Vai al contenuto

Storia della letteratura italiana/Federigo Tozzi

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Storia della letteratura italiana
Storia della letteratura italiana

Per lungo tempo misconosciuto, Federigo Tozzi è stato rivalutato solo molti anni dopo la sua scomparsa ed è ormai considerato uno dei più importanti narratori italiani del Novecento, oggetto di un'attenzione sempre maggiore da parte della critica. La sua esperienza si esaurisce in un arco di tempo molto ristretto, interrotta bruscamente dalla sua morte prematura. Nella sua opera la modernità si confronta con la vita della provincia, in cui l'antica società contadina si intreccia con l'ambiente artigiano e piccolo borghese. La sua scrittura scaturisce da una base autobiografica e da una visione del mondo di tipo naturalistico, che ha in Verga il suo punto di riferimento. Tuttavia, diversamente dal verismo e dal naturalismo, Tozzi osserva nella realtà un'essenza misteriosa e carica di odio, che non si può spiegare e della quale non si comprende l'origine.[1]

Federigo Tozzi

Nasce a Siena il 1º gennaio 1883, da Federico (detto Ghigo) e Annunziata Automi, donna molto mite e gentile, ma affetta da epilessia. Il padre, di origini contadine, possiede il Ristoratore il Sasso presso l'Arco dei Rossi e due poderi nei dintorni di Siena. È un uomo molto abile negli affari ma piuttosto rude: i suoi momenti di collera e il suo disprezzo verso la cultura provocano molti traumi a Federigo, dotato di una forte sensibilità.

I contatti del ragazzo con la scuola si rivelano subito difficili. Tozzi frequenta la scuola elementare in seminario e in seguito nel Collegio Arcivescovile di Provenzano, dal quale è allontanato per cattiva condotta nel 1895, anno in cui muore la madre. Si iscrive allora alla scuola di Belle Arti, dove trascorre tre anni piuttosto burrascosi e ne viene espulso. Si iscrive in seguito alle scuole tecniche e ne frequenta i corsi a Siena e a Firenze, ma con scarso profitto. Pur studiando in modo saltuario e molto disordinato, sviluppa un grande amore per la lettura. Inizia a frequentare la biblioteca comunale di Siena, dove si forma una cultura aperta ai più diversi influssi, soprattutto a quelli della moderna psicologia. Nel 1902, essendo rimandato in alcune materie per l'ammissione alla terza classe, abbandona per sempre gli studi regolari.

Intanto, nel 1900, il padre si risposa, e Tozzi trasporrà la matrigna in Luigia, personaggio de Il podere. Nel 1901 si iscrive al Partito Socialista degli Italiani e stringe amicizia con l'intellettuale Domenico Giuliotti. L'interesse politico in poco tempo si spegnerà nel 1904, in coincidenza della guarigione da una cecità dovuta a una malattia venerea. Al 1902 risale l'inizio dello scambio epistolare con una Annalena. La pubblicazione del volume Novale, una raccolta di epistole data alle stampe postuma, dimostrerà che dietro questo senhal si nasconde quella che sarà la futura moglie di Tozzi, Emma Palagi, conosciuta tramite una corrispondenza nata su un giornale. Sempre in questi anni inizia il suo rapporto con una contadina alle dipendenze di famiglia, Isola, la cui personalità verrà trasposta nella Ghìsola di Con gli occhi chiusi.

L'opera di esordio di Tozzi è il poema La città della Vergine. In seguito ha curato alcune antologie di antichi scrittori senesi. Volendosi allontanare da Siena, nel 1907 inizia a lavorare nelle Ferrovie, a Pontedera e a Firenze: da questa esperienza nasce un "diario", Ricordi di un giovane impiegato, poi pubblicato da Borgese con il titolo Ricordi di un impiegato.

Alla morte del padre nel 1908 torna a Siena, e da allora inizia a scrivere le novelle di Bestie e i suoi romanzi più famosi: Con gli occhi chiusi e Il podere. Nello stesso anno sposa Emma Palagi e insieme a lei inizia un'attività letteraria più intensa. Del 1911 sono le liriche di La zampogna verde. Nel 1913, fonda insieme all'amico Domenico Giuliotti la rivista quindicinale La Torre di carattere cattolico e nazionalista. La nascita della testata coincide con la sua conversione al cattolicesimo, che contribuisce al carattere religioso delle sue opere. Di fondamentale importanza nel suo percorso di fede sono la scoperta dei due santi più rappresentativi di Siena, santa Caterina e san Bernardino.

In quello stesso periodo Tozzi si trasferisce a Roma con la moglie e il figlio Glauco, e comincia a collaborare a diversi giornali e a varie riviste letterarie. Nel 1915 pubblica Bestie per i tipi di Treves, già editore di D'Annunzio. Nello stesso anno, a causa della guerra, Tozzi decide di lavorare presso l'ufficio stampa della Croce Rossa, dove rimarrà per parecchi anni. Conosce in questo ufficio Marino Moretti e da lui viene presentato all'editore Treves.

In questo periodo riesce ad affermarsi e a entrare in contatto con i maggiori scrittori e intellettuali dell'epoca (da Alfredo Panzini a Luigi Pirandello, a Giuseppe Antonio Borgese). Nel 1919 Tozzi pubblica Con gli occhi chiusi, che viene però messo in ombra da Tre croci del 1920, anno in cui viene pubblicato anche Gli egoisti, un romanzo autobiografico imperniato sull'ambiente letterario romano, e Giovani una raccolta di novelle sempre per i tipi di Treves. Con gli occhi chiusi viene considerato come uno dei romanzi maggiormente espressivi del primo dopoguerra. Tozzi infine raggiunge la notorietà quando Borgese definisce come un capolavoro del realismo il suo ultimo libro, Tre croci. È l'inizio del 1920: poco tempo dopo, il 21 marzo, lo scrittore muore colpito dall'influenza spagnola, che gli causa una violenta forma di polmonite.[1]

Tozzi lascia le sue opere per lo più inedite oppure disperse tra giornali e riviste. Spetterà al figlio Glauco il riordinamento del materiale, che in parte verrà pubblicato postumo: Il podere vede la luce nel 1921, Gli egoisti nel 1923 e Ricordi di un impiegato nel 1927.

Lo scrittore senese è stato riscoperto dal grande pubblico molto tardi, negli anni sessanta. La causa di questo ritardo è probabilmente da individuare in un'errata interpretazione delle sue opere, fino ad allora genericamente ricondotte nell'ambito del verismo. Solo la recente critica ha capovolto la visione di un Tozzi realista proponendolo come scrittore di stampo profondamente psicologico e vicino al simbolismo, paragonandolo a livello europeo alla prosa di Kafka e Dostoevskij. Fondamentali per la comprensione della sua opera sono risultati i contributi critici di due autorevoli studiosi, Giacomo Debenedetti e Luigi Baldacci.

Con gli occhi chiusi

[modifica | modifica sorgente]
Federigo Tozzi nel 1910

Federico Tozzi inizia il romanzo nel 1909, lavorandoci a più riprese, riuscendo finalmente a farlo stampare solo nel 1919 presso l'editore Treves. È il più vicino al poetica del frammentismo vociano. Narra la storia di Pietro Rosi, un giovane debole e introverso; il padre è il proprietario di una trattoria e di un podere e lo disprezza, considerandolo un inetto. Pietro ha una contrastata relazione con Ghisola, una povera contadina che vive presso gli zii, salariati del padre. L'amore di Pietro per Ghisola non decolla e, dopo alterne vicende,i suoi sentimenti per lei svaniranno.

Il romanzo ha una struttura narrativa spesso definita "imperfetta". A volte infatti sembra smarrire il filo logico con distrazioni e digressioni. Non c'è più una gerarchia di momenti privilegiati o secondari. I personaggi sono studiati attraverso la psiche: non hanno spina dorsale, né scheletro o impalcatura; tra loro manca solidarietà. I personaggi principali risultano addirittura sfocati. L'andamento della vicenda procede per salti e scarti repentini, seguendo, come nei romanzi di Svevo, ciò che detta la coscienza.

La trama sembrerebbe rivelare un profonda concezione pessimistica della vita: tra i personaggi regna l'incomunicabilità, in tutto il romanzo è forte la presenza del male. In realtà, in una prospettiva religiosa e non psicanalitica devono essere ricondotti tutti i grandi temi del romanzo: l'incomunicabilità degli individui, che rende infernale la condizione umana, il mistero di ogni atto. D'altra parte lo stesso titolo Con gli occhi chiusi deriverebbe da un passo del De imitatione Christi: "Beati gli occhi che sono chiusi alle cose esteriori",[2] per cui essi si aprono soltanto dinanzi alla visione delle cose più profonde. Piuttosto che come segno di inettitudine, avere gli occhi chiusi andrebbe interpretato come capacità di aprirsi a una dimensione altra e conoscibile appieno esclusivamente attraverso il cuore.

Con gli occhi chiusi ottenne, come tutte le opere di Tozzi, un riconoscimento critico piuttosto limitato, benché gli scrittori di Solaria e Campo di Marte avessero segnalato il romanzo. Insieme a Tre croci, fu apprezzato per la modernità degli approfondimenti psicologici. L'affermazione dell'opera avvenne solo negli anni sessanta, quando ebbe una giusta diffusione.

Il romanzo fu apprezzato più dal pubblico che dalla critica e mise in ombra Con gli occhi chiusi. La critica, invece, considera Tre croci meno poetico del precedente ma più epico, perciò più attraente per i lettori. Come dice Carlo Cassola:[3]

« Sono soprattutto due i romanzi importanti di Federigo Tozzi: Con gli occhi chiusi e Tre Croci. I letterati preferiscono il primo; la gente comune il secondo. Il primo romanzo non diventerà mai popolare; il secondo lo diventerà, quanto meno ha i numeri per diventarlo.
La gente comune ama i romanzi, e Tre Croci è più romanzo di Con gli occhi chiusi. Con gli occhi chiusi è più poetico, ma meno epico dell'altro.
A questo punto mi accorgo che è necessaria una spiegazione generalissima: in che consiste la differenza tra le due fondamentali espressioni letterarie, la lirica e l'epica? Uso apposta la parola epica, benché ai nostri tempi la sola forma dell'epica sia la narrativa, perché nessuno possa cavarsela dicendo che la prima è in versi e la seconda in prosa.
Certo che il romanzo è in prosa; ma il poema epico, che lo ha preceduto nel tempo, assolvendo la stessa funzione? La Commedia, tanto per fare un solo esempio, è in versi, eppure non ha niente a che vedere col Canzoniere del Petrarca, e con la stessa poesia amorosa di Dante. Quest'ultima appartiene al genere lirico, mentre la Commedia all'epico.
Allora, qual è la differenza? Che il poeta lirico parla di sé, mentre il poeta epico parla degli altri. Bisogna però che questi altri non siano proiezioni dell'autore, come accadde per parecchio tempo allo stesso Tozzi. »

In questo romanzo Tozzi cerca di recuperare, pur senza rinnegare le sue precedenti innovazioni, uno stile e una forma più tradizionali. Descrive un mondo di ansia, angoscia e paura determinato dall'impatto con una realtà minacciosa, incombente, aggressiva. È un mondo fatto di traumi, ferite sempre aperte, lesioni profonde della personalità. I personaggi non ne hanno la cognizione, ma ne vengono influenzati e si comportano illogicamente a causa a questi impulsi inconsci.

Trama

Il protagonista è Remigio, che alla morte del padre riceve in eredità un podere, contesogli sia dalla matrigna sia dalla vecchia amante del padre. È essenzialmente la storia di un inetto che subisce la crudeltà umana: Remigio respinge il modello propostogli dal padre ma non sa trovare una valida alternativa, per cui non riesce a essere un buon padrone, non sa comandare e farsi rispettare dai suoi sottoposti. Tutti sono contro di lui perché secondo la loro ottica chi non sa amministrare è un pericolo sociale e come tale deve essere allontanato il più presto possibile. Alla fine, uno di loro, Berto, che lo odia apparentemente senza ragione, lo uccide.

Come scrive Ferroni,[4]

« l'incapacità di vivere di Remigio è anche una specie di resistenza passiva alle leggi economiche e naturali, un bisogno di essere «altrove», di contemplare da lontano il mistero che si annida nella segreta insensatezza delle cose. »

Si tratta di una raccolta di 69 frammenti o aforismi, che hanno una sola cosa in comune: in ognuno compare, in maniera anche casuale e marginale, un animale. Per capire il senso globale dell'opera occorre tenere presenti l'aforisma iniziale e quello finale, che definiscono quelli intermedi. Questi due frammenti sono infatti caratterizzati dalla presenza dell'unico animale che, all'interno della raccolta, sembra essere stato investito di un valore simbolico: l'allodola, che rappresenterebbe un bisogno di elevazione, di senso, di accordo con la natura. Nel primo frammento viene descritta la difficoltà dell'allodola a vivere in un mondo dominato dall'uomo; nell'ultimo è presente un appello all'animale perché ritorni nell'anima. Gli aforismi intermedi, privi dell'allodola, diventano delle allegorie vuote, che sottolineano il bisogno di significato e l'impossibilità di ottenerlo. Bestie è quindi un'opera che esprime la frammentarietà e l'assurdità della vita.[5]

Approntata dall'autore stesso, ma uscita postuma nel 1920 presso Treves a pochi mesi dalla sua morte, questa scelta di novelle copre il periodo della maturità di Tozzi e della sua ormai avviata affermazione nel mondo letterario italiano. Ma già la nutrita produzione nel breve arco della sua vita, sia nell'ambito dei romanzi, sia in quello delle novelle, configura Tozzi come uno dei massimi narratori italiani. Autore poco adattabile a un gusto facile di lettore, impietoso e crudo come pochi altri nel disvelamento della condizione umana, senza l'attenuazione del (pur amaro) riso pirandelliano o dell'ironia sveviana, refrattario a ogni rigida determinazione critica, Tozzi, nelle sue novelle, manifesta una rara forza espressiva, nonché una virtù innovativa sia nella trattazione dei temi e dei personaggi, sia nella strutturazione formale del narrare.

Psicoanalisi

[modifica | modifica sorgente]

L'opera di Tozzi, valutata nel suo complesso, segna una tappa importante nella storia della narrativa italiana del Novecento perché, proponendo una forma di romanzo tutta ripiegata sull'interiorità umana, si colloca fra la dissoluzione del naturalismo ottocentesco e le nuove dimensioni poetiche e psicoanalitiche (dal simbolismo al recupero memoriale di Proust).

Tozzi tuttavia non conosce Freud, giunge a conclusioni analoghe perché è uno scrittore "primitivo" che capta fenomeni culturali più ampi, è dotato di una grande potenza intuitiva. Senza molti strumenti si proietta in altre realtà. Tozzi si interessa molto di psicologia, ma non fa psicoanalisi; la realtà gli si impone con la violenza massiccia dell'incubo dell'esperienza personale per poi essere ritrasportata, sempre sotto forma di incubo, nelle sue opere.

Inettitudine

[modifica | modifica sorgente]

Tozzi viene recuperato dalla critica a partire dagli anni sessanta, prima era considerato solo un narratore verista-regionalista, da allora invece si mette in luce anche la sua vena lirica. Tozzi utilizza le forme tradizionali del realismo solo per esprimere una sua particolare visione della realtà che ruota intorno all'inettitudine come inadeguatezza dell'individuo a reggere le nuove richieste della vita.

Nei romanzi di Tozzi si trova una sorta di rappresentazione lirica dello sbandamento dell'uomo di fronte alle cose. In questo Tozzi ricorda molto Joyce (Ulisse), Musil (L'uomo senza qualità), Kafka (Il processo), Svevo (La coscienza di Zeno, Una vita) e Mann. Tozzi si inserisce in questa scia calando in questa prospettiva l'ambito in cui vive, cioè Siena.

  1. 1,0 1,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 918.
  2. Franco Petroni, Le parole di traverso. Ideologia e linguaggio nella narrativa d'avanguardia del primo Novecento, Milano, Jaca Book, 1998.
  3. Carlo Cassola, Introduzione a Federigo Tozzi, Tre croci, Milano, BUR, 1994, p. I.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 919.
  5. Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani e Franco Marchese (a cura di), La scrittura e l'interpretazione, Palermo, Palumbo, 1996.

Altri progetti

[modifica | modifica sorgente]