Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Dalla periferia al centro in America
L'America, alla fine della Prima Guerra Mondiale, era diventata il più grande centro ebraico del mondo, sia come entità numerica che come influenza. Gli immigranti continuarono ad affluire fino alla metà degli anni '20 e quindi la loro preoccupazione inizialmente fu quella di insediarsi e assimilarsi positivamente e ordinatamente nel nuovo ambiente. Dovevano trovare casa e occupazione, imparare la lingua e diventare accettabili agli occhi dei cittadini americani. Nella letteratura degli ebrei americani troviamo una sensibilità predominante per l'identità etnica e l'assimilazione. Il fatto fisico di essere ebrei sollevava la questione della lealtà etnica, della religione come determinante della propria condizione, della possibilità di matrimoni misti, del significato di americanismo. La narrativa ebrea americana del periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale illustra ampiamente questo focalizzarsi su una varietà di sembianze e talenti.[1]
Tuttavia l'immigrazione venne assorbita, i ghetti (in gran parte) dispersi, le comunità americanizzate. Negli anni '40, una sostanziosa generazione natia si considerava parte del tessuto nazionale come tutti gli altri, sia a livello religioso che etnico. Essere un ebreo americano divenne sempre più uno dei modi di essere americani. L'emarginazione etnica non fu più una delle preoccupazioni primarie, eccetto nel caso specifico dell'immigrazione europea a seguito dell'Olocausto. Ciò non significava però che non ci fosse più una letteratura caratteristicamente ebraica, ma la sua forma di espressione cambiò. L'ebreo non si poteva considerare un immigrante se era di provenienza locale e cittadino americano anglofono. Era già, nel complesso, ben riuscito negli affari, socialmente radicato anche se non totalmente integrato, e non aveva un'altra madre patria a cui riferirsi con nostalgia o da usare come metro di paragone. Non era un estraneo in quanto appartenente ad un Ebraismo di altri tempi, di altri luoghi. La difficoltà immediata di acclimatarsi era stata superata.[1]
Si potrebbe pensare che nel processo di acculturazione e assimilazione non ci sia più posto per parlare di una voce ebraica distintiva sulla scena americana. Invece, negli anni '40, e certamente nei decenni successivi, questa voce ebraica si sente e viene sempre più accettata come norma. La terminologia ebraica, eccetto alcune occasioni di significati speciali, non viene più spiegata al lettore. Lo yiddish entra a far parte del linguaggio americano, e l'ebreo tipico con le relative implicazioni culturali, sociali e storiche viene assunto come parte della scena. Saul Bellow non deve tradursi come faceva Abraham Cahan (1860–1951). E l'ebreo non vien visto ai margini della società, mentre cerca di inserirsi. In molti modi esemplifica la società in cui vive, e la letteratura ebrea è peculiarmente letteratura americana. Nel romanzo di William Styron (statunitense non ebreo) intitolato Sophie's Choice (La scelta di Sophie) (1976), ambientato nell'immediato dopoguerra, uno dei personaggi principali, Nathan Landau, predice una moda letteraria ebraica emergente come predominante tra i vari generi regionali o etnici. Afferma che la prima indicazione di ciò sia la pubblicazione di Dangling Man (L'uomo in bilico) di Saul Bellow, nel 1944.[2][1]
Con lo spostamento dell'ebreo dalla periferia al centro, e la sua rappresentazione senza le sue caratteristiche più peculiari in termini di lingua, fede religiosa, affiliazioni etniche e legami sociali, la definizione di letteratura ebraica diventa ancora una volta problematica. Il problema in verità fa parte della definizione. Gli scrittori che verranno discussi qui, vedono l'ebreo, o l'Io o la "persona" in molti modi differenti. Il personaggio di un romanzo, o il narratore, o l'autore che sta nello sfondo, potrebbe non essere ebreo in un senso particolare e ovvio, ed il creatore potrebbe ribellarsi strenuamente a tale etichetta restrittiva. Tuttavia ci sono caratteristiche ebraiche del tutto inconfondibili, anche se velate. L'ebreo può apparire sotto differenti spoglie nell'unico romanzo di Trilling, o come vittima costante e involontaria nei racconti di Malamud, rappresentato come residente inquieto da Bellow, come irrimediabile neurotico da Philip Roth. Questi scrittori pare si vedano tutti generalmente americani piuttosto che specificamente ebrei. Cionondimeno, possono essere meglio compresi nell'ambito di un contesto ebraico, che diventa illuminante invece di restrittivo, apportando un'altra dimensione storica che riecheggia esperienze passate. Ma ora questa è letteratura americana media piuttosto che materiale etnico specialistico — viene affermata sia dalla sua pervasività in tutta la cultura e vita americane, sia dal suo successo commerciale.[2]
Lionel Trilling (1905–1975), critico letterario di grande talento, scrisse un unico romanzo, The Middle of the Journey (1947).[3] La storia si svolge attorno al personaggio principale, John Laskell, in convalescenza dopo un caso devastante di scarlattina. John rivive il recente passato ed un suo coinvolgimento con tale Gifford Maxim, già attivista del Partito Comunista; e vive anche nel presente, con gli amici di cui è ospite, i Croom. Il libro si concentra sui comportamenti dei Croom verso la defezione di Maxim e verso la trascorsa malattia di Laskell. I presupposti dei Croom, dei loro amici e associati, e del personaggio principale, Laskell, sono progressivi. Sebbene essi non fossero membri del Partito, e nemmeno "Fellow Travellers" (Compagni di Viaggio),[4] furono e rimangono fortemente simpatizzanti degli obiettivi del Partito e considerano la defezione di Maxim un tradimento imperdonabile. Maxim era stato colui che li aveva influenzati e coinvolti, pertanto la sua defezione compromette la base delle loro attività passate e della loro posizione presente. Ma forse i Croom non riescono a confrontarsi con la negatività, o anche la semplice realtà della vita, come i processi di Mosca, la malattia di Laskell e l'evento della morte. Il romanzo, ambientato nei tardi anni '30, descrive la mentalità di moda all'epoca: "La gente di mente liberale capiva che la convinzione del dominio del Partito Comunista in America da parte di Mosca era stata creata dalla Stampa reazionaria, e ci ridevano sopra." Il puzzle per il lettore contemporaneo è come potessero persone istruite e di buona volontà associarsi ad una tale ideologia disgustosa. Ma, secondo l'interpretazione di Maxim, questi facevano parte del "settore alienato della borghesia", che sono dissociati, discordanti, sradicati e, naturalmente, in un contesto contemporaneo, sproporzionatamente ebrei.[5]
Appropriatamente, per un ammiratore di E. M. Forster come era Trilling, il suo romanzo abbonda di osservazioni morali in merito alle azioni dei personaggi, come anche di epiloghi melodrammatici. La bimba dell'ammirato factotum, Duck Caldwell, muore dopo che questi l'ha picchiata. Chi è responsabile? Laskell è stato complice nell'accaduto, come piacerebbe a Maxim, un tempo killer professionale? Il moralista necessita di compagnia nella colpa. Dice: "Mi toglierò dal sistema ammettendo la mia colpa". Ognuno è responsabile delle conseguenze delle proprie azioni, asserisce. Ma, a differenza del Comunismo, la sua nuova fede, il Cristianesimo ammette un elemento di pietà. È corretta la sua caratterizzazione? La sua è una moralità da leader, che assegna e accetta responsabilità, e quella dei Croom una responsabilità etica di massa? E qual è la posizione di Laskell in tutto ciò? Ha accettato il comportamento implicito prevalente, liberale sebbene non totalmente impegnato nel cambiamento. E anche lui era inorridito dal voltafaccia di Maxim.[5]
È Laskell che sta al centro del libro e del suo mistero. Come molti altri personaggi, anche lui sembra sradicato da una convincente realtà sociale. È neutro etnicamente e umanista religiosamente. Quanto a ingenuità, potrebbe comprovare la tesi che uno scettico crede in nulla — piuttosto che nel nulla, è capace di credere in qualsiasi cosa. Persino un candidato improbabile come il Comunismo sovietico fa ricorso a totalitarismo. L'esperienza dell'ebreo in America lo porta, tra l'altro, al comunismo, come abbiamo visto in altri contesti. Ma questo è un romanzo che non si basa su un'esperienza etnica o specifica, pertanto sia le predilezioni e tendenze dei personaggi, sia lo sviluppo della trama sembrano eccentrici ed arbitrari. Il critico Leslie Fiedler sostiene che Trilling cercasse di scrivere "la storia dell'attrazione del comunismo e la disillusione che ne consegue." Un tema molto vasto ed importante. Ma un romanzo richiede una differente trattazione dal discorso erudito e deve essere rivestito di una realtà umana e sociale in carne ed ossa. Gran parte di questa attrazione, e probabilmente lo sfondo dei rispettivi eventi, si applicava ampiamente agli ebrei. Qui il contesto viene generalizzato in un americamismo irriconoscibile, e quindi il romanzo perde gran parte del suo potenziale realizzabile. Forster è stato trasferito in altro ambiente, ma non uno sufficientemente concreto nonostante la veste attraente datagli dal talento di Trilling.[3]
Saul Bellow (1915-2005) è uno scrittore virtuoso, premio Nobel nel 1976, rinomato innovatore stilistico e linguistico nella pletora di romanzieri ebrei.[6] Il suo Dangling Man (L'uomo in bilico) (1944) dà il tono a tutta la sua produzione successiva e presenta l'eroe che apparirà regolarmente nelle sue opere. In una carriera letteraria che si estende per oltre sessanta anni, tale eroe invecchia ma manifesta sempre le stesse caratteristiche. Ogni romanzo viene costruito in gran parte intorno ad un particolare individuo, che cerca di ritrovarsi interiormente e definire il proprio carattere per il mondo esterno. Il primo romanzo di Bellow è scritto in forma di diario, in modo da permettersi il lusso dell'introspezione. E tale introspezione è una componente maggiore delle storie di Bellow, che dà voce alla sua opposizione alla tradizione della moderazione raffinata. Infatti l'autore dà pieno sfogo ai propri sentimenti, sebbene ciò venga mitigato da flashback. Anche un'indulgenza eccessiva è modificata dall'intervento di altre voci.[7] Una prosa agile e confessionale evidenzia gli umori del diarista, Joseph, in bilico tra aspettativa (sta aspettando la sua chiamata alle armi, e nel frattempo ha rinunciato al proprio impiego) e disperazione per la sua condizione di parassitismo. L'uomo in bilico è appunto marginale, non soddisfando nessuna funzione utile alla società. Sebbene vediamo Joseph lunatico, amareggiato, astioso, lo scorgiamo anche come viene visto dagli altri e in contrapposizione ad un Joseph più vivace e più sano dell'anno prima.[8] Mala sua situazione angosciosa gli permette di esaminarsi entrando in un situazione estrema. E si sposta in un'altra estremità, preparandosi ad entrare in guerra come arruolato: "Essere spinti interamente su se stessi, mette in dubbio i fatti di un'esistenza semplice. Forse la guerra mi potrà insegnare con la violenza ciò che non sono stato capace di imparare durante quei mesi nella stanza." Ecco quindi l'individuo prima sbattuto contro le proprie risorse, e poi gettato nella cella della restrizione. La libertà ed il suo opposto possono identificare l'individuo: "Viva la regimentazione", conclude.[8]
Molti aspetti biografici esterni degli eroi di Bellow ricorrono in storie successive. Le relazioni famigliari riecheggiano una sull'altra. L'eroe corpulento, emotivo ed instabile, con una successione di mogli, il suo fratello ricco, suo padre, dominante e di successo. Herzog (1964) parla di un uomo in crisi, che esordia dicendo: "Se sono fuori di testa, non mi preoccupo".[9] Qui Herzog è al centro del romanzo, che manipola le emozioni di tutti mediante un flusso interminabile di lettere, per lo più non spedite. Scrive a mezzo mondo, ad amici, conoscenze, altri studiosi, grandi personaggi storici, e a Dio. Al momento sta per divorziarsi ancora una volta e si ricorda degli altri rapporti, mentre comincia a pensare ad una nuova relazione permanente, cioè ad un altro matrimonio. Finora è stato incapace di trovare stabilità e concentrazione nella propria vita personale e nella sua carriera accademica. Il lettore tuttavia può rendersi conto del dinamismo delle sue relazioni e dei brillanti risultati della sua ricerca accademica e del successo della sua produzione letteraria. Ma a questo punto della sua vita, Herzog cerca qualcosa di più, incapsulata nella nozione di tranquillità. L'individuo turbolento deve veniere a patti con se stesso e con il mondo. Per Herzog questo plateau supremo è raggiunto nella condizione di non scrivere più lettere: "Niente. Non una sola parola", si conclude il romanzo.[9]
Il romanzo di Bellow arriva tipicamente ad una risoluzione. La complessità intellettuale ed emotiva si sforza di trovare una direzione tra i mari mossi dell'angst. Herzog è l'investigazione dettagliata di uno stato mentale. La sua profonda erudizione si collega alla sua vita. Studia le connessioni tra Romanticismo e Cristianesimo e si vede posto in un contesto postcristiano, postumanista di "nulla". Herzog, sostiene Bellow, fa parte di "un progetto collettivo, egli stesso partecipante, per distruggere la sua vanità e le sue pretese di una vita personale, cosicché si possa disintegrare e soffrire e odiare, come tanti altri, non qualcosa di specialmente distinto come una croce, ma giù nel fango della dissoluzione postrinascimentale, postumanista, postcartesiana, accanto al Vuoto." Tale è l'essenza dell'uomo contemporaneo come nichilista, che non crede in niente, incapace (nel proprio caso) di ritornare nell'inviluppo confortevole della vetusta heim ebraica, al di là delle estasi e ottimismi che fioriscono nella storia che ha investigato. Quanto alla vita intorno a lui, sebbene venga invitato a partecipare a positivi esercizi di vita dinamica, come nel caso della sua splendida nuova fidanzata Ramona, non riesce ad accettare tali inviti. Deve distruggere il terreno di qualsiasi esistenza apparentemente solida. Il solido è illusorio. Herzog, uomo di mezza età, deve uccidere il drago dell'illusione, per poter trovare la pepita della verità genuina: "la mia sofferenza, se mi è consentito parlarne, è spesso stata una forma di vita più estesa, una ricerca di vigilanza vera come antidoto all'illusione." Si porta appresso la propria autodistruzione: "Ma alcuni sono in guerra con le cose migliori della vita e le pervertono in fantasie e sogni." La sua storia delinea "come mi sollevai da umili origini fino ad arrivare ad un disastro completo."[9]
La risoluzione che Herzog sembra trovare alla fine del romanzo potrebbe essere, in base ai suoi termini, falsa o temporanea. La sua turbolenza è circolare, e deve fermarsi di botto se non può avanzare. Mr Sammler's Planet (Il pianeta di Mr. Sammler) (1970) porta la storia un passo avanti.[10] Qui l'eroe, Mr Sammler, è anziano, avendo oltrepassato i settanta anni. Trascorsi i conflitti, l'ambizione ed i successi, può ora rilassarsi e ritornare col pensiero a ciò che ha fatto e allo stato del mondo in cui ora si trova. Il suo "pianeta" è ben distante da dove vive attualmente, in una New York vandalizzata, incivile, dove il crimine imperversa. Essendo di origini polacche, il suo pianeta è l'Europa, dove enunciava un codice di comportamento e di etica. Gran parte del fulcro del romanzo è nella contrapposizione tra la vitalità degradata della città e il pianeta proprio di Mr Sammler. La gioventù ha una potenza sessuale "reale". Viene invitato a fare una lezione pubblica alla Columbia University sull'Inghilterra che egli aveva conosciuto tra le due guerre. Il suo idealismo maturo derivava da quel periodo e dai personaggi della Londra letteraria — il Bloomsbury Group e, più particolarmente, H. G. Wells. Avevano offerto un senso di ottimismo, la visione di una civiltà futura in un mondo postreligioso. Ma tale visione era collassata con l'Olocausto seguito poco dopo. La New York d'oggi porta le cicatrici della distruzione piuttosto che quelle della speranza, e Mr Sammler non ha rilievo attuale. Nel corso della sua lezione, viene interrotto da uno studente sfacciato che si rivolge al pubblico giovane esclamando di non ascoltare il vecchio: "le sue palle sono secche". Poi un borsaiolo di colore, che Sammler scopre nell'atto, gli mostra il suo enorme membro. Ciò di per sé, è l'implicazione, dovrebbe bastare ad ispirare rispetto e terrore nella New York odierna. Sammler pertanto può solo vedersi attraverso gli occhi degli altri come "un vestigio, una coscienza ospite a cui capita di risiedere in una stanza della West Side."[10]
Il carattere vestigio di Sammler è rappresentato dalla modalità della sua sopravvivenza. Doveva essere morto ammazzato in una fossa comune scavata dalle vittime stesse nella Polonia della guerra. La sua fuga inverosimile enfatizza la sua mancanza di identificazione col nuovo mondo. Ora egli è soltanto un simbolo: "Mr Sammler aveva un carattere simbolico. Egli, personalmente, era un simbolo. I suoi amici e la sua famiglia lo avevano fatto giudice e sacerdote. E di cosa era simbolo? Non lo sapeva. Forse perché era sopravvissuto? Ma neanche questo aveva fatto, perché così tanto della propria persona precedente era scomparsa. Non sopravviveva, durava solo." Il mondo di Wells non è sopravvissuto. Wells aveva creduto "nell'umanesismo scientifico, nella fede in un futuro emancipato, nella benevolenza attiva, nella ragione, nella civiltà. Idee non popolari al momento." Un umanesimo genuino viene espresso dal suo parente, Elya Gruner, medico chirurgo e suo benefattore, geniore della sessuale Angela e di un figlio pazzo, entrambi in avida attesa di ereditare i soldi del padre. Ma Gruner ha un'esistenza molto precaria ed è in punto di morte in gran parte della storia. Il punto culminante del romanzo arriva appunto quando Gruner muore e Sammler si esamina, apprezzando profondamente Gruner come uno che ha "rispettato con successo i termini del proprio contratto". Ecco cosa significa essere veramente umani. Qui Bellow raggiunge vette espressive straordinarie, nel suo tentativo di distillare l'essenza della vicenda umana. Noi tutti conosciamo i termini del nostro contratto, e dobbiamo cercare di rispettarli. Il romanzo è un diario dell'impegno dell'individuo di trovare se stesso, attraverso i propri bisogni e le proprie sconfitte, rassegnandosi alla propria vera natura.[10][7]
Sia l'esperienza internazionale che il pensiero europeo avevano influenzato la letteratura americana in direzione dell'esistenzialismo, cioè una percezione dell'uomo tramite situazioni estreme. L'uomo crea se stesso in una situazione; questo è ciò che significa esistere. E nessuna esperienza è più estrema ed ultima della morte. Poiché la morte è al di là dell'esperienza, è attraverso le ombre della morte, la conoscenza della morte a venire, che l'uomo riesce a trovare la sua natura esistenziale. Nessuno è stato più assiduo nel coltivare l'uomo esistenziale nella letteratura di Norman Mailer (1923-2007). Il tono gli viene dato dal soggetto del suo primo romanzo, The Naked and the Dead (Il nudo e il morto) (1948): "In tutta la nave, in tutta la flotta, c'era la consapevolezza che in poche ore alcuni di loro sarebbero morti." Nello schema di Mailer, niente può raffinare e definire il conscio più della morte.[11][12]
Sempre più nel corso degli anni, Mailer è passato dalla narrativa al giornalismo. Per poter trovare l'eroe ai limiti dell'esperienza, ha quindi scarsa necessità di inventarsi le situazioni. Può invece unirsi alla marce di protesta per problemi conflittuali ed importanti, o scrivere di criminali e grandi progetti. E l'eroe della sua opera non è altri che egli estesso. Negli scritti successivi Mailer a volte si inserisce nella narrazione persino come personaggio "M". Proprio come l'invenzione tendeva a rispecchiare la realtà nei suoi romanzi, ora la realtà si sposta nell'invenzione. Mailer nei panni di "M" è un eroe proiettato nell'azione, un ideale di stile hemingwayano, a cavallo dei confini del mondo come un colosso esistenziale. Non riesce a tenersi sulla via di mezzo, come i comuni mortali devono fare solitamente. Si deve agitare da un polo all'altro: "Tra santo e debosciato, non sembrava esistere via di mezzo per i suoi appetiti" (Advertisements for Myself).[13] Come eroe deve continuare ad esaminare se stesso, poiché ogni risposta presenta nuove domande. Un giudizio etico dell'uomo dinamico viene continuamente dato e riveduto. L'autoscoperta non può essere un passo concluso, ma un processo in corso. Egli, eroe proprio, deve essere messo alla prova. Per Hemingway, le cui opere ammira immensamente, la prova poteva essere la guerra o le corride, esperienze che richiedevano coraggio, devozione, forza e nervi saldi. Per Mailer prove equivalenti devono essere trovate, sebbene più domesticate e più urbane. Divenne una figura pubblica e conferenziere: "Il piacere di parlare in pubblico proveniva dalla sensibilità che offriva: con ogni frase uno era migliore o peggiore, vicino o meno vicino alla promessa esistenziale della verità" (Armies of the Night).[14] Ed il tipo che più elicita la sua ammirazione è colui che è aperto a nuove esperienze e sfide, argento vivo. Nel suo saggio intitolato "The White Negro" (in Advertisements for Myself) spiega le caratteristiche del fricchettone (hipster), l'uomo che sa che il proprio destino è convivere con la morte. Il Nero è più capace dell'uomo bianco a far parte della categoria, perché egli, di sua propria natura e per natura della società bianca, vive in costante pericolo. Quindi è attraente per la nostra generazione. Il pericolo fronteggia il Nero costantemente, pertanto il Nero è l'uomo contemporaneo al suo più tipico, sebbene in extremis. La vita, nonostante le sue brutture, è in realtà eccitante perché pone alternative estreme. L'uomo moderno di successo è colui che è consapevole della natura della società è riesce ad affrontarla. Ecco cosa significa essere "hip" (anticonformista, originale, indipendente, ecc.), come il Nero: "Hip è la sofisticazione del primitivo saggio in una jungla gigantesca", e nella nostra epoca in generale: "Non importano i suoi orrori, il ventesimo secolo è un secolo estremamente eccitante poiché la sua tendenza è di ridurre tutta la vita ad alternative ultime."[12]
Il Mailer come romanziere è alquanto meno convincente del Mailer figura pubblica e giornalista, eroe dei suoi stessi scritti. Come Trilling, provò a trattare dell'esperienza americana del Comunismo in uno dei suoi oprimi romanzi, Barbary Shore.[15] Ma come per The Middle of the Journey di Trilling, lo sfondo sociale del romanzo maileriano non convince, e la trama ancor di meno. Il narrante, Mikey Lovett, ha perso la memoria. Potrebbe essere un veterano di guerra, ma non può, nelle prime fasi della narrazione, ricostruire il suo passato. Affitta una stanza presso un drammaturgo radicale in una casa dilapidata, e la sostanza del romanzo consiste dell'improbabile interazione tra Lovett e gli altri inquilini, McLeod e Hollingsworth. Gli viene chiesto dalla proprietaria, da lui reputata un'amante potenziale, di spiare McLeod, che si scopre non solo vecchio radicale ma anche il di lei marito. In ogni caso, viene investigato da Hollingsworth la cui funzione precisa non è mai chiarita (forse un agente governativo americano?). Il narratore improvvisamente ed inspiegabilmente ricorda di essere stato un trotzkista e che la sua causa era stata tradita proprio da McLeod, che aveva insistito sulla rivoluzione in una sola nazione. Nessuna di queste strane circostanze e personaggi viene spiegato convincentemente o fatto veramente vivere. Ma si può forse comprendere l'attrazione di McLeod per lo scrittore. È un uomo che non solo ha vissuto ai limiti dell'esperienza, pericolosamente ed eccitantemente. Ma aveva anche tenuto in pugno le vite di altri. I comunisti possono sempre indulgere nell'illusione di star giocando un ruolo dialettico necessario nella storia. McLeod ha ucciso e deve accettarne le conseguenze. Tuttavia non può, se è troppo distante dagli eventi successivi. "Raggiunge la conclusione che uccidere proprio figlio è la forma meno riprovevole di omicidio. Poiché se ammazzi un estraneo, non sai nulla di quali vite strappi e che sofferenze provochi. Ma abbatti il tuo marmocchio, ed il costo emotivo è solo tuo. L'omicidio non è niente ma le conseguenze sono tutto."[15] La dottrina qui propagata da McLeod è che tutto è permesso a patto che uno rimanaga in piena luce delle proprie azioni e ne sopporti le conseguenze. Agisci in ogni momento con la tua piena volontà, non importa come possa cambiare. E certamente cambierà, se sei veramente attivo e dinamico. La prima narrativa di Mailer presagisce il successivo esistenzialismo.[12]
In un romanzo successivo, An American Dream, l'autore si concentra sul suo eroe sul punto di un'esperienza ultima.[16] Stephen Pojack, onorevole parlamentare, autore e personalità televisiva, ammazza sua moglie miliardaria e poi tenta il suicidio. Questa situazione lo riporta all'esperienza della guerra quando era spinto ad uccidere. Qual è, si domanda, la differenza tra il Presidente Kennedy (al quale aveva dedicato il suo libro precedente) e se stesso? "La vera differenza tra il Presidente e me stesso era forse che io sono finito con l'apprezzare troppo la luna, poiché ho guardato l'abisso la prima notte che ho ucciso." La distinzione speciale dell'eroe è la sua esperienza personale dell'abisso. Egli stesso si è trovato al margine della vita, in qualche modo non responsabile della morte. Per essere realmente esistenziale, l'uomo deve guardare la morte in faccia e vederla. Pojack ha ucciso. Ora l'espiazione deve essere guadagnata col senso della presenza della morte. Ecco quando la vita ha un vero significato: "La mia religione era senza conforto, ansia delle ansie, poiché credevo in un Dio non dell'amore ma del coraggio. L'amore veniva solo come ricompensa." Per riuscire nell'uccisione e giustificare la propria esistenza, egli deve sfidare la morte. Solo quando abbia sopravvissuto al futuro duello, la vita sarà soddisfacente.[16]
Mailer è rimarchevole non tanto per il calibro della sua scrittura quanto per l'asserzione della propria personalità in una produzione letteraria composita. Rappresenta il modello della nuova forma popolare nota come "faction" (=fact+fiction), un intreccio di eventi pubblici e materiale inventato. Ma sarebbe tutto evanescente senza la persona "M" appostata nello sfondo, che analizza i motivi degli altri e di se stesso. Il suo basarsi su una realtà sociale accettabile è tenua e sposta ancora una volta l'autore ai margini di tale società. Tuttavia, da tal punto in poi questi margini possono diventare il nuovo brillante terreno dell'uomo marginale, il fricchettone, l'esistenzialista. Se scrive come ebreo, Mailer è un ebreo che non è legato al mondo in generale, né ad un contesto ebraico. Ma è proprio questa mancanza di appartenenza che costituisce qui la particolare sorta di eroismo.[12]
È difficile se non impossibile per un autore mantenersi fuori della propria narrativa. Ma mentre Mailer si spinge in avanti, abbandone travestimenti e sceglie un tipo peculiare di eroismo, Bernard Malamud (1914-1986) tende a preferire l'eroe come vittima, malmenato (The Assistant), condannato (The Fixer), sfruttato (The Tenants), parzialmente impotente (Dubin's Lives), di certo sempre infelice, mai totalmente soddisfatto, consapevole che le cose sarebbero potute andare meglio. Questo nella tradizione yiddish, è il tipo chiamato nebbish. Per Malamud, è precisamente questa qualità che rende l'ebreo ebreo, e non deve essere etnicamente ebreo per interpretare un ruolo ebraico. In The Assistant (Il commesso) (1957),[17] per esempio, è proprio il "commesso" non ebreo Frank Alpine, giovane sbandato di origini italiane, che diventa simbolicamente e poi effettivamente il vero ebreo del romanzo. Agli inizi, incontriamo Morris Bober, immigrato ebreo dalla Russia zarista, in notevoli difficoltà — la sua salute è cagionevole e i suoi affari in declino. Il narratore riflette: "Il mondo soffre. Sentiva molto schmerz."[18] Il suo destino è predeterminato, come gli dice sua figlia Helen: "Con quel nome non potevi avere nessun senso di proprietà sicura, come se fosse stato nel tuo sangue e nella tua storia di non possedere o, se per un qualche miracolo possedevi qualcosa, la possedevi precariamente quasi per perderla. Alla fine avevi sassant'anni e possedevi meno di quando avevi trent'anni." E per aumentare la sua sofferenza, viene picchiato in testa e derubato nel suo negozio. Il complice del rapinatore, Frank Alpine, tormentato dal senso di colpa si offre a Bober come commesso senza paga e prende il suo posto quando bober si ammala. Il comportamento di Alpine verso gli ebrei è ambivalente, ma spesso afferma la visione implicita dell'autore: sono nati prigionieri. Vivono per questo, pensa Frank, per soffrire. "E colui che ha più mal di pancia e riesce a resistere di più, senza correre al cesso, è l'ebreo migliore." E aggiunge, "non c'è da meravigliarsi che mi diano sui nervi." Si presume quindi un certo antisemitismo, ma è un antisemitismo che non preclude l'identificazione con la situazione ebraica. Frank si preoccupa degli ebrei, anche perché è molto attratto da Helen. Chiede a Morris perché si consideri ebreo, dato che non osserva il kasherut né vada in sinagoga, o porti il cappello o non lavori durante le festività ebraiche. Morris risponde che essere ebrei significa essere onesti e buoni. Significa anche soffrire per gli altri. Alla fine, Morris muore, e l'eulogia del rabbino asserisce nuovamente valori simili: "Ha sofferto, e ha sopportato, ma con speranza." Soffrire e resistere per soffrire ancora, sembra essere il marchio dell'ebraicità. Frank, dopo la morte di Morris, prende in mano la gestione del negozio e si converte all'Ebraismo, circoncidendosi. Questa esperienza esplica cosa significhi essere ebrei: dolore.[17]
The Assistant espone le considerazioni di un non ebreo sul ruolo degli ebrei. La possibilità di un'inversione di ruoli viene illustrata dalla favola "The Jewbird".[19] Qui un uccello striminzito simile ad un corvo, identificatosi come "Uccello ebreo" (Jewbird) vola dentro l'appartamento dei Cohen, gridando "Gevalt. Un pogrom!"[20] Il Jewbird si chiama Schwartz, e mostra tutte le tipiche caratteristiche dell'ebreo. Impaurito dagli "antiseeemiti", cerca ora rifugio presso i Cohen. Ma Cohen marito, risentito e geloso, vuole sbarazzarsi dell'uccello e, alla fine (replicando l'espiazione del Yom Kippur), lo lancia fuori dalla finestra. Quando il cadaverino viene scoperto, la signora Cohen affermerà che sono stati quegli "antiseeemiti" ad ammazzarlo. Come l'uccello è diventato ebreo, così Cohen è diventato il persecutore antisemita.[21]
E nel romanzo The Fixer (1966), basato sul caso di Menahem Mendel Beilis accusato ingiustamente di omicidio rituale a Kiev nel 1913, la figura di Beilis rappresentata dal personaggio Yaakov Bok, assume la funzione storica dell'ebreo.[22] Dopo aver sofferto povertà e repressione, Yaakov va a risiedere, illegalmente, a Kiev. Ma poco dopo viene accusato di omicidio rituale e quindi arrestato. Voleva liberarsi del suo giogo ebraico, ma come dice al giudice istruttore: "Se gli ebrei non significano nulla per me, come mai sono qui?" Viene forzato a prendere una posizione politica contro la propria volontà, e una posizione ebraica conmtrovoglia. Il romanzo si conclude con Bok in giudizio e, nella scena finale, camminando verso il tribunale, ha un dialogo immaginario con lo Zar. Bok incolpa lo Zar di governare il regime più arretrato e regressivo d'Europa, concludendo con la rinomata frase: "non esiste l'uomo apolitico, in particolare un ebreo apolitico."[22]
Il perdente dei racconti e dei romanzi di Malamud viene rappresentato in varie forme.[23] Arthur Fidelman della serie "Fidelman" è un fallito reo confesso, senza più carriera, vita sentimentale e fortuna.[24] Il personaggio centrale di Dubin's Lives (1979) invece non è un fallito di tipo troppo ovvio, ed il romanzo è una più ravvicinata rappresentazione di realtà vissuta, molto più delle sue altre storie.[25] Il romanzo inizia con due epigrafi:
La prima epigrafe indica la nozione che Dubin a scritto una biografia di Henry Thoreau e inoltre avvisa il lettore delle complessità morali che l'opera affronta. La seconda connette il romanzo ai temi di promiscuità e conflitto spirituale per cui Agostino è famoso. Dubin è quindi un biografo, anche famoso e di successo, avendo vinto un premio proprio dalle mani del Presidente Johnson e proprio per la "vita" di Thoreau. Incontriamo Dubin per la prima volta quando, all'età di 56 anni, è impegnato a scrivere la biografia di D. H. Lawrence. Ma ora sente di star entrando la vecchiaia, ha perso la gioia di vivere, il senso della novità, l'amore per sua moglie. È residualmente ebreo ma sposato con Kitty, una non ebrea, e ha perso qualsiasi percezione di legami ebrei, sebbene venga accennato che tali legami possano essere ristabiliti tramite le lealtà eccentriche e paradossali della figlia. L'impeto principale del romanzo sta nella crescente ossessione di Dubin per una giovane ragazza, Fanny, che viene inizialmente a pulire la casa. Gli fa rinvigorire lussuria e vitalità. Ma non vuole il divorzio. Inizia comunque una relazione con lei e, com'era prevedibile, le conseguenze di questo atto scombussolano la vita di Dubin e invitano il lettore a fare dei paralleli con eventi simili nelle vite degli scrittori di cui Dubin si sta occupando.[25]
Come succede in altri romanzi importanti, il lettore possiede più informazioni su cui basare i propri giudizi sul personaggio principale di quanto non abbia il personaggio stesso, nonostante la notevole sofisticatezza intellettuale di quest'ultimo e la rispettiva introspezione. Dubin, uomo infelice, non riesce infine ad afferrare i meccanismi del suo inconscio. Sebbene Dubin abbia sempre a che fare con le vite di molti, e con gran successo e destrezza, non riesce a comprendere facilmente la propria vita. Come dice di se stesso: "Ho dedicato la vita a scrivere vite." La sua impotenza rappresenta la sua mancanza di vitalità. Si sente in balia della depressione: "Aveva paura della malattia, dell'immobilità; la disgrazia della morte."[25] Malamud descrive con grande virtuosità la malinconia dell'invecchiare consapevolmente. Forse la descrive meglio dello stesso discorso di Dubin, che è letterario, involuto e falsato. Tuttavia la frase seguente gli fa rimpiangere le opportunità perdute senza offrire una compensazione alternativa nel futuro: "La mezza età, pensava, è quando paghi per ciò che non hai avuto o non hai potuto fare quando eri giovane."[25][23]
A differenza di Bellow, la cui opera complessiva è una sorta di autoritratto continuativo in prosa confessionale, Malamud ha variato la sua modalità di scrittura nel corso degli anni. Ha prodotto racconti sportivi, favole, narrativa storica e drammi isolati. Dubin's Lives è il più naturalistico dei suoi romanzi. Ma tramite tutte le sue modalità di scrittura, l'eroe tipico di Malamud ha mantenuto il suo carattere originale — malinconico, pessimista, basilarmente sfortunato. E l'ebraicità del personaggio non dipende dalla sua origine etnica o milieu sociale. La sua ebraicità è piuttosto la sua funzione nel mondo.[23]
Più di Trilling, Bellow, Mailer e Malamud, Philip Roth (n. 1933) presenta al lettore il vero tessuto della vita ebraica contemporanea in America. Mentre Malamud ha reso l'ebreo un mito funzionale e Bellow vede l'ebreo come un estraneo istruito ed un osservatore della società urbana, Roth cerca di dipingere un quadro dall'interno, suggerendo ciò che si prova a crescere come ebreo nella società americana, come anche essere ebreo nel mondo in generale. Tale quadro ha implicazioni metafisiche, ideologiche e sociali, ma perlomeno tenta di rappresentare i contenuti di vita in superficie, come percepiti dal narratore.[26]
Ed il narratore è di solito un partecipante attivo della storia. Non c'è distaccamento dall'azione, ma ne si è coinvolti direttamente. Nelle opere più di successo di Roth, le esperienze proprie dell'autore creano la storia e ne coloriscono la foggia. Quando Roth parla della propria vita e proprie passioni, la forza di questa esperienza si comunica vividamente. Quando invece tenta una descrizione della più vasta società americana e cerca di simpatizzare con una situazione al di là delle sue passioni se non della sua comprensione, l'effetto fallisce. Ciò accade in When She was Good (1967),[27] che ripete interminabilmente la proposizione implicita inizialmente nei dettagli della storia. Il romanzo non prende, forse perché l'azione non è generata dallo sviluppo dei personaggi.[26]
Roth si fece conoscere con una raccolta di racconti, Goodbye Columbus (1959), che vinse il National Book Award nel 1960 ed il Daroff Award of the Jewish Book Council of America.[28] Lo scrittore è particolarmente virtuoso ed apprezzato nel genere del racconto o novella, dove il personaggio non deve essere sviluppato troppo a lungo. Qui, rispecchiando le giovani preoccupazione dell'autore, riconosciamo l'opposizione da parte del narrante contro la linea ufficiale promulgata da una figura dell'establishment. Nel racconto The Conversion of the Jews, il giovane Ozzie contesta il suo rabbino/insegnante. "Ozzie sospettava che avesse memorizzato le preghiere e si fosse completamente dimenticato di Dio", e poi gli dice direttamente: "Lei non sa nulla di Dio". Il giovane, cercando la verità, non riesce a sopportare l'ipocrisia e la finzione in coloro che lo dovrebbero guidare nella vita. Nella sua ricerca religiosa, Ozzie rifiuta quella disciplina che richiede ubbidienza. Riesce a farsi promettere da tutte le autorità di "non maltrattare nessuno riguardo a Dio".[28]
Ma la storia di Eli, the Fanatic è più ambivalente e sottile. L'avvocato Eli Peeke rappresenta una comunità che si risente dell'intrusione di una certa Accademia Talmudica nel vicinato di alta borghesia. Gli viene chiesto di persuadere il direttore, Leo Tzuref, a trasferire l'Accademia in un altro quartiere. Stranemente, tuttavia, Eli man mano assume le caratteristiche esterne di Tzuref, venendo ad indossare persino gli idumenti tradizionali ebraici dell'Europa orientale. Questa non è solo simpatia/empatia, ma un'autoidentificazione totale. Nella sua disputa legale, diventa l'ebreo archetipico e viene a sua volta rifiutato come pazzo dai membri della comunità locale da cui era stato ingaggiato. La personalità, come implica l'etimologia della parola, è forse una maschera che copre l'identità, qualcosa che può essere adottata o scambiata? Ci spostiamo dentro e fuori dai ruoli interpretati, ed è questo che significa essere ebrei? Il racconto è troppo misterioso per imporre la propria risposta, e vengono proposte varie interpretazioni. Anche il ruolo di avvocato è ambiguo: rappresenta e quindi si identifica con chiunque per una parcella. Ma ora, alla fine della storia, la nerezza (il nero degli indumenti ebreo-ortodossi tipici) ha penetrato la sua anima irrevocabilmente. Ha finito di essere meramente un avvocato, un pupazzo, e si è plasmato in una forma. La comunità non riesce a confrontarsi con qualcosa di negativo, di "nero", e preferisce vivere in superficie, una piacevole superficie borghese. Ciò nonostante, questo nerume è una realtà, una realtà proprio ebraica. Riconoscendolo, Eli si rinchiude in una identità ebraica genuina, associata ad un destino determinato dalla storia, ed è quindi, nell'ambito del titolo e delle osservazioni della comunità, un "fanatico".[28]
Una collocazione ebraica riconoscibile si identifica nel romanzo Portnoy's Complaint (1969), che si svolge nei ricordi di Alexander Portnoy, un ebreo americano, mentre giace sul divano del suo psicanalista, il dottor Spielvogel, prima che quest'ultimo inizi la terapia prevista. Divertente, ironico, nevrotico ed erotomane, il personaggio si ritrova alle soglie della mezza età e vuole rivisitare la propria vita ed esaminare le proprie radici.[29] Questo scenario tipicamente americano fornisce un contesto adeguato, considerando anche l'epoca particolarmente "rivoluzionaria" (anni '60, hippies, Vietnam, Beatles, ecc.). Il materiale del libro è infatti senza censure, come è del resto opportuno in un esercizio psicoanalitico il cui obiettivo è catartico. Ma il romanzo deve essere visto in una prospettiva di ironia comica, producendo stereotipi di carattere, azione e atteggiamenti. Portnoy è tipico della gioventù ribelle, di successo materialmente e socialmente, ma che rifiuta l'imposizione di comportamenti restrittivi da parte della società ebraica. La madre è oltremodo protettiva, onnipresente, soffocante. Il padre è stitico, letteralmente e metaforicamente, incapace di relazionarsi al figlio o influenzarlo. E questa è, insinua l'eroe, quella che passa per vita ebraica nel mondo contemporaneo. È un ambiente vuoto spiritualmente, ossessionato dalla ricerca di status, reputazione e fama. Il romanzo, suddiviso in sette capitoli dai titoli alquanto esilaranti ("Seghe" e "Figomania" si intitolano nella traduzione italiana rispettivamente il secondo e il quarto), ha come filo conduttore l'alternanza dei piani temporali prodotta dalla rievocazione memoriale del protagonista-narratore: ricordandosi della propria casa, per esempio, pensa che sia sempre stata come una prigione invece di un rifugio. Il suo solo punto di ritiro è il bagno, la ritirata appunto, dove può chiudere la porta a chiave e cercare piacere in privato, nell'onanismo. Ecco la strada della liberazione: "Furiosamente, afferro il mio ariete malconcio verso la libertà."[29]
Portnoy è un adulto (ha 33 anni) non cresciuto. Ha bisogno dell'analisi per aprirsi, perché è ancora incatenato a sua madre:
Non riesce a sposarsi, perché non vede la donna come pari, ma solo come mezzo per sfogarsi privatamente. Non si è maturato, anche perché i suoi genitori stanno ancora con lui. E quindi si è congelato in un comportamento infantile: "Cristo santo, un uomo ebreo con i propri genitori ancora vivi è un ragazzino di quindici anni, e rimarrà un quindicenne finché non moriranno." Poi in seguito si corregge: "Un uomo ebreo con i genitori ancora vivi è per metà del tempo un bambino inerme." Ciò che vuole, come dice al dottore, è di rimettere l'Id nello yid." Con "Id" presumibilmente intende una scala verso la matuirità. Il bambino non riesce a distinguire il suo ego dal resto del mondo. Il processo di maturazione estrae l'ego in un compartimento separato, da cui si può attingere il residuo di sentimenti primordiali. Portnoy non ha passato la fase dell'ego. Per esemplificare ciò, egli riesce a conquistare le donne americane con una certa facilità. Queste donne gli sono inferiori e quindi eseguono semplicemente funzioni sessuali. Tuttavia, in Israele le donne sono aggressivamente "liberate", alla pari, e Portnoy non può relazionarci sessualmente. Naomi la kibbutznik gli dice: "Non sei altro che un ebreo che odia se stesso." Alla faccia di tutta la sua prestanza sessuale, pare proprio che sua madre lo abbia castrato.[29] In questo romanzo, come in tante altre versioni diasporiche di Israele, l'israeliano è visto paradossalmente come l'ebreo inverso. È paradossale perché Israele aspira a creare l'ebreo più completo, l'ebreo senza vincoli debilitanti, come lo postulava Rosenzweig. Ma il mito dell'ebreo come figura essenzialmente diasporica che emerge da condizioni locali in una situazione minoritaria, va bene per Portnoy. Cerca tipicamente di strapparsi via i ceppi ed entrare nel mondo degli adulti. Philip Roth ha raggiunto la fama scolpendo versioni ed interpretazioni dell'ebreo sociale nell'America contemporanea, usando spesso un'sarcasmo ed un sense of humour spassosi e peculiarmente ebraici, appunto.[29][26]
Molti potrebbero chiedersi se la definizione sintetizzante "ebraico/ebreo" possa essere genuinamente attribuita ad uno qualsiasi degli scrittori sin qui descritti nel capitolo. Sebbene possano essere etnicamente ebrei, come anche lo potrebbero essere i loro personaggi, non vengono proposte problematiche ebraiche e non proclamano messaggi di ebraismo. Questa posizione però limiterebbe la letteratura ebraica allo scrivere in merito all'Ebraismo — come religione o sistema etico e legale, e non terrebbe conto delle sottigliezze e variazioni del significato ebraico e delle rispettive implicazioni nel mondo moderno. È proprio di questa camicia di forza che abbiamo qui cercato di sbarazzarci. Tuttavia è veramente rimarchevole che così pochi scrittori indiscutibilmente ebrei provino veramente a fare i conti con una qualsiasi forma di Ebraismo, in modo storico, religioso o culturale — in senso etnico o sociale. Tuttavia, Chaim Potok (1929–2002) è uno dei pochi che tenta di presentare un'interpretazione dell'Ebraismo visto da diverse prospettive.[30]
L'Ebraismo in conflitto non è un tema nuova in letteratura. La tradizione è spesso stata esplicitata in termini dialettici, specialmente da scrittori cresciuti in un milieu tradizionale che poi hanno abbandonato l'ambiente ortodosso. Esiste una forte letteratura yiddish che rappresenta una tendenza secolarizzante. Sulla scena moderna contemporanea, il premio Nobel 1978, Isaac Bashevis Singer (1904-1991) ha tentato di illustrare il mondo moderno coi suoi conflitti interni e le sue ramificazioni, particolarmente nelle sue serie The Manor e The Estate, in cui segue le vicende di certe famiglie ebree, in stile naturalista e spesso autobiografico. Quella di Singer è infatti una narrativa realistica, intessuta di dinamiche storiche e sociali che vengono vividamente rievocate. Singer pone attenzione alla trama ed al mondo interiore dei personaggi, mettendone in luce i travagli e le debolezze, i loro desideri di gloria ed il loro bisogno d'amore, il problema dell'identità in lotta tra un sistema di valori tradizionali e l'inesorabile processo di secolarizzazione e di assimilazione del popolo ebraico alla cultura dominante. Come scrittore, Singer considerava il proprio ruolo marginalmente influente: "Gli scrittori possono stimolare la mente, ma non possono dirigerla. Il tempo cambia le cose, Dio cambia le cose, i dittatori cambiano le cose, ma gli scrittori non possono cambiare nulla".[31] Anche Chaim Grade (1910-1982) ha descritto il mondo tradizionale in conflitto. Per esempio, il suo Di Agune (1961), in yiddish, contrappone le forze che aderiscono alla più stretta interpretazione della legge ebraica contro quelle di tendenza liberalizzante o quelle soggette ad altre forze diverse.[32] Non solo troviamo disaccordo intellettuale e conflitto tra fede e ragione, ma anche tra disciplina ed istinto. Ma tale materiale costituiva il fondamento di certi temi presenti nel XIX secolo, quando altri venti iniziarono a soffiare nel mondo ebraico. I valori potevano allora essere confrontati e contrapposti man mano che le influenze straniere si facevano sentire. L'Illuminismo fu una forza potente, ed il conflitto che risultò dal suo contatto fu espresso in svariati libri, come quello autobiografico di Moshe Leib Lilienblum, Ḥaṭṭot Ne`urim del 1876.[33]
Tuttavia, mentre la linea illuminista contesta il pensiero tradizionale, Potok lo vedi in temini empatici, che siano comprensibili all'estraneo, "a chi viene dal difuori". Nei suoi romanzi, l'Ebraismo americano più rigoroso viene contestato sia da fonti alternative di verità, sia dalla forma "Conservatrice" di Ebraismo, che permette ed incoraggia l'uso della ricerca scientifica, vicino in certo modo al pensiero maimonideo. The Chosen ed il suo seguito, The Promise, sono presentati dal punto di vista del figlio di un insegnante talmudico moderno, Malter, in un sobborgo ortodosso di New York.[34] Un'amicizia sorprendente viene cementata dopo una partita di baseball con una scuola chassidica, quando Danny Saunders, il lanciatore, quasi cava un occhio a Malter. Danny è indicato come successore di suo padre, il Rebbe della setta chassidica. Ma mostra talenti in varie direzioni e non riesce a limitare i suoi orizzonti esclusivamente al mondo talmudico. Malter, di estrazione più liberale, vuole laurearsi in filosofia e inoltre ricevere l'ordinazione al rabbinato. The Chosen copre il periodo delle medie e del liceo, fino al primo anno di università, e presenta ambienti contrastanti e famiglie divergenti. The Promise continua la storia, sviluppando le rispettive carriere. I titoli dei due libri indicano i temi trattati. Il primo riguarda i due personaggi nelle proprie scelte, mentre il secondo indica le opzioni che hanno accettato. Se sono scelti da Dio, come lo sono tutti gli ebrei nell'interpretazione della tradizione, l'individuo deve reciprocare affinché il dialogo uomo-Dio possa avvenire.[34]
Sia Danny che Malter devono affrontare il conflitto. Danny deve uscire dal suo contesto rigidamente circoscritto con le relative aspettative ben definite nei suoi riguardi, onde poter essere veramente se stesso. Inizia a divorare tenacemente tutte le possibili informazioni secolari, del mondo esterno, ma alla fine rimane nel suo ambiente e continua a pensare come un chassid. Malter, anch'egli un brillante studente, viene incoraggiato a diversificare i propri interessi, ma aspira al cuore della tradizione e vuole ricevere l'ordinazione rabbinica dal fanatico Rav Kalman, arrivato recentemente dall'Europa. Kalman è strenuamente opposto al metodo scolastico di Malter nella maniera applicata al Talmud: "Da che parte stai? Stai col vero Yiddishkeit, o stai un po' nel percorso di Gordon?" La domanda posta da Kalman a Malter si riferisce alle nozioni "eretiche sull'Ebraismo promosse all'amico di quest'ultimo, il Professor Gordon, in cui il fondamentalismo è rifiutato. Sia Danny che Malter in modi differenti vogliono restare in entrambi i mondi totalmente ed incondizionatamente, rimanere completamente dediti all'Ebraismo ma anche familiarizzarsi con ogni aspetto del pensiero contemporaneo.[34]
Questi romanzi, come anche successive opere di Potok, presentano una sintesi di mondi. La psicologia degli individui e le relazioni famigliari vengono abilmente intrecciate col conflitto. Sebbene quella di Potok non sia la più grande letteratura ebraica contemporanea, e non abbia l'estro e la genialità, l'humour e l'immaginazione di alcuni degli scrittori qui già presentati, tuttavia riesce a creare una consapevolezza di problematiche ebraiche per un pubblico contemporaneo in maniera gradevole.[34] In conclusione, esiste un'atmosfera a volte monotona e invariabilmente malinconica in romanzi che si leggono come se volessero a tutti i costi illustrare una tesi, piuttosto che essere trasportati dall vitalità dei personaggi e della trama. E sono anche romanzi di idee piuttosto che di personaggi in azione, sebbene aspirino ad essere entrambi. Ma l'opera ebraica in questo contesto sociale è pur sempre una riaffermazione importante di un conflitto perenne già illuminato da letteratura precedente. È letteratura avvincente, si legge con piacere e possiede un accento americano unico.[30]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ 1,0 1,1 1,2 Per le notizie generali e la valutazione critica complessiva si vedano Stephen H. Norwood e Eunice G. Pollack (curatori), Encyclopedia of American Jewish history, 2 voll., 2007.
- ↑ 2,0 2,1 Guido Fink, Storia della letteratura americana: Dai canti dei pellerossa a Philip Roth, Rizzoli, 2013, ss.vv.; si vedano anche L. Briasco e M. Carratello (curatori), La letteratura americana dal 1900 a oggi, Einaudi, 2011, passim; Hana Wirth-Nesher & Michael P. Kramer (curatori), The Cambridge Companion to Jewish American Literature, Cambridge University Press, 2003, Introd. & pp. 221-230 e ss.vv.
- ↑ 3,0 3,1 Laureato alla Columbia University, Lionel Trilling vi rimase come uno dei suoi insegnanti più importanti e rappresentativi. Con la moglie Diana Rubin Trilling (1905-1996) era uno di quegli intellettuali newyorchesi che facevano gruppo e opinione, se non discussioni sulle maggiori riviste cittadine, alla Columbia e al City College di New York. In particolare Trilling scrisse per 40 anni sulla Partisan Review. Nonostante il successo delle due novelle Of This Time, of That Place (1943) e The Other Margaret (1945) e del romanzo The Middle of the Journey (1947), apprezzati a suo tempo e anche dopo, il suo vero mestiere divenne quello di critico, soprattutto della prosa sua contemporanea. I suoi saggi critici sono ancora stimati tra i migliori prodotti dalla critica americana. Cfr. Alexander Bloom, Prodigal Sons: The New York Intellectuals & Their World, Oxford University Press, 1986; Mark Krupnick, Lionel Trilling and the Fate of Cultural Criticism, Northwestern University Press, 1986.
- ↑ In alcuni contesti politici, "compagno di viaggio" si riferisce alla persona che simpatizza con l'ideologia e convinzioni di un'organizzazione, in particolare con una tendenza politica estremista, ma senza appartenere ad essa. La frase deve essere intesa a descrivere le persone che "camminano parte del cammino" con una organizzazione, pur senza assumerne un impegno ideologico consapevole. Dalla rivoluzione russa, in quello che più tardi divenne noto come Partito Comunista dell'Unione Sovietica, il termine è stato di solito usato per riferirsi a un simpatizzante del comunismo o di stati comunisti, ma senza esserne in alcun modo affiliato. Cfr. David Caute, The Fellow-travellers: Intellectual Friends of Communism, 1988, p. 2.
- ↑ 5,0 5,1 Lionel Trilling, The Middle of the Journey, Scribner, 1947/1976, pp. 41-45, 76-80 & passim.
- ↑ Saul Bellow fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1976 con la motivazione "Per la comprensione umana e la sottile analisi della cultura contemporanea che sono combinate nel suo lavoro".
- ↑ 7,0 7,1 Per una lettura critica di Saul Bellow, si vedano int. al., Gianni Garofoli, Invito alla lettura di Saul Bellow, Collana Invito alla lettura. Sezione straniera, Mursia, Milano, 1990; Gerhard Bach (cur.), The Critical Response to Saul Bellow, Greenwood Press, 1995; Ruth Miller, Saul Bellow: a Biography of Imagination, St Martins Press, 1991.
- ↑ 8,0 8,1 Saul Bellow, L'uomo in bilico, trad. di Giorgio Monicelli, Milano, Mondadori ("Medusa" n. 311; "Oscar narrativa" n. 50 e n. 1736), 1953, ISBN 88-04-48254-0 ISBN 978-88-04-57634-1.; Saul Bellow, L'uomo in bilico, in Romanzi, vol. I, trad. di Barbara Placido, a cura di Guido Fink, Milano, Mondadori (collana "I Meridiani"), 2007, ISBN 978-88-04-56242-9.
- ↑ 9,0 9,1 9,2 Saul Bellow, Herzog, Viking Press, 1964 (trad. ital. di Letizia Ciotti Miller, Milano, Feltrinelli ("I narratori" n. 70), 1965).
- ↑ 10,0 10,1 10,2 Saul Bellow, Mr Sammler's Planet (Il pianeta di Mr. Sammler) (1970), trad. ital. di Letizia Ciotti Miller, Milano, Feltrinelli, 1971.
- ↑ Norman Mailer, The Naked and the Dead (Il nudo e il morto) (1948), trad. ital. di Bruno Tasso, collana Romanzi moderni, Garzanti, 1959.
- ↑ 12,0 12,1 12,2 12,3 Per le note biografiche e la critica letteraria su Mailer, si vedano int. al., Michael J. Lennon, Norman Mailer: A Double Life, Simon & Schuster, 2013, importante studio critico-biografico; Richard Poirier, Norman Mailer, Viking, 1972; Norman Mailer: The Man and His Work, curato da Robert F. Lucid, Little, Brown, 1971, raccolta di saggi su Mailer; Barry H. Leeds, The Enduring Vision of Norman Mailer, Pleasure Boat Studio, 2002.
- ↑ Advertisements for Myself, Putnam, 1959 (Pubblicità per me stesso, Lerici, 1962; poi trad. di A. Serpieri e M. Materassi, Baldini Castoldi Dalai, 2009).
- ↑ Armies of the Night, New American Library, 1968 (trad. ital. Le armate della notte, Milano, Mondadori, 1968), vincitore del Premio Pulitzer per la saggistica nel 1969.
- ↑ 15,0 15,1 Barbary Shore, Rinehart, 1951 (La costa dei barbari, trad. ital. di Delfina Vezzoli, Baldini & Castoldi, 2000 [prima edizione italiana]).
- ↑ 16,0 16,1 An American Dream, Dial, 1965 (trad. ital. Un sogno americano Mondadori, 1966; Einaudi, 2004).
- ↑ 17,0 17,1 The Assistant, Farrar, Straus and Giroux, 1957 (Il commesso, trad. ital. di Giancarlo Buzzi, "I coralli" n. 162, Einaudi, 1962).
- ↑ Schmerz: dall'alto tedesco antico, dolore, sofferenza, male.
- ↑ "The Jewbird", nella raccolta Idiots First, trad. ital. di Ida Omboni, Prima gli idioti, Einaudi, 1966 (12 racconti) - n.ed. Roma: Minimum Fax, 2012.
- ↑ Tipica esclamazione yiddish, usualmente "Oy gevalt!", simile in italiano a "Oddio!"
- ↑ Robert Solotaroff, Bernard Malamud: A Study of the Short Fiction, G.H. Hall & Co., 1989, s.v.
- ↑ 22,0 22,1 The Fixer, Farrar, Straus & Giroux, 1966 (L'uomo di Kiev, trad. di Ida Omboni, Einaudi, 1968; coll. "Nuovi coralli" n. 239, 1979; "ET" n. 434, 1997). Ha vinto il National Book Award per la narrativa (il secondo per Malamud) e il Premio Pulitzer per la narrativa. Esso ricostruisce una storia accaduta davvero nel 1913, quando un uomo chiamato Menahem Mendel Beilis venne imprigionato ingiustamente nella Russia zarista con l'accusa di aver ucciso un ragazzo di 13 anni per motivi rituali legati alla Pasqua ebraica. Nel 1926 Beilis scrisse le sue memorie, The Story of My Sufferings ed i suoi eredi contestarono a Malamud alcune coincidenze verbali sospette di plagio. Si veda anche (EN) l'articolo sul caso Beilis.
- ↑ 23,0 23,1 23,2 Philip Davis, Bernard Malamud: A Writer’s Life, Oxford University Press, 2007, s.v. "The Third Life".
- ↑ La raccolta di novelle Pictures of Fidelman: An Exhibition (1969) è stata pubblicata in Italia col titolo La Venere di Urbino, trad. Ida Omboni, Einaudi, 1973 (6 racconti); n.ed. Roma: Minimum Fax, 2010.
- ↑ 25,0 25,1 25,2 25,3 Dubin's Lives, Farrar, Straus and Giroux, 1979 (trad. ital. di Bruno Oddera, Le vite di Dubin, Einaudi, 1981; n.ed. Roma: Minimum fax, 2009).
- ↑ 26,0 26,1 26,2 Data la vasta bibliografia relativa alla critica letteraria dell'opera di Roth, per queata sezione si sono consultati i titoli più recenti e approfonditi, tra cui l'articolo di Benjamin Balint, "Philip Roth's Counterlives", Books & Ideas, 5 maggio 2014; Ross Posnock, Philip Roth's Rude Truth: The Art of Immaturity, Princeton University Press, 2006; Harold Bloom (cur.), Modern Critical Views of Philip Roth, Chelsea House, 2003; Elaine B. Safer, Mocking the Age: The Later Novels of Philip Roth, SUNY Press, 2006; Harold Bloom & Gabe Welsch (curatori), Modern Critical Interpretations of Philip Roth's Portnoy's Complaint, Chelsea House, 2003; Alan Cooper, Philip Roth and the Jews, SUNY Press, 1996. Per una raccolta di citazioni ed incipit, si veda "Wikiquote: Philip Roth".
- ↑ When She was Good, Random House, 1967; traduzioni ital., Philip Roth, Quando Lucy era buona, trad. di Bruno Oddera, Rizzoli, 1970.; Philip Roth, Quando lei era buona, trad. di Norman Gobetti, Einaudi, 2012, ISBN 978-88-06-21086-1.
- ↑ 28,0 28,1 28,2 Goodbye Columbus, Houghton Mifflin, 1959 (trad. ital. Addio, Columbus e cinque racconti). La raccolta contiene: Goodbye, Columbus, trad. Addio, Columbus (ma il traduttore Mantovani decide di lasciarlo in originale), scritto per il volume; The Conversion of the Jews, trad. La conversione degli ebrei, apparso in "The Paris Review", primavera 1958; Defender of the Faith, trad. Difensore della fede, apparso in "The New Yorker", marzo 1959; Epstein, trad. id., apparso in "The Paris Review", estate 1958; You Can't Tell a Man by the Song He Sings, trad. Non si può giudicare un uomo dalla canzone che canta, apparso in "Commentary", 1957; Eli, the Fanatic, trad. Eli, il fanatico, scritto per il volume. Cfr. "GOODBYE NEWARK: ROTH REMEMBERS HIS BEGINNINGS", articolo sul NY Times 01/10/1989, nel 30° anniversario della pubblicazione.
- ↑ 29,0 29,1 29,2 29,3 29,4 Portnoy's Complaint, Random House, 1969; Philip Roth, Lamento di Portnoy, traduzione di Letizia Ciotti Miller, Milano, Bompiani, 1970. Philip Roth, Lamento di Portnoy, traduzione di Roberto C. Sonaglia, Milano, Leonardo, poi Torino, Einaudi, 1989, 2005.
- ↑ 30,0 30,1 Hana Wirth-Nesher & Michael P. Kramer (curatori), The Cambridge Companion to Jewish American Literature, Cambridge University Press, 2003, Introd. & pp. 221-230 e ss.vv. autori.
- ↑ Si vedano le notizie biblio-biografiche su Wikipedia, s.v. L'opera di Singer fu scritta inizialmente in yiddish, poi tradotta in lingua inglese e quindi in altre lingue, sul mercato internazionale. Nell'ambito della sua produzione, tradotti in italiano, si segnalano i romanzi Satana a Goray (1935), La famiglia Moskat (1950), La fortezza (1957), Il mago di Lublino (1960), La proprietà (1969), Nemici: una storia d'amore (1972), Shosha (1978), Ombre sull'Hudson (2000) e le raccolte di racconti Gimpel l'idiota (1957), :I due bugiardi (1961), Un amico di Kafka (1970), Una corona di piume (1973) e La morte di Matusalemme (1988).
- ↑ Di Agune, trad. ingl. The Agunah, Twayne Publishers, 1974.
- ↑ Moshe Leib Lilienblum (1843-1910) fu autore e accademico, scrisse diverse opere e cercò di produrre una nuova visione dell'Ebraismo, attraverso i suoi saggi ed i suoi articoli, promuovendo inoltre l'idea del reinsediamento degli ebrei in Palestina. Cfr. Jewish Encyclopedia, articolo su Lilienblum.
- ↑ 34,0 34,1 34,2 34,3 The Chosen (1967), tr. Marcella Bonsanti, Garzanti 1990; da cui il film: Gli eletti (1988); The Promise (1969), tr. Marcella Bonsanti, La scelta di Reuven, Garzanti, 2000. Per una bibliografia completa di Potok, si veda "Biography of Chaim Potok" su gradesaver.