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Storia della letteratura italiana/Accademia dell'Arcadia

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Storia della letteratura italiana

Secondo una convenzione generalmente accettata, la prima metà del Settecento viene definita «età dell'Arcadia».[1] L'Accademia dell'Arcadia viene fondata a Roma il 5 ottobre 1690 da Gian Vincenzo Gravina e da Giovanni Mario Crescimbeni, coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi, in occasione dell'incontro nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio di quattordici letterati appartenenti al circolo letterario della regina Cristina di Svezia.[2] L'Accademia è considerata non solamente una scuola di pensiero, ma un vero e proprio movimento letterario che nel XVIII secolo si sviluppa e si diffonde in tutta Italia, in risposta a quello che era considerato il «cattivo gusto» del Barocco.

L'Accademia si richiama nella terminologia e nella simbologia alla tradizione dei pastori-poeti della mitica regione dell'Arcadia: il nome è trovato da Agostino Maria Taja durante una adunata ai Prati di Castello, a quei tempi un paesaggio pastorale.[3] Oltre al nome dell'Accademia, emblematico da questo punto di vista è il fatto che anche la sede, una villa sulle pendici del Gianicolo, sia chiamata Bosco Parrasio. I membri sono detti Pastori, Gesù bambino (adorato per primo dai pastori) è scelto come protettore, mentre l'insegna è la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino. Ogni partecipante inoltre doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione pastorale greca.[2]

Il Settecento in Europa e in Italia

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L'età delle riforme e delle rivoluzioni

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Presa della Bastiglia, acquerello di Jean-Pierre Houël (1789)

Il Settecento, nel mondo occidentale, è ricordato come il secolo dell'Illuminismo, delle rivoluzioni e delle riforme.[4] Una prima, importante rivoluzione riguarda l'economia e i metodi di produzione: è la rivoluzione industriale, che parte dall'Inghilterra all'inizio del secolo e che si estende in altri paesi, come il Belgio e alcune regioni della Francia e della Germania. Bisogna però aspettare la seconda metà dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento perché i metodi produttivi industriali si diffondano pienamente in gran parte dell'Europa occidentale, in Russia, in Giappone e negli Stati Uniti.[5]

Nel XVIII secolo in Europa, per questioni dinastiche, si consumano guerre di successione in Spagna, Polonia e Austria, che modificano gli equilibri politici nel Vecchio continente.[6] Il Settecento è però anche il secolo dell'assolutismo illuminato: le idee dell'Illuminismo influenzano le politiche dei monarchi e ispirano riforme che modernizzano il sistema giuridico e la burocrazia. Le più importanti riforme si hanno in Prussia con Federico II il Grande (1740-1786), in Austria con Maria Teresa (1740-1780) e in Russia con Caterina II (1762-1796).[7]

Nella seconda metà del secolo, le due principali rivoluzioni si hanno in America settentrionale e in Francia. Con la guerra d'indipendenza (1775-1782) le colonie inglesi del Nord America si rivoltano contro la madre patria e nel 1776 viene firmata la Dichiarazione di Indipendenza, con cui nascono gli Stati Uniti d'America. Gli inglesi, sconfitti, firmano nel 1783 il trattato di Versailles, che riconosce la nuova federazione.[8]

In Francia, invece, gli ampi privilegi di cui godono la nobiltà e l'alto clero creano malcontento nel resto della popolazione, esasperata dalla povertà e dalle disuguaglianze sociali, mentre l'ascesa della borghesia porta alla diffusione di idee liberali. La situazione di crisi e la volontà della classe dirigente di impedire i tentativi di riforma portano, nel 1789, allo scoppio rivoluzione francese. Applicando le idee dei filosofi e degli economisti dell'Illuminismo, le istituzioni francesi vengono completamente rinnovate: nel 1789 è approvata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789), che rifiuta la monarchia assoluta ed elenca i diritti fondamentali dei cittadini francesi e degli esseri umani,[9] quindi nel 1792 la Francia diventa una repubblica (il re Luigi XVI è ghigliottinato nel 1793)[10] e nel 1795 una nuova Costituzione attribuisce il governo al Direttorio.[11]

La situazione in Italia

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Martin van Meytens, Ritratto di Vittorio Amedeo II di Savoia in maestà, 1728

Per gran parte del Settecento l'Italia ha un ruolo secondario rispetto agli altri paesi europei.[12] Negli anni della guerra di successione spagnola (1701-1713) la penisola è terreno di scontro tra Francia e Austria. Il ducato di Savoia, che fino ad allora era sottoposto all'influenza francese, nel 1703 si allea con l'Austria, ma viene subito invaso dalle truppe francesi. Nel 1706 l'esercito austriaco, guidato da Eugenio di Savoia, sconfigge i francesi nella battaglia di Torino.[13] Con la pace di Utrecht del 1713, Filippo di Borbone, duca d'Angiò e nipote di Luigi XIV di Francia, diventa nuovo re di Spagna, ma perde alcuni possedimenti spagnoli, tra cui quelli in Italia (Milano e Napoli), che passano all'Austria.[14] Vittorio Amedeo II di Savoia ottiene il titolo di re di Sicilia, ma nel 1720, su pressione degli alleati, cede l'isola all'Austria e ottiene in cambio la Sardegna. Nel 1733, poi, Carlo Emanuele III di Savoia partecipa alla guerra di successione polacca (1733-1738) al fianco della Francia, e con la pace di Vienna (1738) ottiene Novara, Tortona e le Langhe, strappandole all'Austria.[13]

Il regno sabaudo partecipa anche alla guerra di successione austriaca (1740-1748), appoggiando Maria Teresa d'Asburgo. La pace di Aquisgrana del 1748 assegna al regno di Sardegna i distretti di Voghera, Vigevano e l'Alto Novarese. Subito dopo questo evento, le idee dell'Illuminismo europeo iniziano a diffondersi anche in Italia (come si vedrà più nel dettaglio nel modulo dedicato all'Illuminismo in Italia). In Lombardia il dispotismo illuminato di Maria Teresa (1740-1780) e Giuseppe II (1765-1790) porta a una serie di riforme, come l'abolizione di alcuni diritti feudali e della censura ecclesiastica, la liberalizzazione dei commerci, l'incremento di industria e agricoltura. In Toscana, anche Francesco I di Lorena (futuro marito di Maria Teresa) e il suo successore, il granduca Pietro Leopoldo, varano piani di riforme, così come succede nel ducato di Parma e Piacenza, governato da Filippo di Borbone-Parma, figlio di Filippo d'Angiò e fratello di Carlo III di Spagna. Quest'ultimo nel 1735 conquista anche i regni di Napoli e Sicilia, ma si scontra con una classe dirigente conservatrice e i suoi tentativi di riforma falliscono. A Roma, infine, i pontefici si ergono a rigidi difensori dei valori tradizionali.[13]

Negli ultimi decenni del Settecento, però, la spinta innovatrice si esaurisce. I principi tornano a politiche conservatrici, alleandosi con esponenti dell'alto clero e della nobiltà. Anche i circoli culturali perdono di importanza e gli intellettuali più vicini alle idee riformatrici proseguono la loro attività nelle società segrete.[13]

Accademia dell'Arcadia: struttura e organizzazione

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Stemma dell'Accademia

L'Accademia dell'Arcadia è una democrazia dove sovrana è l'assemblea dei membri, che ha l'obbligo di riunirsi almeno due volte in inverno e una in estate. A convocarla e a presiederla è preposto un Custode, eletto, con scrutinio segreto, ogni quattro anni durante la celebrazione dei Giochi Olimpici. Il Custode deve anche nominare, tra tutti gli Arcadi che risiedono in Roma, un collegio di dodici Vicecustodi che ogni anno devono essere sostituiti per la metà. Sempre di nomina del custode sono due Sottocustodi con funzioni di cancellieri e un Vicario o Protocustode che, in caso di impedimento del facente funzioni, ha il compito di sostituirlo.

Per entrare nell'accademia, che è a numero chiuso, sono richiesti tre requisiti fondamentali: avere almeno 24 anni (ma si fanno delle eccezioni per giovani di grande talento, come Giulio Carlo Fagnani (1682-1766), matematico e poeta, entrato in Arcadia a soli 16 anni[15]), una reputazione e una storia personale rispettabile ed essere riconosciuto un esperto in una qualche area del sapere. Se uomini, è obbligatoria anche la competenza in una qualche disciplina letteraria.

Al momento dell'ingresso nella congrega il neofita riceve dall'assemblea un nuovo nome, con cui è conosciuto in Arcadia. Il nome arcadico è costituito da due parti: la prima viene assegnata con un sorteggio mentre l'epiteto seguente è scelto dal candidato, previa approvazione dell'adunanza, purché faccia riferimento o a un luogo dell'Arcadia mitologica o geografica oppure vi sia comunque collegato.

Programma letterario dell'Arcadia

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Giovanni Mario Crescimbeni
« I fondatori, grandi uomini, della benemerita e celebre Accademia d'Arcadia ebbero per principal scopo nel prendere i nomi egli usi de' greci pastori e persino il loro calendario, di romper guerra alle gonfiezze del secolo, e ritornare la poesia italiana per mezzo della pastorale alle pure e belle sue forme. Fingendosi pastori, immaginandosi di vivere nelle campagne, bandito ogni fasto, tolto fra loro ogni titolo di preminenza, studiando ne' classici greci, latini, e italiani, vennero naturalmente da sé stesse a cadere quelle ampollose metafore, que' stravolti concetti, e quello smodato lusso di erudizione, che formava la delizia non de' poeti soltanto, ma eziandio de' più applauditi oratori sagri, e su cui stoltamente si riponeva la sede del sublime e del bello.[16] »
Giovanni Vincenzo Gravina

I caratteri letterari dell'Accademia sono frutto del confronto tra due dei fondatori, Gian Vincenzo Gravina (Roggiano Gravina, 20 gennaio 1664 – Roma, 6 gennaio 1718) e Giovanni Mario Crescimbeni (Macerata, 9 ottobre 1663 – Roma, 8 marzo 1728). Il primo vede nell'Accademia il centro propulsore di un rinnovamento non solo letterario, ma anche culturale. Questo ambizioso progetto è sostenuto dalla sua concezione della poesia come veicolo rivelatore di verità essenziali. Propone come modelli letterari Omero e Dante. Inoltre non gradisce gli aspetti mondani che l'Accademia sempre più assume.[3] Il programma di Crescimbeni è decisamente più moderato e punta a una più semplice reazione al disordine barocco ripristinando il «buon gusto». Crescimbeni punta a raggiungere un certo classicismo con una poesia chiara e regolare, di matrice petrarchesca. Prevale il programma di Crescimbeni, dal momento che anche gli altri membri hanno come obiettivo non l'elaborazione di una nuova cultura, ma una nuova poesia classicheggiante, semplice e aggraziata.

Una delle conseguenze di questo dissidio è la scissione, nel 1711, che portò alla fondazione di una Seconda Arcadia, patrocinata dagli scolari di Gravina, che tre anni dopo è denominata Accademia de' Quirini. Nel 1719 i due rami si ricompattano per omaggiare Gravina, morto l'anno prima.[17]

Dal punto di vista estetico gli scrittori dell'Arcadia sono classicisti, mentre dal punto di vista filosofico sono razionalisti e si richiamano a Cartesio.

La polemica contro il Barocco

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Già nel Seicento c'erano state delle opposizioni al marinismo e al gusto "trionfante" del Barocco, in particolare in Italia meridionale (Napoli e Cosenza) e in Lombardia. Queste tendenze, mai sopite, trovano sfogo nell'Arcadia. Alcuni dei membri fondatori dell'Accademia erano all'epoca letterati già noti, come Alessandro Guidi e Vincenzo di Filicaia e, come nota Salvatore Petronio, questo significa che «almeno in un primo momento e in alcuni scrittori, l'Arcadia comportò non una rottura netta e improvvisa con il passato, ma un suo superamento graduale».[18]

Il Bosco Parrasio, sede dell'Accademia

D'altra parte, è forte in tutti l'esigenza di superare il gusto del passato recente, e il nuovo gusto viene definito nei decenni successivi in opere come il ragionamento di Gravina sull'Endimione di Guidi (1692), l'Istoria della volgar poesia di Crescimbeni (1698), le Riflessioni sul buon gusto di Antonio Muratori (1708-15). Gli arcadi tuttavia, almeno nei primi anni, non definiscono uno stile propriamente nuovo, ma piuttosto si limitano a richiamarsi al petrarchismo di stampo rinascimentale intriso di neoplatonismo, che ai loro occhi è un modello di equilibrio e perfezione. Questo inoltre risponde al proposito, vivo nei membri, di ordine interiore e di ossequio alla fede della Chiesa.[19]

Il razionalismo

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La rottura con il passato recente teorizzato dall'Arcadia si inserisce nel più ampio quadro della penetrazione in Europa del razionalismo cartesiano. Bisogna precisare che la sua diffusione al di fuori della Francia spesso non riguarda i suoi principi o le sue formule, bensì il suo spirito, inteso come tentativo di ricondurre il sentimento alla ragione. In questo modo perde di interesse l'attenzione barocca per i lati oscuri dell'animo umano e per la loro classificazione. Al contrario, si delinea un uomo ideale i cui impulsi sono equilibrati e dominati da una lucida analisi. Allo stesso modo, anche la letteratura deve essere estremamente elegante e lucida, evitando ogni complicazione di carattere psicologico e ricorrendo a una lingua semplice e immediata.[20]

Gli esiti più importanti di questi assunti si ritrovano nella poesia di Pietro Metastasio. Tra i poeti della prima generazione si ricordano Petronilla Paolini Massimi (Tagliacozzo, 24 dicembre 1663 – Roma, 3 marzo 1726), Faustina Maratti Zappi (Roma, 1682 circa – Roma, 9 gennaio 1745) e il marito Giambattista Felice Zappi, Eustachio Manfredi (Bologna, 20 settembre 1674 – Bologna, 15 febbraio 1739). Nelle generazioni successive, alla nitidezza espressiva si affianca l'attenzione per le forme esteriori della vita contemporanea. Ai temi pastorali si affacciano quindi immagini tratte dalla società aristocratica, figure gradevoli ma prive di spessore che caratterizzeranno il gusto cosiddetto rococò. Tra gli autori a esso ricollegabili ci sono Paolo Rolli, Tommaso Crudeli (Poppi, 21 dicembre 1702 – Poppi, 27 marzo 1745), Carlo Innocenzo Frugoni (Genova, 21 novembre 1692 – Parma, 20 dicembre 1768). Varianti della poesia arcadica proseguono anche nell'Ottocento con Iacopo Vittorelli (Bassano del Grappa, 10 novembre 1749 – Bassano del Grappa, 12 giugno 1835) e Giovanni Meli (Palermo, 6 marzo 1740 – Palermo, 20 dicembre 1815).[21]

Diffusione della cultura arcadica

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Il programma letterario arcadico permea tutta la cultura italiana della prima metà del Settecento, tanto da portare a una serie di riforme che interessano il teatro, la lirica, il melodramma.[22] La sua diffusione sulla penisola risponde inoltre a un progetto preciso: l'unione di tutti i letterati d'Italia. Questo contribuisce al rafforzamento dell'identità nazionale della penisola e la diffusione della cultura, anche se – come nota Petronio – avviene in un ambito ristretto della popolazione. Comporre un verso diventa una parte fondamentale della "buona educazione" e la poesia d'occasione dagli ambienti nobili si estende alla borghesia.[23]

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 427.
  2. 2,0 2,1 Gian Lorenzo Dataro, Arcadia, in Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014.
  3. 3,0 3,1 Le muse, vol. I, Novara, De Agostini, 1964, p. 321-323.
  4. Introduzione alla storia del Settecento, in Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014.
  5. Rivoluzióne industriale, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  6. Successióne, guèrre di, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  7. Atlante storico, collana Le Garzantine, Milano, Garzanti, 2011, p. 298.
  8. Atlante storico, in La biblioteca del sapere - Corriere della Sera, vol. 30, Milano, Rizzoli-Larousse, 2004, p. 346.
  9. Atlante storico, in La biblioteca del sapere - Corriere della Sera, vol. 30, Milano, Rizzoli-Larousse, 2004, p. 357.
  10. Atlante storico, in La biblioteca del sapere - Corriere della Sera, vol. 30, Milano, Rizzoli-Larousse, 2004, p. 359.
  11. Rivoluzione francese, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  12. Massimo L. Salvadori, Italia, storia di, in Enciclopedia dei ragazzi, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004-2006.
  13. 13,0 13,1 13,2 13,3 Atlante storico, collana Le Garzantine, Milano, Garzanti, 2011, p. 292.
  14. Atlante storico, collana Le Garzantine, Milano, Garzanti, 2011, p. 279.
  15. Giuseppe Mamiani, Elogi storici di Federico Commandino, G. Ubaldo del Monte, Giulio Carlo Fagnani, Pesaro, Nobili, 1828, p. 95.).
  16. Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, vol. LIV, Venezia, 1852, p. 7.
  17. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 429.
  18. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 428.
  19. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 429.
  20. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 430.
  21. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 462.
  22. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 430-431.
  23. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 431.

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