Essenza trascendente della santità/Introduzione
Cos'è la santità? È qualcosa di reale inerente a persone, luoghi, tempi e oggetti santi o è una questione di status istituzionale? Tale domanda molto raramente viene fatta riguardo a testi ebraici, forse perché la nozione di santità è così diffusa nell'ebraismo che chiedere ai testi ebraici la natura della santità è come chiedere ai pesci la natura dell'acqua.[1] Mi concentrerò qui sul modo in cui uno tra i più importanti pensatori nella storia dell'ebraismo, Mosè Maimonide, interpretò la natura della santità — sperando di dimostrare che la domanda vale la pena di farla.
In uno dei suoi studi più illuminati, il defunto esegeta Isadore Twersky scrisse che per Maimonide la santità "è un'essenza separata trascendente. Non è una segulah סגולה [= caratteristica speciale, proprietà] incorporata in un oggetto fisico, che si trasferisce o viene trasferita da un oggetto sacro a coloro che lo usano o lo rispettano."[2] Se comprendo Twersky correttamente, egli afferma che, per Maimonide, esiste veramente qualcosa nell'universo chiamato santità, al di là e al di sopra di persone, luoghi, tempi e oggetti.
Ma certo! Perché dobbiamo sorprenderci che un ebreo medievale debba pensare che persone, luoghi, tempi e oggetti possano essere santi in un senso reale, intrinseco e oggettivo? Non è sorprendente per altri ebrei ma – e questo desideriamo provare in questo nostro studio – lo sarebbe se Maimonide mantenesse questo punto di vista. Tanto che, in un altro contesto Twersky stesso scrive che "la santità attribuita [da Maimonide] a vari oggetti (come i rotoli della Torah, le mezuzot, i filatteri, la lingua sacra) è teleologica",[3] cioè non intrinseca e certamente non reale nel senso d'essere "un'essenza trascendente separata".
Qual è dunque la posizione di Maimonide? Per poter rispondere a tale domanda, sarà utile distinguere tre differenti opinioni sulla santità. Secondo un'opinione, la santità è una caratteristica essenziale di certi luoghi, persone, oggetti, o tempi; secondo questa opinione, la santità è "strettamente connessa" a parti dell'universo. Yehuda Halevi apparentemente manteneva questa opinione, almeno rispetto alla santità della Terra di Israele,[4] la santità dei comandamenti e, probabilmente rispetto al carattere speciale del popolo ebraico, la "nazione santa". Una prova abbastanza chiara che Halevi mantenesse questa opinione che gli attribuiamo, si può avere in Kuzari iii.53. Spiegando come due domini distinti possano essere uniti, Halevi cita esempi di altri cambiamenti di condizione causati da procedure halakhiche (come il matrimonio o il divorzio, e molte materie collegate al rito sacerdotale e alla purezza/impurità rituali). Poi spiega:[5]
Cambiamenti di natura, spiega qui Halevi, avvengono per l'inabitare delle forme in substrati materiali preparati appropriatamente. Ciò ha senso nella fisica del suo tempo e il re Khazar non ha problemi ad accettarlo. Detto questo, chiede poi retoricamente Halevi, "Chi allora se non Dio soltanto è in grado di determinare le opere [in questo modo] cosicché l'ordine divino [al-amr al-ilahi] dimori in loro?"
L'analogia qui presentata è molto importante per i nostri scopi. Date le cirostaneze adeguate, un uovo di gallina può svilupparsi in un pollo. Il pollo non è un uovo; i polli sono ontologicamente distinti dalle uova. Parimenti, una donna sposata è in un certo senso reale distinta dalla sua precedente identità di nubile; una casa dichiarata ritualmente impura da un sacerdote (Lev. 13:47-59,14:33-53) non è, in senso reale, la stessa casa che era prima della dichiarazione del sacerdote. Prima della dichiarazione, la casa era ritualmente pura, dopo la dichiarazione, è ritualmente impura, e qui è cambiato ben di più del "semplice" status della casa.
"Le azioni [prescritte] dalla Legge religiosa", continua Halevi, quando eseguite correttamente, hanno conseguenze reali, non "soltanto" statutarie o istituzionali:[6]
Pare che Halevi affermi che il giusto adempimento dei comandamenti della Torah apporti quindi un vero cambiamento nell'universo. Secondo la sua interpretazione, la santità può essere inerente a certe cose, ma non ad altre; proprio come i non-ebrei non possono profetizzare, così non tutto può essere o diventare santo. Il substrato fa differenza.
Secondo un'altra opinione, l'universo, per così dire, inizia tutto d'un pezzo, perlomeno rispetto alla santità. In vari momenti Dio rende santi determinati tempi, luoghi o oggetti. Tale è certamente un modo di leggere versi come "E Dio benedisse il settimo giorno e lo dichiarò santo, perché in esso Egli aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto" (Gen. 2:3). Un modo ragionevole di comprendere questo verso e altri simili è che Dio prese un giorno come tutti gli altri (il settimo) e lo rese sacro, cambiandone la natura da quel momento in poi.
Un esempio di questa seconda opinione, mi sembra, potrebbe trovarsi nel commentario di Hayim ben Moses Attar (1696-1743) sulla Torah, Or haḥayim (su Numeri 19:2). Secondo Rabbi Hayim, prima di ricevere la Torah, gli ebrei erano come qualsiasi altro popolo; accettando la Torah il popolo di israele divenne ontologicamente distinto da tutta le altre nazioni. Rabbi Hayim scrive: "La distinzione per virtù della quale il popolo ebraico fu elevato al di sopra di tutte le altre nazioni è l'azzattazione della Torah, poiché senza di essa, la Casa di israele sarebbe come tutte le altre nazioni".[7] Nei paragrafi successivi Rabbi Hayim rende chiaro che gli ebrei si distinguono dai non-ebrei ad un livello fondamentale spiritualmente molto basilare. Dopo il Sinai, gli ebrei sono ontologicamente distinti dai non-ebrei, sebbene prima del Sinai non lo fossero stati.
Entrambe le opinioni condividono l'idea che, comunque diventi santo, un luogo, una persona, un tempo, o un oggetto, una volta santo, diventa oggettivamente differente da luoghi, persone, tempi e oggetti profani. Secondo entrambe le opinioni, la santità è reale, è inerente ai luoghi, ecc., ne è intrinseca; è, si può dire, parte della loro cosistenza metafisica. Caratterizzerò quindi entrambi questi approcci come interpretazioni "onologiche" o "essenzialiste" della natura della santità. Luoghi, persone, tempi e oggetti santi sono distinti ontologicamente da (o religiosamente superiori a) luoghi, persone, tempi e oggetti profani. Questa distinzione fa parte dell'universo.
Per usare un'analogia con la radioattività e rendere l'idea: come la radioattività era una caratteristica dell'universo prima che fosse conosciuta dalla scienza, così, secondo le succitati due opinioni, la santità è una caratteristica di certe persone, luoghi tempi e oggetti, anche se non c'è modo di misurarla. È una caratteristica del mondo oggettivamente reale, sebbene non parte del mondo suscettibile ad esame di laboratorio.
Maimonide, dimostrerò, aveva una visione diversa della santità. Luoghi, persone, tempi e oggetti non sono in nessun modo oggettivo distinti da luoghi, persone, tempi e oggetti profani. Santità è il nome dato ad una certa classe di persone, oggetti, tempi e luoghi che indica la Torah. Secondo questa interpretazione la santità è uno status, una condiione, non una qualità di esistenza. È una sfida, non un dato; normativa, non descrittiva. È istituzionale (nel senso d'essere parte di un sistema di leggi) e quindi contingente. Tale sorta di santità non riflette una realtà oggettiva; aiuta a costituire una realtà sociale. Luoghi, persone, tempi e oggetti santi sono indubbiamente santi e devono essere trattati con tutto il dovuto rispetto, ma sono, di per sé e per se stessi, come tutti gli altri luoghi, persone, tempi e oggetti. Ciò che è per loro differente è il modo in cui la Torah comanda che siano trattati. La loro santità deriva dagli usi a cui sono adibiti; in tal senso essa è teleologica, per utilizzare il linguaggio di Twersky.
Per lo scopo di questo studio, la distinzione tra la prima e la seconda opinione di santità non è importante. Se riesco a dimostrare che Maimonide affermava la terza opinione – quella istituzionale/teleologica – ne consegue che egli rifiutò entrambi i tipi di interpretazione ontologica.[8]
Le due opinioni che confronterò qui furono abilmente riassunte da Joyce Carol Oates in un commento parentetico ad un saggio di Auden: "Una sorte d'arte profana, forse, secondo il vocabolario di Auden. (Il valore di una cosa profana sta in cioò che fa d'utile, il valore di una cosa sacra sta in ciò che è...)."[9] In contraddizione parziale con Oates, proverò qui che, per Maimonide, il carattere sacro di persone, luoghi, tempi e oggetti sta precisamente in ciò che fanno (o nell’uso a cui vengono adibiti), non in ciò che sono. In altre parole, sosterrò che, per Maimonide, la santità è istituzionale, non essenzialista; teleologica, non ontologica.
Dato il nominalismo di Maimonide e la sua insistenza sull'assoluta trascendenza di Dio, egli non poteva attribuire un'esistenza extra-mentale ad un termine generale come "santità" e non poteva asserire che ci sia una qualsiasi proprietà condivisa da Dio e esseri umani. Se Dio è santo (e così afferma la Torah), allora gli umani possono essere chiamati santi solo se i termini vengono usati in un senso assolutamente equivoco. Il risultato della discussione testuale che stiamo per affrontare è proprio questa: persone, luoghi, tempi e oggetti sono sacri "solo" in un senso istituzionale.
È inoltre cruciale sottolineare che la santità può esistere "solo" al livello di istituzioni halakhiche, ma ciò non significa che una persona che intrattiene tale opinione debba essere insensibile alle conseguenze emotive di incontrare un luogo o una cosa o persona che reputa sacri. Non c'è ragione di pensare che Maimonide non valutasse tali esperienze. In breve, un nominalista può avere anche esperienze religiose.[10]
Note
[modifica | modifica sorgente]- Legenda: TB = Talmud babilonese; TG = Talmud gerosolimitano
- Guida dei perplessi: i riferimenti nel testo e nelle note alla Guida di Maimonide riportano Parte e Capitolo, seguiti dal nr. di pagina nella traduzione di Shlomo Pines (Maimonides, Guide of the Perplexed, trad. Shlomo Pines, University of Chicago Press, 1963).
- ↑ Si veda Jacobs, "Holy Places" che evidenzia "l'assenza di una trattazione sistematica del tema [della santità nell'ebraismo]."
- ↑ Twersky, "Martyrdom and Sanctity of Life", 172-3.
- ↑ Twersky, "Maimonides on Eretz Yisrael", 285-6.
- ↑ Sull'argomento, si vedano le note successive nn. ...
- ↑ Traduzione completa in inglese "Kitab al Khazari", di Hartwig Hirschfeld (1905) su Wikisource (EN).
- ↑ Metto la parola "soltanto" tra virgolette per sottolineare che, secondo Maimonide, la santità è veramente "soltanto" istituzionale, ma sempre estremamente importante; tuttavia come lo interpreta Halevi, l'opinione di Maimonide rende la santità soltanto istituzionale, cioè relativamente non importante.
- ↑ C'è da presumere che Rabbi Hayim avesse in mente passi come TB Shab. 145b-146a. Maimonide considera questo passo metaforico in Guida ii.30 (pp. 356-7).
- ↑ Supporto per la distinzione qui presentata, e la relativa interpretazione di Maimonide, si può riscontrare nei tre saggi di Yochanan Silman: "Halakhic Determinations", "Commandments and Transgressions" e "Introduction". Si veda p. xii nell'ultimo di questi per un breve commento sulla santità.
- ↑ Oates, "Depth-Sightings".
- ↑ Si eviterà qui di intraprendere la discussione sull'estensione che l'intellettualismo di Maimonide si sfuma in misticismo intellettualista. Per tale posizione si veda Blumenthal, "Maimonides: Prayer". S. Harvey, "Meaning of Terms", 188-96, dimostra che Maimonide veniva letto in tale maniera in Egitto, mentre Langermann, "Saving the Soul", pone questo modo di interpretare Maimonide nel suo contesto yemenita.
Voci correlate
[modifica | modifica sorgente](nella serie su Maimonide in Wikibooks)