Filosofia presocratica e socratica/Socratici minori
Il pensiero e la personalità di Socrate segnarono profondamente lo sviluppo della filosofia. Il principale prosecutore del suo insegnamento fu Platone, che al maestro dedicò vari dialoghi e che nella prima fase della sua produzione risentì particolarmente della sua influenza; dopo di lui anche Aristotele, suo allievo, si definirà erede dell'indagine socratica. Non è possibile approfondire qui il complesso rapporto esistente tra questi tre filosofi, argomento che richiederebbe un libro a sé stante. Ci si soffermerà invece, in conclusione di questo breve profilo storico e come «appendice» al capitolo precedente, sulle scuole socratiche minori, le quali, pur partendo dalla riflessione etica del filosofo ateniese e dal suo metodo dialettico, giunsero a esiti differenti. Si tratta della scuola cinica fondata da Antistene, della scuola cirenaica di Aristippo e della scuola megarica di Euclide. Mentre Platone sviluppa la dialettica socratica per elaborare una dottrina della verità, le tre scuole minori concentrano l'attenzione sugli aspetti confutatori e interpretano il «conosci te stesso» come una pura ricerca interiore, arrivando a rifiutare l'identificazione di sapere e virtù e le sue implicazioni politiche.[1]
Antistene e la scuola cinica
[modifica | modifica sorgente]Antistene (444 – 365 a.C.) nacque ad Atene e fu allievo di Gorgia prima di unirsi a Socrate. Dopo l'esecuzione del maestro si rifugiò, insieme ad altri condiscepoli, a Megara, in casa di Euclide; quindi tornò ad Atene e stabilì la sua scuola al ginnasio del Cinosarge, da cui deriva il nome cinismo.
Ricollegandosi alle antilogie sofistiche, Antistene porta alle estreme conseguenze il metodo confutatorio di Socrate, affermando che per nessuna tesi è possibile individuare un criterio che ne stabilisca la verità o la falsità. Il linguaggio infatti non è in grado né di conoscere né di comunicare la verità. Da qui, la polemica sulla dottrina platonica delle idee: di ogni cosa è possibile predicare solo ciò che è attraverso un nome, e quindi di un cavallo – per esempio – si potrà dire solo che è un cavallo. Esprimere un giudizio come «il cavallo è un animale» è impossibile, poiché significherebbe identificare il termine «cavallo» con il termine «animale» (secondo un celebre aneddoto Antistene avrebbe obiettato a Platone: «Vedo il cavallo, non la cavallinità»). Non è quindi possibile connettere un termine particolare con uno universale, e di conseguenza non è possibile formulare definizioni e portare avanti ragionamenti scientifici. Anche la virtù non è raggiungibile attraverso la conoscenza, ma solo liberandosi dai bisogni inutili, così da raggiungere la piena conoscenza di sé mediante l'esercizio e la fatica.[2] Antistene individua nell'orgoglio e nel piacere i due ostacoli sulla via che conduce alla sapienza filosofica. Il primo consiste nella presunzione di sapere già, mentre il secondo è contrario alla saggezza e all'autachia, cioè il non avere bisogno di nulla.[3]
Diogene di Sinope (413 – 323 a.C.), allievo e successore di Antistene, incarnerà perfettamente l'ideale del saggio cinico. Abbandonato ogni interesse per l'indagine logico-linguistica, Diogene con la sua vita fu un modello dell'etica cinica: errante e senza casa (si racconta che vivesse in una botte), vestiva in modo trascurato, portava con sé solo una bisaccia e disprezzava i valori della società civile, come la nobiltà, la divisione in classi, il matrimonio. Il suo esempio fu seguito da altri esponenti della scuola, come per esempio Cratete e la moglie Ipparchia, Bione di Boristene, Cercida di Megalopoli.
Aristippo e la scuola cirenaica
[modifica | modifica sorgente]Nato a Cirene da una famiglia agiata, Aristippo (435 – 360/355 a.C.) conobbe Socrate quando si trasferì ad Atene. Come Antistene, ricevette probabilmente lezioni dai sofisti: a questo proposito Reale sottolinea come l'influenza della sofistica sia ben evidente nel pensiero dei due pensatori, soprattutto sul piano della morale.[4] La sua filosofia si basa sul distacco dalle cose materiali e dall'attività politica, al fine di raggiungere la libertà. Questa consiste nel dominio delle cose e nel controllo delle passioni, evitando le esasperazioni e gli eccessi.
Secondo alcuni interpreti furono invece i suoi successori - come il nipote Aristippo il Giovane, Anniceri, Egesia, Teodoro - a sostenere la tesi edonistica che rese famosa la scuola cirenaica. Lo scopo della vita, secondo questa dottrina, è il piacere corporeo, che coincide con il bene ed è inteso come movimento debole opposto al movimento violento che è il dolore (che coincide con il male). [5] Criterio della verità per i cirenaici è la sensazione, la quale come puro stato soggettivo è sempre vera, mentre può essere falso solo l'oggetto prodotto dai sensi. Se così stanno le cose, anche in ambito etico si dovranno seguire quelle sensazioni che provocano piacere, che è il fine verso cui tendono tutti gli esseri viventi.[4] Dal piacere viene però nettamente distinta la felicità, intesa come somma dei piaceri particolari. Inoltre, il saggio non ricerca assiduamente il piacere, ma si limita a coglierlo quando gli si presenta: in caso contrario il piacere non sarebbe più «dolce» ma diventerebbe un dolore.[6]
Euclide e la scuola megarica
[modifica | modifica sorgente]Euclide (c. 445 – c. 375 a.C.) e i suoi allievi vengono definiti da Reale «i meno socratici fra i Socratici minori» poiché «sono più propriamente degli eleatizzanti o Neo-eleati».[7] Formatosi inizialmente allo studio dell'eleatismo, Euclide fu intimo amico di Socrate e nei tempi successivi alla sua morte ospitò nella propria casa di Megara gli altri discepoli del filosofo. Riprendendo il concetto parmenideo di unità dell'essere, sostenne che questo coincide con il bene socratico, il quale a sua volta consiste in un'unica virtù. È contraddittorio ritenere che il movimento e il divenire esistano, ed è sbagliato (pura opinione) pensare che le cose come enti separati. Lo stesso linguaggio, che designa cose diverse con nomi diversi, è una mera convenzione. Se ne conclude che non è possibile fare affermazioni oggettive, poiché qualunque cosa si dica può essere portata alla contraddizione e all'assurdo. Questo spiega lo sviluppo logico-dialettico della scuola megarica, che sfociò nell'eristica e nei sofismi che caratterizzano l'attività dei suoi principali esponenti, come Eubulide, Alessino, Clitomaco, Diodoro Crono, Stilpone.[8]
Note
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