La vita e... tutto quanto/Capitolo 4
Questione di religione o domanda religiosa?
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La religione è chiaramente un modo in cui gli esseri umani hanno trovato un significato e uno scopo nella loro vita. Ma è l'unico modo? Albert Einstein affermò senza mezzi termini che "to know an answer to the question ‘What is the meaning of human life?’ means to be religious". Anche l'altro gigante del ventesimo secolo, Sigmund Freud, insisteva sul fatto che "the idea of life having a purpose stands and falls with the religious system". Ma di certo da questo nesso non deriva affatto automaticamente che la posizione religiosa sia quindi qualcosa da difendere. Lo stesso Freud considerava la soluzione offerta dalla religione come un assecondare qualcosa di malsano e disordinato nella psiche umana:
La fede in Dio, secondo la visione di Freud in Civilization and its Discontents (Das Unbehagen in der Kultur), si basa su una risposta infantile: il terrificante "sentimento di impotenza" durante l'infanzia suscita il "bisogno di protezione" – di protezione tramite l'amore – fornito dal padre; e il riconoscimento che questa impotenza dura tutta la vita rende necessario aggrapparsi all'esistenza di un Padre, questa volta però più potente.
Questa diagnosi freudiana è stata molto influente e spesso può essere vista come informasse l'idea, espressa da molti atei contemporanei, che Dio è semplicemente una proiezione formata in risposta alle nostre insicurezze umane. Ma ci sono almeno due problemi con questo modo di respingere l'impulso religioso. In primo luogo, sebbene l'abietta impotenza del bambino sia un'immagine appropriata della fragilità della condizione umana, tale fragilità, come conferma l'analisi di Freud, chiaramente non è limitata all'infanzia. La nostra vulnerabilità, e quella dei nostri cari, alla morte, alle malattie e agli incidenti, è una parte inevitabile della condizione umana; e stando così le cose, esserne adeguatamente consapevoli sembra esattamente ciò che un normale essere umano razionale dovrebbe essere (anche ammesso che soffermarsi costantemente su ciò possa essere un segno di nevrosi). In secondo luogo, parlare di Dio come proiezione in definitiva non fa avanzare molto il dibattito tra teisti e atei, poiché non può risolvere la questione se l'impulso a proiettare i nostri desideri verso una fonte esterna abbia o meno una controparte oggettiva. È certamente plausibile che gli esseri umani fragili e insicuri vogliano proiettare il loro bisogno di sicurezza su un Padre celeste protettivo; ma un credente religioso può ugualmente sostenere che, poiché il nostro vero destino risiede nell'unione con il nostro creatore, ci sentiremo naturalmente insicuri e irrequieti finché non Lo troveremo. Infatti, proprio quest'ultimo tema risulta essere il ritornello di molti scrittori antichi di spiritualità teistica: nata est anima ad percipiendum bonum infinitum, quod Deus est; ideo in eo solo debet quiescere et eo frui - "l'anima nasce per percepire il bene infinito che è Dio, e perciò solo in Lui deve trovare il suo riposo e il suo appagamento". Il risultato del dibattito sulla proiezione è quindi uno stallo: il fatto che gli esseri umani sentano un forte bisogno della protezione amorevole di Dio logicamente non dice nulla, in alcun modo, sul fatto che tale protezione sia una realtà.
Per il bene di questa fase dell'argomentazione, tuttavia, supponiamo per il momento che non esista una tale realtà divina – nessun correlativo oggettivo che possa fondare la nostra ricerca del significato della vita. La vita umana, in tal caso, sarebbe vuota e inutile? Se Dio è morto, dichiara notoriamente uno dei personaggi di Dostoevskij (e celebre frase di Friedrich Nietzsche), tutto è permesso; allo stesso modo, se Dio non esistesse, tutto sarebbe privo di significato?