uditiva invia quindi segnali all'amigdala dove viene valutato l'impatto emotivo del suono del cicalino. Tuttavia – e questo è il punto importante – anche il talamo uditivo invia segnali direttamente all'amigdala, bypassando del tutto la corteccia. L'amigdala calcola il significato affettivo dello stimolo prima che le informazioni più precise su quale sia lo stimolo vengano ricevute dalla corteccia uditiva. Significativamente, per un topo occorrono circa 12 millisecondi (12 millesimi di secondo) affinché uno stimolo acustico raggiunga l'amigdala attraverso la via diretta dal talamo, mentre impiega quasi il doppio del tempo per attraversare la via corticale.[47] Il Le vie talamo-amigdala e cortico-amigdala convergono nel nucleo laterale dell'amigdala. Una volta nel nucleo laterale, il segnale viene inviato al nucleo centrale dell'amigdala che controlla le caratteristiche risposte di paura, la risposta "freezing response", il rilascio di ormoni dello stress nel flusso sanguigno e le varie risposte cardiovascolari e altre reazioni viscerali: aumento della pressione sanguigna, sudorazione, aumento della risposta galvanica cutanea, ecc. Se le informazioni dalla via talamo-amigdala sono coordinate con le informazioni dalla via cortico-amigdala nel nucleo laterale dell'amigdala, allora presumibilmente sarebbe possibile per le informazioni derivate dalla corteccia uditiva confermare o meno le informazioni ricevute direttamente dalla via talamo-amigdala; potrebbe confermare se la "valutazione affettiva" è appropriata o meno e se le risposte generate debbano essere mantenute o interrotte.

Significativamente, il talamo uditivo non può fare discriminazioni molto raffinate in uno stimolo. È nella corteccia uditiva che vengono fatte sottili discriminazioni. LeDoux conclude di aver scoperto due diversi percorsi per elaborare lo stesso suono. Da un lato c'è un "quick and dirty processing system", che reagisce molto velocemente, avverte l'organismo che qualcosa di pericoloso potrebbe essere in giro senza identificarlo con molta attenzione e fa sì che l'organismo reagisca in modo appropriato a qualunque esso sia. E d'altra parte, c'è un sistema di elaborazione più lento e più discriminante che opera attraverso la corteccia e determina se la "affective appraisal" del talamo-amigdala è appropriata o meno:

« Imagine walking in the woods. A crackling sound occurs. It goes straight to the amygdala through the thalamic pathway. The sound also goes from the thalamus to the cortex, which recognizes the sound to be a dry twig that snapped under the weight of your boot, or that of a rattlesnake shaking its tail. But by the time the cortex has figured this out, the amygdala is already starting to defend against the snake. The information received from the thalamus is unfiltered and biased toward evoking responses. The cortex's job is to prevent the inappropriate response rather than to produce the appropriate one, Alternatively, suppose there is a slender curved shape on the path. The curvature and slenderness reach the amygdala from the thalamus, whereas only the cortex distinguishes a coiled up snake from a curved stick. If it is a snake, the amygdala is ahead of the game. From the point of view of survival, it is better to respond to potentially dangerous events as if they were in fact the real thing than to fail to respond. The cost of treating a stick as a snake is less, in the long run, than the cost of treating a snake as a stick. »
(Ibid. 163-5.)

L'idea di due diversi meccanismi di elaborazione dello stesso stimolo sensoriale non è nuova. Più di quarant'anni fa William Dember lo propose:

« ...the perceptual processing of a stimulus takes place at two levels... The first level of perceptual processing engages the emotions. The visual system extracts sufficient information to make out the emotional significance of a stimulus, determining if it poses a threat or signals a reward. An observer's attention can shift to other features of the stimulus once the emotional significance of the stimulus is grasped. Classifying and identifying a stimulus is carried out by a second, higher level of perceptual processing, which many theorists associate with cognition and consciousness.[48] »

Ciò che LeDoux ha fatto è scoprire i circuiti cerebrali responsabili di questi due livelli di elaborazione, almeno nel sistema della paura.

LeDoux cita un affascinante esperimento che illustra bene l'esistenza dei due diversi sistemi di elaborazione. In tale esperimento sono stati usati due toni simili, uno condizionato a scioccare e l'altro no. Dei conigli sono stati condizionati a rispondere con un aumento della frequenza cardiaca al suono associato allo shock e non all'altro suono. Quindi gli sperimentatori hanno tagliato le cortecce uditive dei conigli, in modo che i percorsi dal talamo alla corteccia uditiva fossero interrotti. Quello che è successo è che i conigli non potevano più discriminare tra i due suoni simili, quindi hanno reagito emotivamente a entrambi i suoni, come se entrambi fossero stati precedentemente associati a uno shock. LeDoux commenta che i neuroni nel talamo che proiettano alla corteccia uditiva sono "narrowly tuned — they are very particular about what they will respond to". I neuroni nel talamo che proiettano all'amigdala, tuttavia, sono "less picky":[49] non fanno discriminazioni raffinate. Di conseguenza, quando le cortecce uditive dei conigli sono danneggiate, hanno solo la via diretta del talamo-amigdala su cui fare affidamento e l'amigdala tratta i due stimoli (simili) allo stesso modo.

In sintesi, LeDoux ha mostrato che "emotional responses can be rapidly initiated on the basis of crude stimulus properties prior to and independent of more complex stimulus transformations, such as those involved in the recognition of objects as semantic entities".[50] Propone che l'emozione e la cognizione dovrebbero essere pensate come "separate but interacting mental functions mediated by separate but interacting brain functions".[51] La risposta iniziale alla paura è generata da una "valutazione emotiva" nell'amigdala che avviene molto velocemente e prima dell'intervento cognitivo. La successiva "valutazione cognitiva" più lenta può analizzare lo stimolo in modo più preciso, valutare l'adeguatezza della risposta automatica precedente e presumibilmente tentare di modificare e controllare sia la valutazione iniziale che le risposte successive dell'organismo. Tali valutazioni affettive richiederebbero "the existence of pathways that transmit sensory inputs to the affective system (i.e. amygdala) without first transmitting the inputs to the cognitive system (i.e. hippocampus)".[52] E, come ha mostrato LeDoux, tali percorsi di fatto esistono. Il vantaggio evolutivo di questi meccanismi è che agiscono davvero molto rapidamente e preparano l'organismo ad agire istantaneamente quando è in gioco qualcosa di vitale importanza per l'organismo stesso.

Riconsiderando la teoria del giudizio[modifica]

Nel Capitolo 1 ho discusso la teoria del giudizio secondo la quale un'emozione è o implica un giudizio o una "valutazione cognitiva". Abbiamo ora visto che questa teoria è falsa. Ci sono infatti casi di emozione – o almeno di "affetto" – che non richiedono un giudizio complesso e consapevole, del tipo discusso da Gordon o Taylor. Ma allo stesso tempo, un qualche tipo di valutazione sembra essere essenziale per l'emozione, sebbene le valutazioni in questione non siano giudizi deliberati e consapevoli con contenuto semantico. Piuttosto, sono valutazioni affettive (= affective appraisals) che non richiedono alcun intervento cognitivo.

Nel Capitolo 1, abbiamo considerato le obiezioni che diversi filosofi avevano all'idea che le emozioni implichino giudizi o credenze. Greenspan sostiene che il contenuto proposizionale di un'emozione non deve essere creduto, ma può essere semplicemente tenuto a mente o intrattenuto. Rorty pensa che un'emozione sia più simile a un modello di rilevanza che a un giudizio o a una convinzione. Infine, Solomon sostiene che un'emozione è un giudizio, ma un tipo speciale di giudizio, un giudizio urgente o di emergenza. Penso che la nozione di "non‐cognitive appraisal" abbia un senso in questi vari suggerimenti, perché una valutazione affettiva non-cognitiva ha molte delle caratteristiche che sono state evidenziate dai filosofi critici nei confronti della teoria del giudizio.

Greenspan osserva che i giudizi coinvolti nell'emozione sono diversi dai giudizi spassionati in quanto sono resistenti alla somma e alla qualificazione: per essere razionale non devo assommare due valutazioni affettive apparentemente inconsistenti. Non devo concludere che, dopotutto, è un bene o un male che il mio amico abbia vinto il premio. Né devo qualificare le mie valutazioni, giudicando che per un verso è positivo che il mio amico abbia vinto il premio e per un altro aspetto non è positivo. Quando sono contemporaneamente felice e infelice che il mio amico abbia vinto il premio, ciascuna delle mie valutazioni affettive prende atto solo di un sottoinsieme delle prove totali disponibili. Quando sono felice che abbia vinto, mi concentro sul fatto che ha ottenuto ciò che voleva e il fatto mi piace, ed è importante per me, quando ottiene ciò che vuole. Quando invece sono infelice per la sua vittoria, mi concentro sul fatto che non ho ottenuto ciò che volevo, e non mi piace – ed è importante per me – quando non ottengo ciò che voglio. L'osservazione di Greenspan secondo cui in ogni caso sto prestando attenzione solo a un sottoinsieme dell'evidenza totale disponibile, è ben corroborata dalle osservazioni neurofisiologiche di LeDoux: "the representations that activate the emotional system can be based on incomplete and fragmented information rather than on veridical perception".[53] I nostri percorsi emotivi sono veloci e "dirty", enfatizzando la situazione percepita in base ai miei interessi e desideri. Non ho un'immagine spassionata della situazione totale, ma un'immagine parziale basata su ciò che fa appello ai miei interessi. Ovviamente non siamo ancora nella posizione di sapere cosa sta succedendo nella mia testa in un caso di "sentimenti contrastanti", ma è affascinante osservare che le scoperte di LeDoux corroborano l'idea di Greenspan secondo cui le emozioni si basano su prove parziali.

Rorty sottolinea come le emozioni resistono al cambiamento anche quando la valutazione affettiva si trova di fronte a una ricchezza di prove opposte e come le valutazioni affettive, lungi dall'essere identiche alle credenze, siano spesso in conflitto con le nostre convinzioni. Anche in questo caso è utile ricordare che esistono due vie di elaborazione degli stimoli in entrata, la via affettiva veloce attraverso l'amigdala che tiene conto immediatamente di tutto ciò che è ritenuto importante per la persona, e la via "cognitiva" lenta attraverso la corteccia. Nell'esempio di Rorty, Jonah non può fare a meno di vedere il suo capo, Esther, come ostile, anche se afferma sinceramente di non crederla ostile. Nel modo in cui Rorty racconta la storia, ci sono cause profonde, che risalgono al rapporto di Jonah con la madre, per spiegare la sua tendenza a vedere le donne al potere come ostili. Alla luce delle scoperte di Zajonc e LeDoux, possiamo dire che la valutazione affettiva del suo capo da parte di Jonah è che qui c'è un nemico, mentre la valutazione cognitiva sta segnalando che qui c'è una persona ragionevole che cerca solo di fare il suo lavoro.[54] La valutazione emotiva di Jonah è incompatibile con le sue convinzioni razionali. Trovandosi in una situazione di subordinazione a una donna, vengono suscitate automaticamente determinate risposte emotive, che aiutano a fissare la sua attenzione sulle "qualità dittatoriali" della donna. Rorty descrive Jonah come se avesse acquisito un modello di reazione alle donne al potere come nemiche.

Infine, sebbene Solomon affermi che un'emozione è un giudizio, vuole anche dire che è un giudizio di un tipo speciale. Le emozioni sono "self‐involved and relatively intense evaluative judgments that are especially important to us, meaningful to us, concerning matters in which we have invested our Selves".[55] Altrove dice che le emozioni sono giudizi "urgenti" e le risposte emotive un "comportamento di emergenza". Un'emozione è "a necessarily hasty judgment in response to a difficult situation".[56]

La nozione di una valutazione affettiva non-cognitiva si adatta molto bene alle caratteristiche del giudizio emotivo che Solomon indica. Una valutazione affettiva opera molto velocemente o "urgentemente" in situazioni in cui la persona o un altro organismo ha un interesse vitale in ciò che sta accadendo: riguarda questioni "che sono particolarmente importanti per noi". La valutazione prepara immediatamente la persona fisiologicamente per un'eventuale azione di emergenza. L'intero processo è caratterizzato da intensità: ciò che sta accadendo è molto importante per la persona e richiede la sua esclusiva attenzione. Ma, a rigor di termini, ciò che è intensa non è tanto la valutazione quanto l'attività fisiologica che essa induce. Questa attività, a sua volta, aiuta a mantenere l'attenzione focalizzata su ciò che è percepito come urgente e prepara l'azione di emergenza, se necessario.

L'idea di una valutazione non cognitiva prodotta automaticamente e che automaticamente consegua cambiamenti fisiologici, spiega anche perché tradizionalmente le emozioni sono state trattate come passioni, come fenomeni che agiscono su di noi e non sono direttamente sotto il nostro controllo, piuttosto che come giudizi che facciamo consapevolmente e deliberatamente. Le valutazioni affettive non-cognitive non sono controllabili se non indirettamente. Posso provare a programmarmi o farmi il lavaggio del cervello. Posso andare da un terapista. Ma non posso semplicemente decidere di non reagire quando vedo una vipera davanti a me, proprio come Greenspan non può semplicemente decidere di non reagire quando si sente sbandare.

Conclusione[modifica]

Nel Capitolo 1 abbiamo visto molte buone ragioni per pensare che le emozioni richiedano giudizi cognitivi complessi, e che è attraverso tali giudizi che distinguiamo uno stato emotivo da un altro. Ora, tuttavia, sembra che le emozioni richiedano solo una valutazione non-cognitiva. Posso avere paura senza giudicare che c'è un serpente davanti a me; o potrei semplicemente registrare una forma di ramo ondulato sul suolo del bosco. Allo stesso modo, non devo credere "che Rossi mi abbia fatto un torto rubandomi la macchina" per arrabbiarmi con Rossi. Posso rispondere con rabbia in modo automatico senza avere la minima idea del motivo per cui rispondo in quel modo. Allo stesso modo, Solomon ha torto nel sostenere che un cambiamento di giudizio ipso facto produce un cambiamento nell'emozione: ricordiamoci che Solomon pensa che io non possa essere arrabbiato con Rossi una volta che scopro che non ha rubato la mia macchina, l'ha semplicemente presa in prestito per il pomeriggio. Ma questo è troppo semplice. La mia rabbia potrebbe rifiutarsi di dissiparsi, anche una volta che conosco la vera situazione. La mia risposta fisiologica continua e la mia valutazione affettiva può ancora insistere: "Mi ha fatto del male" anche se la mia ragione sa che in effetti non mi ha fatto del male.

Tuttavia, ora sembra che ci troviamo di fronte ad alcune domande difficili. Primo, il giudizio che Rossi mi ha offeso rubandomi la macchina (rabbia) e il giudizio che ho trascurato i miei figli e non avrei dovuto trascurarli (rimorso) non sono valutazioni affettive nel senso che ho discusso. Sono valutazioni cognitive e, come tali, non sono sufficienti per innescare risposte fisiologiche e quindi emozioni. Eppure allo stesso tempo sembra che siamo in grado di discriminare un'emozione da un'altra per mezzo di complessi contenuti cognitivi di questo tipo.

Secondo, se ci rivolgiamo alle valutazioni o ai punti di vista che identificano le emozioni negli esempi di Rorty e Greenspan, queste hanno alcuni dei segni di una valutazione affettiva – si basano solo su un sottoinsieme di prove e sono resistenti al cambiamento – ma non sembrano comunque coincidere con le rapide valutazioni prelinguistiche di cui parlano Zajonc e LeDoux. Nell'esempio di Rorty, la valutazione di Jonah è che le donne al potere sono tiranne. Nell'esempio di Greenspan, la valutazione è che il fatto che il mio amico abbia vinto il premio è una cosa buona o cattiva. Queste non suonano come valutazioni grossolane che utilizzano percorsi neurali veloci e "dirty". Come conciliare, allora, i dati sulle valutazioni affettive non-cognitive come fonti di emozioni con il fatto che apparentemente le valutazioni che definiscono particolari emozioni sono cognitivamente complesse? Nel prossimo Capitolo cercherò di risolvere questo enigma.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie dei sentimenti e Serie delle interpretazioni.
  1. William James, The Works of William James, cur. Frederick H. Burkhardt, 3 voll. (Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1981), ii. 1065–7. Tutte le citazioni sono da questa edizione.
  2. In un articolo successivo, James ammette che la sua precedente formulazione aveva una "slapdash brevity" che poteva portare a malintesi. William James, "The Physical Basis of Emotion", Psychological Review 1 (1894), 519. Come sottolinea Ellsworth, "because his vivid allusions to ‘the bear’ stuck in people's minds, James's actual claim—that the sensation of bodily changes is a necessary condition of emotion—was simplified and quickly crystallized into the idea that emotions are nothing but the sensation of bodily changes." Phoebe Ellsworth, "William James and Emotion: Is a Century of Fame Worth a Century of Misunderstanding?", Psychological Review 101 (1994), 222.
  3. Theodore D. Kemper, "Power, Status, and Emotions: A Sociological Contribution to a Psychophysiological Domain", in Klaus Scherer e Paul Ekman (curr.), Approaches to Emotion (Hillsdale, NJ: Erlbaum, 1984), 377, che cita int. al., A. F. Ax, "The Physiological Differentiation between Fear and Anger in Humans", Psychosomatic Medicine 15 (1953).
  4. Frijda, The Emotions, 133–5.
  5. Per questo riferimento e successivi, cfr. ibid. 163.
  6. In Paul Ekman e Richard J. Davidson (curr.), The Nature of Emotion: Fundamental Questions (New York: Oxford University Press, 1994), 255.
  7. Una variazione di questa idea è suggerita da LeDoux: "in any condition involving strong emotional arousal there is... a backdrop of undifferentiated autonomic activity, reflecting a generalized state of nonspecific arousal, against which more specific changes are expressed". Joseph LeDoux, "Emotion‐Specific Physiological Activity: Don't Forget About CNS Physiology", in Ekman e Davidson (curr.), The Nature of Emotion, 249.
  8. Ibid.
  9. (11)Cfr. int. al., Paul Ekman, "An Argument for Basic Emotions", Cognition and Emotion 6 (1992); Paul Ekman, Emotions Revealed (New York: Henry Holt, 2003); id., "Expression and the Nature of Emotion", in Scherer e Ekman (curr.), Approaches to Emotion; id., "Facial Expression and Emotion", American Psychologist 48 (1993). Conferme provengono, tra gli altri, da Carroll Izard, in The Face of Emotion (New York: Appleton‐Century‐Crofts, 1971). Ci sono alcuni dissensi, tra cui Alan Fridlund e Bradley Duchaine, "Facial Expressions of Emotion and the Delusion of the Hermetic Self", in R. Harré e W. G. Parrott (curr.), The Emotions: Social, Cultural and Biological Dimensions (Londra: Sage, 1996).
  10. Ekman, Emotions Revealed, 58. In passato era meno sicuro che le espressioni facciali di disprezzo e disgusto potessero essere distinte, e in una cultura prealfabetizzata sembrava che non ci fosse distinzione tra le espressioni di paura e sorpresa (sebbene la paura/sorpresa fosse distinta da rabbia, tristezza, disgusto e felicità).Cfr. ibid. 10.
  11. Ibid. 58.
  12. Ekman, "An Argument for Basic Emotions", 172.
  13. Ibid. 176.
  14. (16) Ricerca simile sulle espressioni vocali, fatta per es. da Klaus Scherer e altri, è meno avanzata. Cfr. Klaus R. Scherer, Facets of Emotion: Recent Research (Hillsdale, NJ: Erlbaum, 1988); id., "Vocal Affect Expression: A Review and a Model for Future Research", Psychological Bulletin 99 (1986); e id. et al., "Vocal Cues in Emotion Encoding and Decoding", Motivation and Emotion 15 (1991).
  15. Cfr. Ekman, "Expression and the Nature of Emotion", 320–1.
  16. Ibid. 322–3.
  17. Antonio R. Damasio, Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain (New York: G. P. Putnam, 1994), 140. Già a metà del diciannovesimo secolo, Guillaume-Benjamin Duchenne notò che un sorriso genuino richiedeva muscoli diversi per muoversi rispetto a un sorriso deliberato. In entrambi, i muscoli intorno alla bocca sono coinvolti, ma solo in un sorriso genuino c'è una contrazione involontaria dell’orbicularis oculi, un muscolo all'angolo degli occhi. Cfr. ibid. 142. Anche Ekman, "Expression and the Nature of Emotion", 321–4.
  18. Ekman, Emotions Revealed, 15.
  19. Paul Ekman, Telling Lies: Clues to Deceit in the Marketplace, Politics, and Marriage (New York: Berkley Books, 1985). Un interessante articolo del New Yorker spiega alcune delle applicazioni del lavoro di Ekman alle forze dell'ordine: Malcolm Gladwell, "The Naked Face", The New Yorker, 5 agosto 2002.
  20. Richard A. Friedman, "A Peril of the Veil of Botox", New York Times, 6 agosto 2002.
  21. Ekman, "Expression and the Nature of Emotion", 324–8.
  22. È concepibile che quando la manipolazione facciale produce i cambiamenti fisiologici caratteristici di una particolare emozione, allo stesso tempo si produce una valutazione "emotiva" dell'ambiente. Pertanto, fare una faccia che è, all'insaputa del soggetto, una faccia arrabbiata, può produrre non solo i cambiamenti SNA tipici della rabbia (per quanto possiamo specificarli), ma anche "an angry frame of mind", una tendenza a pensare pensieri irosi o ad arrabbiarsi con chiunque si trovi nei dintorni. Ma i soggetti negli esperimenti di Ekman sembravano essere perfettamente consapevoli del fatto che in realtà non c'era nulla di cui arrabbiarsi.
  23. Ekman usa questo termine in "Biological and Cultural Contributions to Body and Facial Movement in the Expression of Emotions", in Amélie Rorty (cur.), Explaining Emotions (Berkeley: University of California Press, 1980), 80. Viene ripreso da Paul Griffiths in What Emotions Really Are: The Problem of Psychological Categories (Chicago: University of Chicago Press, 1997), 77.
  24. John B. Watson, Psychology, from the Standpoint of a Behaviorist, II ediz. (Philadelphia: J. B. Lippincott, 1924), 229-31.
  25. A. N. Meltzoff e M. K. Moore, "Imitation of Facial and Manual Gestures by Human Neonates", Science 198 (1977); Tiffany Field et al., "Discrimination and Imitation of Facial Expressions by Neonates", Science 218 (1982); A. N. Meltzoff e M. K. Moore, "Imitation in Newborn Infants: Exploring the Range of Gestures Imitated and the Underlying Mechanisms", Developmental Psychology 25 (1989); A. N. Meltzoff e M. K. Moore, "Infants’ Understanding of People and Things: From Body Imitation to Folk Psychology", in J. Bermúdez, A. Marcel, e N. Eilan (curr.), The Body and the Self (Cambridge, Mass.: MIT, 1995).
  26. Alan L. Sroufe, "The Organization of Emotional Development", in Scherer e Ekman (curr.), Approaches to Emotion, 112.
  27. Klaus R. Scherer, "On the Nature and Function of Emotion: A Component Process Approach", in Scherer e Ekman (curr.), Approaches to Emotion; Scherer, Facets of Emotion.
  28. Frijda riporta molti di questi studi in The Emotions, 272–3.
  29. Robert Zajonc, "Feeling and Thinking: Preferences Need No Inferences", American Psychologist 35 (1980); W. R. Kunst‐Wilson e R. B. Zajonc, "Affective Discrimination of Stimuli That Cannot Be Recognized", Science 207 (1980); Robert Zajonc, "On the Primacy of Affect", American Psychologist 39 (1984); S. T. Murphy e R. B. Zajonc, "Affect, Cognition, and Awareness:Affective Priming with Suboptimal and Optimal Stimulus", Journal of Personality and Social Psychology 64 (1993); Robert Zajonc, "Evidence for Nonconscious Emotions", in Ekman e Davidson (curr.), The Nature of Emotion.
  30. Kunst‐Wilson e Zajonc, "Affective Discrimination of Stimuli that Cannot Be Recognized", 558.
  31. Murphy e Zajonc, "Affect, Cognition, and Awareness", 726.
  32. Richard S. Lazarus, Emotion and Adaptation (New York: Oxford University Press, 1991), 155-6.
  33. J. Garcia e K. W. Rusiniak, "What the Nose Learns from the Mouth", in D. Muller‐Schwarze e R. M. Silverstein (curr.), Chemical Signals (New York: Plenum Press, 1980).
  34. Zajonc, "On the Primacy of Affect", 120. Zajonc cerca di sopraffare il lettore con una caterva di dati. Alcuni di essi, tuttavia, sebbene suonino impressionanti, sono in effetti inconcludenti.
  35. Lazarus, Emotion and Adaptation, 177.
  36. Per la disputa, cfr. R. B. Zajonc, "Feeling and Thinking" Richard S. Lazarus, "Thoughts on the Relations between Emotion and Cognition", American Psychologist 37 (1982); e Zajonc, "On the Primacy of Affect".
  37. Lazarus, Emotion and Adaptation, 153, 156.
  38. Ibid. 190.
  39. Ibid. 158.
  40. Phoebe Ellsworth, "Levels of Thought and Levels of Emotion", in Ekman e Davidson (curr.), The Nature of Emotion, 193.
  41. Cfr. Frijda che distingue due significati di "cognizione", vale a dire "conscious awareness and complex information processing". Nico Frijda, "Emotions Require Cognitions, Even If Simple Ones", in Ekman e Davidson (a cura di), The Nature of Emotion, 197. Lo stesso Frijda afferma che c'è una differenza tra "affetto" che può essere suscitato in modo non cognitivo e "emozione" che secondo lui richiede sempre la cognizione, nel senso di "information processing", anche se l'elaborazione dell'informazione non è molto complessa. Ad esempio, egli pensa che l'evocazione dell'emozione da parte di "unexpected intense stimuli", e "body restraint and other interference in self‐initiated movement", implichi "more than a single localized stimulus" come anche "comparing a stimulus against schemata or expectations" (ibid. 200-1), che implicano entrambi la cognizione. Sono meno convinto che rispondere a tali stimoli implichi "complex information processing" e quindi cognizione.
  42. Keith Oatley, Best Laid Schemes: The Psychology of Emotions (Cambridge: Cambridge University Press; Parigi: Éditions de la Maison des Sciences de l'Homme, 1992), 53.
  43. Joseph LeDoux, The Emotional Brain: The Mysterious Underpinnings of Emotional Life (New York: Simon & Schuster, 1996), 126-7.
  44. Joseph LeDoux, "Cognitive‐Emotional Interactions in the Brain", Cognition and Emotion 3 (1989), 271.
  45. LeDoux, The Emotional Brain, 149.
  46. LeDoux pensa che il concetto di "sistema limbico" sia in realtà mal definito.
  47. LeDoux, The Emotional Brain, 163.
  48. Dean G. Purcell, Alan L. Stewart, e Richard B. Skov, "Interference Effects of Facial Affect", in Robert R. Hoffman, Michael F. Sherrick, e Joel S. Warm (curr.), Viewing Psychology as a Whole: The Integrative Science of William N. Dember (Washington DC: American Psychological Association, 1998), 434. Il riferimento è a William N. Dember, The Psychology of Perception (New York: Holt, Rinehart, & Winston, 1960), 321.
  49. LeDoux, The Emotional Brain, 162.
  50. LeDoux, "Cognitive‐Emotional Interactions in the Brain", 272.
  51. LeDoux, The Emotional Brain, 69.
  52. LeDoux, "Cognitive‐Emotional Interactions in the Brain", 279.
  53. Joseph LeDoux, "Cognitive‐Emotional Interactions in the Brain", in Ekman e Davidson (curr.), The Nature of Emotion, 221.
  54. Naturalmente non conosciamo i percorsi neurali esatti per l'"ostilità" piuttosto che la paura, anche se la paura sembra certamente giocare un ruolo nella risposta di Jonah.
  55. Robert C. Solomon, The Passions, I ediz. (Garden City, NY: Anchor Press/ Doubleday, 1976), 188.
  56. Robert C. Solomon, "Emotions and Choice", in Amélie Rorty (cur.), Explaining Emotions (Berkeley: University of California Press, 1980), 264–5.