La vita e... tutto quanto/Capitolo 5
Il significato dopo Dio
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Praticamente innocuo. |
La depressione, dicono gli esperti, è di due tipi, esogena ed endogena: può essere scatenata da qualche circostanza esterna dolorosa, come la perdita del lavoro o un lutto, oppure può essere apparentemente spontanea, presentandosi come un malessere interno per il quale non esiste una causa esterna immediata. In modo un po' analogo, forse, sembra che il significato possa essere esogeno o endogeno: qualcuno potrebbe trovare la propria vita significativa nella misura in cui è conforme alla volontà di un Creatore trascendente "là fuori" che era la fonte ultima di valore e di significato; ma potrebbe invece trovare il significato "dentro", per così dire, costruendolo dall'interiore in funzione delle proprie scelte e dei propri impegni. Friedrich Nietzsche, famoso per il suo annuncio della "morte di Dio", era chiaro nell'asserire che l'umanità, nel mondo post-teistico, avrebbe dovuto generare significato dal proprio interno – e in effetti che questa era l'unica fonte disponibile per ogni valore: "In definitiva l'uomo non trova nelle cose altro che ciò che egli stesso vi ha importato: quella scoperta che chiamiamo scienza, l'importare arte, religione, amore, orgoglio".
Questa concezione del significato come endogeno – l'idea dell'Uomo come creatore e generatore del significato della propria vita – ha chiaramente avuto una vasta influenza sulla nostra cultura moderna e postmoderna. La visione nietzscheana può essere vista come divisa in tre fasi. La prima è l'idea della "morte di Dio", che appare in Die Fröhliche Wissenschaft (La gaia scienza, 1882). Un pazzo accende una lanterna a mezzogiorno e corre sulla piazza del mercato gridando che cerca Dio. Viene deriso dagli atei che gli stanno intorno: "Si è perso?", sogghignano. "O è partito per un viaggio, o è emigrato?" Alla fine il pazzo annuncia "Lo abbiamo ucciso, io e te!" e va in giro per le chiese del paese a cantare un requiem, parodia del testo tradizionale della messa: invece di preghiera affinché Dio conceda il riposo ai morti, diventa "requiem eternam Deo" – Dio stesso è consegnato al riposo eterno.
Oltre un secolo dopo, il valore scioccante del primo annuncio di Nietzsche si è un po’ affievolito. Passeggiando per le antiche città dell'Europa occidentale, dove meno del 10% della popolazione frequenta oggi le funzioni religiose, ci si potrebbe sentire come se facessimo eco alla sfida del pazzo: "Che cosa sono adesso tutte queste chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?" La cultura cristiana che un tempo rendeva l'osservanza religiosa così centrale – nei riti di nascita, matrimonio e morte, nella celebrazione delle stagioni mutevoli della semina e del raccolto, nelle riunioni settimanali della comunità domenica dopo domenica, nelle imponenti solennità annuali della Natività e della Risurrezione ogni inverno e primavera: la cultura alla base di tutte queste elaborate strutture, se non del tutto estinta, sembra in molti luoghi scomparsa o in rapido sgretolamento.
Ma qui entra in gioco la seconda fase delle previsioni di Nietzsche. Proprio come, dopo la morte del Buddha, "la sua tremenda, raccapricciante ombra fu mostrata ancora per secoli in una grotta", così, dopo che Dio è morto, "potrebbero esserci ancora luoghi per migliaia di anni in cui la sua ombra sarà mostrata – e dobbiamo ancora vincere tale ombra". Congedarsi da Dio non è un processo semplice, come abbandonare la fede nel flogisto una volta che si presenta una spiegazione scientifica migliore della combustione. La fede religiosa non costituisce un angolo isolato della nostra mappa concettuale che possa essere strappato senza intaccare il quadro principale; invece (per cambiare la metafora) si trova al centro di una vasta rete di credenze, atteggiamenti e sentimenti che sono tutti sottilmente interconnessi. Smontarli, e venire a patti con le conseguenze di tale disfacimento, deve comportare uno sconvolgimento radicale, non solo nella sfera cognitiva, come aggiustare o modificare un'ipotesi scientifica, ma in un modo molto più primitivo, implicando uno spostamento, spesso a livello pre-razionale, negli aspetti fondamentali del nostro orientamento morale, sociale, estetico e psicologico nei confronti della realtà. Un gran numero di persone potrebbe aver formalmente abbandonato l'idea di Dio come centrale nella loro visione del mondo, ma sembra che per relativamente pochi questo abbia la sensazione di essere "arrivati"; molti invece restano con un senso di vago disagio, manifestato in alcuni da un'inquietudine circa l'orientamento morale di una società del tutto secolare, in altri da un'attrazione intermittente per modalità alternative di spiritualità alla moda, in altri ancora da una certa malinconica nostalgia per il nutrimento e stabilità della fede che non sembra più un'opzione. Agli occhi di Nietzsche, è come se l'umanità avesse acquisito una dipendenza debilitante dal capitale accumulato dalla sua eredità religiosa, e imparare a vivere senza la rimessa settimanale non sarà facile. "Sconfiggere l’ombra" richiede coraggio e determinazione.
Qui emerge la terza fase della storia nietzscheana. Perché la visione di Nietzsche non è puramente distruttiva; ancor meno (come l'ateismo vivace e allegro propugnato da apologeti laici contemporanei come Richard Dawkins) è un appello a spazzare via tutte le macerie religiose con la vigorosa scopa della scienza che dovrebbe ripulire tutto. Invece, il grido del pazzo è intriso di desiderio appassionato, di un feroce lamento per la perdita di "ciò che è più santo e potente tra tutto quello che il mondo abbia mai posseduto" e una determinazione a tentare l'eroico compito di costruire un surrogato umano del Dio defunto. "La grandezza di questo atto non è forse troppo grande per noi? Non dobbiamo noi stessi diventare déi semplicemente per sembrare degni di ciò?" Cioè, quel vivido senso di scopo senza il quale la vita scivola nella piattezza e nella banalità, deve essere recuperato a tutti i costi; e per catturare questo Nietzsche propone il mito esistenziale dell'Eterno Ritorno:
Non è che la reiterazione eterna prevista conferirebbe in qualche modo un significato oggettivo o esterno: che differenza potrebbero apportare una durata illimitata o una ripetizione infinita al significato del ragno che vedo al chiaro di luna? Siamo davvero soli, nell'universo di Nietzsche, affidati interamente alle nostre risorse, senza nessuno di quelli che lui considera i flaccidi conforti della religione progettati per consolare i deboli. Il buio ci circonda e l'unica cosa che può illuminarlo è la nostra indomabile volontà, la determinazione a dire ad ogni singolo istante esistenziale della vita un sì così appassionato che anche a patto di ripeterlo eternamente non ne sceglieremmo nessun altro. La domanda "Lo vuoi ancora una volta e innumerevoli altre volte?" peserebbe sulle tue azioni come lo stress più grande, per essere superata solo da un'affermazione così potente che "non desidereresti nulla con più fervore di questa conferma e suggello definitivo".
Il significato, nella visione di Nietzsche, deve essere generato interamente dall'interno. Il mondo che dobbiamo abitare dopo la morte di Dio è un mondo in cui, nei celebri versi del poeta W. B. Yeats...
Whatever flames upon the night
Man’s own resinous heart has fed.