Introduzione allo Zohar/Capitolo IV
Capitolo IV
[modifica | modifica sorgente]Lo Zohar apparve per la prima volta in Castiglia alla fine del tredicesimo secolo. Brani vengono inclusi in opere di cabalisti castigliani e catalani che scrivono in quel periodo. In alcuni casi tali brani sono presentati come citazioni attribuite a "Yerushalmi" (di solito riferentesi al Talmud gerosolimitano, ma a volte anche ad altre opere originate in Terra Santa) o al Midrash, particolarmente al "Midrash di Rabbi Shim’on figlio di Yoḥai". Alcuni vi ci riferiscono come opera antica. In altri casi, inclusi passi negli scritti del rinomato cabalista castigliano Moses de León e dell'autore di Barcellona Baḥya ben Asher, pezzi identici a sezioni dello Zohar sono semplicemente assorbiti dentro gli scritti e presentati come propri. Nel secondo dcecennio del XIV secolo, lo Zohar è citato (dall'autore di Tiqqunei Zohar) come un documento "precedente" o completato. Grandi porzioni sono già disponibili ad autori come David ben Judah he-Ḥasid, che ne parafrasa e traduce varie sezioni, e il cabalista italiano Menaḥem Recanati, che cita abbondantemente dallo Zohar nel proprio commentario della Torah. Recanati sembra essere il primo a riferirsi a questo gruppo di fonti sotto il termine Zohar.
La questione delle origini dello Zohar ha intrigato i suoi lettori sin dalla sua prima comparsa, e ancor oggi non si può fare un'affermazione semplice ed inequivocabile circa tale questione di paternità. Non c'è dubbio che l'opera fu composta nei decenni subito precedenti la sua pubblicazione. Riflette opere letterarie e si riferisce ad eventi storici che la pongono negli anni successivi al 1270. Gli anni 1280 sembrano essere il decennio di composizione più probabile del corpo principale dello Zohar, probabilmente preceduto dal Midrash ha-Ne’lam e forse anche altre sezioni. In effetti è del tutto possibile che lo Zohar fosse ancora un progetto in via di sviluppo quando apparvero i primi testi, e che certe sue parti venissero scritte anche un decennio dopo. Poiché la questione delle origini dello Zohar sono state così fieramente dibattute da lettori e studiosi nel corso dei secoli, è importante offrire qui un breve resoconto della storia di tali discussioni.
Il dibattito sulle origini dello Zohar iniziò proprio nel decennio della sua comparsa. Frammenti dello Zohar vennero distribuiti per la prima volta da Rabbi Moses de León, che affermò fossero copiati da un antico manoscritto in suo possesso. Questa era una tecnica classica di pseudepigrafia, l'attribuzione di insegnamenti esoterici agli antichi, per dar loro la rispettabilità associata a tradizione venerabile.[1] Mentre alcune anime ingenue sembra credessero alquanto letteralmente all'antichità del testo e all'esistenza di un tale manoscritto, altri, tra cui alcuni dei cabalisti compagni di De León, gli si accomunarono nella finzione onde elevare il prestigio di questi insegnamenti. Sebbene potessero aver saputo che De León ne era lo scrittore, e potessero aver persino partecipato in conversazioni mistiche che vennero riflesse nell'emergente testo scritto, costoro credettero veramente che il contenuto degli insegnamenti dello Zohar fosse antico e autentico. Probabilmente non videro nulla di sbagliato nella creazione di una grande fantasia letteraria che esponesse questi insegnamenti antichi-ma-nuovi e un contesto letterario elevato, uno degno della loro profonda verità. Ci furono comunque scettici e oppositori dello Zohar sin dall'inizio, che rappresentarono l'intera faccenda come una falsificazione letteraria.
Una testimonianza affascinante di questa controversia iniziale si trova in un resoconto scritto dal cabalista Isaac di Acri, un mistico errante che arrivò in Castglia nel 1305. Una versione manoscritta del resoconto di Isaac era noto al cronista del XVI secolo Abraham Zacuto e venne incluso nel suo Sefer Yuḥasim.[2] Isaac ci dice che aveva già sentito parlare dello Zohar ed era venuto in Castiglia per apprenderne di più e specialmente per indagare sulla questione delle origini dello Zohar. Riuscì ad incontrare De León poco prima che questi morisse. De León lo assicurò che l'antico manoscritto era reale, e gli offrì di mostrarglielo. Quando Isaac arrivò ad Avila, dove De León aveva vissuto gli ultimi anni di vita, egli ebbe modo di incontrare solo la vedova del cabalista. Questa negò che il manoscritto fosse mai esistito, raccontandogli che suo marito le aveva detto di aver raccontato delle origini antiche della sua opera per ottenerne vantaggi pecuniari. Altri, tuttavia, sebbene fossero d'accordo sul fatto che non esistesse una fonte antica manoscritta, affermarono che De León aveva scritto lo Zohar "grazie alla potenza del Nome Santo".[3] Diversi altri personaggi entrano nel resoconto in una serie di affermazioni e negazioni, e il testo si interrompe appena prima che un discepolo di De León sia in grado di presentare quella che sembra una promettente testimonianza a favore dello Zohar.
Questo resoconto è stato usato dagli oppositori dello Zohar e della Cabala in generale, nei vari tentativi di respingere lo Zohar come falso e Moses de León come ciarlatano. Il più esplicito tra questi tentativi è quello dello storico del XIX secolo Heinrich Graetz, per il quale lo Zohar era l'epitome dell'elemento più basso e superstizioso all'interno dell'ebraismo medievale. Graetz e altri presumevano che la moglie fu quella che disse la verità, e tutte le altre spiegazioni servivano a coprire o giustificare l'ovvio imbroglio dell'autore. Volendo denigrare lo Zohar – che non si adattava all'idea moderna del primo Illuminismo – Graetz non considerò la possibilità che De León potesse aver detto a sua moglie tali cose per altre ragioni al di là della semplice verità. Purtroppo, il resoconto della moglie potrebbe riflettere l'ipotesi che il cabalista reputasse sua moglie incapace di apprezzare le sue intenzioni letterarie. L'asserzione che egli lo fece per vendere più libri ha tutta l'aria di una spiegazione detta alla consorte in un contesto di disprezzo per le di lei capacità intellettuali.
Lo studio accademico moderno dello Zohar inizia coi tentativi del giovane Gershom Scholem di confutare Graez. Si impegnò nei primi anni 1920 a dimostrare che il quadro era ben più complesso e che in effetti potevano esserci strati precedenti allo Zohar.
Stupito dalla vastità del corpus dello Zohar, trovò difficile da credere che tutto fosse stato opera di un solo autore. Ma in una serie di saggi sorprendentemente convincenti, Scholem cambiò idea e arrivò a concludere che, sì, l'intero Zohar era proprio stato scritto da De León. Fondò questa conclusione su un'attenta analisi del linguaggio zoharico, la sua conoscenza della geografia della Terra di Israele, la sua relazione con la filosofia e con le precedenti opere della Cabala, e riferimenti a eventi storici specifici con relative date. Alquanto convincente fu la meticolosa analisi filologica di Scholem, in cui paragonava l'uso particolare (e a volte "errato") delle forme linguistiche dell'aramaico a modelli caratteristici di linguaggio che si trovavano (in modo univoco, diceva) nelle opere di De León in ebraico. Qui Scholem credeva di aver trovato un certo tipo di "impronta digitale" letteraria, che alla fine dimostrava che De León ne era l'autore. Per quanto riguardava la magnitudine dell'opera stessa e la sua attribuzione ad un solo autore, Scholem si consolava con paralleli storici, particolarmente quello di Jakob Boehme, un calzolaio tedesco del XVII secolo, originalmente analfabeta, che aveva composto un vasto corpus di scritti sotto la forza di ispirazione mistica.
Ma la faccenda non finisce qui. Il fatto che Scholem fosse d'accordo con Graetz sulla questione della paternità non significava affatto che egli condividesse la bassa opinione di quest'ultimo sullo Zohar o sul suo autore. Il parallelo con Boheme in effetti sembra piuttosto come lo scrivere "tramite la potenza del Santo Nome", idea che era stata suggerita a Isaac di Acre. Assumendo che Moses de León avesse scritto l'intero Zohar, diveniva allora una questione di capire come ciò fosse avvenuto. Si presentano allora due domande importanti. Una riguarda le notevoli differenze tra le varie sezioni dello Zohar. poteva una persona sola aver scritto il Midrash ha-Ne’lam, con suo uso incerto e incompleto del simbolismo sefirotico; l’Idrot, dove tale simbolismo era incorporato e superato; e l'oscuro Matnitin e Heikalot, insieme alla ricca narrazione e omelie del testo zoharico principale? Cosa possono spiegare tutte queste apparenti variazioni sia nello stile letterario che nel contenuto simbolico?
L'altr domanda ha a che fare con l'intrigante relazione tra un singolo autore e le disparate voci che parlano dalle pagine dello Zohar. La comunità di mistici descritta qui è forse un frutto dell'immaginazione creativa dell'autore? Ma non c'è invece una qualche esperienza reale della comunità religiosa che viene riflessa sulle pagine dello Zohar? E per considerare una visione estrema, non potrebbe esser possibile che ciascuno dei personaggi rappresenti una persona reale, un membro del circolo cabalistico castigliano, qui mascherato dietro il nome di un antico rabbino? Oppure c'è un qualche altro modo in cui la presenza di autori multipli (o partecipanti alle continue conversazioni del gruppo) possa essere rilevata nell'ambito delle pagine dello Zohar?
Lo studio contemporaneo dello Zohar[4] si è distaccato da Scholem sulla questione della singola paternità. Sebbene sia tacitamente accettato che De León avesse scritto o redatto lunghe sezioni dello Zohar, inclusa la narrazione (corpo omiletico) del testo, ora si pensa che non sia stato l'unico scrittore coinvolto. Strati multipli di creatività letteraria possono essere identificati nell'ambito del testo stesso. Potrebbe essere che lo Zohar debba esser visto quale prodotto di una scuola di praticanti e scrittori mistici, scuola che potrebbe essere esistita ancor prima del 1270 e che sia continuata fino ai primi anni del XIV secolo. Certi testi, incluso il Midrash ha-Ne’lam (forse una sua rescissione precedente a quella che è sopravvissuta?) appartengono allo strato più antico dello scritto. Poi la parte principale dello Zohar, inclusi sia il racconto epico e gli insegnamenti di Rabbi Shim’on e discepoli, fu in effetti composta nei decenni stabiliti da Scholem. Ma il lavoro sullo Zohar non cessò alla fine del XIV secolo né alla morte di Moses de León. Infatti, l'autore di Tiqqunei Zohar e Ra’aya Meheimna, reputati da Scholem come addenda "posteriori" al corpus dello Zohar, potrebbe rappresentare una terza "generazione" di questa scuola continuativa. Sarebbe stato durante i suoi giorni, e forse con la collaborazione di svariati redattori, che i frammenti dello Zohar diffusi per la prima volta furono messi insieme a formare unità maggiori rinvenute nei sopravvissuti manoscritti dei secoli XIV e XV.
Non esiste una singola prova del tutto convincente che abbia portato gli studiosi a confermare questa revisione dell'ipotesi di Scholem. È piuttosto una combinazione di fattori che provengono da un'attenta lettura del testo e da un corpo di studio che ancora non esisteva al tempo di Scholem. Ci sono diverse testimonianze di ciò che potrebbe essere chiamato "commentario interno" nell'ambito del testo zoharico. I "Segreti della Torah" sono un'espansione del breve ed enigmatico Matnitin, quando l’Idrot commenta ed espande temi precedentemente sviluppati nel Sifra di-Tsni’uta. Nella narrazione dello Zohar, storie intere o parziali vengono raccontate più di una volta — una versione apparentemente l'espansione di una precedente rescissione. Lo stesso accade per certe omelie, alcune delle quali sono ripetute in parte o intere diverse volte nell'ambito del testo. Queste espansioni e ripetizioni potrebbero essere spiegate come il progetto in sviluppo di un singolo autore; tuttavia, quando sono prese insieme ad altri fattori ( le differenti sezioni dello Zohar e le "voci" multiple che parlano nel testo), indicano più logicamente una paternità multipla o collettiva. La testimonianza storica ha dimostrato che scuole o società chiuse (ḥavurot) per vari scopi erano una forma organizzativa comune nell'ambito dell'ebraismo spagnolo. L'immagine di Rabbi Shim’on e seguaci, che incontrano una serie di insegnanti misteriosi nel corso delle loro peregrinazioni, sembra quasi una descrizione di una vera scuola di tal genere, che incon tra vari mistici al di fuori del proprio circolo che poi venivano accettati dal capo della scuola quali insegnanti legittimi della Torah segreta.
È particolarmente intrigante paragonare questa scuola di cabalisti romanzata ma storicamente reale ad un'altra che viene descritta alquanto più chiaramente nei documenti a noi disponibili. Nella vicina Catalogna, la scuola cabalistica di Naḥmanide durò – in parallelo con la scuola halakhica – per tre generazioni. Il discepolo di Naḥmanide, Solomon ben Adret (c. 1235-1310)[5] trasmise gli insegnamenti del suo maestro ad un gruppo di discepoli che poi scrissero numerosi commentari sugli aspetti segreti dell'opera di Naḥmanide. Tale circolo era alquanto più conservatore nelle sue vedute della creatività cabalistica di quanto non lo fosse il gruppo castigliano. Ma possiamo facilmente immaginarci una scuola parallela di cabalisti castigliani – ad iniziare con gli "Gnostici" della metà del XIII secolo e che si estese nel corso delle successive tre generazioni – il cui prodotto letterario collettivo, molto più libero e ricco in immaginazione del corpus naḥmanideo, includesse un complesso di opere infine redatte in quello che successive generazioni avrebbero conosciuto come lo Zohar. Potrebbe benissimo essere che la concorrenza tra queste due scuole di pensiero mistico ebbe un qualche ruolo nel far progredire il processo redazionale che alla fine risultò nello Zohar come lo conosciamo nella sua versione stampata.
Note
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Messianismo Chabad e la redenzione del mondo. |
I Cinque Mondi nella Cabala |
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- ↑ Sistema del resto usato da altre religioni, tra cui il cristianesimo e gli scritti neotestamentari.
- ↑ Sefer Yuḥasin (1498), testo storico per gli ebrei. Edizione digitale: Zacuto, Avraham. Sefer yuḥasin. Brooklyn, NY: Renaissance Hebraica, 1994.
- ↑ Questo potrebbe riferirsi ad una qualche sorta di "scrittura automatica" in stato di trance oppure ad un senso che egli si fosse visto come reincarnazione di Rabbi Shim’on e – tramite il Nome – avesse avuto accesso ai suoi insegnamenti.
- ↑ Qui siamo indebitati specialmente con gli scritti di Yehuda Liebes e Ronit Meroz.
- ↑ Shlomo ben Aderet (שלמה בן אדרת) (o Solomon/Salomone figlio di Aderet) (Barcellona, 1235 – 1310) è stato un rabbino e teologo spagnolo, noto halakhista e talmudista. Conosciuto anche col soprannome di Rashba (רשב״א), acronimo del suo titolo e nome: Rabbino Shlomo ben Aderet. I suoi insegnanti furono Naḥmanide e Yonah ben Abraham Gerondi. Scrisse importanti opere giuridiche e commentari del Talmud. Ebbe numerosi ed importanti discepoli, tra cui Yom Tov Asevilli e Bahya ben Asher. Ben Adret difese Maimonide nel coevo dibattito sulle sue opere, e autorizzò la traduzione del suo commentario sulla Mishnah dall'arabo all'ebraico. Nonostante ciò, Ben Adret si oppose all'approccio filosofico-razionalistico all'ebraismo spesso associato a Maimonide, e fece parte del Beth din (tribunale rabbinico) di Barcellona quando esso proibì agli uomini di età inferiore ai 25 anni di studiare la filosofia secolare e le scienze naturali, con la sola eccezione degli studi di medicina.