La vita e... tutto quanto/Capitolo 1
La domanda fissa
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Non tutte le domande che sembrano importanti hanno senso. Per buona parte del ventesimo secolo era comune, in gran parte del mondo anglofono, liquidare molte delle tradizionali grandi questioni filosofiche come pseudo-domande. In Italia la situazione era consimile. Alle persone che si sentivano perplesse di fronte all'antico enigma del significato della vita veniva fermamente ricordato che il significato era una nozione propriamente confinata nell'arena del linguaggio: si poteva dire che le parole, le frasi o le proposizioni avessero un significato, ma non gli oggetti o gli eventi nel mondo, come la vita degli alberi, delle aragoste o degli esseri umani. Quindi l'idea stessa che la filosofia potesse indagare sul significato della vita fu interpretata come un segno di confusione concettuale. La soluzione del problema, come osservò una volta Ludwig Wittgenstein, starebbe nella sua scomparsa.
Ma comunque il problema non scompare; la ricerca del significato della vita, confusa o meno, mantiene su di noi una presa più potente che mai. I personaggi della saga degli autostoppisti in Guida galattica di Douglas Adams possono sembrare assurdi nella loro fede che un supercomputer possa risolvere il problema per loro, e irrimediabilmente vaghi su come formulare il problema in primo luogo, ma resta la forte sensazione che l'antica ricerca che ha ossessionato così tanti è più della semplice confusione di un filosofo.
Poiché la nostra esistenza umana è misteriosa – qualcosa di strano, spaventoso, di cui meravigliarsi. La filosofia, diceva Aristotele, è figlia della meraviglia; e la capacità di lasciarsi turbare da ciò che ordinariamente viene dato per scontato è il segno distintivo di quello spirito interrogativo che è inseparabile dalla stessa natura umana. L'essere umano è unico in quanto, come dice Martin Heidegger, è un'entità per la quale il proprio essere è in questione. O ancora: "Solo l'uomo tra tutti gli esseri, quando viene interpellato dalla voce dell'Essere, sperimenta la meraviglia di tutte le meraviglie: che ciò-che-è è".
Cosa chiediamo veramente quando ci interroghiamo sul significato della vita? In parte, a quanto pare, ci stiamo interrogando sulla nostra relazione con il resto dell'universo: chi siamo e come siamo arrivati qui. Un aspetto di ciò è una questione scientifica sulle nostre origini. Al che la risposta, scoperta solo di recente, è mozzafiato: veniamo dalle stelle. Se riusciamo (l'esperienza è ora più rara e più difficile) a trovare un luogo lontano dalla città, dove nessuna filtrazione di rumore e di abbagliamento inquini la notte, e guardiamo con meraviglia la vasta e silenziosa oscurità dello spazio da cui si irradiano su di noi innumerevoli brillanti punti di luce, allora ciò che vediamo è lo stesso materiale da cui noi – e ogni altra cosa su questo fragile pianeta – siamo stati formati una volta. Noi esseri umani facciamo parte del cosmo: non solo come un ciottolo fa parte di un mucchio eterogeneo, non solo come un elemento di un inventario casuale che include tutto ciò che l'universo contiene; ma veramente tutt'uno con esso, condividendo la sua origine comune, costruito con la sua sostanza. Siamo formati da polvere di stelle.
Di stelle, eppure da stelle alienati? Sì, potrebbe essere così. Gli antichi stoici pensavano che la nostra razionalità umana fosse un microcosmo di un principio regolatore della Ragione, la sostanza spirituale che pervade l'intero cosmo; secoli dopo, il filosofo razionalista Leibniz dichiarò che "non c’è niente di sprecato, niente di sterile, niente di morto nell'universo". Ma la visione dominante oggi è che la vita e la razionalità sono, cosmicamente parlando, caratteristiche locali e atipiche della realtà: la natura è prevalentemente cieca, irrazionale, morta. Come lamentava il poeta A. E. Housman:
. . . nature, heartless, witness nature,
Will neither care nor know
What stranger’s feet may cross the meadow
And trespass there, and go.
Nor ask amid the dews of morning
If they are mine, or no.
Noi esseri umani possiamo essere orgogliosi dei nostri successi intellettuali e culturali, ma sullo sfondo di inimmaginabili eoni di tempo attraverso i quali nubi di idrogeno incandescente si espandono senza limiti, siamo uno strano incidente temporaneo, non più significativo di una melma o di una muffa che si forma per un pochi anni o decenni su una parete rocciosa brulla e poi non si vede più.
Valutazioni di questo tipo possono sembrare legate a una moderna comprensione scientifica delle nostre origini, ma in un senso importante vanno chiaramente oltre la scienza: non si limitano a riportare i "fatti", ma parlano di cosa quei presunti fatti "significano" per noi, per il nostro senso di noi stessi e della nostra autostima. Ed è difficile capire come tali giudizi sul significato della nostra vita possano essere stabiliti dalla sola indagine scientifica. Per citare ancora Wittgenstein, questa volta in modo più ospitale nei confronti della nostra grande domanda, "sentiamo che anche quando tutti i possibili problemi scientifici hanno avuto risposta, i problemi della vita non sono stati messi a tacere". Perché è proprio così?